2
scelte "lessicali" ed intuizioni "sintattiche", che ha sede quella che in arte
viene definita fascinazione: "L'absorption de la conscience par le spectacle.
(...) Le mouvement imperceptible vers l'écran de tout l'être tendu"
1
. Tutti
siamo catturati dalla "fascination", ma mentre una parte di noi la pretende,
soprattutto dal cinema quale veicolo delle emozioni, l'altra la teme perché
l'appassionarsi risulterebbe di ostacolo all'obiettività dell'analisi filmica. In
questo ambito, infatti, per quelli che si assumono il compito dell'analisi del
film, "le mouvement vers l'écran" si appesantisce "d'un enju ou se parer
d'une grâce tels qu'il empêche l'irruption de la conscience critique dans
l'enchaînement des actes filmés"
2
.
In questi termini, dunque, è messo in gioco lo specifico del presente
studio: il montaggio in Hitchcock; per cui l'analisi delle unità filmiche ("les
actes filmés") è permessa grazie ad un'investigazione critica e allo stesso
tempo appassionata del loro montaggio ("l'enchaìnement"), ma compiuta
alla giusta distanza, ovvero quella "buona distanza"
3
che allontana dal
rischio, vista la sopraddetta insidia nella visione, di cogliere quelle idee di
cinema "che altro non sono che la proiezione delle proprie idee"
4
. In
definitiva, data la duplice particolarità della fascinazione, che avvicina e
allo stesso tempo allontana, al critico, la "lettura" del film, la nostra
indagine sullo stile hitchcockiano si alternerà tra cinefilia e semiologia
5
,
focalizzando, però, sulle soluzioni di montaggio in un'area limitata ad un
momento a nostro giudizio molto particolare dell'attività artistica del regista
inglese.
1
"Provoquer cette tension vers l'écran apparaît comme le project fondamental du
cinéaste". M. Mourlet, "Un art ignoré", Cahiers du Cinéma, 98, août 1959, p.31.
2
Ibidem.
3
Sulla "buona distanza" cfr. F. Casetti, F. di Chio, Analisi del film, Bompiani, Milano, 5
ed., 1994, pp.8-11.
4
G.P.
Brunetta, Il cinema di Hitchcock, Marsilio, Venezia, 1994, p.25.
5
Quindi lungi dalla filmologia baziniana, ove la tecnica è solo ausiliaria alla costituzione
dell'immagine, e più vicina alle intuizioni "sistematiche" di Arnheim sulla Gestalt.
Introduzione 3
Malgrado la bibliografia dedicata al cinema di Hitchcock sia
vastissima, o potremo anche dire vasta, considerando il carattere del
presente lavoro, tanto quanto è ampio il numero degli studi di semiologia
del cinema, i film ampiamente analizzati, per esempio dalla saggistica
francese
6
, quale maggior centro d'interesse riservato all'universo
hitchcockiano, rimangono i grandi successi (anche di pubblico) del periodo
americano, o comunque iscrivibili ad esso
7
. Escludendo infatti i convegni,
le commemorazioni e le personali dedicate al regista, poco mirata appare ad
oggi l'attenzione della critica verso i suoi film del cosiddetto periodo
inglese (1925/39). Questo, da imputare forse alla loro scarsa reperibilità, o
alla loro reputazione di opere di minor valore artistico rispetto ai capolavori
americani, non ha fatto che escludere il loro giusto e doveroso
visionnement, ovvero quel procedimento essenzialmente utile a far luce, per
esempio, sulla provenienza delle nozioni tecniche che il nostro regista ha
acquisito nel corso della sua formazione professionale.
Avendo sempre coscienza di quanto Hitchcock sia onnipresente in
ogni sua opera, e qui il discorso veramente potrebbe abbracciare ogni
connotazione si voglia trovare di epifania, vorremo altresì staccarci
dall'idea già nell'intervista di Truffaut, complice del succitato interesse
della critica, secondo la quale le capacità e il talento del regista hanno
6
A titolo di resoconto, di come e quando ha avuto inizio l'interesse della critica francese
al "fenomeno Hitchcock", vanno subito citati due articoli apparsi su L'Ecran français: G.
