7
siano in grado di rieducare i condannati per farli ritornare nella società
come persone nuove, ma al contrario di come spesso vengano commessi
errori di valutazione talmente gravi da avere a volte conseguenze
disastrose.
Con questo lavoro non siamo in grado di indicare una soluzione
alternativa alla pena detentiva per la punizione di chi commette reati, ma
vogliamo analizzare i vari aspetti della pena e le diverse modalità
attraverso le quali possa essere espiata. Questo non significa che la pena
detentiva, così come è intesa oggi, non debba essere migliorata e vanno
previste nuove modalità afflittive che vengano riconosciute dagli autori
del reato di qualche utilità; il tutto con la finalità di ricondurre il reo a
considerare, in termini nuovi e diversi, il proprio rapporto con la società e
far rinascere il lui il sentimento di rispetto verso le norme che regolano la
convivenza civile.
Nel primo capitolo sarà effettuata una panoramica e un’analisi
generale sulla problematica della pena intesa come concetto giuridico e
sociale.
Passeremo in rassegna le più significative teorie che sono state
sviluppate attorno al concetto di pena e sulle finalità che questa intende
perseguire. Partendo dalla teoria della prevenzione e analizzandone le
differenze che intercorrono tra quella generale e speciale, passando per la
teoria retributiva ed infine per la teoria dell’emenda.
Faremo poi una breve excursus storico sulla nascita del carcere e
di come in passato fosse considerato l’unico strumento idoneo in grado di
permettere l’espiazione della pena.
Analizzeremo poi le varie dottrine e scuole che si sono susseguite
nel tempo, partendo dalla concezione elaborata dalla Scuola Classica, che
pone il suo fondamento nella specifica volontà del reo di commettere il
reato, passando poi per la Scuola Positiva che considera, invece, il reato
8
come una risultanza tra diversi fattori che interagiscono tra loro e
portano il soggetto a commettere delitti senza che la volontà personale
possa in alcun modo intervenire.
Approfondiremo poi la nascita, in seno all’Assemblea
Costituente, dell’attuale testo dell’articolo 27 della nostra Costituzione,
con particolare attenzione al 3° comma, che è quello che maggiormente
interessa il nostro discorso. Esamineremo poi le diverse correnti che si
sono succedute per la sua interpretazione e che hanno influenzato lo
sviluppo del sistema penitenziario, aspetto questo strettamente legato alla
realtà storica del momento e alle varie vicende che influenzavano la
questione in termini pratici.
Arriveremo poi ad analizzare quei interventi legislativi che hanno
introdotto importati riforme in grado di riorganizzare l’intero sistema
penitenziario apportando cambiamenti e migliorie. Le più importanti che
vanno ricordate sono la legge n. 354 del 1975, considerata il punto di
svolta della materia e su cui ancora oggi si basa l’intero sistema
carcerario. Lo stesso art. 1 di questa legge impone che la pena abbia una
finalità rieducativa, finalità che va perseguita attraverso una serie di
attività e misure volte a intervenire e correggere la personalità del
detenuto in modo da superare quelle carenze che lo hanno portato al
comportamento deviato di modo che possa essere reinserito nella società
come un uomo nuovo e rispettoso delle sue regole.
Anche le leggi n. 663 del 1986 e n. 165 del 1998 hanno portato
importanti innovazioni, la prima era diretta a favorire un graduale
reinserimento dei reclusi nella società nella logica di una politica di
decarcerizzazione facilitando l’ingresso alle misure alternative alla
detenzione, mentre la seconda era diretta a risolvere il problema del
sovraffollamento carcerario. Quest’ultima era volta ad evitate del tutto
l’ingresso in carcere o a concedere in maniera automatica alcune misure
alternative in quei casi di delitti di scarsa rilevanza in cui si riteneva che
9
un ingresso in un penitenziario per un breve lasso di tempo, non solo non
sarebbe stato sufficiente per portare a termine con successo un processo
rieducativo, ma al contrario sarebbe risultato dannoso per la possibile
“contaminazione” che il soggetto poteva ricevere da detenuti molto più
pericolosi.
