2
come quotidiano secondario, al suo imporsi in qualità di organo semi ufficiale del governo,
ci permette di scoprire quanto la cultura e i giornalisti che a questa si dedicavano fossero
considerati importanti da una testata che voleva espandere il suo mercato e la sua influenza.
Infatti, quando Maupassant elenca le nuove assunzioni compiute dal direttore, non manca di
citare una serie di esperti di cultura e, esplicitamente, un critico teatrale. Ciò dà la
dimensione di come, già prima della nascita della terza pagina, si riconoscesse il ruolo
fondamentale della recensione teatrale, caratteristica che rimarrà tipica di tutto il Novecento,
se è vero, come c’informano i manuali, che la nobilitazione di una testata avveniva sempre
anche tramite una maggiore attenzione alla cultura e ai suoi esperti.
Anche se questi eventi sono solo frutto della fantasia di Maupassant, di certo egli non li
aveva creati dal nulla, ma si erano formati nella sua mente grazie a esperienze vissute in un
ambiente culturale da cui aveva tratto la consapevolezza di quale fosse il peso della
letteratura nell’ambito giornalistico.
Allo stesso modo, l’autore francese non manca di sottolineare un altro argomento per noi
fondamentale: quando Charles Forestier, l’amico, ex commilitone, del protagonista che gli
ha procurato lavoro al giornale, presenta i redattori de La Vie Française al futuro Bel-Ami
(questo è solo un soprannome che gli verrà attribuito più avanti da una sua amante) non
dimentica di porre l’accento sul fatto che il poeta, Norbert de Varenne, sia fra i più pagati
della redazione. È ovvio che per noi questo indica ancora una volta l’importanza che la
testata, e chi la dirigeva, affidava alla cultura e quindi gli investimenti che era disposta a fare
su di essa.
Ma non è tutto: in quello stesso passo, Forestier fa anche menzione alla brevità dei pezzi
scritti dal poeta per il giornale. Pur coscienti del fatto che qui si parli di poesie e non di veri e
propri articoli, non possiamo non approfittare dell’occasione per ricordare una delle
caratteristiche tipiche del giornalismo culturale, la brevità appunto. Come vedremo trattando
3
il Novecento, quest’aspetto sarà sempre pregio e vizio degli articoli di terza pagina: farà di
loro pezzi molto letti, ma gli attirerà anche critiche da parte di intellettuali indignati.
Funzionale a quest’analisi ci sembra anche il favore che l’autore sembra rivolgere al poeta,
infatti, dopo un‘iniziale diffidenza nei confronti di Duroy, nuovo arrivato, Varenne sembra
essere il più genuino fra i dipendenti del giornale, il poeta malinconico e vecchio, vicino alla
morte che lo spaventa e che gli procura la stessa angosciosa sensazione che accompagnava
Maupassant, giovane ma gravemente malato sin dall’infanzia e quindi tormentato dalla
possibilità della fine imminente..
Quest’analisi di Bel-Ami non ha la pretesa di rappresentare un quadro esaustivo delle origini
della terza pagina, anche perché l’autore, scrivendo pressappoco negli anni della narrazione,
non aveva nessun intento di divulgazione storica. Di sicuro però, fra le sue intenzioni c’era
quella di descrivere un ambiente, di evidenziarne in particolar modo i vizi e i privilegi.
In merito a questi ultimi, notiamo che in più parti del testo si fa riferimento ai vantaggi di
cui godevano i giornalisti, vantaggi fra cui compare la confidenza concessa da certe attrici
teatrali che temevano i commenti dei critici sul giornale, il che ci fornisce lo spunto per
evidenziare un'altra caratteristica interessante per la nostra ricerca: l’influenza che la critica
culturale ha dà sempre rivestito sull’opinione pubblica. Spesso ha creato un evento, più che
commentarlo, le recensioni teatrali hanno spinto il pubblico a vedere una certa opera o a
starne lontano. Questa tendenza non è appunto un fenomeno nato con il giornalismo
moderno, al contrario nasce con la stampa stessa: il critico è amato o odiato, ma comunque
temuto, il suo giudizio è da sempre tenuto in grande considerazione, sia dal pubblico che
dagli artisti.
