5
racconto mitologico in modo non lineare, rimane costante la disposizione a “raggiera”
degli elementi (che sono simbolici), il tipo di accostamento secondo il procedimento
del bricolage (nel senso cognitivo del termine), e, secondo le tesi di Leroi-Gourhan, il
tipo di pensiero di cui sono espressione, primitivo, sintetico e globale.
Il nostro lavoro è stato quello di ricercare, all’interno dei quotidiani, settimanali e
mensili italiani a maggior tiratura, usciti in un lasso temporale di un mese, esempi di
mitogrammi pubblicitari. Tra quelli trovati, alcuni sono stati analizzati attraverso gli
strumenti della semiotica plastica, al fine di coglierne i significati in modo più preciso e
completo. Nel nostro elaborato, che è stato diviso in tre parti, gli esiti di questa attività
sono riportati nella parte terza.
La parte prima e seconda invece sono di natura teorica: i capitoli 1 e 2 (parte
prima), si focalizzano sul concetto di comunicazione pubblicitaria e sulle teorie circa il
suo funzionamento, mentre il secondo approfondisce i significati e le teorie circa le
immagini, utilizzando i contributi provenienti da varie discipline, quali la psicologia
cognitiva e la semiotica. La necessità di dedicare un capitolo alla questione delle
immagini si giustifica con l’importanza che il visual assume in generale nella pubblicità
contemporanea e in particolare per i mitogrammi pubblicitari.
La seconda parte (capitolo 3), si stacca momentaneamente dall’ambito
pubblicitario, per dare una premessa storica al mitogramma, contestualizzandolo come
una delle prime forme di “scrittura”: saranno così riportate e spiegate le teorie di Leroi-
Gourhan sul mitogramma come mezzo di espressione grafica del Paleolitico e di alcune
tribù contemporanee. In particolare si tenterà di focalizzare l’attenzione sulle differenze
che Leroi-Gourhan rileva tra i modi di rappresentazione “pittografici”, che egli
accomuna, per la linearità della disposizione delle figure, alle scritture alfabetiche, e
quelli mitografici, e ai diversi tipi di pensiero di cui sarebbero espressione. Si ritornerà
poi sul mitogramma pubblicitario, sulle sue caratteristiche e sulle sue funzioni.
Il senso della nostra ricerca è quello di interpretare, grazie agli strumenti di varie
discipline, prima fra tutte la semiotica, le osservazioni di Leroi-Gourhan e verificare la
presenza dei mitogrammi pubblicitari nella comunicazione pubblicitaria
contemporanea, investigando sul senso, il ruolo e i significati delle immagini
all’interno di essa.
6
Accanto ai contributi e alle riflessioni provenienti dal mondo accademico, si è
voluto introdurre un intervento, nella parte terza, di un creativo della Saatchi&Saatchi,
agenzia per conto della quale è stata realizzata una campagna multisoggetto per Enel.
Gli annunci della campagna, rientrando tra quelli da noi considerati come mitogrammi
pubblicitari, sono stati riprodotti e analizzati nel capitolo 4. Questo intervento è stato
proposto con lo scopo di verificare la più o meno intenzionalità dei significati veicolati
attraverso le immagini, di chiarirne i motivi della particolare disposizione delle figure
(disposizione che, assieme ad altre caratteristiche, li ha fatti da noi considerare esempi
di mitogrammi pubblicitari) e di contestualizzare gli annunci in una specifica strategia
pubblicitaria.
7
PARTE PRIMA
LA PUBBLICITA’:
TEORIE DELLA PERSUASIONE E
STRUMENTI D’ANALISI
8
CAPITOLO 1
Meccanismi persuasivi di una realtà sfuggente
In questo primo capitolo ci si è posti il duplice obiettivo di spiegare la natura della
pubblicità e i meccanismi attraverso cui assolve gli scopi per cui viene utilizzata.
Consapevoli dell’impossibilità di fornire un’unica definizione della pubblicità, a
causa della sua natura poliedrica, ne verranno proposte alcune provenienti dall’ambito
legislativo, altre da quello accademico e imprenditoriale.
