2
Nei tratti distintivi di una forte unità fisica, la Spagna rivela una gran
varietà; fattori di diversità sono i contrasti del rilievo, del clima e della
vegetazione, con conseguenti riflessi sulla varietà del paesaggio naturale ma
anche sui caratteri insediativi, sociali ed economici; ma un importante fattore di
diversità è stata soprattutto una dinamica storica complessa che ha portato
gruppi umani ben differenziati nei caratteri sociali, economici, linguistici e
culturali ad organizzarsi in diverse entità statali ed a rivendicare la propria
identità nazionale anche dopo la fusione in un unico regno.
Figura 1 - Carta geografica della Spagna.
Fonte: Grande atlante geografico d’Europa e d’Italia – Istituto geografico De Agostini, Novara
3
La popolazione spagnola è, infatti, il risultato di una lunga storia di
mescolanze e sovrapposizioni di popoli dalle origini più disparate; la Spagna,
isolata dal resto dell’Europa, vide per lungo tempo le genti che la popolavano
combattersi aspramente per conseguire un’egemonia che il più delle volte rimase
tale solo a livello locale, anche se non mancarono momenti di grande unità come
nelle lotte contro i Mori durante la Reconquista.
A causa della difficile conformazione del territorio, nel corso della sua
storia la Spagna ha sempre avuto una popolazione abbastanza scarsa rispetto alla
sua estensione
1
con il risultato che le comunità che vivevano al suo interno sono
sempre state molto disperse; l’isolamento tra le diverse regioni e le diverse etnie
è stato senz’altro favorito dalla scarsità di fiumi navigabili e, come conseguenza
della povertà, le comunicazioni per strada e per ferrovia si svilupparono con
molta lentezza
2
; la meseta piuttosto che avvicinare le varie regioni del paese ha
ottenuto l’effetto inverso: oltre ad essere un ostacolo per le comunicazioni, è a
sua volta attraversata da una serie di catene montuose, le “muraglie est-ovest”,
come le definì il poeta inglese Laurie Lee, “che attraversano la Spagna e
dividono la popolazione in razze differenti”.
Così l’unificazione del paese, avvenuta grazie ai Re Cattolici nel XV
secolo, non spense mai il desiderio di indipendenza delle regioni marginali e del
resto la politica dei re castigliani, che mirava a creare un unico Stato piuttosto
che un’unica nazione, lasciò per lunghi secoli ampi margini di autonomia ad
alcune regioni.
1
Secondo paese della UE per estensione dopo la Francia con i suoi oltre 500.000 kmq, la sua
popolazione è attualmente di circa 40 milioni di abitanti per una densità di 80 abitanti per
kmq, superiore solo a quella di Finlandia, Svezia e Irlanda. Nel XVI secolo, secondo i dati di
un censimento fatto eseguire da Filippo II, la popolazione spagnola era di poco superiore agli
8 milioni di abitanti.
2
Per esempio, il ponte aereo tra Barcellona e Madrid fu stabilito solo nel 1974 e fino alla fine
degli anni Settanta, quando si costruì una considerevole rete di autostrade, il viaggio in
automobile tra le due città, distanti 621 km, comportava quasi nove ore di conduzione
ininterrotta.
4
1.2 L’evoluzione storica delle autonomie e dell’identità regionale
1.2.1 I Re Cattolici: la Spagna come una federazione di regni
Il matrimonio di Isabella di Castiglia e Ferdinando di Aragona nel 1469
non portò alla fusione dei rispettivi stati che conservarono frontiere, assemblee
(Cortes) e governi distinti anche quando, dopo la morte del genero Filippo
d’Asburgo, Ferdinando fu reggente del Regno di Castiglia; anche il Regno di
Navarra, occupato da Ferdinando nel 1485 ed annesso alla Castiglia nel 1512,
poté mantenere una notevole autonomia politica ed economica, con un viceré,
un Tribunale Supremo, una Camera dei Conti ed un Parlamento propri.
Figura 2 - La Spagna prima dell'unificazione.