Nel cuore di questo nostro lavoro, avremo modo di analizzare degli esempi autorevoli di
questo rapporto, in particolar modo parlando di Renato Simoni che per molti aspetti incarna
decisamente la figura mitica del critico teatrale.
4
1.2 La nascita della terza pagina
1.2.1 Il “Giornale d’Italia”
È la storia stessa a suggerirci di partire dalla nascita della terza pagina per occuparci di
giornalismo teatrale, infatti, al di là delle altre ipotesi avanzate, che riferiremo più avanti, gli
studiosi sono oggi concordi nel far coincidere questo evento con la prima rappresentazione a
Roma, al teatro Costanzi, della Francesca da Rimini e con lo spazio che “il Giornale
d’Italia” le dedicò.
Era il 9 dicembre 1901 quando Alberto Bergamini concepì quest’idea e il nostro paese si
trovava in un momento che lo stesso direttore del quotidiano romano, dove era approdato
dopo cinque anni al “Corriere della Sera” (al quale lo stesso Luigi Albertini l’aveva voluto)
3
definisce, più di cinquant’anni dopo, come la belle époque d’Italia
4
.
Il Bel Paese era infatti tranquillo, non ancora turbato da guerre o scioperi, la popolazione si
dimostrava interessata ad ogni fenomeno culturale e Bergamini vede proprio in questa
particolare condizione l’humus che ha permesso, anzi innescato, il sorgere della Terza.
Il direttore, poi auto consacratosi, magari anche a merito, inventore indiscusso dell’idea di
far confluire il giornalismo culturale in una sola pagina, racconta
5
di aver intuito che in
quegl’anni, un evento tanto discusso quanto il nuovo lavoro di D’annunzio, con protagonista
l’attrice più affermata di quel periodo, Eleonora Duse, suscitava certo nel pubblico lo stesso
interesse degli eventi di cronaca, di politica o di economia, cosi egli mobilitò la sua
redazione perché alla Francesca potessero essere riservati lo spazio e le cure necessari. Agli
articoli fu dedicata un’intera pagina, la terza appunto, e quel giorno, un mercoledì, il
quotidiano uscì con sei pagine, come la domenica, anziché le consuete quattro dei giorni
3
Gaetano Afeltra, Corriere primo amore. Bompiani, Milano 1984
4
Alberto Bergamini, Nascita della terza pagina. In Nuova antologia, Novembre 1995.
5
Cfr nota 4
5
feriali. Prima di quest’evento, lo spazio dedicato alla cultura era circa una colonna in terza o
di risvolto tra seconda e terza
6
. È importante per i risultati di questo lavoro notare che questo
spazio era molto spesso dedicato al teatro, anzi è possibile affermare che questa presenza
rispetto agli altri campi della cultura fosse di certo predominante.
Seguendo la stroria della Francesca sul “Giornale d’Italia ci si accorge che il 9 dicembre
appare già un articolo riguardo ad una scena di battaglia che fa parte dell’opera dannunziana.
Il giornalista (Tom.) riporta l’intervista realizzata da un redattore del quotidiano al poeta
7
,
fenomeno non strano data la propensione di quest’ultimo a gestire gli articoli che lo
riguardavano e a presentarsi direttamente sui giornali, così da poter avere un certo controllo
sulle notizie che lo riguardano. D’annunzio è stato più volte definito critico di sé stesso
proprio in quest’accezione. Sue interviste compaiono sulla stampa internazionale dal 1883 al
1938 e, dal 1903 al 1910, è gara sui quotidiani italiani e francesi per annunciare in anteprima
le sue nuove opere; egli contribuisce a questo vociferare spargendo notizie, scrivendo lettere
alle redazioni, in modo da far parlare sempre di sé, fu quindi certamente geniale nel
procurarsi ciò che oggi chiamiamo pubblicità
8
.