Si cercherà poi di spiegare il delicato meccanismo della persuasione, responsabile
del funzionamento della pubblicità: dalla modificazione, o dal rafforzamento degli
atteggiamenti alla modificazione del comportamento. Nei paragrafi che tratteranno in
specifico questo argomento, si è cercato di spiegare quale sia l’importanza degli
atteggiamenti per la ricezione e ritenzione dei messaggi e come il comportamento
(l’acquisto del prodotto) non sia sempre la diretta conseguenza della modificazione di
primi: a meno che non si tratti di uno specifico obbiettivo di marketing strategico (ci
possono essere campagne miranti unicamente a far conoscere il lancio sul mercato di
un nuovo prodotto) ciò può dipendere da un’infinità di variabili che, data la loro
complessità, esulano dal nostro discorso.
C’ è sembrato poi opportuno precisare alcuni termini che sono legati al mondo
della pubblicità come la persuasione, la suggestione e la manipolazione per poi
introdurre il concetto di ideologia pubblicitaria e proporre le opinioni di alcuni studiosi,
tra cui François Brune, circa gli effetti a lungo termine di tale ideologia.
Sono starti inoltre presi in rassegna i principali filoni di studi circa la pubblicità e i
suoi effetti sulle masse provenienti dalla sociologia e l’antrolpologia: la teoria
dell’invidia di Berger, gli studi di Judith Williamson, la teoria del pubblico attivo, le
recenti riflessioni di Bignell circa la seduzione attraverso la stimolazione alla
comprensione di forme di comunicazione sempre più raffinate, gli studi del linguista
Myers sull’autoreferenzialità della pubblicità fino alla più recente interpretazione
9
antropologica del doppio vincolo di Massimo Canevacci.
Infine sono state proposte alcune interessanti tabelle circa gli investimenti
pubblicitari in Italia nei diversi mezzi di comunicazione di massa, sul numero delle
testate di quotidiani, settimanali e mensili più lette e una tabella sui dieci big spender
nei mezzi di comunicazione in Italia.
1.1 Una realtà sfuggente
La pubblicità, assieme ad altre forme di comunicazione di massa, è un fenomeno
che da molto tempo è diventato ormai parte integrante della vita di coloro che abitano
nei paesi capitalisti, e non solo (è noto, infatti, il largo uso di cartellonistica persuasiva
utilizzata dal partito sovietico nei paesi socialisti durante il comunismo).
Nonostante la confidenza che innegabilmente si è stabilita con questa forma di
comunicazione, dato il suo carattere pervasivo e ripetitivo, è difficile definirla in modo
sintetico ed univoco per vari motivi, il principale dei quali è il suo carattere poliedrico:
essa, infatti, è utilizzata per soddisfare diversi interessi, siano essi attinenti al mondo
commerciale, alla sfera pubblica o, soprattutto negli ultimi decenni, a quella sociale.
Nonostante le difficoltà che si possono incontrare nel definire la natura di questo
strumento comunicativo, appare opportuno riportare alcune definizioni che, per
l’importanza riconosciuta della fonte da cui provengono o per la loro completezza,
sembrano significative per il nostro discorso. Al fine di configurare un’accezione la più
ampia possibile su questo strumento comunicativo, verranno proposte per prime delle
definizioni contenute in alcuni documenti legislativi.
Veniamo quindi a considerare la definizione proposta da un decreto ministeriale:
“ Art. 2. Definizioni. 1. Ai fini del presente decreto si intende: a) per “pubblicità”,
qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell’esercizio di
un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di
promuovere la vendita di beni mobili o immobili, la costituzione o il trasferimento di
diritti ed obblighi su di essi oppure la prestazione di opere o di servizi..”
[Decreto ministeriale 25 gennaio 1992, n. 74 sulla pubblicità ingannevole]
10
Il limite di questa definizione è quello di riferirsi, con il termine “pubblicità”,
solamente ad una forma di questa, ovvero alla pubblicità commerciale, escludendo tutte
le altre forme (pubblicità sociale, istituzionale).
Anche il codice di autodisciplina pubblicitaria ha dato una propria definizione
della pubblicità, ma prima di affrontarlo sarà utile spiegare brevemente la storia di
questo sistema di autodisciplina. Il CAP nasce per volontà del mondo delle imprese, di
quello pubblicitario e dei mezzi di comunicazione nel 1966, anno in cui viene emanato
il “Codice di lealtà pubblicitaria”, chiamato poi, a partire dal 1975 “Codice di
autodisciplina pubblicitaria”. Il CAP si basa su una regola fondamentale stabilita
nell’articolo 1 del codice:
“La pubblicità deve essere onesta, veritiera e corretta. Essa deve evitare tutto ciò
che possa screditarla”.
