INTRODUZIONE
Una caratteristica dell’ultimo scorcio di millennio è stata il ritorno del
liberismo. L’economia politica nasce come economia liberale, basata sul
“dogma” individualista e sull’egoismo come principale movente degli indi-
vidui. Con Adam Smith, nel 1776, cambia la concezione dell’egoismo, che da
elemento disgregante la società diventa la molla che consente lo sviluppo
sociale. Con questa operazione è nata l’economia moderna. Fin dall’inizio ci
sono stati teorici che hanno reagito a questa concezione dell’attività
economica, affermando che i meccanismi di mercato, lontano dall’essere giusti
ed efficienti, non tengono conto dei soggetti deboli, i cui diritti non possono
essere dimenticati. Ecco quindi nascere teorie come il socialismo utopico, il
marxismo, che tentarono di rifondare l’economia su forti basi sociali,
dimostrando che l’economia liberale si reggeva sullo sfruttamento dei
lavoratori. Per più di un secolo i tentativi di costruire sistemi economici hanno
sempre avuto come punti di riferimento o lo Stato o il mercato, e anche
laddove si sono tentate delle mediazioni, quali il cosiddetto Stato sociale, il
problema era quello di trovare il “punto critico” nel rapporto tra i due: meno
stato più mercato, dicevano alcuni; meno mercato e più stato dicevano altri.
Molti si chiedono oggi se sia ormai troppo tardi per parlare di difesa della
società civile e del suo modo di esprimersi a livello economico, vale a dire
dell’economia civile. In effetti è accaduto che in tutto questo processo storico
c’è stata una grande assente: la “società civile”, questo luogo dove si esercita e
si esprime con pienezza la personalità dei soggetti immersi in un tessuto di
relazioni: dalla famiglia al sindacato, dalla parrocchia all’associazione, ecc. La
teoria economica ha tentato di leggere anche quest’intreccio di rapporti in
chiave economica, e per l’economista la società civile è venuta a coincidere
Introduzione
IX
con società commerciale, come se le persone stessero insieme e instaurassero
rapporti sempre mossi dal perseguimento del proprio tornaconto economico.
Nell’economia liberale, infatti, il “rapporto con l’altro” non è un valore in sé,
ma solo un mezzo o un vincolo, di cui devo tenere conto per perseguire i miei
interessi. Esiste però tutta una tradizione di pensiero iniziata nel XV secolo
con l’umanesimo cristiano (S. Antonino di Firenze, Matteo Palmieri, Antonio
Genovesi), che concepiva l’attività economica come “economia civile”. In
questa visione l’elemento che permette lo sviluppo dell’economia è il rapporto
tra le persone. Un’economia di uno stato inizia a decadere - dicevano - quando
si deteriorano i rapporti umani, che sono il vero “fattore scarso”
dell’economia. L’attività economica non come il territorio dell’egoismo, ma
come luogo nel quale le persone mettono i propri talenti e beni in un gioco di
reciprocità e dove il movente del personale tornaconto è solo uno dei moventi
dell’agire economico. Il mercato non è rigettato (come poi avverrà nelle
economie socialiste), ma viene considerato una delle istituzioni che
consentono l’organizzazione della comunità. Questa tradizione purtroppo si è
interrotta all’inizio dell’800, e l’economia civile è stata assorbita dall’economia
liberale.
Nella prima parte della mia tesi, mi sono soffermata in primo luogo, su un
capitolo dedicato all’economia solidale
1
, facendone emergere il significato più
vicino a quello che interessa al mio lavoro, per poi collegare il tutto con alcune
forme di economia che si ricollegano a quella tradizione cristiana
dell’economia civile che è andata persa e di cui la società di oggi ne ha un
urgente bisogno. In particolare per quanto riguarda l’Economia di
Comunione, vedremo che essa non è solo un’esperienza, ma una categoria
teorica che può far riscrivere brani di teoria economica.
1
In questa tesi uso le espressioni economia solidale, economia sociale, economia civile, come sostitute,
anche se so che ognuna di queste espressioni rimanda a traduzioni e significati di senso diverso.
