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loro fortemente embricati quali storia personale, caratteristiche individuali e contesto
ambientale. Partendo da tali considerazioni, ci si interroga sui significati psicologici
che l’infertilità assume per la donna a livello individuale, sociale e relazionale.
Nel primo capitolo, ad una breve esposizione dei vissuti relativi all’identità
femminile e materna, segue una esposizione delle problematiche di natura
psicologico-relazionale prodotte dall’infertilità. Maggiore spazio è dedicato al
momento della scoperta dell’incapacità procreativa e all’iter terapeutico possibile.
Nel secondo capitolo, vengono descritte le tecniche di procreazione assistita più
innovative per poi affrontare le problematiche dell’infertilità attraverso una breve
rassegna delle ricerche empiriche sull’argomento.
Nel terzo capitolo viene descritta la ricerca condotta, gli strumenti utilizzati e i
risultati ottenuti.
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Capitolo I
Dal desiderio di maternità alla gravidanza mancata.
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1.1 Il ruolo della maternità nello sviluppo dell’identità femminile.
Le tematiche concernenti l’esperienza della maternità costituiscono un tema centrale
nel processo di elaborazione dell’identità femminile; secondo Vegetti Finzi (1990) la
maternità è una delle esperienze più intime e profonde della vita di ogni donna. Il
fenomeno naturale e primitivo della maternità è il risultato di un complesso processo
evolutivo in cui le leggi biologiche si fondono con gli elementi relazionali ed emotivi
che caratterizzano l’esperienza soggettiva femminile (Deutsch, 1957); la maternità
non è riducibile all’esperienza reale della riproduzione, alla sua dimensione
ginecologica, ma investe tutta la vita della donna; tale esperienza è in ogni momento
agire creativo in cui il bambino è un prodotto del corpo e del pensiero (Vegetti Finzi,
1990).
Il senso della maternità segue un lungo itinerario la cui organizzazione, come
evidenziato dalla letteratura psicoanalitica, avviene durante l’infanzia. Sin
dall’infanzia, molteplici sensazioni, fantasie, sogni e giochi di bambina, preparano in
realtà un grembo psichico (Vegetti Finzi,1997).
Il processo che porta alla trasformazione della bambina in donna richiede una lunga
e complessa elaborazione. Le potenzialità riproduttive già si rintracciano nelle
precoci fantasie connesse ai primi oggetti transizionali, quali la bambola o
l’orsacchiotto, che assumono nella vita fantasmatica della maggior parte delle
bambine un ruolo importante nello sviluppo dell’identità femminile.
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Progressivamente, le bambole o i pupazzi che avevano rappresentato il prodotto
generativo della bambina si allontanano per lasciare il posto all’immagine di un Io
ideale costruito sulle attese sociali, sugli stereotipi dell’immaginario collettivo che
vedono la donna, non più bambina, capace di generare e di essere madre in grado di
prendersi cura dei propri figli.
Stoller (1976), attraverso il concetto di femminilità primaria, sottolinea l’importanza
dell’identificazione pre-edipica che la bambina vive nei confronti della madre e su
cui sembra formarsi l’identità di genere. Durante la pubertà i desideri erotici e
generativi gradualmente saranno connessi all’esercizio della sessualità matura.
Inizialmente saranno le sensazioni di contatto con un corpo materno, percepito come
simile al proprio, che permetteranno alla bambina l’acquisizione dell’identità di
genere. L’ambivalenza nei confronti della madre pre-edipica viene risolta solo
durante l’adolescenza attraverso l’identificazione con la funzione materna
(Blos,1980).
Nel corso degli anni, le concezioni sul significato inconscio del desiderio di maternità
hanno dato vita a diverse teorie: Freud (1940), nel Compendio di psicoanalisi,
attribuisce una specifica ragione all’esperienza della gravidanza e della procreazione,
affermando che per ogni donna il bambino assume il significato sostitutivo del pene
mancante. Deutsch (1945), invece, attribuisce a tale desiderio non tanto il tentativo
riparatorio dell’assenza del pene quanto il bisogno di rappresentarsi in un altro
attraverso la naturale tendenza a recepire, a mettere dentro, che è propria della donna.