Il “Giornale d’Italia” partecipò di certo a questa lotta tra organi d’informazione e Bergamini
capì l’importanza, all’interno di essa, di aggiudicarsi la prima recensione della nuova
tragedia dell’autore e di sfruttare al massimo il momento con un articolo il più possibile
completo.
Inoltre “Il Giornale d’Italia” era nato solo alla metà del mese precedente, aveva quindi
bisogno di farsi notare, di avvicinare i lettori, mostrandosi attento ai gusti degli italiani che
6
Queste informazioni ed ogni altra relativa a fatti riguardanti tale argomento, salvo diversa nota, sono
reperibili consultando “il Giornale d’Italia” del 10/11 dicembre 1901 e, nel caso, confrontandolo con gli altri
numeri degli anni 1901 e 1902.
7
Anticipiamo qui in nota che lo stesso colloquio era già servito da spunto per un articolo del “Corriere della
Sera” nell’edizione 3/4 dicembre 1901.
8
Centro nazionale di studi dannunziani. D’Annunzio e la critica. Pescara – Penne, 1990.
6
avevano gli strumenti necessari, l’alfabetizzazione in primo luogo, per accostarsi ad un
quotidiano.
Bergamini si affidò a quattro suoi redattori, puntando sulle caratteristiche professionali di
ognuno:
ξ Diego Angeli si occupò della scena e dell’ambiente (LA SCENA);
ξ Nicola d’Asti scrisse una breve nota sulla musica (LA MUSICA);
ξ Domenico Oliva curò un’accurata analisi critica della tragedia (LA TRAGEDIA);
ξ Eugenio Checchi stese un’arguta cronaca “IN PLATEA E FUORI ”, ricca di
biasimi e laudi, giacché la serata si dimostrò abbastanza burrascosa da fornirgli
parecchio materiale
9
.
Come sarà possibile comprendere sempre più particolarmente approfondendo il nostro
lavoro, queste quattro diverse analisi rappresentano la summa di quella che sarà una
recensione teatrale classica da terza pagina. Fatta eccezione della parte scritta da Nicola
D’Asti, che si occupa delle musica e la cui presenza di conseguenza rimane estremamente
legata ad essa. Al contrario il primo punto non potrà mai mancare, rappresentando l’analisi
della messinscena, il terzo parlerà invece sempre dell’opera al di là della realizzazione e
l’ultimo della risposta del pubblico solo che sarà di norma un unico giornalista ad occuparsi
di tutto e difficilmente avrà a disposizione un’intera pagina..
Nel caso della Francesca da Rimini gli spettatori ammirarono l’ambiente, l’atmosfera e il
“modo” duecentesco, in pratica alle platee piacque, ma la critica giudicò le figure dei due
protagonisti “mal disegnate e forse mal concepite”
10
, il che vale a dire che già più di un
secolo fa, come oggi spesso accade, non sempre vi era accordo fra il giudizio del “grande”
pubblico e quello dei giornalisti.
9
Cfr nota 4
10
Silvio D’Amico, Storia del teatro. Vol. IV. Garzanti, Milano, 1974.
7
I critici di oggi ritengono però che in realtà la messinscena non affascinò neanche il
pubblico, ma che, essendo considerato D’Annunzio un intoccabile, questo giudizio negativo
venne limato parecchio da coloro che lo riportarono sui giornali. Nell’ultimo capitolo
11
il
professor Andrea Bisicchia ci parlerà più dettagliatamente di questa rappresentazione e del
rapporto fra certi critici e gli autori.