Introduzione
X
Nel secondo capitolo, presento la storia delle Reducciònes nel ‘700: nel cuore
dell’America Meridionale, in un’ampia regione oggi divisa tra l’Argentina, il
Brasile ed il Paraguay, ebbe luogo fra l’inizio del ‘600 e la metà del ‘700 un
singolare esperimento coloniale: l’appalto affidato da un governo, quello
spagnolo, ad un ordine religioso, la Compagnia di Gesù, della sottomissione e
della “civilizzazione” delle popolazioni che abitavano il Paraguay orientale, e
cioè, le tribù indiane Guaranì. Per le sue dimensioni e per la sua durata questo
esperimento è rimasto assolutamente unico nella storia ed è conosciuto, o
misconosciuto, con il nome di “Stato” gesuita del Paraguay o, più
correttamente, dei Guaranì. Esso fu realizzato dalla Compagnia di Gesù
mediante la creazione di un complesso sistema di villaggi, o “Riduzioni”, dove
gli indiani nomadi Guaranì vennero ridotti a vita sedentaria e dove prosperò
una civiltà assai particolare, in cui ad un avanzato progresso materiale si
accompagnarono singolari realizzazioni economico-sociali, culturali, religiose
ed anche militari. Gli inizi furono difficili, perché per rendere possibile
l’evangelizzazione degli indios bisognava prima “ridurli”. Il raggruppamento di
popolazioni abituate a vivere sparpagliate su un vasto territorio poneva seri
problemi per la loro alimentazione. Sulle prime, gli indios si mostravano
diffidenti nei confronti dei missionari europei. Li osservavano a lungo,
sospettosi, prima di avvicinarli. Un fascino enorme esercitava su di loro la
musica, la pittura, il coraggio e il disinteresse. Si entusiasmavano facilmente,
come i bambini, e, quindi, erano incostanti, imprevidenti. Quando avevano da
mangiare, da bere, non sapevano misurarsi. Si ubriacavano e mangiavano fino
a star male. Alle sbornie seguivano lunghi periodi di tristezza inattiva, durante i
quali si abbandonavano al vizio. Erano sensuali, violenti, bugiardi. Si nutrivano
di carne umana. Finché la fame li costringeva di nuovo a scuotersi, a cacciare,
a battersi. Con infinita pazienza i primi missionari escogitarono un sistema
sociale adatto a loro. Bisognava eliminare l’ingordigia, l’avidità immoderata
abituandoli a una distribuzione equanime dei beni, delle case, dei terreni.
Introduzione
XI
Bisognava imporre loro una disciplina, con un orario quasi da collegio o da
caserma. Era pericoloso regalare loro strumenti o animali da lavoro: li
avrebbero venduti per ubriacarsi. I missionari li davano loro in prestito: finito
il lavoro dovevano restituirli. Sorvegliavano attentamente la condotta di
ciascuno, presiedevano ai giochi, perché non degenerassero in risse.
Conservarono un elementare tessuto sociale, governato dai Cacicchi
2
, ma
garantito dalla loro autorità personale. Organizzarono la vendita dei prodotti
in città. Il ricavato serviva per le spese della comunità e per il pagamento delle
modeste tasse al re. Eressero chiese sontuose, dove si svolgevano le grandi
solennità liturgiche, il cui sfarzo colpiva la fantasia degli indios. Ad esse
accorrevano anche gli indios delle riduzioni vicine, in una gara di giochi, di
festa, di entusiasmo che diffondevano la fama di quelle singolari istituzioni.
Crearono scuole, anche di musica e di pittura, arti per le quali i guaranì si
rivelarono particolarmente dotati. Tra il 1628 e il 1638 le riduzioni furono
assalite a più riprese dai razziatori di schiavi provenienti da Sào Paulo, i
cosiddetti paulisti o mamaluchi. I gesuiti si videro costretti a creare un vero e
proprio esercito, con il quale difendere la vita e i beni dei loro neofiti. Cosi si
assistette allo spettacolo di una specie di comunismo cristiano, che riempì di
stupore e diffidenza gli illuministi del Settecento. Lo “Stato” gesuita durò oltre
centocinquanta anni ed ebbe una repentina e drammatica fine con l’espulsione
della Compagnia di Gesù dalle colonie spagnole decretata dal re Carlo III: del
grande regno dei gesuiti nel Paranà, con i suoi 141.142 abitanti, tutto finì nel
1768. Nel 1750 spagnoli e portoghesi firmarono il trattato di Madrid, che
prevedeva una rettifica dei confini tra i rispettivi possedimenti. Secondo la
nuova demarcazione ben sette riduzioni, per un totale di circa centomila
indios, venivano a cadere in territorio portoghese. Per loro significava la fine.