Altri, spiegano il bisogno di maternità come il derivato di un processo evolutivo
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filogenetico che trasforma l’istinto alla riproduzione in segni affettivi premonitori
presenti ancor prima del verificarsi di una maternità reale (Baruffi, 1979).
Al di là della volontà espressa dal desiderio di un figlio, esiste in ognuno un figlio
immaginario diverso da quello reale: ciò che è desiderato non è un figlio, ma il
desiderio di esso, la realizzazione di un sogno infantile.
La donna si avvia alla maternità reale priva di ogni precognizione; durante questa
fase il “bambino della notte”, cioè il bambino fantasmatico creato dall’attività
immaginativa della donna stessa, rimane sequestrato nell’inconscio insieme ai
desideri di autogenerazione. La madre, pertanto, non può essere ridotta ad un
“contenitore” poiché possiede una forza femminile che dà vita e forma non solo
all’embrione ma anche a se stessa. Le capacità generative vengono cioè impiegate per
mettersi al mondo, riflettendo profondamente sulla propria identità (Vegetti
Finzi,1990).
La generatività è allora intesa come un bisogno normale, sia biologico che emotivo.
Diversi autori (Ammaniti, 1996; Binda, 1997; D’Andrea, 1999), hanno sottolineato che
il divenire madre debba intendersi come un processo influenzato dalle aspettative
sociali che si sviluppano all’interno di un preciso contesto familiare e si snodano nel
tempo; tale processo non coincide con il momento in cui si concepisce o si mette al
mondo un bambino, piuttosto affonda le sue radici nella storia personale di ognuno.
Secondo Stern (1999), non si diventa madri nel momento in cui il neonato emette il
primo vagito; dal punto di vista psicologico, l’identità materna si forma
gradualmente, durante i molti mesi che precedono e seguono la gravidanza. Il
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termine maternità viene dunque riferito al continuum che dal concepimento,
attraverso la gravidanza, conduce all’incontro con il bambino reale.
Le ragioni per volere figli sono varie e mutano nel tempo. In alcuni casi, alla
decisione cosciente di avere un figlio può non corrispondere un vero desiderio di
maternità. Per la donna può esserci piuttosto il desiderio di rimanere incinta come
tentativo di conquista di un valore estraneo al proprio sé fragile ed insicuro, oppure
tale desiderio costituisce il tentativo di soddisfare le richieste dei familiari. Una
donna sicura della propria femminilità, può guardare alla procreazione come ad
un’ulteriore conferma della propria identità femminile, a dimostrazione della propria
maturità ed adeguatezza. Può anche accadere di desiderare la maternità come
identità sostitutiva di aspirazioni di carriera non realizzate o, al contrario, tale
esperienza può essere considerata un fatto banale rispetto alla propria immagine di
donna che svolge una professione importante, che la porta a rimandare
indefinitamente il momento di divenire madre (D’ Andrea, 1999).
Il concepimento è caratterizzato da specifici atteggiamenti che permettono di
affrontare ed elaborare in modo del tutto soggettivo tale esperienza. La riproduzione
come evento psicologico va pensata in termini pluralistici perché non è riducibile ad
un unico atto o atteggiamento, bensì consiste in una sequenza di eventi, conflitti,
gratificazioni che permettono di rappresentarsi come genitore non solo all’interno
della coppia, ma in una dimensione sociale più ampia (Maggioni,1997).