Vi è anche un motivo di diverso ordine per il quale oggi si considera questa terza pagina
come la genesi del genere: è proprio per lo storico articolo che fu usato eccezionalmente
l’elzevir per il pezzo del critico teatrale. La scelta dipese dal fatto che questo carattere è
particolarmente elegante e leggibile: ordinato dagli Elzevier, famiglia di tipografi olandesi
che esercitarono fra il millecinquecento e il millesettecento, fu inciso da Christoffel Van
Dick, che lo creò imitando i caratteri delle più antiche tipografie italiane
12
. Nella terza
storica, il termine elzeviro è passato a indicare il pezzo stesso, quello di apertura, di due
colonne, ma spesso meno
13
, per il quale non si è affatto sempre usato il carattere in questione
e che di certo non si usa più oggi. Il fatto però che il termine sia rimasto ci porta ancora una
volta a notare l’influenza che le scelte di Bergamini ebbero sulla storia del giornalismo. Ma,
l’undici dicembre 1901, questa facciata non fu il solo spazio dedicato dal “Giornale d’Italia”
alla Francesca da Rimini: già in prima pagina, sotto la dicitura Note, compare un’intera
colonna dedicata ai decoratori della scena, articolo che poteva anche richiamare l’attenzione
del lettore e incuriosirlo riguardo all’argomento che era poi trattato in maniera molto
dettagliata all’interno.
Se riportiamo anche questo dato è per sottolineare che le attenzioni dedicate dal quotidiano
romano a questa rappresentazione sembrano sufficienti a spiegare perché esso sia
considerato la culla della terza pagina.
11
Cap. 7.
12
Beppe Benvenuto, Elzeviro. Sellerio editore, Palermo 2002
13
Cfr. nota precedente.
8
Non risulta comunque sufficiente l’analisi di un solo quotidiano per comprendere la nascita
di un fenomeno che tanto ha condizionato il giornalismo dell’ultimo secolo, l’analisi di altre
testate servirà a comprendere meglio la genesi di un genere.
1.2.2 Il “Corriere della Sera”
Il quotidiano milanese aveva già da sempre l’abitudine di dedicare uno spazio, anche se
esiguo, in terza alla cultura - Note artistiche - che nella maggior parte dei casi riguarda le
scene - Corriere teatrale. È proprio in questa rubrica che nell’edizione del 3/4 dicembre è
riportata l’intervista rilasciata da D’Annunzio al “Giornale d’Italia”; l’articolo riguarda in
particolar modo la decorazione della scena e i costumi. Anche il giorno7 di quel mese, nello
stesso spazio, compare un pezzo di poche righe dedicato alle prove della Francesca.
Finalmente l’opera va in scena e l’articolo La Francesca da Rimini di Gabriele D’Annunzio
– al teatro Costanzi compare sul “Corriere”
14
, occupandone tre colonne a pagina intera fra la
terza e la quarta, dunque non molto meno del “Giornale d’Italia”. In più va considerato che,
dato il protrarsi della rappresentazione fino a notte fonda, il telegramma relativo al terzo atto
non arrivò in tempo per la stampa in Galleria Vittorio Emanuele (sede del quotidiano
lombardo dalla fondazione, solo dal 1904 gli uffici si trasferiranno in Via Solferino
15
) e fu
recensito dal giornale soltanto il giorno dopo.
Lo spazio dedicato dai due giornali all’evento non sembra di per sé giustificare l’abitudine
degli studiosi ad attribuire a quello romano l’invenzione della terza pagina come oggi la
pensiamo, considerando anche che la rappresentazione si svolgeva nella capitale, città del
quotidiano di Bergamini, ed era dunque naturale che il direttore vi attribuisse un particolare
spessore.
14
In questo paragrafo con il termine “Corriere” ci riferiamo sempre al “Corriere della Sera” di Milano.
15
Renata Broggini. Eugenio Balzan 1874/1953 – Una vita per il “Corriere”, un progetto per l’umanità.
Rizzoli, 2001.