Nel secondo capitolo andremo ad analizzare più nello specifico
cosa si intende con la nozione di “rieducazione del condannato” che
viene usata nel dettato costituzionale e di come venga posto in essere un
trattamento sul detenuto che abbia come fine ultimo quello di rendere il
reo una nuova persona in grado di essere reinserito nella società e capace
di condurre una vita normale in armonia con il resto della comunità.
Deve essere sottolineato di come il trattamento sia impostato
secondo un criterio di individualizzazione secondo quanto disposto dal
dettato legislativo, cioè il trattamento per ogni singolo deve tenere in
considerazione le specifiche condizioni del soggetto in modo da
individuare i bisogni, le carenze e le cause specifiche del disadattamento
sociale in modo da poter mettere appunto e applicare un trattamento
mirato che sia in grado di rispondere alle concrete esigenze del caso in
modo da raggiungere il fine del reinserimento sociale.
Ci soffermeremo sulle modalità con cui tale trattamento venga
messo in pratica all’interno dei penitenziari e quali strumenti vengano
utilizzati per conseguire questo risultato. Osserveremo come ognuno di
questi sia in grado di incidere sulla personalità del reo in modo da
aiutarlo a redimersi e costruire nuovamente un sistema di affetti e valori.
Un altro aspetto che esamineremo è l’equipe del personale che si
trova ad operare all’interno del penitenziario e di come ognuno dei
diversi professionisti che vi operano, a seconda della diverse capacità e
competenze, interagiscano con il soggetto per aiutarlo ad affrontare il
periodo della detenzione e fargli sfruttare al meglio il tempo trascorso da
10
reclusi in modo da poter usufruire al massimo degli strumenti offerti dal
sistema penitenziario.
Saranno poi brevemente accennate le differenze trattamentale che
possono essere riscontrate nei casi di detenuti che presentino particolari
condizioni di salute o di pericolosità sociale o trattamentale che
necessitano di un terapia differenziata dai casi ordinari e delle difficoltà
che possono incontrarsi e di come queste debbano essere affrontate e
risolte.
Nel terzo capitolo verrà fatta una panoramica su possibili diverse
modalità di espiazione della pena: le misure alternative.
Attraverso questa soluzione si cerca di evitare, o al massimo
limitare, al reo la permanenza all’interno del carcere, perché l’esperienza
ci insegna che il soggiorno prolungato all’interno di un penitenziario
abbia più effetti negativi che positivi e pertanto si cerca di evitare
l’entrata in carcere per quei soggetti che debbano scontare solo una pena
di breve durata o coloro che abbiano commesso reati di lieve entità per
fare in modo che nel corso della loro permanenza non vengano a contatto
con criminali che si siano macchiati di delitti più efferati da cui possano
venir “contagiati” .
Per ogni singola misura alternativa verrà fatta una breve
panoramica su quelli che sono i suoi obbiettivi e le sue caratteristiche e i
requisiti che debbono sussistere perché un soggetto possa essere
ammesso alla sua attuazione, oltre che le condizioni che deve rispettare
per non incorrere in una revoca.
Nel quarto, ed ultimo, capitolo sarà presentato un caso pratico che
è accaduto nel maggio scorso e di cui la cronaca nera degli ultimi tempi
si è occupata a lungo, la cui analisi può essere significativa per capire se
e come il nostro sistema penitenziario sia in grado di mettere in pratica le
11
finalità rieducative che vengono declamate nel testo legislativo e ci
dimostra come la realtà sia molto diversa dall’intenzione del legislatore.
La prima volta che si parlò di Angelo Izzo fu nel lontano 1975
quando, assieme a due complici, fu ribattezzato come uno dei “mostri del
Circeo”, autori del massacro avvenuto in una villetta del litorale romano.
In quell’occasione Izzo e i suoi complici uccisero barbaramente una
ragazza e ne ridussero in fin di vita un’altra dopo lunghissime torture.
Purtroppo 30 anni dopo Angelo Izzo torna a far parlare di se,
grazie a un nuovo duplice omicidio.
Durante la sua permanenza in carcere Angelo Izzo è stato
sottoposto al trattamento rieducativo imposto dalle nostre leggi dal quale
sarebbe dovuto uscire come un uomo nuovo, pronto a rientrare nella
società come una nuova persona ma questo non è accaduto.