2
In seguito avremo modo di spiegare questo termine, con precisione nel capitolo II dedicato alle
Riduzioni.
Introduzione
XII
A Lisbona imperava l’onnipotente Pombal
3
, il nemico numero uno dei gesuiti.
Ma anche presso le altre corti europee incominciava a spirare aria ostile nei
confronti dell’Ordine, considerato nemico del progresso e della ragione
illuministica. Nel 1752 giungeva a Buenos Aires il padre Lope Luis Altamira-
no, mandato dal padre Generale dei gesuiti come visitatore delle riduzioni, con
pieni poteri per quanto concerneva l’applicazione del trattato dei confini. Gli
indios tentarono di opporsi all’applicazione del trattato con azioni di
resistenza che però non avevano alcuna possibilità di riuscita. Una simile
resistenza non si verificò nel seguito degli eventi, quando i gesuiti furono
espulsi dai territori nei quali sorgevano le riduzioni. Nel 1758 i gesuiti
venivano cacciati dal Portogallo, nel 1764 dalla Francia, nel 1767 dalla Spagna,
nel 1768 dal regno delle due Sicilie e da Malta. La Compagnia di Gesù si
avviava così verso la soppressione, avvenuta per ordine del papa Clemente
XIV il 21 luglio 1773. I Guaranì sopravvissero a tutto ciò, - sottratti, come
gruppo etnico, al genocidio durante i difficili anni della colonizzazione
sudamericana grazie all’azione dei missionari - a testimonianza della validità
dell’opera di questi ultimi. Per anni il ceppo guaranì ha costituito la
maggioranza della popolazione paraguayana e la sua lingua ha conteso allo
spagnolo il primato di quella repubblica.
Nel terzo capitolo tratto della Cooperazione, in particolare della sua nascita e
dei suoi principi. In un certo senso, la cooperazione è nata con l'uomo. Da
quando - nelle arcaiche società rurali - i contadini confinanti collaboravano per
sottrarre i loro raccolti agli imprevisti del tempo ad oggi, quando - nelle
moderne metropoli - le casalinghe provvedono collettivamente alla cura dei
bambini ed ai trasporti scolastici, ogni volta che gli uomini e le donne hanno
lavorato insieme in vista di un obiettivo comune, aiutandosi reciprocamente e
sostenendosi l'un l'altro, essi hanno cooperato. Tuttavia, se forme di
3
Marchese di Pombal, primo ministro portoghese, avverso ai Gesuiti, contribuì in modo notevole alla fine
della Riduzioni e all’espulsione dei Gesuiti che avvenne nel 1768. Anche per questo rimandiamo al
capitolo II.