Dabat, "Hitchcock le sadique", 145, 6 avril 1948, e A. Bazin, "Panoramique sur Alfred
Hitchcock", 238, 23 janvier 1950. In mezzo a questi, va detto, e per la medesima rivista, ha
scritto lo stesso Hitchcock: "Technique et action", 25 janvier 1949. Il vero e proprio
interesse verso l'arte del regista inglese prende avvio però alla metà degli anni Cinquanta
con i due numeri monografici dedicategli dai Cahiers du Cinéma: 39, octobre 1954, e 62,
septembre 1956, in cui appaiono anche le prime interviste firmate, tra gli altri, da André
Bazin, Claude Chabrol e François Truffaut. I saggi in volume, editi dalle più famose case
editrici di Francia, partono dal 1956 con l'Editions du Cerf, e 1957 delle Editions
Universitaires (si tratta del famoso saggio di Rohmer e Chabrol, Hitchcock), per rinnovarsi
alla fine degli anni Sessanta: 1967,Editions de l'Herne, 1969,Seghers, e 1975,Flammarion,
a seguito del successo dell'ormai storica intervista che Truffaut fece ad Hitchcock
nell'estate del 1966 ad Hollywood (v. nota 8). Le notizie bibliografiche sono state desunte
da M. Fabbri, (a cura di), Hitchcock. Il maestro negato. Bibliografia e filmografia critica,
La Meridiana editori, Roma, 1991.
7
Va doverosamente precisato che, in ordine cronologico, i cortometraggi: Bon Voyage
(1944) e Adventure Malgache (1944), e i lungometraggi: Il peccato di lady Considine
(1949), Paura in palcoscenico (1950) e Frenzy (1972), pur rientrando nel periodo
americano, hanno avuto origine in Gran Bretagna.
4
potuto venire alla luce solo in America
8
. D’altronde, Hitchcock stesso,
proprio in occasione dell'intervista, ridimensionò i termini della questione
affermando che già nella nativa Inghilterra egli ebbe modo di affinare la
propria "sensazione del cinema", che dal lato pratico voleva dire: l'aver
messo a punto la propria tecnica e l'aver dimostrato, pur nella ristrettezza
della condizione economica, di saper organizzare bene il suo lavoro
9
.
Forti, quindi, di quanto Hitchcock ha sempre espressamente
dichiarato
(ed anche di quanto di lui si sa, grazie alla sua biografia ufficiale
curata dal Taylor
10
), sul suo stile e sui vari momenti della realizzazione dei
suoi film, l'indagine che appronteremo per la dimostrazione del nostro
assunto, non passerà attraverso la semplice analisi conoscitiva e normativa
di The Thirty-nine Steps (1935), ma si avvalerà di una sua analisi
interpretativa, decisamente più indicata a far luce sul funzionamento delle
singole sequenze di montaggio e su quello delle più complesse strutture
narrative.
Tuttavia questa indagine interpretativa, che assolverà principalmente
un lavoro di riscontro delle dichiarazioni dello stesso Hitchcock, ai fini
pratici sarà coadiuvata da due analisi più specifiche: una induttiva e l'altra
deduttiva
11
.
La prima permetterà di esaminate le soluzioni di montaggio adottate
nelle diverse sequenze del film, grazie al riconoscimento degli elementi
costitutivi del linguaggio filmico. Procederemo cioè, per mezzo delle
"sceneggiature desunte" delle sequenze, all'individuazione delle
componenti delle varie materie dell'espressione (i codici: verbale, sonoro e
iconico) e all'interpretazione delle relazioni messe in atto attraverso la loro
8
"Considerando la sua carriera con la distanza degli anni abbiamo l'impressione che le
sue capacità e il suo talento siano potuti venire completamente alla luce solo in America".
F. Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, (trad. it. di G. Ferrari e F. Pititto), Pratiche,
Parma-Lucca, 1977, p.99.
9
Ibidem, pp.99-100.
10
J. R. Taylor, Hitch, Faber and Faber, London, 1978.
11
Per gli iter di queste due analisi, abbiamo preso spunto dalle preziose indicazioni che
Bettetini fornisce in un suo studio teorico sulla semiologia del cinema. Cfr. G. Bettetini,
Produzione del senso e messa in scena, Bompiani, Milano, 1975, pp.159-161.
Introduzione 5
combinazione
12
. Con la seconda, invece, ci preoccuperemo di capire come
Hitchcock ha "tradotto", nel suo 39 Steps, gli espedienti narrativi utilizzati
da John Buchan nel suo romanzo omonimo (The thirty-nine Steps,
appunto), e come di fatto se ne sia appropriato trasformandoli in costanti
delle sue spy-stories.
Infine va aggiunto che la nostra critica sull'utilizzo di questi
espedienti narrativi si è preoccupata di non limitarsi al confronto delle
regole di costituzione del racconto tra romanzo e film, ma di proporre un
discorso generale sul rapporto tra le configurazioni della testualità letteraria
e quella filmica. Per lo studio, invece, della funzione degli schemi di
montaggio adottati nel film, si è cercato di non ricorrere al solo censimento
dei dati tecnici delle sequenze interessate (découpage sistematico), ma di
desumere i sistemi testuali delle stesse per mezzo di un lavoro di
linguaggio, di rilettura e ricerca del senso. Fuori, dunque, dagli ambiti di
una mera analisi descrittiva e nella certezza che "è necessario un approccio
produttivo, una lettura che consideri l'opera come un testo e che lo indaghi
(...) come oggetto significante (...) e ne consenta l'appropriazione
trasformativa e l'utilizzazione a livello di materiale"
13
.
Venendo all'articolazione concreta del presente lavoro, diciamo
subito che essa spazia sui diversi aspetti e momenti: dall’apprendistato alla
messa a punto di un nuovo metodo di scrittura del film, avuti luogo durante
la permanenza del regista nella nativa Inghilterra. Il primo capitolo dà un
resoconto della nascita artistica di Hitchcock, e si è già in grado di cogliere
il definirsi della sua personalità e della sua tecnica, ma soprattutto del cosa
e del come egli intende per fare del cinema. Il secondo capitolo, invece,
entra nel merito della "fabulazione della storia", ovvero dell'organizzazione
delle scelte linguistiche di Buchan e di Hitchcock, analizzate per mezzo
della messa a confronto degli elementi del contenuto delle loro opere. Nel
12
Si tratta della normale procedura per lo studio del montaggio del film: che parte
dall'individuazione delle regole generali (i codici) ed arriva alla scoperta delle varie
combinazioni di queste regole (figure di montaggio). Si vedano: C. Metz, Semiologia del
cinema, Garzanti, Milano, 1972 e P. Madron, (a cura di), L'analisi del film, Pratiche,
Parma, 1984.
6
terzo capitolo, appurate le cause e soprattutto le modalità che decretarono il
successo dei 39 Steps di Hitchcock, procederemo all'analisi
dell'organizzazione narrativa (diegesi) di quegli episodi del medesimo
ritenuti più interessanti per le particolari soluzioni di montaggio impiegate.
Per completezza concluderemo il capitolo prendendo in esame le soluzioni
di montaggio relative ai codici: sonoro e musicale per dimostrare che anche
la colonna sonora (parola, suono e musica), specialmente nei 39 Steps, è
portatrice di significazione a tal punto da veicolare elementi narrativi:
autonomi, paralleli o contrastanti al racconto per immagini. Infine, con
l'ultimo capitolo, analizzeremo come i dispositivi della narrazione originari
di Buchan siano diventati gli espedienti narrativi comuni alle spy-stories
hitchcockiane; il tutto, quindi, nell'ambito di una "lettura" del film cosciente
che la verità particolare dei 39 Steps insinua quella generale del suo genere.