12
CAPITOLO 1 - L’EVOLUZIONE STORICO-LEGISLATIVA
DELLA PENA
1 .1 Concetto della pena
Il diritto penale si caratterizza nell’ambito degli altri settori del
diritto perché è costituito dalla previsione di illeciti alla cui commissione
è riconnessa una conseguenza negativa del tutto peculiare: la pena.
Che cosa sia la pena è facilmente spiegabile se ci riferiamo alle
norme che ne disciplinano le varie tipologie: pena detentiva, pecuniaria,
interdittiva. Ciò che è più complesso è invece definirne l’essenza la
sostanza e soprattutto la funzione.
Ci sono state da sempre numerose scuole di pensiero in ordine
alla funzione delle pena e la sua evoluzione è stata caratterizzata da
continui cambi di prospettive e sviluppi.
Domandarci quale sia la sua essenza significa chiedersi cos’è e
qual è la sua intrinseca natura.
1.1 .1 Pena in astratto e pena in concreto
Pur nella sua complessità al concetto di pena possono essere
ricondotte due teorie principali quella ideologica e quelle esplicativa: nel
primo caso l’obiettivo è lo studio del fine o dello scopo della pena,
mentre il secondo si concentra sulle funzioni effettivamente realizzate.
Nella sociologia del diritto penale, che si occupa prevalentemente
delle teorie ideologiche, le pene sono viste come strumento di controllo
sociale, capaci di differenziare lo status dei soggetti. "L'applicazione
selettiva delle pene legali è un momento essenziale del mantenimento
della scala verticale della società; incidendo negativamente sugli status
13
sociali degli individui, la sanzione penale agisce in modo da contrastare
la mobilità sociale."
1
Secondo questa teoria la pena rappresenta la punta dell' iceberg
dell'intero sistema di controllo sociale perché agisce in maniera selettiva
nella società attraverso vari canali: la discriminazione scolastica,
intervento nelle agenzie di controllo della devianza minorile, delle
assistenze sociali ecc. e il momento dell'esecuzione penale è successivo e
di importanza limitata.
Il sistema delle pene è perciò necessario per la conservazione
della realtà sociale esistente. Per quanto riguarda invece gli scopi
ideologici della pena si riscontrano fini di utilità. Il pensiero filosofico
utilitaristico del 700 distingue tra significato di pena in astratto e di pena
in concreto.
2
La pena in astratto ha un fine di unità sociale; lo Stato è chiamato
a garantire l'ordine sociale anche attraverso la minaccia di un male; ha
perciò lo scopo di dissuadere i potenziali violatori della legge: il suo fine
è la prevenzione generale.
Per quanto riguarda, invece, la pena in concreto bisogna risolvere
e analizzare dei problemi: decidere come e in che misura deve essere
punito il reo per l'illecito commesso, come deve essere commisurata la
pena in concreto, la pena deve essere equivalente al reato (principio della
retribuzione legale nella commisurazione della pena)?
Perciò lo scopo di utilità si riconosce solo nella legge penale in
astratto, mentre nel concreto la pena deve essere anche proporzionata al
reato e deve anche essere tenuto in conto il grado di colpevolezza del reo
e non deve finalisticamente giustificarsi.
1
PAVARINI M. in AA.VV., Introduzione al sistema penale, Vol I G. Giappichelli,
Torino, 2001.
2
PAVARINI M. in AA.VV., Introduzione al sistema penale, Vol I G. Giappichelli,
Torino, 2001.
14
La pena racchiude così due finalità distinte e ugualmente
importanti: da una parte rispetta il criterio della pena-contratto perché
realizza il principio di uguaglianza e nel frattempo svolge scopi
rieducativi creando cosi un sistema di pene giuste e utili.
Questo sistema incontra però delle contraddizioni: se la pena ha
fini rieducativi che possono essere raggiunti in un termine relativamente
breve non ha motivo di essere protratta fino al limite imposto della
retribuzione. Ancora se la durata della pena, individuata secondo il
criterio retributivo, non si è resa sufficiente per ottenere il ravvedimento
del reo non ha senso la sua sospensione ma andrebbe prolungata fintanto
che non si arrivi al ravvedimento del soggetto.