Introduzione
XIII
cooperazione spontanea sono sempre esistite, per individuare la nascita di un
vero e proprio movimento cooperativo organizzato - in cui l’associazione fra
le persone si basa sulla volontaria e cosciente condivisione di ideali comuni -
bisogna risalire al compimento della rivoluzione industriale. L’espansione
dell'industria manifatturiera verificatasi tra il Settecento e l'Ottocento, infatti,
trasformò milioni di individui in operai salariati: uomini, donne e bambini si
trovarono sottoposti a ritmi di lavoro inumani in cambio di paghe da fame ed
esposti al completo arbitrio degli industriali da leggi che proibivano ogni
organizzazione sindacale. Proprio per aggirare queste inique leggi, in
Inghilterra - il paese nel quale l'industrializzazione aveva raggiunto il massimo
sviluppo - gli operai diedero vita alle cosiddette “Società di Mutuo Soccorso”
organizzazioni in cui ad attività di carattere solidaristico (come il sostegno ai
membri momentaneamente disoccupati e l'assistenza alle famiglie più
bisognose) si aggiungevano - segretamente - attività di tipo sindacale e
rivendicativo. Nello stesso periodo, il filosofo Robert Owen - un ex impiegato
divenuto comproprietario di uno stabilimento tessile a New Lanark -
promosse la fondazione di “villaggi di cooperazione” destinati agli operai dei
suoi cotonifici, ma anche ai poveri e ai disoccupati. Le teorie sociali di Owen
secondo le quali lo spirito cooperativistico e l’amore fraterno avrebbero creato
un “Nuovo mondo morale”, ispirarono nel 1825 il primo esperimento
americano di comunità cooperativa con la creazione del villaggio di New
Harmony nell’Indiana. Ma la prima cooperativa di consumatori nel senso
moderno del termine fu la “Rochdale Pioneers Society”, la Società dei Probi
Pionieri di Rochdale fondata nel 1844 da ventotto tra operai tessili e artigiani
che - unendo i loro miseri averi (circa una sterlina a testa) - si associarono con
l’obiettivo iniziale di aprire uno spaccio cooperativo dove anche i più poveri
potessero acquistare i generi di prima necessità: farina, zucchero, qualche
candela. Mettendo insieme le loro forze - pensavano i pionieri - sarebbe stato
più facile difendere il potere d’acquisto dei loro magri salari, e gli eventuali
Introduzione
XIV
profitti ricavati dallo spaccio avrebbero potuto essere impiegati per creare
nuovi posti di lavoro per i soci in difficoltà. L’iniziativa ebbe successo, e fu
rapidamente seguita dall’apertura di una macelleria, poi di un negozio di stoffe
e quindi di un mulino. Al di là delle singole attività intraprese, il più
importante merito dei pionieri di Rochdale fu quello di fissare nel loro statuto
i principi fondamentali
4
che tutt’oggi ispirano l’intero movimento cooperativo,
come la condivisione fra i soci di valori e interessi, la democrazia interna
(basata sul principio “una testa, un voto”), la tolleranza religiosa, il diritto
all’istruzione, la parità tra i sessi (a cominciare dal riconoscimento del diritto di
proprietà anche per le donne, non contemplato dalle leggi dell’epoca), la
solidarietà. A partire dall’esperienza di Rochdale - non ancora conclusa, grazie
alla cooperativa che conserva tuttora il nome dei pionieri - il movimento
cooperativo si estese ben presto a tutta l’Europa e al resto del mondo: ai giorni
nostri, nei cinque continenti, si contano oltre 750 milioni di cooperatori, pari a
circa il 20% dell’umanità
5
.
Infine nel quarto capitolo parlo dell’Economia di Comunione: attraversando la
città di San Paolo, Chiara Lubich
6
, nel maggio del ‘91, era stata colpita nel
vedere di persona, accanto ad una delle maggiori concentrazioni di grattacieli
del mondo, grandi estensioni di “favelas”. Giunta alla cittadella del
Movimento, la Mariapoli Araceli
7
, vicino San Paolo, constatava che la
comunione dei beni
8
praticata nel Movimento fino ad allora non era stata
sufficiente nemmeno per quei brasiliani, a lei così prossimi, che vivevano
momenti d'emergenza. Spinta dall’urgenza di provvedere al cibo, ad un tetto,
4
Vedi R. G. Bignami, La cooperazione, L’arciere ed., Cuneo, 1979, pp. 9 ss.
5
Notizie reperite dal sito: http://www.cooperare.it/database/retrospettive/storia0.html
6
Vedi allegato 1
7
Le cittadelle – o Mariapoli permanenti – del Movimento dei Focolari, sono delle vere e proprie città in
miniatura la cui legge fondamentale è il Comandamento Nuovo di Gesù, cioè l’amore scambievole
vissuto fra tutti. In esse sono presenti tutte le espressioni della vita, dal lavoro allo studio, alla preghiera,
ecc. Vogliono essere il bozzetto “di una società nuova”, completamente rinnovata dal Vangelo.
