Alla mia famiglia
“STIAMO TUTTI PER DIVENIRE STRANIERI IN UN
UNIVERSO PIU’ CHE MAI ALLARGATO, PIU’ CHE
MAI ETEROGENEO SOTTO LA SUA APPARENTE
UNITA’ SCIENTIFICA.”
J. KRISTEVA J
1
LA FORMAZIONE E IL TERZO SETTORE:
PROBLEMATICHE E PROSPETTIVE.
INDICE:
Introduzione
Capitolo I:
LA FORMAZIONE NELL’ERA DELLA
GLOBALIZZAZIONE
1.1 La società che cambia
1.2 Il ruolo delle istituzioni formative.
1.3 Il valore sociale delle capacità professionali.
Capitolo II:
VERSO UNA “SOCIETA’ COOPERATIVA”.
2.1 Crisi dello stato e crisi del mercato.
2.2 Emergenze ed esigenze del Terzo Settore.
2.3. I riflessi del privato sociale sulla comunità.
Capitolo III:
L’ANALISI DELLE ORGANIZZAZIONI DI TERZO
SETTORE.
Introduzione.
3.1 L’organizzazione operativa (=A).
2
3.2 Il ruolo societario (=G).
3.3 La normatività (=I).
3.4 La cultura (=L).
3.4.1. La motivazione a cooperare.
Capitolo IV:
EDUCARE E FORMARE AL VALORE DELLA
COOPERAZIONE.
4.1 Perché?
4.2 Partendo dai giovani, la società di domani.
4.2.1 Educazione alla cooperazione nella scuola.
Conclusioni
Bibliografia
Sitografia
NOTA REDAZIONALE
La presente tesi si compone di 158 pagine
3
CAPITOLO I
LA FORMAZIONE
NELL’ERA DELLA GLOBALIZZAZIONE
1.1. La società che cambia.
La società attuale è caratterizzata dalla dimensione della
complessità, una categoria indicativa di processi di
differenziazione che investono i sistemi e i sottosistemi sociali,
poiché si verificano cambiamenti nei riferimenti valoriali al
nuovo che avanza: cambiano i rapporti sociali tra le persone, si
affacciano nuovi valori e cambia anche lo schema di azione
sociale degli attori.
1
Nell’ambito dell'etica si realizza il passaggio da un sistema di
tipo convenzionale ad uno di tipo post convenzionale, nel senso
che si ha uno slittamento dal piano valoriale (valori etici) a quello
dei costumi della comunità. Si assiste, così, al tramonto
dell'universalismo dei valori e delle possibilità istituzionali di
effettuare scelte dotate di senso, ossia di poter attingere a valori
oggettivi quali elementi fondanti scelte soggettive significative,
1
A. MONGELLI: Trama e ordito della formazione, Ed.Franco Angeli, Milano 2003, pag.
9.
4
un fenomeno che ha provocato il declino del modello di azione
razionale di tipo weberiano, che assumeva a suo fondamento sia
la distinzione mezzi-fini sia il protagonismo dell'attore sociale.
2
Nel contesto storico culturale si assiste, infatti, ad un processo di
secolarizzazione che ha finito per corrodere e mettere in crisi il
complesso tessuto dei valori sottostanti l'identità nazionale
rappresentativa, a sua volta, del tessuto connettivo sociale.
3
Tali cambiamenti sono determinati dal fatto che, verso la metà
degli anni ’70, ha inizio quella che sarà definita terza rivoluzione
industriale, caratterizzata dall’introduzione della microelettronica
e della sofisticazione tecnologica nella produzione di beni e
servizi.
La rivoluzione tecnologica ha modificato il lavoro, l’intelligenza
e la distribuzione del potere e del sapere nella società, segnando
la fine della società industriale, fondata sulla produzione di beni
fisici, e la nascita della società post-industriale, fondata sulla
produzione di servizi e di piccole unità di prodotto. L’economia,
pur rimanendo l’asse portante della società, cambia il suo volto.
2
A. MONGELLI: Formazione e scenari sociali, Ed.Guerini e ass., Milano 2001, pag. 13.
3
IBIDEM: pag. 12.
5
Le ricadute di una tale situazione hanno determinato sia il
declino della centralità del lavoro industriale, sia l'urgenza di una
ristrutturazione del settore incardinato sull'organizzazione
scientifica del lavoro.