E' ormai chiaro che assistere a qual si voglia racconto "messo in
immagini" da Hitchcock vuol dire goderne, ma al contempo, e fascinazione
a parte, essere irresistibilmente spinti a formulare le nostre osservazioni sul
suo contenuto
14
e più in particolare sulla sua forma. Infatti, "prendere in
esame Hitchcock", come scrive Brunetta, significa "affrontare nel modo più
ampio e articolato i problemi costitutivi del linguaggio cinematografico e
del cinema in senso lato"
15
. Così, se ci interesseremo dei sistemi di
significazione, delle ragioni stilistiche e delle scelte linguistiche adottate da
Hitchcock in ragione del modello offerto da Buchan, sarà anche un pretesto
13
G. Bettetini, Produzione del senso e messa in scena cit., p.151.
14
Relativamente alla "lettura" del contenuto, può verificarsi il caso, come spiega P. Kane
("Promenade avec l'amour et la mort", Cahiers du Cinéma, 229, p.60), che un regista (John
Huston, per il film Di pari passo con l'amore e la morte, 1969) subordini le varie
componenti narrative al messaggio, e invece di coinvolgere lo spettatore in modo attivo,
non faccia che rendere spettatori gli stessi protagonisti del racconto dando loro il compito
di attualizzare la finzione del film. Per contro, sappiamo bene che un film ("un testo")
"quale appare nella sua superficie (o manifestazione) linguistica, rappresenta una catena
di artifici espressivi che debbono essere attualizzati dallo spettatore" ("destinatario"). Lo
spettatore, all'interno del meccanismo di attualizzazione, viene sempre postulato, non in
quanto spettatore ma in quanto regista della propria competenza grammaticale e, dove
questa finisce, sottomesso alla propria emotività. cfr. U. Eco, Lector in fabula. La
cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Bombiani, Milano, 1979 (la citazione è a
p.50).
15
G.P. Brunetta, Il cinema di Hitchcock cit., p.30.
Introduzione 7
per formulare uno studio formale e cognitivo su un problema del cinema: la
tecnica del montaggio cinematografico.
NOTA
Vista la grande confusione di titoli italiani e di traduzioni letterali
assegnate ai film inglesi di Hitchcock, per comodità si è preferito citare i
suddetti film coi loro titoli originali, seguiti, tra parentesi, dall'anno della
loro edizione. Quanto alle abbreviazioni dei termini tecnici per la redazione
delle "sceneggiature desunte" delle sequenze esaminate, si rimanda al
glossario, alla fine del testo.
I. IL MONTAGGIO
SECONDO HITCHCOCK
I.1. QUANDO ALFRED SEDEVA ALLA
MOVIOLA ACCANTO AD ALMA
1
Alfred Hitchcock nasce artisticamente nel 1919 come bozzettista e
autore delle didascalie per la Famous Players-Lasky, una società
cinematografica aperta proprio lo stesso anno a Londra, dalla Paramount.
Con questo suo primo lavoro il giovane Hitchcock (appena diciottenne)
ebbe subito modo di rendersi conto delle enormi possibilità narrative che
offriva il montaggio. Capì, innanzitutto, quale importanza potevano
assumere le didascalie nel film muto che allora si produceva; intuì che se
venivano concepite e organizzate in un certo modo, avrebbero potuto anche
stravolgerne il senso e la trama.
Per Hitchcock, dunque, il lavoro di titolista significò più che un umile
inizio nel mondo del cinema. Usò proprio la sua abilità di disegnatore per
candidarsi ad un posto presso la neonata Famous Players-Lasky, e non
mancò di mettere a buon uso tale qualità artistica per arricchire i titoli e le
didascalie di allora, con una serie di accorgimenti atti a potenziarne la
funzione.
1
Le notizie biografiche che appaiono in questo capitolo sono tratte dalla biografia di
Hitchcock curata da John Russell Taylor, cit.