Questa lapidaria enunciazione, come spiega Adriano Zanacchi nel suo libro
“Pubblicità: effetti collaterali”, riconosce innanzitutto l’utilità economica (per le
imprese) della pubblicità, da cui segue la necessità che essa non si discrediti, poi la sua
influenza sul consumatore, e infine l’impegno del mondo pubblicitario a realizzare
messaggi pubblicitari che creino un’immagine affidabile della pubblicità. Nonostante
questi impegni, il CAP è tuttora un sistema i cui limiti nello svolgere la propria attività
sono molti e le debolezze nell’applicazione delle sanzioni ne intaccano
l’autorevolezza
1
.
Passiamo ora alla definizione che il Codice dà della pubblicità:
“Norme preliminari e generali. e) Definzioni. Agli effetti del Codice il termine
“pubblicità” comprende ogni comunicazione, anche istituzionale, diretta a promuovere
la vendita di beni o servizi quali che siano i mezzi utilizzati, nonché le forme di
comunicazione disciplinate dal titolo VI” [ Titolo VI. Pubblicità sociale].
1
Molto sinteticamente posso ricordare che in primo luogo il CAP manca di un monitoraggio completo e
sistematico; il Giurì poi, al quale è affidata l’applicazione del CAP, non può obbligare a non pubblicare
la pubblicità che appare sconveniente, ma può solo invitare a desistere dal pubblicarla e dare notizia al
pubblico in caso di inadempienza da parte dall’azienda committente. Appare evidente che gli
inserzionisti che non sono iscritti al codice o che decidono di non aderirvi più sono esenti anche da
queste minime ingiunzioni (è il caso del Gruppo Benetton che, dopo numerose condanne da parte del
Giurì, ha ritirato la propria iscrizione dall’UPA, associazione di imprese che investono in pubblicità, che
prevede l’adesione al CAP.
2
ZANACCHI, La pubblicità. Potere di mercato e responsabilità sociali, Lupetti, Milano 1999, p. 23
11
Adriano Zanacchi nel suo libro “La pubblicità. Potere di mercato e responsabilità
sociali” la definisce come:
“una forma di comunicazione impersonale, diffusa attraverso qualsiasi mezzo da
soggetti economici, per influenzare a proprio favore, sia gli atteggiamenti e le scelte
riguardanti il consumo dei beni e l’utilizzazione dei servizi, sia la costruzione
dell’immagine dei soggetti stessi
2
”.
Questa definizione si distingue per la sua puntualità, in grado di mettere
immediatamente in rilievo le caratteristiche essenziali di questa forma di
comunicazione: la persuasività e la parzialità. Inoltre ha il merito di aver definito la
pubblicità una forma di comunicazione “impersonale” anziché una forma di
comunicazione “di massa”, in modo da non indurre il lettore ad un possibile
fraintendimento tra i mezzi di comunicazione di massa e le sue diverse forme.
Infine è interessante riportare la definizione data da Sergio Cherubini e Giorgio
Eminente ne “Il nuovo marketing in Italia”:
la “pubblicità può essere intesa come ogni forma non personale di comunicazione
di massa, a pagamento e con esplicita indicazione dell’inserzionista, volta a indurre,
direttamente o indirettamente, ad azioni vantaggiose per l’inserzionista stesso
3
”.
Questa definizione, anch’essa puntuale sotto vari aspetti, rischia però di non
prendere in considerazione i cosiddetti “redazionali”, che, sebbene servano palesemente
a portare benefici economici, non presentano altrettanto chiaramente un rapporto a
pagamento tra il soggetto pubblicizzato e l’editore.”
Il motivo per cui sono state scelte queste diverse definizioni è quello, come già
detto, di dare una lettura il più esaustiva possibile di tutto ciò che si intende per
pubblicità: nessuna di queste è “La definizione”, ma insieme, con i loro limiti e le loro
precisioni, concorrono ad una comprensione totale di questo strumento comunicativo.
