Introduzione
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costituivano, in senso politico, una straordinaria occasione
attraverso la quale gli ellenici affermavano la propria unità di
popolo, pur diviso in tanti piccoli stati, spesso in grave contrasto tra
loro.
Il fatto che durante i giochi panellenici venissero sospese
tutte le ostilità fra gli stati, pone in particolare evidenza la funzione
esercitata dallo sport sul piano istintuale. La ritualità propria delle
manifestazioni sportive costituiva, infatti, il contenitore entro il
quale le energie istintuali trovavano, grazie all'integrazione tra
aspetto ludico e competitivo, un diverso e più costruttivo canale di
scarica.
Ma lo sport per i Greci era anche culto del corpo e della forza
fisica, soggetto preferito di raffigurazione e produzione artistica,
scuola di estetica, attività formativa dell’individuo, esercizio di
coraggio e di bravura, occasione di educazione etica, preparazione
all'attività militare, momento di confronto e veicolo privilegiato nei
rapporti interpersonali,
Lo sport, insomma, era strettamente collegato alla vita
sociale, politica e religiosa, all'istintualità, alla formazione e allo
sviluppo dell'individuo, all'agire quotidiano.
Le attività del corpo, inoltre, trovavano una naturale
collocazione nell’esistenza dell’uomo e concorrevano
all’espressione individuale e culturale. La pratica sportiva
costituiva, dunque, un nesso strutturante nell’integrazione tra
mondo fisico e mentale, tra istinto e ragione, tra psiche e soma.
Introduzione
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Tale ipotetica integrazione psiche-soma è il fondamento
anche del vecchio aforisma di Giovenale <<Orandum est ut sit mens
sana in corpore sano>> (<<Prega di avere mente sana in un corpo
sano>>, Satire X, 356), aforisma che ormai da anni è finito nella
morta gora dei luoghi comuni, fino ad acquisire il senso deteriore di
dover tenere distinto il fisico dallo psichico.
A tale errata interpretazione della massima latina hanno
contribuito secoli di dicotomia mente-corpo, alimentando l'insana
idea che uno sportivo ben dotato sul piano fisico debba
necessariamente essere ipodotato sul piano intellettuale; per contro
un vero intellettuale sembra debba necessariamente essere carente
sul piano fisico, risultando atleticamente ipodotato.
Le più recenti ricerche nel campo della psicosomatica, lo
sviluppo dei concetti di stress e ansia, le ricerche nell'ambito della
neuropsicoendocrinoimmunologia, riabilitano il concetto globale
degli antichi romani, restituendo all'uomo la propria unità
psicofisiologica, dimostrando quanto sia impossibile e
metodologicamente errato scindere le due entità mente e corpo.
E’ ormai palese che un'attività psicofisica, armonizzata con le
motivazioni della personalità, può rivelarsi la chiave dell'equilibrio
psicosomatico individuale; quell'equilibrio sempre più precario
perché minacciato dalla visione tecnologica dell'uomo che, in
funzione del mito della produttività, tende a separare le attività
psicoideative da quelle psicomotorie, destinando alle seconde una
funzione meramente esecutiva.
Introduzione
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Come ormai appurato, motilità, intelligenza e affettività non
sono entità distinte ma, al contrario, aspetti diversi e strettamente
correlati della personalità. Educare separatamente fisico e psiche è
stato l’errore di quanti, partendo da una visione cartesiana
dell’uomo, hanno tenacemente tenuto separato l’intelletto (in nome
di un ipotetico primato di questo) dal vissuto corporeo e da tutte
quelle implicazioni cognitive, emotive e sociali che tale vissuto
comporta.
D'altronde le ricerche hanno ormai dimostrato in maniera
inequivocabile che esistono delle connessioni tra attività motoria,
forma fisica, benessere psicologico e salute mentale: tuttavia, non è
stato ancora appurato con ragionevole fiducia quale/i meccanismo/i
connettono tra loro questi fenomeni.
Al riguardo sono state avanzate diverse ipotesi, alcune
riconducibili ad un ambito di tipo fisiologico (es. aumento di
parametri funzionali quali la temperatura corporea, il flusso ematico
cerebrale, il massimo consumo di ossigeno e il trasporto
dell'ossigeno ai tessuti cerebrali o la riduzione nella tensione
muscolare), altre che implicano maggiormente costrutti psicologici
come, ad esempio, il senso di padronanza motoria, di competenza
percepita e di auto-efficacia, il miglioramento del concetto di Sé e
dell'autostima o l'instaurarsi di interazioni sociali positive.
Mi sembra importante, infine, accennare all’importanza e
all’utilità che, sul piano psicologico, l’attività sportiva ha nell’età
evolutiva. E' noto che, nel primo periodo della vita il gioco
Introduzione
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rappresenta un'attività fondamentale, legata allo sviluppo
intellettivo, all'apprendimento, all'educazione, alla sperimentazione
della vita emotiva e della realtà esterna, alla socializzazione. In
quest'ottica, per il bambino e per l'adolescente, il naturale rapporto
che lega lo sport allo sviluppo e all’esistenza umana, fanno
dell'attività sportiva un campo privilegiato di crescita individuale e
sociale.