Il montaggio secondo Hitchcock 9
Fu infatti uno tra i primi, in Inghilterra, ad aggiungervi dei piccoli
disegni, una sorta di stilizzazioni simboliche, come mezzo per avvelocire la
loro ricezione da parte dello spettatore.
Per ogni cartello che scriveva sceglieva i formati e i caratteri
tipografici delle lettere, in modo che si conformassero alle immagini, cioè
allo scopo di mantenere una certa continuità visiva
2
.
Il lavoro di titolista impegnò Hitchcock per un periodo piuttosto breve
(1919-21), nel corso del quale non mancò di dare già piena dimostrazione
delle sue qualità intuitive e del suo talento. La smania di conoscere e di
imparare lo portarono dapprima ad entrare in contatto con la sezione
montaggio della Società, e fu qui che ricevette un primo importante
insegnamento. Entrato nel reparto montaggio il nostro giovane apprendista
fu impressionato dal "grado in cui si poteva mentire con le immagini, o
riorganizzarle e reinterpretarle in modo da dare ad esse qualunque
significato si desiderasse"
3
. Era infatti normale prassi del cinema muto,
quella di cambiare le sorti di un film, e addirittura il suo genere,
manipolandone e ridisponendone le immagini e le didascalie. In pratica, la
stessa sceneggiatura di base, rispettando la quale era stato girato il film, al
montaggio poteva essere rimessa in gioco. "Il capo montatore", ricorda
Hitchcock, "scriveva i titoli oppure riscriveva quelli della sceneggiatura
originale: perché allora, modificando i titoli narrativi, si poteva alterare
completamente il significato della sceneggiatura iniziale"
4
. Assistere a
questo "gioco" dalle innumerevoli possibilità creative, fu davvero una
grande scuola per Hitchcock, perché lo sensibilizzò, per la prima volta, sui
veri accorgimenti da tenere a mente quando si gira un film, e soprattutto
perché gli fece capire che è sempre opportuno scrivere un film partendo
2
Basta vedere uno dei suoi primi film: The Lodger (1926), per accorgersi che le
didascalie, e i cartelli "tematici" degli episodi, sono in effetti parte del tessuto visivo e
simbolico del film.
3
J.R. Taylor, Hitch cit., p.40. La traduzione in italiano di questa citazione, come delle
altre tratte da questo libro, è nostra.
4
F. Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock cit., p.27.
Capitolo 1 10
dall'idea di come dev'essere montato. Lasciate matite e pennelli, nel 1922
Hitchcock cominciò a collaborare per una nuova società, la Balcon-Saville-
Freedman, ad una serie di film di Graham Cutts
5
.
Woman to Woman (1923) fu il primo di questi film, uno fra i maggiori
successi inglesi dell'epoca, di cui Hitchcock firmò l'aiuto regia, la
sceneggiatura - un adattamento dall'omonimo testo teatrale di Michael
Morton - e la scenografia. Tuttavia, per il Nostro, aver potuto esordire così
largamente nella realizzazione di un film non costituì maggiore fortuna
dell'opportunità che invece ebbe nel conoscere la sua futura moglie: Alma
Reville.
Alma, montatrice di Woman to Woman, era una delle più apprezzate
maestranze che a quel tempo lavoravano alla Balcon-Saville-Freedman. Suo
era il montaggio di un importante film inglese quale: Il prigioniero di Zenda
(1921), e sua la collaborazione sempre al montaggio di Hearts of the World
di Griffith. Storicamente, fu la notevole maestria di Alma nel costringere le
sequenze filmate entro ritmi concisi e funzionali, che affascinò subito
Hitchcock. Proprio da lei egli prese in dote la sintesi, ovvero una delle
qualità fondamentali della sua produzione cinematografica; dai suoi gesti
così naturali rubò il segreto per concepire il film come una serie di scene
essenziali e allusive, giustapposte senza lasciar spazio ad inutili tempi morti.
In conclusione la collaborazione tra i due non rimase limitata ai soli
film di Cutts
6
, ma come sappiamo andò oltre, brillantemente oltre
7
.