Vediamo ora di definirne le caratteristiche essenziali. Adriano Zanacchi
4
ha
individuato tre categorie che riescono a raggruppare, in modo chiaro e sintetico, tali
caratteristiche:
3
CHERUBINI-EMINENTE, Il nuovo Marketing in Italia, Franco angeli, Milano, 1997, p.305 in
GIANFRANCO GRANBASSI, Cenni di storia della stampa, dispensa universitaria del corso di laurea
in Scienze della Comunicazione, Trieste 1998-99
4
A. ZANACCHI, La pubblicità. Potere di mercato e responsabilità sociali, Lupetti, Milano 1999, p. 28
12
1 Caratteristiche formali: brevità e capacità di attrazione dei mesaggi
2 Caratteristiche di contenuto: parzialità, semplicità, sintesi, prevalenza dei
contenuti emotivi su quelli referenziali, assertività, tendenza all’esortazione
o al comando
3 Caratteristiche diffusive: pervasività, intrusività ripetitività, massiccia
utilizzazione, a pagamento, dei media.
Tra tutte queste caratteristiche è evidente che, alcune di esse, come la brevità, la
ripetizione e la pervasività, siano di particolare importanza rispetto alle altre. La brevità
è essenziale per l’utilizzo che in questi tempi si fa della pubblicità: il consumatore ha
pochissimo tempo a disposizione da dedicare alla comprensione dei messaggi
pubblicitari e la sua attenzione, che spesso non è cosciente, deve essere colpita in
questi minuscoli lassi temporali. La ripetizione è un mezzo per rendere famigliare il
discorso ripetuto e per facilitare la comprensione e la ritenzione dei messaggi. La
ripetizione però, ha innegabilmente una ripercussione negativa sul contenuto del
messaggio, nel senso che ne impoverisce il contenuto informativo. Essa è inoltre
strettamente collegata alla pervasività dei mezzi di comunicazione di massa che ormai
ha raggiunto e oltrepassato i limiti della tollerabilità. Mario Livolsi, affermato
pubblicitario, afferma a tal proposito che “L’affollamento esiste (non solo in TV) e può
creare qualche effetto perverso. Ad esempio, dilapidare la corrente positiva che la
pubblicità è riuscita a creare attorno a sé lungo tutti gli anni Ottanta. Così l’Italia
post-moderna potrebbe ritornare ad essere ostile alla pubblicità come l’Italia pre-
moderna, ma per motivi diversi. Affollamento è saturazione: di messaggi, come
numero, e come significati-proposte che non riescono più a passare perché invenzioni
(far piangere prima o far ridere adesso) e ripetizioni non riescono più a bucare il muro
della disattenzione.
5
.” .
5
Ibidem p. 31
13
1.2 Persuadere e convincere
1.2.1 Il livello “mentale” della persuasione
Dopo aver brevemente accennato alle caratteristiche della pubblicità, ritengo
importante ora soffermarsi su un meccanismo fondamentale per la comprensione del
suo funzionamento: la persuasione. Essa viene definita come un’azione volta
intenzionalmente ad agire sui contenuti mentali e sulle dinamiche comportamentali
degli individui cui i messaggi persuasivi sono rivolti.
Per alcuni studiosi la persuasione ha effetto solamente quando porta alla
modificazione i comportamenti effettivi, mentre per altri si parla di persuasione quando
si riesce ad indurre qualcuno a credere qualcosa. In ambito pubblicitario, soprattutto
negli ultimi anni, ci si è spostati verso questa seconda linea di pensiero, poiché la
pubblicità non è adatta a determinare direttamente l’azione. Piuttosto, agisce sugli
schemi mentali affinchè questi, grazie anche ad altre leve provenienti dai più disparati
ambiti, portino a cambiare il comportamento. Il livello “mentale” su cui la pubblicità fa
leva è quello degli atteggiamenti. Il ruolo fondamentale che l’atteggiamento svolge per
il funzionamento della persuasione è ormai accettato dalla maggior parte degli studiosi,
che lo definiscono come l’organizzazione mentale degli orientamenti percettivi, delle
conoscenze, dei criteri di valutazione, dei sentimenti, delle propensioni ad agire in un
determinato modo in rapporto a ciò che può costituire oggetto del pensare o del fare.