Fonte: Atlante storico illustrato – Istituto geografico De Agostini, Novara
5
All’interno del Regno di Castiglia poi, alcuni territori avevano istituzioni
proprie; nelle province basche esisteva la Giunta delle Valli, assemblea
legislativa che si radunava sotto la famosa quercia di Guernica, e vi era inoltre
una notevole libertà di traffici e commerci marittimi che in più casi si manifestò
nella firma di trattati commerciali tra le province e la Castiglia o tra queste e
l’Inghilterra.
Il neonato Regno di Spagna si presentava quindi come una federazione di
regni autonomi (con i “vicereami” italiani e coloniali in posizione subordinata)
sui quali ben presto emerse l’autorità della Castiglia; in tutti i territori spagnoli
furono introdotte alcune delle istituzioni castigliane, tra cui il Tribunale
dell’Inquisizione, e molti uomini di governo e truppe militari affluirono dalla
Castiglia alle regioni più periferiche.
La dipendenza degli altri regni nei confronti della Castiglia si andò, nel
corso del XVI secolo, sempre più accentuando con la conseguenza che gli
interessi delle popolazioni non castigliane finirono per essere gradualmente
messi da parte; ciò inasprì i contrasti tra il centralismo della casa reale e le
tradizionali prerogative autonomiste degli altri popoli spagnoli, i quali erano
chiamati a versare tributi sempre più pesanti al governo centrale. Inoltre lo
sfruttamento delle favolose ricchezze delle nuove colonie americane rimase
sempre nelle mani dei soli castigliani; secondo J. H. Elliott “se le popolazioni
spagnole fossero state strettamente congiunte nell’opera comune della
colonizzazione, grandi passi sarebbero stati compiuti verso la loro fusione e
soprattutto verso l’abbattimento delle barriere che continuavano a dividere una
Spagna che sulla carta si voleva unita”
3
.
3
Elliott J. H., 1982, La Spagna Imperiale (1469-1716), Il Mulino, Bologna.
6
1.2.2 La castiglianizzazione della Spagna
Durante il regno di Filippo II d’Asburgo, la monarchia spagnola divenne
sempre più una monarchia castigliana; ed anche se il re non ebbe l’intenzione di
farle assumere tale carattere, è certo che l’aver scelto come capitale una città,
Madrid, posta nel cuore della Castiglia non poté dare al suo governo altro che
una veste castigliana, con l’effetto di rafforzare i sospetti latenti delle altre
popolazioni del paese. Nel 1580 Filippo riuscì nell’impresa che i suoi avi non
avevano mai potuto compiere: sottomettere il Portogallo alla Spagna ed
unificare la penisola iberica sotto un unico scettro; la morte nel 1578 del giovane
Re Sebastiano, ucciso dai Mori nella battaglia di Alcazarquivir in Marocco,
aveva portato all’estinzione della dinastia portoghese degli Aviz ed il regno
lusitano fu quindi facile preda delle mire espansionistiche del re asburgico.
Nel XVII secolo, il conte duca Olivares, primo ministro di Filippo IV,
operò una drastica riduzione delle consolidate autonomie delle province iberiche
al fine di potenziare l’autorità politica e le risorse della corona; tale scelta dette
nuova linfa alla forza militare spagnola ma ebbe come conseguenza l’esplosione
di poderose spinte indipendentiste e rivoluzionarie.
La guerra dei Trent’Anni, nella quale la Spagna fu alleata dell’Austria
contro la Francia, costituì lo spunto per una lunga serie di pretese del conte duca
ma nel 1640 catalani e portoghesi, stanchi del pesante centralismo e del
dispotismo guerrafondaio di Olivares che aveva fortemente ridotto gli scambi
commerciali, si ribellarono; il Portogallo riconquistò l’indipendenza instaurando
la nuova dinastia dei Bragança mentre la rivolta catalana, durante la quale si era
ipotizzata la creazione di una repubblica catalana posta sotto la protezione del re
di Francia, fu infine domata nel 1652.