5
Va detto che prima, nel 1921, Hitchcock aveva fatto un tentativo nella regia con Number
Thirteen, un film rimasto incompiuto.
6
I film di Graham Cutts in cui la coppia lavorò furono, oltre al citato Woman to Woman:
The White Shadow (1923), The Passionate Adventure (1924), The Blackguard e The
Prude's Fall (1925). Curiosità: il film in cui fu invece Cutts a lavorare per Hitchcock fu
proprio The Thirty-nine Steps. Ridotto all'inattività dalla dipendenza all'alcol, Cutts, che fu
il maggiore regista inglese dei primi anni Venti, finì per chiedere un lavoro ad Hitchcock, e
questi, decisamente in imbarazzo, trovò per lui una giornata di lavoro consistente nel girare
due primi piani di Robert Donat, il protagonista.
7
Si veda il breve profilo artistico di Alma Reville in III.2.
Il montaggio secondo Hitchcock 11
I.2. DÉCOUPAGE -MISE EN SCÈNE-
MONTAGE
Le découpage c'est le montage théorique.
C'est le film "sur le papier"
8
.
Le découpage et le montage sont'-ils les
deux aspects complémentaires d'une même
opération créatrice
9
.
Le montage, au sens technique du mot,
n'était que l'exécution, la mise au point d'un
plan minutieux: le découpage
10
.
Jean Mitry
Hitchcock ha sempre avuto un rapporto di amore e odio con il
montaggio, anzi diciamo che temeva a tal punto le enormi possibilità
creative ed estetiche che esso permetteva, da promuoverlo dall'ultimo al
primo stadio di lavorazione del film.
Sin dall'inizio della sua carriera, infatti, il timore che il carattere così
particolare delle sue storie finisse snaturato dalle mani di qualche
sprovveduto montatore, l'aveva convinto ad adottare un proprio metodo di
lavorazione. Questo metodo partiva dalla considerazione che essendo il film
8
J. Mitry, Esthétique et psychologie du cinéma, II - Les formes, Editions Universitaires,
Paris, 1965, p.19.
9
Ibidem, p.20.
10
J. Mitry, Esthétique et psychologie du cinéma, I - Les structures, Editions
Universitaires, Paris, 1963, p.283.
Capitolo 1 12
un insieme di inquadrature, il contenuto di queste, ma soprattutto la loro
successione, doveva essere studiata attentamente, prima dell'avvio delle
riprese.
In pratica, la prima operazione per la produzione del film doveva
essere quella di ragionare su carta: contenuto e messa in serie ideale delle
inquadrature, o meglio capire quale poteva essere lo "spezzettamento" in
inquadrature più funzionale per rappresentare ogni singola azione. A titolo
di esempio si potrebbe accostare tale operazione di découpage, a quello
stadio di produzione del film che Ejzenstejn chiamava "scansione filmica":
in cui la suddivisione e l'organizzazione dell'azione all'interno delle
inquadrature sono subordinate all'unità compositiva della sequenza
11
.
Appare chiaro, dunque, che per Hitchcock, come per Ejzenstejn, il lavoro di
découpage è già quello di messa in scena, quindi impraticabile, in definitiva,
ogni rimontaggio anche di una sola scena di un suo film senza staccarla
dalla funzione per la quale è stata concepita.
Si è parlato, all'inizio, delle possibilità estetiche del montaggio,
ebbene proprio grazie a una tale concezione del découpage esse riuscivano
ad essere evitate, o meglio controllate, in modo da fare del montaggio un
mezzo d'espressione avente una precisa significazione e dunque una propria
funzionalità nel testo filmico. Tuttavia, se in Hitchcock riconosciamo anche
una ricerca dell'"effet-montage" o del "simbolisme", è perché egli non li
ritiene che "être autre chose que des formes de langage (...), et non des
procédés spécifiques de costruction sur lesquels ou à partir desquels on
pourrait fonder une esthétique"
12
.