Da ciò appare evidente che modificare un atteggiamento è solo il primo passo per
arrivare alla modificazione del comportamento: è del tutto ragionevole, infatti, che si
verifichi il caso per cui ad una modificazione di un atteggiamento non corrisponda il
corrispettivo cambiamento d’azione.
Queste resistenze al cambiamento derivano dal fatto che gli atteggiamenti fanno
parte della personalità e quindi anche se è possibile modificarli e influenzarli, spesso
questo compito risulta arduo e richiede molto tempo; la stessa cosa vale per la
creazione di atteggiamenti nuovi.
14
Per tentare di modificare gli atteggiamenti è necessario conoscerne la struttura:
essi sono composti da una parte conosciuta (la convinzione dell’individuo nei confronti
dell’oggetto), le componenti “affettive”(emozioni connesse con l’oggetto) e dinamiche
(relative ai comportamenti passati). Queste tre componenti rendono gli atteggiamenti
generalmente stabili, ma sotto certi stimoli, tra cui la pubblicità, possono cambiare.
Verso la fine degli anni Settanta Petty e Cacioppo hanno elaborato un “modello di
probabilità di elaborazione”(Elaboration Likelihood Model, ELM), che fornisce un
quadro completo per la comprensione della comunicazione persuasiva. Si tratta del
modello più recente di fenomeno della persuasione, e si organizza in una struttura bi-
direzionale, in cui vi è un percorso “centrale”e uno “periferico” che nella maggior parte
dei casi si contrappongono, ma che, in altri, possono conciliarsi.
I due percorsi, in modi diversi, conducono alla modificazione degli atteggiamenti
in relazione al livello di motivazione e di importanza attribuito al messaggio da chi ne
viene raggiunto. Quindi è importante considerare gli interessi dei soggetti, il loro grado
di istruzione e intelligenza, oltre che la natura dei messaggi.
Veniamo ora a descrivere brevemente i due percorsi. Il percorso periferico è
caratterizzato dalla superficialità, in quanto la ricezione dei messaggi e la loro possibile
capacità persuasoria non si basano sull’argomento centrale del messaggio, ma su
elementi secondari, quali la piacevolezza, la durata, la capacità attrattiva ecc. Quindi gli
atteggiamenti, in questo contesto, cambiano perché associati a stimoli positivi o
negativi, indipendentemente da qualsiasi tipo di riflessione.
Il percorso centrale, invece, richiede un elevato grado di elaborazione, connesso ai
fattori di attenzione e di comprensione. Questo tipo di percorso, a fronte di un elevato
dispendio di energie e di tempo da parte di chi riceve ed elabora il messaggio, porta a
cambiamenti relativamente duraturi e predittivi, mentre il percorso periferico ad uno
temporaneo e non predittivo.
I messaggi pubblicitari molto spesso lavorano per attivare il percorso periferico,
data la difficoltà del percorso centrale di persuasione, e, quand’anche un messaggio
pubblicitario fosse stato costruito in modo tale da massimizzare la probabilità di
attivazione del pensiero, molto spesso entrano in gioco fattori incontrollabili come la
distrazione, che riducono la probabilità di elaborazione.
15
1.2.2 La modificazione del comportamento
Come già detto nei paragrafi precedenti, gli atteggiamenti costituiscono delle basi
da cui può conseguire l’azione, ma non vi sono delle reali certezze sulla causalità tra
atteggiamenti e comportamenti. Secondo alcuni studiosi gli atteggiamenti, pur giocando
un ruolo fondamentale nel processo persuasorio devono combinarsi anche con fattori di
tipo situazionale: spesso stimoli concomitanti e situazioni diverse arrivano ad avere un
ruolo predominante sugli atteggiamenti stessi.
È importante ricordare anche il ruolo fondamentale che i bisogni rivestono nel
processo che conduce all’azione. I bisogni si possono definire come “la mancanza di
qualche cosa che l’individuo tende a procurarsi quando la situazione di carenza si fa
sufficientemente intensa
6
”. Quindi il bisogno è uno stato latente che porta l’individuo
ad agire per soddisfarlo, è una forza interna su cui possono agire molti stimoli
trasformandolo in impulso ad agire, ovvero in motivazione. La pubblicità, come ogni
forma di comunicazione persuasiva, risveglia, sollecita, alimenta i bisogni latenti, pur
non creandone di nuovi. I bisogni possono essere presenti in grande quantità in stato
latente in ogni individuo pur non portando ad alcuna spinta ad agire. Quando la spinta
si verifica, si parla di motivazione.