9
Come si spiega dunque la tendenza degli intellettuali rispetto all’attribuzione di paternità
della Terza?
Senza dubbio conta molto l’opera di auto consacrazione che fece lo stesso Bergamini. Come
ricordato poc'anzi, “Il Giornale d’Italia” era nato di recente e aveva certo bisogno di
nobilitarsi: il direttore ritenne molto vantaggioso proporsi al pubblico, nell’immediato e
ancor più con il passare degli anni, come creatore di un genere. È egli stesso a narrarci che,
dopo il successo ottenuto con gli articoli sulla Francesca, comprese la necessità di
continuare in quella direzione
16
. In realtà sfogliando il quotidiano non si ha per nulla
l’impressione che qualcosa fosse cambiato, almeno non da subito, per tutto il 1902 lo spazio
dedicato alla cultura sembra, grosso modo, lo stesso dell’anno precedente, simile per
spessore a quello degli altri quotidiani.
Ma torniamo al “Corriere”. A questa data il giornale degli Albertini
17
(che ne sarebbero stati
i maggiori azionisti fino all’avvento del fascismo
18
) poteva già vantare una solida storia e
non aveva alcun bisogno di farsi conoscere: non solo era in vendita dal 5 di marzo del 1856,
ma aveva già vinto la concorrenza degl’altri otto quotidiani che a quella data si stampavano
a Milano. Si consideri anche che, nel solo capoluogo, tra il 1959 e il ’64 erano nati e morti
altri sessanta quotidiani
19
. È un fatto che, se nel 1876 se ne distribuivano duemila copie,
vent’anni dopo questa cifra era salita a ottantacinquemila
20
. È pur vero che stiamo parlando
di una delle città italiane con il più alto tasso di alfabetizzazione
21
, ma questo non basterebbe
a spiegare l’enorme successo, che tra l’altro crebbe negli anni, tanto da far diventare “il
16
Crf nota 5.
17
Si tratta di Luigi ed Alberto (il terzo fratello, Antonio, lavorò nella testata ma non possedette mai delle
quote) , comproprietari e vicendevolmente direttori dal 1900 al 1925 del “Corriere”. Dati tratti da Come si
scrive il Corriere della Sera. A cura di Francesco Cevasco e Demetrio De Stefano. Edizione BUR in
collaborazione con la Fondazione Corriere della Sera, Milano 2003.
18
Nel 1925 Mussolini li costrinse a vendere le quote che possedevano fin dal 1900.
19
Giuseppe Farinelli, Ermanno Paccagnini, Giovanni Santambrogio e Angela Ida Villa. Storia del giornalismo
italiano. UTET, Torino, 1997.
20
Crf nota 15.
21
Crf nota 15.
10
Corriere della Sera” il quotidiano più venduto d’Italia, soprattutto se teniamo in
considerazione che, come molte altre testate, anche questa iniziò la sua avventura con
capitali insufficienti
22
ma con gli anni recuperò completamente. Potremmo citare decine di
autorevoli testimonianze riguardo al prestigio che il giornale aveva guadagnato, ma ci
limiteremo a due:
1. Gaetano Afeltra con Corriere primo amore
23
, per quanto riguarda la fama raggiunta
fra gli italiani in tutta la penisola (i racconti di infanzia si svolgono infatti ad Amalfi
ed evidenziano un grande rispetto per il giornale milanese, che pure arrivava il
giorno seguente alla stampa – siamo negli anni trenta).
2. Enzo Bettiza scrive invece Via Solferino
24
. Anche qui i racconti della giovinezza, a
cui è dedicata la prefazione, ci permettono di cogliere la fama che il “Corriere” aveva
acquisito rispetto ad un’altra fascia di pubblico, quella degli italiani di confine:
Bettiza nasce e cresce a Spalato, educato da un padre originario del bel paese che non
smette mai di provarne nostalgia né, tanto meno, di sentirsene cittadino.