Molte attività svolte dall'uomo vengono incorporate nelle
macchine, determinando un nuovo modo di lavorare; tale
cambiamento sociale determina una trasformazione
antropologica, in quanto richiede all’uomo una ristrutturazione
delle relazioni tra sé e il mondo circostante. Tale situazione è
determinata dalla perdita dei punti di riferimento fissi (possibilità
di identificarsi con il territorio sul quale si vive, con il proprio
posto di lavoro, con gli oggetti prodotti e utilizzati, ecc.), con la
fine del mondo materiale e, quindi, del mondo così come l’uomo
lo aveva conosciuto.
4
Nella seconda metà del XVIII secolo gran parte del globo era
caratterizzato da modalità di lavoro prevalentemente agricolo,
non vi era una forte specializzazione, né una regolare divisione
del lavoro tra uomini e donne, tempi e ritmi di lavoro erano
4
P. MANACORDA: Lavoro e intelligenza nell’età della microelettronica, Ed.Feltrinelli,
Milano 1984, pag. 24.
6
fissati dal clima, dalle stagioni e dalle tradizioni. Ciò che veniva
prodotto serviva alla sussistenza del gruppo.
Nella seconda metà del XX secolo, il taylorismo e l’O.S.L.
(organizzazione scientifica del lavoro) introducono il concetto di
lavoro astratto, riferito ad attività specializzate, volte ad ottenere
un reddito per l’acquisizione di merci sul mercato. È stato
definito “lavoro astratto”, perché il lavoratore viene distaccato
dal controllo e dall’uso diretto del prodotto, che diventa parte di
un’opera collettiva, in cui non si riconosce più l’apporto del
singolo lavoratore. Tale modalità di intendere il termine lavoro
diventa dominante nella modernità industriale, in seguito a due
importanti processi di mutamento: la mercificazione e la
specializzazzione delle attività lavorative; e si pone al centro
delle attenzioni delle scienze sociali.
5
La diffusione del lavoro astratto ha ridisegnato il rapporto tra
lavoro e società, poiché l’individuo e la sua specifica
collocazione lavorativa sono diventati gli elementi centrali
dell’organizzazione complessiva della società attuale, sostituendo
i parametri tradizionali.
5
E. MINGIONE, E. PUGLIESE: Il lavoro, Ed.Carocci, Roma 2002, pagg. 19- 23.
7
Il taylorismo aveva sancito un nuovo modo di lavorare e aveva
fatto parlare di divisione sociale del lavoro, incardinato sulla
specializzazione. Lo sviluppo industriale e tecnologico delle
capacità produttive ha favorito una crescente diversificazione
delle capacità lavorative degli individui, ma, nonostante tale
autonomia e specializzazione, l’individuo continua a dipendere
ancora più di prima dalla società. Durkheim aveva spiegato tale
antinomia affermando che la specializzazione sviluppa legami
sociali (=solidarietà organica) che connettono i lavoratori
all’interno delle organizzazioni in cui lavorano,
6
ma la divisione
del lavoro produce identità individuali collegate al contesto
sociale in modo diverso da quanto accadeva nei lavori concreti.
In passato gli artigiani si identificavano con i loro prodotti, che si
presentavano diversi tra loro e caratterizzati da un tocco
originale. Oggi, l’identità dei lavoratori astratti è data dal senso
di similarità con i propri colleghi: per interessi, abitudini e
formazione professionale. Il lavoro sostituisce l’origine sociale,
in altri termini le differenze individuali non si misurano più in
6
IBIDEM: pagg. 11- 13.
8
base all’appartenenza familiare, a una comunità, a un clan, ma in
base all’occupazione svolta.
Il lavoro conferisce identità, in un gioco complesso in cui la
responsabilità è sempre più individuale. All’interno di questa
identità moderna, conferita dal lavoro astratto, c’è un forte
potenziale sia di individualismo, sia di relazione sociale
riconosciuta da tutti, al di là delle diversità culturali, grazie ai
sistemi di divisione del lavoro. La collocazione lavorativa è
anche il fattore di strutturazione del sistema delle classi, poiché
lavori diversi comportano redditi diversi, contesti e abitudini
lavorative e di formazione al lavoro differenti, quindi diversi stili
di vita e di consumo.
7
Questi eventi hanno influenzato i processi strutturali di una
nuova fase economica connotata da fenomeni di terziarizzazione,
di riorganizzazioni aziendali e da nuove professioni.
Si è fatto strada, inoltre, il principio della mobilità all'interno
della sfera lavorativa ed economica, che ha finito per estendersi
all'area culturale, simbolica, individuale e collettiva, divenendo
una tipica espressione della dinamica sociale. In particolare, si è
7
IBIDEM: pagg. 15- 17.
9
consolidato il rapporto tra mobilità sociale e flessibilità
nell'ambito lavorativo, che fornirà, in seguito, l'immagine della
“società flessibile”
8
.