In questo contesto viene meno la logica della concezione retributiva così
da lasciare allo scopo special-preventivo il fine ultimo della pena.
Di questo avviso anche il pensiero positivista del XX secolo che
fu di stampo medico-psichiatrico. I trattamenti vennero sostituiti in
medico-psichiatrici: osservazione, diagnosi e cura
3
.
La pena si slega dal concetto di volontà del reo e si allaccia a valutazioni
di pericolosità dell’individuo con il preciso scopo di riuscire a prevedere
le condotte future del condannato; si sperimentano nuove modalità
punitive che si affiancano alla pena detentiva: misure alternative e pene
sostitutive; la cui finalità è quella di testare innovative tecniche di
espiazione della pena fuori dalle mura carceraria. La reclusione perde la
propria centralità e diventa parte di un trattamento più complesso volto al
controllo sociale.
3
PAVARINI M. in AA.VV., Introduzione al sistema penale, Vol I G. Giappichelli,
Torino, 2001.
15
1.2 Teorie sulla funzione della pena
1.2.1 Teoria della prevenzione
Per quanto riguarda la domanda fatta precedentemente circa gli
scopi della pena possiamo dire che la pena moderna ha come fine di
utilità il perseguire l’obiettivo della prevenzione.
Si distingue tra prevenzione generale e speciale a seconda se
questa è destinata alla generalità della collettività o al solo reo. In
entrambi i casi il fine è sempre quello della difesa sociale.
1.2.2 Teoria della prevenzione generale
La finalità generale preventiva della pena è la capacità che questa
ha di dissuadere la collettività a commettere reati per ragioni di
deterrenza: essa è definita prevenzione generale negativa
4
.
Lo scopo della pena non è tanto la punizione del reo quanto più
inviare un messaggio alla collettività in modo che sia avvisata delle
possibili conseguenze alla commissione dello stesso reato.
Questa teoria si fonda sulla base dell'agire umano: l'uomo deve i
suoi comportamenti al calcolo dei benefici e dei costi che derivano dalle
sue azioni; se da una azione delittuosa egli riceve un certo beneficio la
pena che gli verrà corrisposta deve essere tale da provocare uno
svantaggio maggiore così che egli sia dissuaso dall’ intenzione di
compierla: pene sempre più severe per elevare i costi della scelta
criminale
5
.
Questa teoria è stata criticata dal fatto che non tiene in
considerazione il libero arbitrio che è insito in ogni essere umano
6
.
4
PAVARINI M. in AA.VV. , Introduzione al sistema penale, Vol I G. Giappichelli,
Torino, 2001.
5
Becker G.A., Crime and Punishment: An Economic Approach, 1968
6
Critiche condivisa da Wilson e Bentham.
16
Altra limitazione di questa tesi è di natura empirica: manca infatti
la prova che elevando la pena si abbia come corrispettivo una
diminuzione del tasso di criminalità. L’esempio tipico è quello degli Stati
Uniti d’America dove in alcuni Stati è ancora in vigore la pena capitale e
di contro non si hanno come risultati diminuzioni significative dei tassi
di criminalità
7
.
La prevenzione generale positiva
8
Rispetto alla dottrina della prevenzione speciale, diretta verso
colui che commette il reato, la teoria della prevenzione generale positiva
ha come obiettivo ultimo la generalità dei consociati.
In questo caso la pena viene vista come uno strumento di
stabilizzazione del sistema sociale.
Tra stato e cittadini intercorre un patto di non belligeranza e di
rinuncia della violenza da parte dei cittadini che si impegnano a
rinunciare alla violenza lasciando tale compito esclusivamente allo Stato
che si incarica della loro protezione
9
.
In caso di commissione di un reato la fiducia istituzionale che
intercorre tra società e popolo viene messa in discussione dal
comportamento del reo, tale violazione può scatenare una situazione
destabilizzante e far venir meno la fiducia degli altri consociati. La
reazione punitiva ha pertanto il compito di rinsaldare tale fiducia e
prevenire gli effetti negativi che ne potrebbero derivare.