La genitorialità rappresenta una delle tappe più significative nel ciclo vitale
dell’essere umano, si tratta di un passaggio definitivo e irreversibile alla vita adulta
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in cui dall’incontro di due individui si sviluppa un progetto di vita che, più o meno
consapevolmente, li vuole genitori (Asero, 2004). In diverse società, le credenze che
accentuano la desiderabilità e l’importanza della prole risultano notevolmente
diffuse, dato che i figli costituiscono una sorgente di soddisfazione emotiva ed una
fonte di sempre nuovi stimoli ed interessi nella vita dei genitori. I bambini spesso
sono visti come coloro che offrono una seconda speranza, coloro che permettono di
ottenere quanto non si è riusciti ad avere per se stessi; speranze bene esplicitate
dall’espressione: “Voglio dare a mio figlio ciò che io non ho avuto”, che sottolinea
come i figli possano assumere un valore che supera ogni sforzo e sacrificio
(Baruffi,1979).
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1.2 Il desiderio di maternità e la disconferma del progetto genitoriale.
La fecondità intesa come potenzialità riproduttiva, ancor prima che venga attivata,
entra a far parte dell’identità personale assumendo intense connotazioni
psicologiche. Per entrambi i membri di una coppia la fiducia e la consapevolezza
delle proprie capacità generative costituiscono una componente importante
dell’immagine di sé, dell’identità di genere e di coppia (Cecotti 2004). La
procreazione è un evento che implica la continua messa in scena sul “teatro” del
corpo di desideri, bisogni, fantasie, quesiti e stereotipi da sempre presenti nella
cultura. Le rappresentazioni che ognuno ha di se stesso, costruite a partire dal corpo,
dal pensiero e dal linguaggio, trascendono il dato biologico ed anatomico per
includere percezioni ed immagini che hanno origine dalle continue relazioni
comunicative ed emotive che si instaurano tra sé e gli altri. La dualità Soma-Psiche
acquisisce allora la massima rilevanza proprio durante la realizzazione del progetto
procreativo, quando il livello di integrazione fra corpo, pensiero ed emozioni
raggiunge livelli ottimali.
Nella società occidentale, in tempi recenti, i concetti di famiglia e di relazioni
familiari rimandano principalmente al valore dell’indissolubilità dei legami di
sangue. L’istinto genitoriale, ed in particolare quello materno, sono enfatizzati da
una dimensione culturale legata al concetto di famiglia biopsicosociale, con
conseguenti forti pressioni e ripercussioni sulla coppia senza figli (Di Vita &
Giannone, 2002).
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Nelle società preindustriali, la coppia sterile era considerata improduttiva dal punto
di vista economico, il non avere figli significava non garantirsi forza lavoro
indispensabile per la sopravvivenza del nucleo familiare stesso. Per la cura della
sterilità si ricorreva ad ogni tipo di rimedio, dalle cure con erbe agli interventi di
guaritori ai quali venivano attribuiti poteri magici e taumaturgici. Enorme
importanza assumevano anche tutte quelle credenze e rituali che affidavano alla
natura la possibilità di guarire dalla sterilità, un esempio è costituito dalla pratica in
cui le donne ritenute sterili si recavano lungo le rive dei fiumi nelle notti di luna
piena nel tentativo di farsi fertilizzare dai raggi lunari (Dini,1980). L’infertilità
costituiva una inguaribile ferita e un danno talmente irreparabile da rendere nullo il
vincolo matrimoniale (un bambino.it).
L’infertilità è sempre stata vissuta come una menomazione vergognosa che pone la
coppia in una condizione di emarginazione sociale. L’impossibilità di divenire
genitori costituisce una delle crisi più gravi che una coppia, anche la più affiatata,
possa affrontare nella vita. Spesso la progettualità fondante la coppia si sostanzia
non tanto nel desiderio quanto nella necessità di avere un figlio; scoprire
l’impossibilità di realizzare tale necessità mette allora in crisi non solo i singoli
partner, ma la coppia in quanto unità (Lalli & Liberti, 1996). Fin dall’inizio, la
scoperta dell’infertilità deprime il benessere personale ed il senso di autostima in
quanto mette in crisi i contenuti relativi alla propria identità sessuale, con
conseguenti ricadute sulle più intime dinamiche del rapporto di coppia.