7
La guerra di successione (1701-1714) portò sul trono spagnolo Filippo V,
nipote di Luigi XIV, che inaugurò la nuova dinastia dei Borboni; il trattato di
Utrecht, che pose fine alla guerra, garantiva il rispetto delle libertà e dei privilegi
di quei popoli (catalani, aragonesi e valenciani) che si erano schierati con
l’arciduca Carlo d’Austria, rivale di Filippo; il nuovo re ritenne tuttavia che tali
privilegi fossero solo quelli che “possiedono gli abitanti della Castiglia, che di
tutti i popoli della Spagna sono i più amati dal Re Cattolico”: ciò significava
l’instaurazione dell’assolutismo e del centralismo in tutti i territori dell’antica
corona d’Aragona.
I piani di riforma studiati dal nuovo sovrano furono codificati nel 1716 in
un documento chiamato Nueva Planta (nuovo ordinamento) che di fatto segnava
la trasformazione della Spagna da coacervo di province semi-autonome in Stato
centralizzato: i viceré furono sostituiti da capitani generali che dovevano
governare in sintonia con una audiencia regia, i territori del Regno divisi in una
nuova rete di distretti amministrativi analoghi a quelli della Castiglia, proibito
l’uso ufficiale di lingue diverse dal castigliano, soppresse le università ed
eliminate tutte le tradizionali istituzioni autonome; solo la Navarra e le province
basche riuscirono a conservare i loro antichi privilegi.
In sostanza si voleva la “castiglianizzazione” dell’intera Spagna ma lo si
faceva in un momento in cui l’egemonia economica della Castiglia era cosa del
passato e ne sortì una struttura tragicamente artificiosa che per secoli ostacolò lo
sviluppo politico del paese.
8
1.2.3 La nascita del nazionalismo catalano, basco e galiziano nel
XIX secolo
Il centro e la periferia continuarono a fronteggiarsi in un antagonismo
reciproco e gli antichi conflitti tra regioni diverse riemersero ben presto. Nel
1810 Napoleone tentò di conquistare la Spagna facendo leva anche sui
sentimenti indipendentisti delle varie regioni, in modo particolare della
Catalogna; queste respinsero decisamente l’occupazione napoleonica che ebbe
però l’effetto di piantare il seme che nei decenni successivi fece fiorire la
rinascita borghese dei sentimenti nazionali.
Nel 1833 una disputa dinastica portò allo scoppio della prima guerra
carlista
4
; la vittoria delle forze liberali produsse una serie di riforme economiche
e sociali che favorirono le industrie tessili catalane ma portò anche ad
un’ulteriore riduzione delle istituzioni autonome ed alla definitiva scomparsa del
Regno di Navarra (la Navarra divenne una provincia foral, cioè privilegiata).
Quarant’anni dopo nelle province basche fu combattuta una seconda
guerra carlista (1872-76), molto più sanguinosa della prima; la sconfitta dei
carlisti ebbe come conseguenza la soppressione dei secolari privilegi (fueros)
goduti dai baschi.
4
Ferdinando VII voleva che a succedergli fosse la figlia Isabella, nonostante la successione
nella famiglia dei Borboni passasse solo per linea maschile; quando nel 1833 il re morì, suo
fratello don Carlos tentò di usurpare il trono alla nipote dando così inizio alla prima guerra
carlista. Combattuta soprattutto nelle province settentrionali (Navarra, Paesi Baschi e
Catalogna), dove don Carlos trovò numerosi seguaci, ben presto la guerra travalicò il
primitivo aspetto giuridico della successione per assumere i caratteri di uno scontro
ideologico tra due concezioni politiche e sociali; la reggente Maria Cristina, madre di Isabella
II, si appoggiò infatti alle forze liberali ed ai settori dell’esercito simpatizzanti per la
massoneria, mentre il pretendente ebbe dalla sua parte la Chiesa cattolica e l’aristocrazia. La
guerra si concluse nel 1839 con la vittoria delle forze di Isabella II ma i carlisti continuarono
comunque ad esistere formando una “Comunione Tradizionalista” e riconoscendo i vari
successori del sedicente Carlo V, i quali più volte tentarono, nel corso del XIX secolo, dei
golpes. Durante la guerra civile formazioni carliste (particolarmente i requetés della Navarra)
combatterono a fianco dei nazionalisti e nel 1938 il movimento carlista venne fuso d’autorità
con la Falange, che assunse così la qualifica di “tradizionalista”.