7
Uno studio condotto dalla Commissione delle Nazioni Unite per la prevenzione della
criminalità nel 1988, successivamente aggiornato nel 1996, ha preso in esame i risultati
delle numerosissime ricerche effettuate sulla relazione fra cambiamenti nell’utilizzo
della pena di morte e tassi di criminalità. Le conclusioni raggiunte sono le seguenti:
“questa ricerca non è riuscita a fornire alcuna prova scientifica del fatto che la pena di
morte produca un effetto deterrente superiore all’ergastolo. Si ritiene improbabile che
possa essere fornita una prova in tal senso. I fatti raccolti non sembrano pertanto fornire
alcun supporto all’ipotesi del deterrente”.
8
PAVARINI M. in AA.VV. , Introduzione al sistema penale, Vol I G. Giappichelli,
Torino, 2001.
9
LUHMANN N., Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, Il Mulino,
Bologna, 2001.
17
La critica è che questa teoria rischia di trovare al diritto punitivo
una sorta di autolegittimazione dello Stato: il patto sociale è basato sulla
non belligeranza ma è lo Stato stesso il primo che punisce.
Si può quindi concludere che la finalità di prevenzione generale
negativa sia rivolta prevalentemente alla minoranza dei potenziali
violatori delle leggi in modo che vengano dissuasi dalla devianza, mentre
quella di prevenzione generale positiva si rivolge prevalentemente alla
maggioranza dei consociati osservatori delle norme.
Se il reato è una minaccia alla integrità e alla stabilità sociale in
quanto rappresenta una mancanza di fedeltà di un consociato al patto
sociale, la pena deve essere espressione simbolica contraddittoria
rispetto a quella rappresentata dal reato
10
.
1.2.3 Teoria della prevenzione speciale
Questo tipo di prevenzione è invece diretta al solo soggetto che ha
commesso il reato con la finalità di evitare che torni a commetterne altri.
Teoria della prevenzione Positiva
11
Si parte dal presupposto che colui che nel corso della sua vita
abbia avuto dei deficit economici, culturali o intellettivi o che
appartenga ad una classe socialmente svantaggiata sia per sua natura più
portato per la delinquenza (homo criminalis). La prevenzione speciale
positiva ha conseguentemente come finalità quella di colmare quelle
lacune che hanno portato il soggetto a delinquere.
Lo Stato è allora chiamato a colmare questo deficit attraverso una
rieducazione o una risocializzazione.
10
PAVARINI M. in AA.VV., Introduzione al sistema penale, Vol I G. Giappichelli,
Torino, 2001.
11
PAVARINI M. in AA.VV., Introduzione al sistema penale, Vol I G. Giappichelli,
Torino, 2001.
18
Le critiche che vengono mosse a questa teoria si basano sul fatto
che non è dimostrabile che la causa del reato si trovi in queste carenze
(si pensi ad esempio ad un reato politico o un ambientale).
Altre critiche sostengono che molto spesso la detenzione non
porti a una rieducazione, anzi dati empirici dimostrano il contrario, cioè
tanto maggiore è il tempo che un individuo passa in carcere e tanto
maggiore sarà la probabilità che torni a delinquere
12
.
Teoria della prevenzione Negativa
Anche detta dell'incapacitazione o neutralizzazione, secondo tal
teoria si può sconfiggere la recidività impedendo materialmente la
commissione di nuovi reati da parte del condannato: invece di operare la
reintegrazione si provvede ad una definitiva esclusione attraverso varie
modalità: eliminazione fisica, segregazione a vita, controllo elettronico
a distanza. Risulta evidente come tale strada non sia percorribile, perché
eccessivamente cruenta, né accettabile in un paese liberal-democratico
come il nostro.
1.2.4 Teoria della retribuzione
Secondo la teoria della retribuzione la pena ha funzione di
retribuire il male commesso con il reato con un corrispondente "male"
costituito appunto dalla pena.