Lo studio delle motivazioni, e soprattutto delle loro componenti inconsce, grazie
anche al contributo della psicanalisi, ha portato ad un’enfasi particolare sul loro
funzionamento, e ha dato vita ad un importante filone di ricerca, la ricerca
motivazionale, di cui si parlerà nel cap. 3.
Passiamo ora ad analizzare il processo di persuasione utilizzato dalla
comunicazione pubblicitaria. Kapferer
7
ne individua sei fasi fondamentali: a)
esposizione ai messaggi, b) decodifica dei messaggi, c) mutamento dell’atteggiamento,
d) persistenza o declino dell’atteggiamento, e) passaggio dall’atteggiamento
all’azione.
Nella prima fase un ruolo fondamentale è giocato dall’attenzione, merce sempre
più rara ai giorni nostri.
6
Ibidem p. 71
7
Il primo modello interpretativo di tale processo è stato formulato da Harold Lasswell nel 1958 e poi
integrato da Braddock. Lasswell aveva rilevato come ogni comunicazione si possano individuare cinque
elementi costitutivi fondamentali: l’emittente, il messaggio, i destinatari, il canale, il risultato.
16
L’attenzione che i pubblicitari tentano di catturare è di tipo involontario o passiva,
dato che nessuno compra i giornali o accende la TV appositamente per guardarvi la
pubblicità. Sull’attenzione inoltre rivestono un ruolo molto importante gli stati
d’animo, poiché chi è più triste o stressato trova difficile elaborare o richiamare le
informazioni in arrivo, mentre le persone felici sono più attente agli stimoli in entrata e
trovano più facile elaborarli.
Il coinvolgimento è un altro fattore importante nell’esposizione dei messaggi: si
calcola, infatti, che l’esposizione pubblicitaria comprenda da 300 a 560 messaggi
pubblicitari al giorno, di cui solo 76 sarebbero effettivamente visti, mentre meno di
dieci sarebbero quelli effettivamente in grado di influenzare il comportamento del
consumatore
8
. Ogni individuo quindi opera una continua selezione che varia soprattutto
in relazione al coinvolgimento suscitato dai messaggi.
La seconda fase sarebbe legata alla comprensione, a sua volta determinata dal
modo in cui i messaggi sono concepiti e diffusi, oltre che le competenze del
destinatario. La terza fase è dominata dal consenso, su cui esercita un ruolo
fondamentale la credibilità della fonte, mentre agiscono in maniera negativa fattori che
suscitano ansietà, timore, paura. La quinta fase è determinata dall’azione dalla
memoria, che viene stimolata, in genere, dalla ripetizione dei messaggi.
L’ultima fase, quella dell’azione, sotto un certo punto di vista può essere
considerata il risultato dei passaggi precedenti, ma non è necessariamente l’obiettivo
della comunicazione persuasiva: la pubblicità può limitarsi a produrre risultati di
conoscenza, di notorietà, oppure può cercare di stimolare motivazioni.
Lo schema appena mostrato è un modello che è applicabile, in generale, a tutte le
situazioni di comunicazione persuasiva. Vi sono però delle importanti differenze
determinate dal tipo di personalità di chi si vuole persuadere. Carl Hovland ha studiato i
nessi esistenti tra persuadibilità e personalità, da cui sono emerse cinque tipologie di
persone con differenti attitudini a lasciarsi persuadere:
1 Le persone ostili nei confronti della gente che incontrano nella vita di tutti i
giorni risultano estranee ad ogni forma di persuasione
8
AAKER e MYERS, Managment della pubblicità, F. Angeli, Milano, 1991, pp.297-298 in A.