9
Nel febbraio 1873, dopo l’abdicazione di Amedeo di Savoia
5
, si ebbe la
proclamazione di un’effimera repubblica federale che doveva essere composta
da 17 regioni; la prima repubblica spagnola ebbe quattro presidenti (due dei
quali catalani, Estanislao Figueres e Francesc Pi i Margall) ma non durò che
pochi mesi perché nel dicembre 1874 un nuovo golpe portò alla restaurazione
della monarchia borbonica nella persona di Alfonso XII, figlio di Isabella II,
spazzando via ogni velleità autonomista.
Nella seconda metà del XIX secolo fattori culturali, politici ed economici
favorirono la nascita dei primi movimenti indipendentisti e regionalisti, non solo
nelle regioni più ricche e storicamente legate ad una vecchia tradizione
autonomista come la Catalogna e le province basche, ma anche, sia pur con
minore asprezza politica, nella poverissima Galizia.
Movimenti artistico-letterari come la Renaixença in Catalogna, il
Renaciamento euskerista nelle province basche ed il Rexurdimento in Galizia,
fornirono le basi culturali per l’espansione dei sentimenti autonomisti; come
indicano i nomi, questi movimenti miravano principalmente a far rivivere le
passate tradizioni linguistiche e culturali ed ebbero l’effetto di ridestare
un’identità ed una coscienza nazionalista che si contrapponevano all’uniformità
politica, economica e culturale imposta dal regime liberale spagnolo.
Inoltre, nonostante il fallimento della prima repubblica, le idee
repubblicane e federaliste continuavano a proliferare; ad esempio, nel libro Lo
Catalanisme, pubblicato nel 1886 da Valentí Almirall, si parlava apertamente di
passaggio dal regionalismo al nazionalismo in un contesto federalista.
Dal punto di vista economico, il nazionalismo trovò l’appoggio della
nascente borghesia industriale che ebbe a disposizione una potente leva da usare
nel difficile dialogo con Madrid, specialmente per chiedere barriere doganali a
5
Figlio del re d’Italia Vittorio Emanuele II, fu chiamato su trono spagnolo nel 1870 dal
generale Prim che aveva deposto Isabella II; il suo regno durò poco più di due anni, segnati
prevalentemente da crisi e disordini.
10
protezione delle loro industrie dalla concorrenza straniera; non a caso, molti
industriali catalani e baschi finanziarono manifestazioni artistiche e culturali.
1.2.4 Dalla crisi del 1898 alla guerra civile
La sconfitta nella guerra di Cuba nel 1898 fu il simbolo della caduta
dell’impero spagnolo
6
e quindi della potente Spagna; gli interessi della
Catalogna furono particolarmente colpiti da questa perdita giacché circa il 60%
delle esportazioni catalane era diretto verso l’isola caraibica.
Il trauma causato dalla sconfitta ebbe un profondo effetto nella società
spagnola e si formò un movimento politico chiamato Regeneracionismo che
aveva l’obiettivo di “rigenerare” la società spagnola; a livello locale, la risposta
al generale malanno che affliggeva la Spagna fu la crescita dei movimenti
nazionalisti e regionalisti: agli occhi dei nazionalisti catalani, basche e galiziani
la sconfitta appariva come il fallimentare risultato della politica della corrotta
amministrazione centralista.
In Catalogna, dalla confluenza di vari movimenti nacque nel 1901 la Lliga
Regionalista, destinata a dominare la politica catalana fino al 1931 mentre nelle
province basche già nel 1895 Sabino Arana aveva fondato il Partido
Nacionalista Vasco (PNV).