Attualmente ne sono state realizzate più di venti sparse in tutti i continenti. Vedi il paragrafo 3.1 del IV
capitolo.
8
Su questo argomento è dedicato l’ intero paragrafo 2 nel IV capitolo.
Introduzione
XV
alla cure mediche e se possibile ad un lavoro, e con in animo l’enciclica di
Giovanni Paolo II Centesimus Annus
9
, appena pubblicata, aveva lanciato
l'Economia di comunione: “Qui dovrebbero sorgere delle industrie, delle aziende i cui
utili andrebbero messi liberamente in comune con lo stesso scopo della comunità cristiana:
prima di tutto per aiutare quelli che sono nel bisogno, offrire loro lavoro, fare in modo
insomma che non ci sia alcun indigente. Poi gli utili serviranno anche a sviluppare
l’azienda e le strutture della cittadella, perché possa formare uomini nuovi: senza nuovi
uomini non si fa una società nuova! Una cittadella così, qui in Brasile, con questa piaga del
divario tra ricchi e poveri, potrebbe costituire un faro e una speranza”
10
.
L’adesione dei presenti
11
era stata immediata: tutti si erano sentiti coinvolti,
scossi nel profondo, e si erano lanciati a dare il proprio contributo personale
nelle maniere più diverse, attuando con nuovo slancio e radicalità la
comunione dei beni vissuta nel Movimento sin dagli inizi. Tutto in comune:
soldi e gioielli, terreni e case, disponibilità di tempo, di lavoro, di
trasferimento, offerte di dolore, di malattie…come chi ha dato tutti i suoi
risparmi, 4.000 dollari, “perché facciano parte di questo oceano d’amore,
come una goccia d’acqua…e Dio trasformi questo sogno in una grande realtà
che illuminerà l’inizio del Terzo Millennio”. Il ‘sogno’ di allora sta diventando
realtà: molte aziende sono nate e non solo in Brasile, ma in molti Paesi del
mondo, imprese già esistenti hanno fatto proprio il progetto, modificando lo
9
Giovanni Paolo II, enciclica Centesimus annus, Città del Vaticano 1991. Il Papa, in quell’enciclica,
riassume un po’ tutta la dottrina sociale della Chiesa,, rifacendosi alla prima enciclica sociale, la Rerum
novarum di Leone XIII, e riferendosi anche alle altre due encicliche sociali, da lui stesso promulgate [la
Laborem exercens del 1981 e la Sollecitudo rei socialis del 1987]. Essa presenta una radiografia perfetta
della situazione economico-sociale e politica del mondo d’oggi: situazione drammatica in tanti luoghi
come nell’America latina e in molte altre parti; situazione un po’ migliore in altri Paesi, comunque da
correggere. Il Papa dice quali sono le vie suggerite dalla Chiesa per correggerla e dedica un capitolo
molto ampio al comunismo, questa ideologia che pretendeva di attuare la giustizia e l’uguaglianza su basi
materialiste e che si era imposta nel terzo mondo. Ora, dopo il crollo del collettivismo comunista, il Papa
riafferma la dottrina sociale cristiana, il diritto alla proprietà privata, la libertà di associarsi, la
salvaguardia dei diritti umani sotto tutti gli aspetti. E nel contempo, parla del fine sociale e universale
della proprietà e della solidarietà, fino a suggerire l’idea di una economia mondiale.
10
Chiara Lubich, L’esperienza “Economia di comunione”: dalla Spiritualità dell’Unità una proposta di
agire economico, in L.Bruni (a cura di), L’economia di comunione: per una cultura economica a più
dimensioni, Città Nuova, Roma 1999.
11
Discorso di Chiara Lubich tenuto ad Araceli (Brasile) il 29 Maggio 1991 alla comunità locale del
Movimento dei Focolari, vedi anche P. Quartana, L’Economia di Comunione nel pensiero di Chiara
Lubich, rivista bimestrale Nuova Umanità 1992, nn.80/81, pag. 16.