È forse per questa mancata necessità di presentarsi al pubblico e di conseguenza il tiepido
interesse che l’articolo suscitò che nessuno indica il “Corriere della Sera” come inventore
della terza pagina? O perché nessuno rivendicò quel gesto come propedeutico alla nascita
della facciata di cultura, o soltanto perché il giornalista si avvalse ancora del risvolto e non
raccolse tutto il materiale su di un unico foglio ad esso esclusivamente dedicato?
Non lo sapremo mai con assoluta certezza, queste sono solo proposte e spetta all’osservatore
decidere se e quali possano essere verosimili. Per ora dobbiamo limitarci a dire che, in realtà,
non tutti i contemporanei o gli osservatori più prossimi diedero questo primato a Bergamini.
Riprendiamo per un istante il testo di Afeltra
25
. Secondo il giornalista campano, l’articolo
22
Cfr. nota 19.
23
Crf nota 3
24
Enzo Bettiza, Via Solferino – La vita del “Corriere della Sera” dal 1964 al 1974. Rizzoli, Milano 1982.
25
Crf nota 3.
11
del “Giornale d’Italia” fu solo un episodio, i veri “costruttori” (nessun termine ci sembra
tanto esplicativo quanto quello usato dallo stesso scrittore) di questo spazio esclusivo furono
i fratelli Albertini
26
nel 1905. Essi diedero alla terza pagina quella forma con la quale
storicamente la pensiamo e lo fecero prima di tutto attraverso la scelta dei collaboratori.
Il “Corriere” era sempre stato celebre per la sua capacità, da un lato di scovare nuovi talenti
in ogni angolo della penisola, dall’altro di avvalersi di collaborazioni celebri, fra le quali
quelle di noti scrittori. La capacità degli Alberini starebbe, secondo Afeltra, nell’aver
organizzato questa potenzialità in modo da dare forma ad una pagina nella quale cultura e
giornalismo si fondessero senza atriti. Così poté succedere di trovare gli scritti di Carducci,
Ada Negri, D’Annunzio, Pirandello, Grazia Deledda e di Capuana nelle stesse pagine in cui,
anni dopo, si sarebbero potuti leggere i racconti di viaggio di Moravia, Buzzati o Montanelli
e soprattutto, per quanto ci riguarda più da vicino, le recensioni di Renato Simoni o Eligio
Possenti
27
. Questi servizi da inviato speciale, sia si trattasse di resoconti di guerra che di
argute analisi su di una prima teatrale (Bocchi e Costa furono per anni corrispondenti da
Parigi
28
, seguendo fra le altre le performance itineranti del Piccolo Teatro di Milano
29
),
erano nella maggior parte dei casi autentici brani di letteratura e andavano a costituire la
spalla, cioè il grande articolo di destra accanto all’elzeviro
30
. Lo schema tradizionale della
Terza si completava con un taglio, di solito articolo di varietà o di divulgazione scientifica e
più avanti di critica letteraria minore, giacché le grandi recensioni teatrali d’autore andavano
in elzeviro.
26
Luigi Alberini (Ancona 1871 – Roma 1941), direttore del “Corriere” dal 23 maggio 1900 all’ottobre del
1921 e Alberto Alberini (Ancona 1879 – Napoli 1954), direttore dall’ottobre del 1921 al 28 novembre 1925,
periodo nel quale il fratello era gerente. Cfr. nota n. 17.
27
Gli estremi di questi grandi critici saranno dati quando se ne parlerà più specificatamente nel capitolo n. 6.
28
Cfr nota 3.
29
Gli articoli relativi (di cui riferiremo più avanti) sono reperibili direttamente sui vari numeri del “Corriere
della Sera”, anche consultando il pratico archivio stampa del Piccolo Teatro di Milano.