Essendo la Catalogna la regione più industrializzata della Spagna, fu
anche la prima a vivere l’esplosione di conflitti sociali e l’avvento nella politica
del proletariato. Nel 1909 i sindacati e gli anarchici proclamarono a Barcellona
uno sciopero generale per protestare contro l’estensione della coscrizione
militare, decisa del governo per sedere un’insurrezione scoppiata in Marocco; fu
imposta la legge marziale e nella città esplose una rivolta di enormi proporzioni
che si protrasse per cinque giorni (Setmana Tragica) con oltre cento morti ed un
6
L’intervento degli Stati Uniti portò alla perdita, altre che di Cuba, anche delle Filippine e di
Puerto Rico; l’impero spagnolo agli albori del XX secolo era ridotto a pochi possedimenti
africani.
11
migliaio di arresti e lasciò un marchio profondo nella coscienza di molti
catalani.
L’insurrezione fu vista dal governo sotto una luce separatista ed una volta
riportata la calma nella città, il capo del governo conservatore spagnolo, Antonio
Maura, cercò di risolvere la questione dell’assetto amministrativo dello stato: le
province limitrofe furono unite sotto un’unica amministrazione, la
Mancomunidad, istituzione più vicina alla realtà storica di ogni regione e con
più potere rispetto alle singole province; questo piano fu il primo risultato
concreto ottenuto dai movimenti regionalisti dopo anni di fallite aspirazioni.
I movimenti regionalisti continuarono ad aumentare i loro consensi:
Solidarietat Catalana, una coalizione comprendenti tutti i movimenti catalani
ottenne nel 1907 41 seggi sui 44 riservati alla Catalogna al Parlamento di
Madrid, mentre il PNV, dopo un periodo di difficoltà dopo la morte del
fondatore, divenne nel 1920 il primo partito basco; nel 1916 fu fondato il primo
movimento nazionalista galiziano, Irmandande de Amigos de Fala e nel 1923 si
tentò di formare una “Triplice Alleanza” tra i partiti nazionalisti baschi, catalani
e galiziani ma l’avvento della dittatura impedì la realizzazione del progetto.
Le tensioni politiche e sociali stavano infatti sempre più lacerando la
debole democrazia parlamentare spagnola; un’altra infelice guerra coloniale, in
Marocco stavolta, culminata nella disfatta di Annual (1921), e la crisi economica
seguita alla I guerra mondiale portarono al colmo l’esasperazione popolare
finché l’ennesimo colpo di stato dei militari portò alla dittatura del generale
Miguel Primo de Rivera.
Sebbene portasse la stabilità politica da tanto tempo auspicata, la dittatura
ebbe uno stampo nettamente centralista; fu bandito l’uso delle lingue diverse dal
castigliano, ogni offesa all’unità del paese fu giudicata da tribunali militari,
arrestati od esiliati i capi regionalisti, soppresse le Mancomunidad.
Nel gennaio del 1930 il dittatore fu deposto, mentre l’anno successivo il
trionfo dei partiti repubblicani alle elezioni municipali fece crollare anche la
12
monarchia: la seconda repubblica spagnola, nata pacificamente e fra le speranze
della maggioranza della nazione, non prevedeva una forma di stato federale ma
concedeva ampie autonomie linguistiche ed amministrative alle regioni che la
formavano.
Particolarmente privilegiate furono la Catalogna e le province basche che
ebbero uno Statuto di autonomia; si sperava che queste regioni, che erano le più
ricche ed industrializzate della penisola iberica, si riconciliassero col resto della
Spagna e fungessero da stimolo per l’economia ed i servizi sociali delle altre
regioni. Tuttavia anche questa seconda esperienza repubblicana ebbe vita breve,
finendo nella tragedia della guerra civile e della dittatura di Franco che riportò
nel paese un rigidissimo centralismo.