Introduzione
XVI
stile di gestione aziendale e la destinazione degli utili. L'Economia di
Comunione (EdC) è un progetto che coinvolge oggi imprese dei cinque
continenti. I proprietari di aziende che liberamente aderiscono al progetto,
decidono di mettere in comunione i profitti dell'azienda secondo tre scopi e
con pari attenzione:
1) ad aiutare le persone in difficoltà, creando nuovi posti di lavoro e
sovvenendo ai bisogni di prima necessità, iniziando da quanti
condividono lo spirito che anima il progetto;
2) a diffondere la “cultura del dare” , senza la quale non è possibile
realizzare un’ Economia di Comunione, finanziando la formazione di
uomini che la condividano, cioè gli “uomini nuovi”;
3) all’autofinanziamento, per assicurare la vita dell’azienda, attraverso gli
investimenti necessari al suo sviluppo.
Il progetto ha avuto in questi primi anni un eco immediato non solo in
America Latina dove è stato lanciato, ma anche in tutti i continenti. Ad oggi vi
hanno aderito 797 imprese di varie dimensioni: 269 in America, 469 in
Europa, 42 in Asia, 9 in Africa e 8 in Australia. Sono più di cento le tesi di
laurea che in questi primi anni sono state discusse. Numerosi i convegni
accademici e le pubblicazioni scientifiche nate dal desiderio di comprendere il
segreto di imprese che riescono ad essere competitive in mercati globalizzati e
al tempo stesso vivono l’attività economica come un luogo di rapporti
autenticamente umani. E’ essa una nuova via? E’ una nuova fioritura di una
antica tradizione? Sono queste imprese l’eccezione, o questa cultura
economica può diventare la regola in un mercato globale che non può non
diventare solidale se vuole sopravvivere?
Introduzione
XVII
Circa 250 anni fa, Antonio Genovesi, il primo economista nella storia che
occupò una cattedra di economia civile a Napoli, scrisse: “…fatigate per il vostro
interesse; niuno uomo potrebbe operare altrimenti, che per la sua felicità; sarebbe un uomo
meno uomo: ma…se potete, studiatevi di far gli altri felici…E’ legge dell’universo che non si
può far la nostra felicità senza far quella degli altri”.
12
E’ soffermandomi su questa frase, per me densa di significato, che ho pensato
alla stesura della mia tesi, cercando di riuscire a mettere in evidenza in questo
lavoro, attraverso la storia e soprattutto la storia economica e i fatti, come in
fondo, anche l’esperienza delle Reducciònes e quella dell’Economia di comunione, si
possono considerare forme di economia solidale succedutesi nel tempo, e
come fin dal passato, si cercava di migliorare la civiltà attraverso rapporti di
reciprocità, - come avviene anche per le Cooperative - dove non si da per
ricevere, ma per mettere l’altro in condizione di dare.
Nel corso della storia i carismi sono stati delle risposte alle sfide poste dai
grandi mutamenti epocali – pensiamo alle Abbazie benedettine, o ai Monti di
Pietà dei Francescani durante il Medioevo e quindi anche alle Riduzioni dei
Gesuiti nel ‘700 e all’Economia di Comunione oggi. La mia conclusione vuole
essere proprio quella di verificare come alla fine, è grazie a dei grandi carismi
di persone che hanno avuto un “dono” particolare, un’ispirazione da Dio
(come appunto S.Ignazio Di Loyola che ha fatto nascere i Gesuiti, autori delle
Reducciones, o Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari e
ispiratrice dell’Economia di comunione), che si fanno strada diverse forme di
economia solidale e non solo; che queste, hanno fatto e fanno del bene alla
comunità, all’umanità intera, apportando miglioramenti in tutti i campi dove
esse vengono vissute e sperimentate.
12
A. Genovesi, Autobiografia e Lettere, Feltrinelli, Milano 1963, pag. 449.
CAPITOLO I
L’economia solidale
“La solidarietà non è un sentimento di compassione vago o di intenerimento superficiale
per i mali sofferti da tante persone vicine o lontane. Al contrario è la determinazione
ferma e perseverante di lavorare per il bene comune: cioè per il bene di tutti e di ciascuno
perché tutti noi siamo veramente responsabili di tutti”.