30
Giusto a mo’ d’esempio citiamo in nota alcuni racconti che si possono reperire sul “Corriere” del 1901: il
18/19 settembre compare l’ultima puntata del racconto Ereditiera di Enry Greville e comincia La rondine di
Rider Haggard. Le storie successive tendono ad intervallare gli episodi dell’una con quelli dell’altra.
12
Almeno inizialmente dunque, questa pagina ebbe, sul “Corriere” un carattere elitario,
affidandosi quasi esclusivamente a scrittori celebri, da cui gli Albertini pretendevano un
contratto d’assoluta esclusiva, accorgimento che permise al giornale di raggiungere un
altissimo livello e di mantenerlo negli anni.
Più avanti, anche per far fronte alle accuse di aristocrazia culturale che venivano mosse alla
direzione del giornale, anche l’elzeviro sarà aperto ai giornalisti di professione che
utilizzavano senza dubbio uno stile più semplice e immediato e dimostravano un maggior
gusto dell’attualità, risultando così maggiormente accessibili al pubblico non intellettuale.
È pur vero che l’attenzione data dai due quotidiani che stiamo analizzando alla Francesca da
Rimini non è in sé da sottovalutare, non tutti i giornali infatti reagirono allo stesso modo:
specialmente quelli con più limitata diffusione, per esempio i locali, se non facenti parte
della sfera romana, tendono a tralasciare del tutto l’evento che, è vero, si svolgeva nella
capitale, ma rappresentava una novità letteraria di portata quantomeno nazionale.
Citiamo a proposito “La Prealpina”
31
che, oltre a rappresentare bene questo tipo di
quotidiani, ci sarà utile quando arriveremo al cuore del nostro lavoro. Bene, il giornale
varesino non fa minimamente menzione dello spettacolo, cosa che però non ci stupisce
affatto poiché lo spazio di norma dedicato alla cultura è veramente esiguo e si limita
perlopiù ad eventi strettamente locali.
Ci siamo soffermati su questo punto soltanto per evidenziare che, senza dubbio, la terza
pagina non sarebbe potuta nascere su un quotidiano così poco interessato agli argomenti di
cui essa si nutre e nutre i suoi lettori. In generale motivi della diversità fra la stampa
nazionale e quella locale potrebbero occupare una lunga dissertazione ma, benché
affascinanti, esulerebbero dal nostro lavoro.
31
La Prealpina quotidiano della città di Varese, in stampa dal 1888 ad oggi.
13
Afeltra non è comunque l’unico a far risalire la nascita della terza pagina al “Corriere della
Sera”, un’altra teoria arriva infatti alle stesse conclusioni. Alcuni studiosi hanno visto in
Eugenio Torelli – Viollier
32
l’inventore del genere, portando a sostegno della loro opinione
alcuni articoli di varietà apparsi sul “Corriere”, che iniziavano sull’ultima colonna di prima
pagina per finire in seconda: i così detti pezzi di risvolto
33
. Questa consuetudine non
sembrerebbe però giustificare una simile conclusione, dato che il merito di Bergamini (o
degli Albertini) sta più che altro nell’aver dato alla pagina della cultura un’organicità
assolutamente nuova.
1.2.3 Conclusioni sulla nascita della Terza
Quelle che abbiamo fin qui citato non sono le uniche ipotesi esistenti riguardo alla nascita
della terza pagina, ma di certo le più significative, verosimili e accettate.
Certi studiosi
34
hanno visto la genesi di questo giornalismo in alcuni fogli culturali di fine
ottocento
35
, in realtà, secondo l’opinione, oltre che nostra, di Beppe Benvenuto
36
, si
tratterebbe di eventi a carattere episodico, che nulla avrebbero a che fare con la
programmaticità della terza storica.
Ma è del tutto possibile considerare la pagina di Bergamini alla stregua di quest’ultima?