Si suole distinguere tra teoria della retribuzione morale e teoria
della retribuzione giuridica
13
. La prima afferma che il fondamento della
pena sta nell'insopprimibile esigenza morale di ripagare il bene con il
12
Secondo uno studio empirico condotto in Spagna da Redondo, Funes e Dunque nel
1994 su un campione di 485 detenuti il 37,9 % di questi torno a delinquere entro un
termine di 3 anni e mezzo. Questo dimostrò che la pena detentiva non è in grado di
prevenire la recidività. Inoltre quelli che recidevano maggiormente erano proprio quelli
che avevano trascorso maggior tempo in prigione.
13
FLORA G., TONINI P., Diritto penale per operatori sociali, Giuffrè, Milano, 2002
19
bene e il male con il male. Esigenza di cui lo Stato dovrebbe farsi
portatore.
Secondo la teoria della retribuzione cosiddetta "giuridica" il reato
costituirebbe la negazione di un diritto e la pena,negando a sua volta
crimine avrebbe la funzione di riaffermare il diritto violato.
Tale teoria possiede un fondo innegabile di verità poiché
costituisce un'insopprimibile esigenza dell'animo e della ragione che chi
agisce male sia proporzionalmente ripagato di pari moneta. Inoltre
comporta che la pena possieda quel requisito di proporzionalità rispetto
all' illecito dal quale nessuna pena giusta e razionale può prescindere.
Tuttavia, essa più che una funzione indica, in definitiva, l'essenza
della pena che trova dunque giustificazione di per se stessa, senza dover
assolvere ulteriori particolari compiti (per questo si dice anche che era
una teoria assoluta).
1.2.5 Teoria dell’emenda
Questa teoria parte dal presupposto che l'esecutore materiale dei
reati perseguibili penalmente dimostra di essere incline alla commissione
di azioni criminose. Al fine di evitargli la ricaduta nel delitto occorre
provvedere il suo ravvedimento: occorre migliorarlo, correggerlo ed
educarlo (per questo la teoria dell’emenda viene anche denominata teoria
correzionalista).
Conseguendo tale risultato lo Stato assicura la conservazione e il
progresso della società civile perché blocca quel triste flagello sociale
che è la criminalità.
Il nostro ordinamento ha scelto di affidare alla pena, tra le teorie
che abbiamo appena analizzato, il fine speciale preventivo positivo.
Questo è dimostrato dal testo dell’art 27 comma 3 della
Costituzione che, per essere compreso appieno, deve essere analizzato in
20
chiave storica percorrendo le varie tappe che ci hanno portato sino alla
situazione attuale.
Secondo questa interpretazione gli scopi utilitaristici della pena
sono plurimi: la sofferenza, per quanto possa essere di carattere
retributivo, deve essere indirizzata anche a scopi satisfatori di
prevenzione generale e speciale
La pena diventa cosi una componente che racchiude in se una
pluralità di fattori e finalità che vedono di volta in volta il prevalere di
alcuni su altri, è quella che viene definita la polifunzionalità della pena.
Quasi sempre parlando di pena ci riferiamo esclusivamente al
momento esecutivo cioè al momento in cui viene attuata nella realtà
materiale, che si concretizza nelle istituzioni carcerarie o nelle altre
modalità punitive.
Questo non è del tutto vero in quanto non dobbiamo dimenticare
che il fenomeno penale si articola in tre momenti distinti: fase edittale,
commisurativa ed esecutiva ciascuna con finalità differenti
14
.
Il fine utilitaristico della risocializzazione si riscontra solo nella
fase esecutiva cioè quando si attua in concreto il trattamento
penitenziario, e solo in maniera limitata nella fase commisurativa mentre
la fase edittale è caratterizzata da scopi generali preventivi.
Questo dibattito e il rinnovato interesse per gli scopi e le funzioni
della pena hanno favorito la nascita della legge 354/1975 che ha avuto il
pregio di rendere effettiva la finalità rieducativa della pena che era
rimasta lettera morta nel dettato costituzionale.
Successivamente si vuol far progredire lo scopo special
preventivo dalla sola fase esecutiva, grazie alla sentenza 364 del 1988 in
cui la Corte Costituzionale, attraverso una letture sistematica tra il primo
e il terzo comma dell’art 27, sostiene l'equiparazione della responsabilità
14
PAVARINI M. in AA.VV., Introduzione al sistema penale, Vol I G. Giappichelli,
Torino, 2001