(dalla Sollicitudo rei Socialis)
1. Cenni storici
Per comprendere meglio il significato e il ruolo che l’economia solidale può
avere oggi come modello alternativo a quello economico neo-liberale,
possiamo partire dalle sue origini e dalla filosofia per arrivare poi a “scoprire”
il futuro che essa potrebbe avere per la società. Di fronte ad una logica di
mercato sempre più avanzata e ad uno Stato assistenziale “malato”, si deve
cercare di promuovere l’interesse generale: la storia ha orrore del “vuoto” e
non saranno certo due secoli di liberalismo “selvaggio” che ci convinceranno
che ad occuparsene sarà la “mano invisibile” cara a Adam Smith e largamente
sostituita dai fautori della teoria economica standard
1
. Nel XIX secolo, mentre
un liberalismo dalle mani totalmente libere compiva enormi devastazioni
sociali, si sono viste moltiplicare le iniziative di solidarietà nel campo
economico
2
. Delle personalità generose e pragmatiche — Saint Simon, Robert
1
A. Rouillè d’Orfeuil, L’economia solidale in discussione a Porto Alegre, 2002, sito internet:
http://www.attac.org/italia/portoalegre2002/fsm34.pdf ; per due giorni, in occasione del seminario di
economia solidale del forum sociale mondiale di Porto Alegre, teorici ed esperti della disciplina,
provenienti dal mondo intero, hanno discusso sulle origini, la filosofia, il ruolo di oggi e del futuro
dell’economia solidale.
2
Per quanto riguarda questo punto, rimandiamo al primo paragrafo del terzo capitolo in cui viene
descritta tutta la storia economica precedente alla nascita dell’economia civile, riguardo al liberismo, al
capitalismo, ecc.
Capitolo I: L’economia solidale
2
Owen, Charles Fourier, Proudhon
3
— hanno allora immaginato e
sperimentato altre modalità di organizzazione economica per far fronte ai
drammi umani osservati qua e là. Queste iniziative sono sfociate alla fine del
secolo nel riconoscimento delle parti sociali: le cooperative (legge del 1867), i
sindacati (legge del 1884), le mutue (legge del 1898) e le associazioni (legge del
1901)
4
. Così si è costituito il vasto campo dell’ economia sociale. Nello stesso
modo, di fronte alla crisi degli anni ‘80, le parti sociali si sono a poco a poco
organizzate per promuovere un’economia più solidale ed uno sviluppo più
duraturo. Così sono comparsi e si sono sviluppati i concetti e le esperienze di
finanze solidali, di consumi e investimenti responsabili, di commercio equo o,
ancora, di etica professionale. Oggi coprono la quasi totalità dello “spettro”
dell’economia, al nord come al sud. Anche i metodi sono molteplici, i
protagonisti dell’economia solidale condividono la stessa filosofia: una visione
positiva dell’ essere umano. Ciascuna persona può rivendicare delle
competenze e diventare protagonista del proprio sviluppo a patto che le si
diano i mezzi. In maggior misura emerge la volontà di mettere in rete l’insieme
degli operatori dell’economia solidale e più in generale le parti sociali per
costituire una reale alternativa al modello economico neo-liberale
5
.
3
A questo proposito si possono citare le comunità di New Lanark e New Armony fondate da Owen in
Inghilterra e in America, e i Falansteri fondati da Charles Fourier, socialista utopico francese, ma anche
per questi rimandiamo al primo paragrafo del terzo capitolo.
4
In particolare nel terzo capitolo vedremo la nascita delle cooperative.
5
E. A. Mance, La rivoluzione delle reti, l’economia solidale per un’altra globalizzazione, ed. EMI,
Bologna, 2003.
Capitolo I: L’economia solidale
3
2. La collaborazione solidale
La parola collaborazione deriva dal verbo latino collaborare che significa lavorare
insieme. La parola solidale, a sua volta, deriva da solidus, da intendersi come
“qualcosa di forte”, ovvero qualcosa che difficilmente si lascia distruggere da
una forza esterna. Chiaramente, come indicano i dizionari, la parola solidarietà
possiede un senso morale che vincola l’individuo alla vita, agli interessi e alle
responsabilità di un gruppo sociale, di una nazione o della stessa umanità.