Inoltre, in ragione dell'aspetto competitivo e dell'intenso
coinvolgimento della componente corporea, lo sport rappresenta un
ambito dove, più che in altri, è possibile sperimentare il rapporto
con la propria fisicità, con il mondo istintuale (in particolare
l’aggressività), e confrontarsi con i coetanei.
L’attività ludica, connessa con quella agonistica, risulta un
processo fondamentale nell’evoluzione psicologica della persona,
un potente strumento di costruzione e adattamento, un’espressione
del passaggio dall’isolamento egocentrico dell’infanzia alla
relazione sociale.
Psicologia dello Sport
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Capitolo I
PSICOLOGIA DELLO SPORT
1. Origine e cenni storici
La diffusione della “Psicologia dello Sport” ha una storia
pressoché recente: probabilmente l’evento che sancisce
ufficialmente la sua divulgazione è il primo Congresso Mondiale di
Psicologia dello Sport, tenutosi a Roma nel 1965. Nel corso di tale
congresso, (promosso dalla Federazione Italiana di Medicina
Sportiva e al quale parteciparono quasi 500 studiosi da 37 nazioni),
fu fondata l’International Society of Sport Psychology (ISSP),
tuttora la più autorevole rivista di psicologia sportiva. Da allora
questa nuova disciplina si è sviluppata in modo particolare in
Europa e Nordamerica, trovando terreno fertile nel mondo
accademico e in quello sportivo.
Gli aspetti mentali della prestazione, tuttavia, sono stati da
sempre oggetto di costante attenzione da parte di atleti ed allenatori,
prima ancora che la psicologia dello sport fosse riconosciuta
ufficialmente.
La constatazione che in gara alcuni atleti sono in grado di
ottenere risultati migliori rispetto ad altri dotati di maggior talento
fisico ha origine, infatti, molto prima degli anni ’60 (Feresin,
Zanuttini, 1998).
E’ del 1898 lo studio di Norman Triplett considerato
convenzionalmente come il primo vero esperimento scientifico
Capitolo I
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realizzato in psicologia dello sport: in quest’indagine, infatti, si
analizzavano gli effetti della presenza di altri concorrenti sulla
prestazione ciclistica (Davis, Huss, Becker, 1995).
Ma la prima vera pubblicazione a riguardo, e sicuramente una
delle più famose, è del 1900, ad opera del celebre De Coubertin che
in un articolo intitolato La Psicologia Dello Sport ! ! ha sentito la
necessità di proiettare sullo sport la “luce della psicologia”; ed al
quale fece seguire, nel 1913, alcuni saggi di psicologia sportiva.
Da allora bisogna attendere diversi decenni per assistere
all’esplosione delle importanti pubblicazioni specifiche che hanno
caratterizzato la seconda metà del secolo.
Inizialmente, infatti, pur essendo riconosciuta l’importante
relazione fra stati mentali e prestazione, la preparazione mentale
nello sport fu trascurata per mancanza di conoscenze specifiche, o
per l’erronea convinzione che tali abilità mentali fossero innate.
Nel corso degli anni, però, l’analisi più approfondita delle
tematiche ed i risultati della ricerca sperimentale hanno modificato
la situazione: gli sforzi iniziali volti a verificare teorie e costrutti
relativi a personalità, motivazioni, relazioni sociali, stati di
attivazione, ecc. non hanno spesso prodotto i risultati desiderati, in
quanto derivati da concezioni generali inadeguate a spiegare il
comportamento sportivo (Vealey, 1992).
Si è quindi manifestata l’esigenza di sviluppare teorie
attinenti al mondo sportivo reale, anche svincolate dall’ambito
spesso artificiale del laboratorio. Soprattutto è apparso evidente che
Psicologia dello Sport
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le abilità mentali, similmente alle motorie, possono essere apprese,
sviluppate e perfezionate (Cei, 1987).
Molti atleti ed allenatori hanno riconosciuto che gran parte
del successo nello sport è dovuto a fattori psichici; più alto è il
livello di abilità richiesto e maggiore importanza assumono gli
aspetti mentali (Most 1983).
Per rispondere alle richieste di un qualsiasi sport, l’atleta deve
dunque sviluppare, accanto alle specifiche capacità motorie,
particolari abilità mentali, come quelle necessarie per affrontare lo
stress elevato della gara o controllare pensieri distraenti.
Oggi la psicologia dello sport, pur essendo una branca
giovane della psicologia, ha una propria identità, e si sta
sviluppando ulteriormente, catturando l’interesse di molti (psicologi
e non), che lavorano nell’ambito dello sport.
Alcuni dati confermano quest’interesse:
- Negli ultimi anni un numero crescente di squadre nazionali
si è avvalso del lavoro degli psicologi dello sport e alcuni di esse
hanno partecipato ai più importanti eventi sportivi (giochi olimpici,
campionati del mondo ed europei).
- Nei corsi per allenatori federali, vengono dedicati spazi
significativamente ampi alla psicologia dello sport e ad altri
insegnamenti dell’ambito delle scienze sociali, come ad esempio la
metodologia dell’insegnamento sportivo.