11
Per Ejzenstejn tale sistema assicura il mantenimento del senso del brano di montaggio,
e determina anche la maniera e il ritmo narrativo personale dell'autore. Cfr. S. M
Ejzenstejn, "La scansione filmica", in Forma e tecnica del film e lezioni di regia, Einaudi,
Torino, 1964, p. 421.
12
J. Mitry, Esthétique et psychologie du cinéma, II - Les formes cit., pp.39-40.
Il montaggio secondo Hitchcock 13
Per Hitchcock la prima fase di realizzazione del film è dunque la
redazione di un découpage molto accurato e preciso, da venir considerato
come il film in sé
13
.
Diciamo che più che un découpage tecnico il suo è uno story-board
14
,
in cui si offrono: non solo tutte le indicazioni tecniche per la composizione
dell'immagine filmica, vale a dire le direttive circa la posizione da assegnare
agli attori ed agli elementi della scenografia (la cosiddetta mise en scène),
ma anche le istruzioni sull'evolversi dell'azione, e quindi della recitazione,
all'interno di ogni singola inquadratura
15
. Oltre a questo, che possiamo già
definire una sostanziale organizzazione della struttura del racconto, si
costituisce lo story-board (d’ora in poi: découpage, per semplicità), banco
di prova di quegli espedienti narrativi e di quelle figure di montaggio che si
ritiene utili alla narrazione, e che il più delle volte vengono suggeriti dalle
stesse storie da cui il regista trae i suoi film.
13
Ultimata la fase di scrittura del film, anche Hitchcock, come René Clair, diceva: "Il film
è finito, non mi resta che girarlo".
"Souvenez-vous que je fais toujours les films sur le papier. (...) Et quand je commence à
tourner le film, pour moi, il est fini. Si bien fini que je souhaiterais ne pas avoir à le
tourner". F. Truffaut, C. Chabrol, “Entretien avec Alfred Hitchcock”, Cahiers du Cinéma,
44, février 1955, p.29.
14
Del fatto che Hitchcock usasse lo story-board, come pratica per la stesura del film, ne
abbiamo avuto conferma dalla relazione del prof. Stephen Mamber, UCLA, in occasione
della presentazione di un CD Rom dedicato al regista inglese (Cattolica, 6 luglio 1995,
Mystfest).
Bazin: "Est-il vrai qu'il ne regarde jamais à la camera?"
Hitchcock: "Exact. Ce travail est tout à fait inutile. Tous
le cadrages sont prévus et indiqués d'avance par
de petits dessins qui illustrent le découpage
technique".
A. Bazin, "Hitchcock contre Hitchcock", Cahiers du Cinéma, 39, octobre 1954, p.32.
15
Il metodo di concepire le scene per singole inquadrature era assolutamente nuovo nel
cinema degli anni Trenta, periodo in cui Hitchcock cominciò ad usarlo. Era decisamente
rivoluzionario rispetto al metodo hollywoodiano, tanto da imbarazzare soprattutto gli attori
che proprio da Hollywood giungevano in Inghilterra per lavorare per Hitchcock. Giusto per
fare un esempio in proposito, possiamo citare la singolare esperienza occorsa a Sylvia
Sidney sul set di Sabotage (1936): "Sylvia era abituata alla tecnica di ripresa di
Hollywood, per cui le scene erano girate intere, prima da una angolazione, poi da un'altra,
e montate successivamente. Trovò quindi opprimente l'abitudine di Hitchcock di girare
piccole parti delle scene, secondo lo schema di montaggio che egli aveva in mente, perché
si sentiva privata del controllo di quello che faceva". J.R. Taylor, Hitch cit., p.140.
Capitolo 1 14
La stesura di un découpage così formalmente tecnico, in cui nulla è
lasciato all'improvvisazione del set, è quindi da intendersi come
l'applicazione stessa delle "regole" di costituzione del film, ovvero già in sé
la traduzione in discorso del suo congegno narrativo. In ragione a questo, va
dunque abbandonata l'idea di ritenere il découpage Hitchcockiano come la
teorizzazione di un linguaggio esclusivamente strumentale, che si esaurisce
nell'effetto ottenuto
16
, e va considerato, invece, come la strumentalizzazione
del linguaggio cinematografico in vista dell'effetto da ottenere.