Inizialmente, infatti, si parla di “società dell'informazione”,
successivamente di “società della conoscenza”, entrambe
caratterizzate dalla confluenza di tre aspetti: l'economia delle
attività di informazione, la crisi e la trasformazione della grande
industria e della civiltà fondata su di essa, la diffusione degli
strumenti di comunicazione.
9
In realtà non si tratterà di smettere
di lavorare, ma di lavorare in modo diverso e questo richiederà
all'uomo capacità flessibili e riconvertibili.
10
La nascita della
società della conoscenza impone agli Stati necessari investimenti
in saperi e competenza; essa pone il problema di fornire, alle
persone, una capacità permanente di evoluzione, tramite un
rinnovamento delle conoscenze, fondato su una solida cultura
generale.
11
8
A. MONGELLI: Formazione e scenari sociali, Ed.Guerini e ass., Milano 2001, pagg. 15-
16.
9
P. MANACORDA: Lavoro e intelligenza nell’ età della microelettronica, Ed.Feltrinelli,
Milano 1984, pag. 15.
10
IBIDEM: pag. 48.
11
G. ALESSANDRINI: Manuale per l’esperto dei processi formativi, Ed.Carocci, Roma
2001, pag. 22.
10
Questi cambiamenti hanno portato al fenomeno che
comunemente viene denominato globalizzazione: essa intende
imporre un’unica cultura economica, politica e sociale a livello
mondiale; tutte le economie sono intrecciate tra loro in un unico
mercato competitivo. Tale fenomeno, insieme alla rivoluzione
tecnologica e alla apertura dei mercati finanziari, si impone
quando i concetti di paese e di nazione perdono parte del loro
significato economico e si formano entità transnazionali -cioè
organizzazioni produttive multinazionali- capaci di adattarsi ai
bisogni locali, promuovendo strategie produttive e profitti di
portata mondiale. Tutto ciò determina la fine dei confini fisici
convenzionali: non solo in termini di movimenti di denaro, ma
anche in termini di servizi e di mobilità delle persone.
Ma si può veramente parlare di una cultura economica
transnazionale? E poi, come evitare che la globalizzazione
diventi omologazione? Voler imporre un’unica cultura mondiale
può determinare un’omogeneizzazione che produce la fine delle
differenze culturali tra i popoli e generare una serie di effetti
perversi, imprevedibili. L’elemento dominante della
globalizzazione è la competizione in ogni settore e in ogni
11
aspetto della vita associata, poiché, pur essendo una caratteristica
della natura umana, oggi essa sottomette tutte le altre
componenti: istituzioni, pensiero, costume e persino sentimenti e
affetti. Questo minaccia i gruppi sociali, perché rischia di ridurre
l’uomo a mero animale da combattimento, egoista per
sopravvivenza e prevaricatore per il successo e per il profitto.
12
La globalizzazione ha fatto del mercato, oltre che il meccanismo
per misurare l’efficienza, anche un potere. Il mercato è la sola
ideologia ancora in piedi; riprendendo Marx, si può affermare
che la struttura condiziona la sovrastruttura, cioè le forze
produttive e la tecnologia si impongono alle istituzioni politiche e
agli “individui atomizzati e massificati”.
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Dahrendorf parlando del Primo Mondo, sostiene che esso, nel
suo momento migliore, combinava tre aspetti positivi dal punto
di vista sociale:
• Era fatto di economie che sembravano fatte apposta per
crescere e dischiudere opportunità anche a coloro che non
erano ancora arrivati alla prosperità.
12
R. DAHRENDORF: Quadrare il cerchio, Ed.Laterza, Bari 2003, pag. 70.
13
IBIDEM: pag. 72.
12
• Era formato da società che avevano conquistato un
individualismo combattivo, senza distruggere le comunità
in cui le persone vivevano.
• Praticava programmi politici che mettevano insieme il
rispetto dello stato di diritto con i rischi della
partecipazione politica, cioè quella che chiamiamo
“democrazia”.
Il Primo Mondo metteva insieme economia, società e politica,
garantendo una buona combinazione tra benessere economico,
coesione sociale e libertà politica.
14
Oggi tale combinazione non è più facilmente riscontrabile,
poiché la complessità sociale, determinata dalla rivoluzione
tecnologica, dalla liberalizzazione dei mercati, dalla creazione di
regioni economiche con una propria identità a livello
subnazionale e transnazionale, stanno sconvolgendo la struttura
dell’economia, degli apparati produttivi e dei mercati del
lavoro.
15
14
IBIDEM: pag. 4.
15
G. MORO: La formazione nelle società post-industriali, Ed.Carocci, Roma 1998, pag.
13.