1.2.4 La dittatura di Franco
Il regime di Francisco Franco adottò una radicale politica di assimilazione
contro tutte le culture non castigliane per creare un’unica, grande nazione
spagnola; l’unica regione che durante il regime poté mantenere una certa
autonomia amministrativa ed un diritto civile peculiare fu la Navarra che, in
coerenza col suo radicato spirito tradizionalista o “carlista”, aveva rifiutato lo
Statuto di autonomia nel periodo repubblicano e durante la guerra civile si era
schierata con le forze nazionaliste.
L’idea giacobina della comunanza di linguaggio, cultura, razza, storia e
territorio, come requisito essenziale nella costruzione dello Stato, così come i
modelli nazista e fascista di un forte stato unitario ed autosufficiente,
influenzarono profondamente l’ideologia di Franco; tutti gli spagnoli avevano
l’obbligo di “parlare fluentemente la lingua dell’unità spagnola, l’ecumenico
13
idioma della nostra hispanidad. Lo spagnolo è la lingua dell’impero e perciò
deve essere parlato in tutto il territorio dello stato”
7
.
Il regime attaccava i “separatisti” perché ignoravano la “realtà unitaria
della Spagna”; tale unità era, nei fatti, ben lontana dall’essere reale visto che era
basata sull’imposizione di un’unica lingua, il castigliano, sostenuta dalla
repressione della polizia e su un sistema di istruzione fortemente centralizzato
8
.
L’odio politico del regime era rivolto ai “separatisti” in misura anche maggiore
rispetto alle opposizioni di Sinistra; talvolta le due categorie erano unite dalla
propaganda in un unico concetto, i “rojoseparatistas” (separatisti rossi).
Dal 1939 al 1945 le province basche e la Catalogna furono sottoposte ad
un regime di terrore che ha pochi uguali nella storia; le truppe franchiste furono
protagoniste di una meticolosa campagna di repressione con l’obiettivo di
annientare ogni segno dell’identità nazionale basca e catalana: decine di migliaia
di cittadini furono imprigionati e talvolta condannati a morte, oppure costretti
all’esilio con la forza; tuttavia la borghesia industriale era in gran parte
favorevole al regime perché garantiva ordine e stabilità e ciò dette alla
repressione un sinistro marchio classista.
I nazionalisti catalani, baschi e galiziani che rimanevano nel paese furono
costretti ad incontrarsi nell’ambito di una ristretta cerchia di amici e familiari; la
famiglia emerse come baluardo contro la castiglianizzazione forzata voluta dal
regime, uno spazio inviolabile nel quale i destini di Catalogna, Galizia e delle
province basche potevano essere discussi in catalano, galiziano od in euskera (la
lingua basca).
Il regime franchista tollerava l’esistenza della cultura regionale solo in
forma di folklore; mentre i tentativi di distruggere l’euskera erano apertamente
orientati al suo sradicamento, la politica anti-catalana ed anti-galiziana includeva
7
Tratto dalle direttive contenute in alcuni avvisi posti in uffici pubblici catalani con il titolo:
“¡Habla el idioma del imperio!” (Parla la lingua dell’impero!).
8
Centinaia di insegnanti furono trasferiti dalla Castiglia e dall’Estremadura in Catalogna e nei
Paesi Baschi per rimpiazzare i docenti locali; data la loro totale ignoranza della lingua, della
storia e della cultura locale, il regime li utilizzò come strumento di assimilazione.
14
una supplementare strategia di “dialettizzazione”: le autorità tentarono cioè di
far apparire il catalano ed il galiziano come semplici dialetti del castigliano e
cercarono anche di spezzarne l’unità linguistica favorendo l’emersione di varietà
non-standard.
I rappresentati dei movimenti nazionalisti tentarono, con scarso successi,
nei primi anni del dopoguerra di portare gli alleati ad opporsi alla dittatura di
Franco; emblematico è il messaggio che José Antonio Aguirre, capo del
Governo basco in esilio, inviò nel 1952 all’UNESCO per impedire che la
Spagna entrasse in quell’organizzazione: in questo messaggio si denunciava la
chiusura delle università basche, l’occupazione da parte delle forze armate delle
associazioni politiche e culturali, roghi dei libri scritti in euskera, la proibizione
dell’uso dell’euskera nelle scuole, nelle trasmissioni radiofoniche e nelle
funzioni religiose, la traduzione in castigliano di tutti i nomi baschi nei registri
civile e nei documenti ufficiali ed addirittura la rimozione delle iscrizioni in
euskera dalle tombe e dai monumenti funebri.