La convinzione che in Hitchcock le indicazioni per la messa in scena
non sono che le informazioni utili al montaggio del film, ci riporta a certe
considerazioni di Orson Welles incentrate proprio sul rapporto tra messa in
scena e montaggio.
-"Pour moi, presque tout ce qui est baptisé mise en scène est un
vaste bluff. Au cinéma, il y a très peu de gens qui soient vraiment des
metteurs en scène, et, parmi ceux-ci, il y en a très peu qui aient
jamais l'occasion de mettre en scène. La seule mise en scène d'une
réelle importance s'exerce au cours du montage. (...) Les images
elles-mêmes ne sont pas suffisantes: elles sont très importantes, mais
ne sont qu'images. L'essentiel est la durée de chaque image, ce qui
suit chaque image: c'est toute l'éloquence du cinéma que l'on
fabrique dans la salle de montage"
17
.
Ritornando a Hitchcock, e considerando l'ultima parte della
dichiarazione di Welles, possiamo dire che anche la durata delle
inquadrature, e di conseguenza il loro ritmo può essere deciso alla stesura
del découpage, ovvero in sede di ripresa.
16
Considerazione questa, tra l’altro, che interpretra i virtuosismi di Hitchcock come
eccessi ed effettismi fini a sé stessi. Cfr. F. Di Giammatteo, "Hitchcock. La luce dentro il
latte", Bianco & Nero, anno XXVIII-n.1, gennaio 1967, p.11. Ma c’è anche chi li vede
come “il prolungamento parossistico delle sue inibizioni”. Cfr. F. Savio, “Gli anni inglesi
di Hitchcock”, in Visione privata. Il film occidentale da Lumíere a Godard, Bulzoni,
Roma, 1972, p. 346.
17
A. Bazin, C. Bitsch, "Entretien avec Orson Welles", Cahiers du Cinéma, 84, juin 1958,
p.6.
Il montaggio secondo Hitchcock 15
Per Hitchcock non è mai stato un problema quello di dover demandare
al montatore la decisione sul ritmo da imprimere alle scene che egli girava.
Sappiamo infatti che una caratteristica del nostro regista consisteva nel
montare, come si dice in gergo, già "in macchina", che nel suo caso voleva
dire girare quel numero di inquadrature in cui era stata suddivisa ogni
singola azione, avendo a mente quell'idea di ritmo che gli derivava proprio
da tale suddivisione, fatta in sede di découpage
18
. Per meglio capire,
Hitchcock stabiliva la durata dell'inquadratura all'atto di ripresa, proprio
perché la metteva in relazione con la durata dell'intera sequenza di cui fa
parte, e col ritmo globale del film. Girare un film doveva quindi limitarsi ad
essere l'atto finale della sua produzione; la prassi necessaria affinché fosse
impresso il giusto ritmo alle immagini di cui si era già decisa la successione.
In conclusione, non ci rimane che ribadire sulla coincidenza tra messa
in scena e montaggio nell'unica fase impiegata da Hitchcock per la
produzione del film: il découpage. La dialettica del cinema di Hitchcock
nasce intenzionalmente (e provocatoriamente) da qui, dal sunto cioè delle
sue scelte riguardanti le strutture formali e la loro organizzazione.
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Finito lo story-board Hitchcock lo consegnava al suo operatore perché traducesse in
pellicola ciò che vi era scritto. Anzi, se ne dimenticava perché ormai ogni dettaglio del film
era già immagazzinato nella sua testa: "Je l'ai entièrement vu dans ma tête: sujet, tempo,
cadrages, dialogues, tout". F. Truffaut, C. Chabrol, “Entretien avec Alfred Hitchcock” cit.,
p. 29.