Secondo Benvenuto
37
, no, perché anche la terza del “Giornale d’Italia” per la Francesca era
lontana da quella dei secoli d’oro, in particolar modo a causa dell’unicità del tema. Al
32
Eugenio Torelli – Viollier (Napoli 1842 – Milano 1900) fondò nel 1976 il “Corriere della Sera” che diresse
fino a due anni prima della scomparsa. Informazioni tratte da Enciclopedia universale Garzanti, Garzanti
editore s.p.a., 1991.
33
Franco Nassi. Il peso della carta. Giornali, sindaci e qualche altra cosa di Milano dall’unità al fascismo.
Alfa, 1966.
34
Ermanno Paccagnini, Il giornalismo dal 1860 al 1960. In Giuseppe Farinelli – Ermanno Paccagnini –
Giovanni Santambrogio – Angela Ada Villa, storia del giornalismo italiano dalle origini ai giorni nostri.
UTET, 1997.
35
Un precedente famoso è nel “Secolo” che, nel foglio datato 10 – 11 febbraio 1893, dedicò alla prima
milanese del Falstaff di Giuseppe Verdi l’intero giornale. Crf nota 30.
36
Crf nota 12.
37
Crf nota 12
14
contrario, una delle caratteristiche fondamentali della pagina di cultura che ha fatto storia è
proprio la pluralità e la varietà degli argomenti trattati. Anzi, sempre secondo Benvenuto
38
,
gli articoli di Bergamini assomiglierebbero più alla così detta attualità culturale anni
novanta.
Come abbiamo visto, dunque, è impossibile stabilire con assoluta certezza il giorno della
creazione: non si può certo dire che il direttore del “Giornale d’Italia” o quello del
“Corriere” disse “Terza” e terza fu. Ciò che è fuor di dubbio è che, intorno a quegli anni,
vide la luce una pagina destinata a godere di grande fama e ad essere, come vedremo, indice
del prestigio dei vari quotidiani. Ed è appunto tramite l’analisi del suo sviluppo che potremo
comprendere quali siano i meriti e gli errori compiuti durante la sua genesi.
38
Crf nota 12
15
1.3 Lo sviluppo della terza pagina
1.3.1 Dopo la Francesca
La terza impiegò un buon lasso di tempo per non essere più prerogativa solamente del
“Giornale d’Italia” e, anzi, in questo stesso quotidiano, conobbe alterne fortune, tanto che
per un biennio la sua sopravvivenza non fu affatto sicura e, in un primo momento, fu
relegata in altre pagine, poi, si assestò su di un livello culturale e divulgativo molto più alto,
non facilmente accessibile, tradendo così una delle prerogative che sembrava dovessero
contraddistinguerla: la capacità di avvicinare il “grande” pubblico alla cultura. Ma, come
ricorda lo stesso Bergamini
39
, è questa la fase che permette alla Terza di organizzarsi e di
trovare una forma che le sia tipica e che la distingua da ogni altro punto del giornale,
creando così un genere giornalistico nuovo.
La grande intuizione del direttore (si tenga comunque sempre presente che questi dati
arrivano dalla penna di Bergamini stesso
40
e di conseguenza possono non essere sempre del
tutto obbiettivi per quanto riguarda il grado della loro importanza) fu quella di chiamare
insieme scrittori agili, piacevoli da leggere, leggeri negli argomenti, e altri invece seri e
impegnati, obbligandoli a lasciare la torre eburnea delle cattedre universitarie e a dedicarsi al
giornalismo, forma di scrittura che molti di loro avevano sempre considerato secondaria e di
cui, solo ora e solo grazie alla nascente terza pagina, scoprivano le potenzialità. Quindi la
loro adesione non fu immediata né priva di contrasti e, per la verità, anche fra i giornalisti
c’era chi temeva la rottura dell’argine tra redazioni ed accademie.
Oggi si ritiene, e noi aderiamo a questa ipotesi, che ogni indugio fosse destinato a cadere
quando ad accettare la proposta di Bergamini fu un luminare della cultura italiana: infatti,
39
Cfr nota 4
40
Cfr nota 4