ZANACCHI, La pubblicità. Potere di mercato e responsabilità sociali, Lupetti, Milano 1999, p. 84
17
2 Le persone che saltuariamente dimostrano atteggiamenti sociali sono
difficilmente persuadibili, poiché sono persone indifferenti a ciò che le
circonda e, in genere, solitarie
3 Le persone che dimostrano forte immaginazione e risposte empatiche alle
rappresentazioni simboliche sono più predisposte alla persuasione
4 Le persone che nutrono poca stima di sé (di solito inibite socialmente e con
tendenze depressive) sono predisposte ad essere più facilmente
influenzabili; inoltre tendono ad essere consenzienti verso qualsiasi fonte di
pressione sociale
5 Le persone con un carattere tendenzialmente estroverso sono più inclini ad
essere persuase più di quanto non lo siano gli introversi
Infine si ritiene doveroso fare un accenno ad un importante fenomeno che ha un
ruolo molto decisivo per la comprensione delle relazioni esistenti tra atteggiamenti e
comportamenti: la dissonanza cognitiva. Teorizzata da Leon Festinger nel 1973, essa
si basa sul fatto che l’agire umano è la risultante della dissonanza tra due dati cognitivi:
coscenze, opinioni e atteggiamenti di un individuo da una parte e qualsiasi altra
informazione con cui egli entra in contatto dall’altra. La dissonanza ha luogo quando
due elementi cognitivi si scontrano, e provoca un disagio che l’individuo tende a
ridurre, per conservare una certa condizione di equilibrio tra i vari elementi cognitivi.
Ecco quindi che la pubblicità, dal momento che tende ad influenzare atteggiamenti su
cui operano normalmente fattori abitudinari , “in una situazione di più o meno forte
tensione concorrenziale, deve continuamente operare per ridurre situazioni di
dissonanza
9
”.
L’individuo, per ridurre la dissonanza, può modificare i propri atteggiamenti,
escludere l’informazione dissonante, includere altre informazioni in grado di rinforzare
uno dei due elementi di contrasto o, infine, selezionare o ricordare solamente gli
elementi che sostengono una propria scelta.
9
A. ZANACCHI, La pubblicità. Potere di mercato e responsabilità sociali, Lupetti, Milano 1999, p. 79
18
1.2.3 Persuasione, suggestione e manipolazione
Prima di procedere oltre, è opportuno soffermarsi sulla precisazione di alcuni
termini, fondamentali per la comprensione di qualsivoglia discorso sulla pubblicità.
La persuasione, come affermato nel paragrafo 1.2.1, si può definire come
un’azione volta intenzionalmente ad agire sui contenuti mentali e sulle dinamiche
comportamentali degli individui cui i messaggi persuasivi sono rivolti. In realtà è un
termine che nella nostra cultura possiede una connotazione negativa. Tale
connotazione, ci è stata tramandata dall’antichità: la persuasione era allora parte
integrante della retorica, e “dava all’oratore il potere di rendere cattivo il buono e
buono il cattivo
10
”. Questo termine ha rafforzato la propria negatività nelle società
moderne, ovvero nelle società di massa, in cui la politica spesso si serve della
propaganda per conquistare l’opinione pubblica (è doveroso ricordare che la
propaganda, intesa come manipolazione, fu utilizzata in modo spregiudicato dai regimi
totalitari nella prima metà del XX secolo).
La persuasione, possiamo affermare, può concretizzarsi in una vasta serie di
situazioni, che si collocano tra due estremi: da una parte le forme di comunicazione che
tendono a privilegiare i fattori razionali, senza far leva sul piano dei sentimenti,
dall’altra quelle che cercano di privare gli individui della loro capacità di riflettere e di
agire in conformità ad essa (in questi casi si parla di suggestione). Alcuni studiosi
hanno affermato che nel momento in cui un atto di persuasione assomiglia a tal punto
ad un atto di costrizione da far sorgere dei dubbi circa la sua natura, lo si può già
considerare una forma di costrizione, in quanto sospetto.
Ritornando al concetto di persuasione possiamo affermare che, in generale “si può
ritenere che la persuasione sia lecita quando non si trasformi in suggestione,
intendendo questo termine nel suo significato deteriore, cioè come la forza usata per
togliere consapevolezza, aggirando il controllo della coscienza, e per imporre una
accettazione totalmente acritica di determinate scelte precostituite (il termine deriva
dal latino suggerere, che significa non solo suggerire, ma anche sottoporre,
10
J.N.KAPFERER, Le vie della persuasione: l’influenza dei media e della pubblicità sul
comportamento, ERI, 1982, Torino, p.23, in A. ZANACCHI, La pubblicità. Potere di mercato e
responsabilità sociali, Lupetti, Milano 1999, p. 57