Indica una relazione di responsabilità fra persone unite da interessi comuni, di
modo che ogni elemento del gruppo si senta moralmente obbligato ad aiutare
gli altri. La collaborazione solidale implica, dunque, un lavoro e un consumo
condivisi, il cui vincolo reciproco fra le persone si manifesta, innanzitutto,
tramite la corresponsabilità per il bem-vivir di tutti e di ciascuno in particolare. Il
bem-vivir è l’esercizio umano di disporre delle mediazioni materiali, politiche,
educative e informative non solo per soddisfare eticamente le necessità
biologiche e culturali di ciascuno, ma per garantire, sempre eticamente, la
realizzazione di tutto ciò che può essere concepito e desiderato per una libertà
personale che non neghi quella collettiva. Il bem-vivir solidale implica il rispetto
del desiderio personale e la promozione della sua realizzazione nella stessa
misura in cui si rispetta il desiderio collettivo e se ne promuove la realizza-
zione. Garantite tutte le migliori condizioni materiali, politiche ed educative e
le informazioni necessarie per l’esercizio delle libertà umane, bem-vivir significa
condividere felicità con chi vogliamo, nel momento in cui riusciamo a
realizzare quel che ci sta a cuore, così come poter condividere sofferenze e
tristezze nei momenti di dolore e di sventura. Si inganna chi crede che basti
accumulare molte ricchezze materiali per poter realizzare il bem-vivir. Allo
stesso modo è un equivoco immaginare che lo si possa praticare senza
soddisfacenti mediazioni materiali. Il bem-vivir non si riassume nel consumare
prodotti propagandati dai media attraverso pubblicità ingegnosamente
Capitolo I: L’economia solidale
4
costruite. Se osserviamo la maggior parte degli spot commerciali, vediamo
immagini emozionanti, divertenti e suggestive in cui delle persone si
relazionano esprimendo sentimenti di piacere, tenerezza, soddisfazione,
felicità e amore. Si veicolano immagini di famiglie felici per vendere margarine,
caffè, biscotti e marmellate: si diffondono immagini di gruppi di giovani per
vendere vestiti, orologi, deodoranti ecc. Tuttavia, nessuna margarina potrà
sostituire l’amore della coppia per i figli e di questi per i genitori. Nessun
vestito, orologio o deodorante potrà sostituire la tenerezza e il rispetto fra due
innamorati. Nessun deodorante farà nascere un principe azzurro nella vita di
qualcuno. Nessun immobile, automobile o conto in banca potrà riempire il
vuoto umano, dal quale non possiamo scappare, provocato dalla morte di una
persona cara. Nessun prodotto può sostituire la presenza di un amico nel
momento della malattia, la mano che asciuga le nostre lacrime, le braccia che
ci stringono nel momento del dolore. Il bem-vivir è profondamente diverso dal
consumismo alienante promosso dal capitalismo. In un mondo di simulacri e
illusioni, il capitalismo disumanizza le necessità personali per realizzare i
propri cicli di produzione, che rendono possibile l’accumulo del plusvalore;
genera nuove necessità e desideri, creando soddisfazioni e godimenti alienanti
per accumulare ogni volta più capitale con la vendita di merci che possano
soddisfarli. In questo mondo mercificato, i beni materiali valgono più delle
persone e queste sono riconosciute socialmente solo quando partecipano a
questa ricchezza e possono ostentarla. Ma qualora ne fossero prive, non
avrebbero nessun riconoscimento sociale, perché gli esseri umani, nella logica
del capitale, valgono meno della ricchezza che possiedono. Nei cimiteri le più
belle tombe a cappella, costruite come piccole chiese con pareti, tetto e porte,
sembrano far credere che i morti che vi riposano siano in condizioni migliori
rispetto agli altri, perché protetti dalla pioggia e più vicini alla misericordia di
Dio. Allo stesso modo i lussuosi palazzi dei ricchi danno l’impressione che i
loro abitanti siano più prossimi alla felicità e all’ amore. Ma ciò non