La guerra fredda consentì tuttavia a Franco di spezzare l’isolamento in cui
il suo regime era sprofondato alla fine della II guerra mondiale; gli Stati Uniti e
l’Inghilterra vedevano infatti nella Spagna un’utile pedina nello scacchiere anti-
sovietico e ne favorirono l’ingresso nella FAO, nell’UNESCO e, nel 1955,
anche nell’ONU che pure l’aveva condannata come paese non democratico nel
1946. Un altro successo di Franco fu la firma, nel 1953, di un concordato con la
Santa Sede che garantì al regime l’appoggio delle alte gerarchie ecclesiastiche
9
.
Tutti questi successi frustrarono le speranze di tutti gli oppositori che,
all’inizio degli anni Cinquanta, ritenevano che il regime fosse sul punto di
crollare.
9
Franco tentò di usare anche la Chiesa come strumento di assimilazione, trasferendo nelle
regioni periferiche vescovi fedeli al regime e proibendo di celebrare messa in lingua diversa
dal castigliano; tuttavia in Catalogna e soprattutto nelle province basche il basso clero rimase
ostile al regime. Nel 1960, 339 preti baschi firmarono una petizione al loro vescovo
denunciando l’oppressione politica e culturale dei Paesi Baschi e definendo la politica di
Franco “reazionaria ed anti-umana”; questo documento ebbe un forte impatto su tutto il clero
spagnolo.
15
Negli anni Sessanta il regime inaugurò un periodo di una certa
liberalizzazione ma solamente in campo economico; il milagro económico attirò
consistenti investimenti stranieri, particolarmente americani ma
l’industrializzazione rimase sempre concentrata in poche regioni, soprattutto
Catalogna e Paesi Baschi, nonostante il regime tentasse di fare di Madrid il più
importante centro industriale e finanziario del paese. Di conseguenza queste
regioni sperimentarono il più grande flusso di immigrati della loro storia e
questo fenomeno causò numerose tensioni e fu un fattore cruciale nel processo
di ridefinizione dell’identità basca e catalana.
In Catalogna, nonostante le classi più alte fossero generalmente
soddisfatte dalla politica del regime, non mancarono critiche al carattere
decisionista dello stato spagnolo in tema economico; incoraggiati dal boom
economico ed influenzati dall’orientamento democratico-cristiano dei loro
omologhi europei, molti imprenditori chiesero, senza successo, a Madrid
maggiori fondi per aumentare gli investimenti e migliorare la produttività
locale
10
. Alcuni di loro auspicavano inoltre un ritorno della cultura locale in ogni
suo aspetto, particolarmente in quello linguistico e sovvenzionarono diverse
iniziative culturali. Un avvenimento importante fu, nel 1961, la fondazione di
Omnium Cultural, una società creata per diffondere la cultura e la lingua
catalana, chiusa dal regime nel 1963 e riaperta quattro anni dopo; questo ed altre
iniziative letterarie e musicali, che spesso descrivevano la Catalogna come una
nazione dormiente che aspettava il momento giusto per ridestarsi, mantennero
alta la cultura catalana. E fu proprio grazie alla forza della loro cultura che i
militanti catalanisti acquisirono una nuova coscienza del loro destino come
nazione; nonostante le iniziative politiche rimanessero proibite, i catalani
trovarono conforto nello studio della loro eredità culturale con la certezza che
tale eredità sarebbe sopravvissuta.
10
Raimon Trias Fargas, membro della emergente borghesia regionalista catalana, calcolò che
solo il 52% di ciò che i catalani davano allo stato ritornava poi in Catalogna.