- Prefazione -
IV
all’interno della quale venivano denunciati i danni generati
dall’impetuosa crescita economica e contemporaneamente venivano
proposti svariati progetti tesi al contenimento di tali danni nonché al
ripristino delle condizioni naturali originarie. In questa direzione
appare estremamente significativa nel 1972 la pubblicazione de “I
limiti dello sviluppo” (Rapporto del System Dinamic Group
Massachusetts Institute of Technology per il progetto del Club di
Roma sui dilemmi dell’umanità), il primo esempio di
rappresentazione dell’ambiente nel mondo tramite un’applicazione
della teoria dei sistemi. Tale rappresentazione mette in evidenza, tra
l’altro, ciò che Malthus e Ricardo avevano gia mostrato circa un
secolo e mezzo prima nelle proprie teorie economiche relativamente
ai concetti di scarsità assoluta e relativa delle risorse naturali.
Guardandoci intorno, nessuno di noi ha l’impressione di aver
già superato i limiti, ma non è sufficiente basarsi solamente sulle
impressioni. Lester Brown, fondatore del Worldwatch Institute,
introduce “Il 29° giorno” (un suo libro del 1980) con una storiella:
“…c’è uno stagno in cui cresce una ninfea; ogni giorno la pianta si riproduce
raddoppiando lo spazio che occupa. Dopo ventinove giorni le ninfee hanno
coperto metà dello stagno; apparentemente lo spazio a disposizione è ancora
molto, ma non è così: basterà un solo giorno per coprire interamente lo stagno
e per dare inizio alla sua morte biologica…”.
Questo è il problema della crescita esponenziale: non sempre si ha
la percezione della rapidità con cui i fenomeni si sviluppano e una
volta percepita è tardi per intervenire. E pensare che al ventunesimo
giorno le ninfee coprivano solo 1/512 dello stagno: si poteva fare
qualcosa, ma è mancata la capacità di comprendere la gravità della
- Prefazione -
V
situazione. La realtà è che il problema ambientale esiste, ma ha il
grave difetto di presentarsi in termini meno ovvi rispetto ad altre
grandi questioni sociali, come ad esempio la criminalità o la
disoccupazione.
Nei fatti molte delle previsioni del MIT si rivelarono poi
sbagliate. I fenomeni studiati (l’esaurimento delle risorse,
l’inquinamento, il degrado urbano, l’instabilità economica, il
terrorismo, la microcriminalità, il razzismo, ecc.) ebbero
un’evoluzione diversa da quella ipotizzata e non è così scontato
affermare che ciò è dipeso soprattutto dalla carenza di mezzi
informatici e dall’inaspettata evoluzione della tecnologia; infatti se
analizziamo la questione più da vicino si può notare come
l’incredibile progresso tecnologico non abbia fatto altro che
confermare i punti-cardine della teoria sui limiti dello sviluppo.
Non vi è dubbio che lo sviluppo tecnologico abbia contribuito
notevolmente al miglioramento dell’efficienza, ma ciò che viene
spesso sottovalutato è il cosiddetto rebound, ossia l’effetto di
ritorno. Un esempio servirà a chiarirlo: i motori degli autoveicoli
moderni sono nettamente più efficienti di quelli del passato ed è un
dato oggettivo l’abbassamento del loro tasso di inquinamento e di
utilizzo energetico, ma il numero delle auto circolanti in valore
assoluto è aumentato in maniera tale da minimizzare i progressi
realizzati nel campo della tutela ambientale. Ecco perché in linea di
principio l’intuizione che fa da fondamento alla teoria dei limiti
dello sviluppo mantiene ancor oggi intatta la propria validità.
Gli attuali orientamenti in campo ambientale lasciano
presagire importanti progressi sul fronte della tutela ambientale, ma
il progresso più importante che l’umanità intera possa fare a
- Prefazione -
VI
riguardo è quello di non dimenticare ciò che è accaduto in passato
per prevenirlo nel futuro. La difesa dell’ambiente ha fatto e sta
facendo tuttora troppo spesso i conti con l’economia, intendendo
con questa espressione il contrasto che si genera tra la difesa del
patrimonio naturale e quella del patrimonio di particolari categorie
di stakeholders (portatori di interessi) che, perseguendo il lucro
come fine principale della loro attività economica, si interessano
scarsamente (o nella peggiore delle ipotesi si disinteressano
totalmente) delle conseguenze ambientali e dunque sociali che ne
possono derivare. L’emergenza-ambiente è un tema così delicato
che è stato accolto a braccia aperte anche da Amnesty International,
l’organizzazione internazionale per la difesa dei diritti umani.
Perché tale connubio? Forse perché qualcuno trova scomodo parlare
di diritti ambientali e ciò va a ripercuotersi sui diritti umani. Uno
dei casi più emblematici di tale realtà è probabilmente quello di
Alexander Nikitin, un giornalista russo finito in prigione per aver
pubblicato un articolo di denuncia sugli inquinamenti provocati dai
sottomarini nucleari russi. Nikitin è stato poi liberato grazie
all’intervento congiunto di Amnesty International, W.W.F.,
Legambiente e Greenpeace. Tutto ciò a testimonianza del fatto che
il mondo non andrebbe ripulito solo dagli impatti ambientali che
produciamo con le nostre attività.
Tra i mali ambientali che affliggono il nostro pianeta, il
presente lavoro volge l’attenzione verso l’inquinamento del suolo e
in particolare verso le complessità generate dalle reti locali di
smaltimento dei rifiuti. La prima parte è stata doverosamente
dedicata all’illustrazione generica dei cambiamenti che negli ultimi
trent’anni hanno contribuito alla nascita di una consapevolezza
- Prefazione -
VII
ambientale diffusa in tutti gli strati delle popolazioni del mondo e
stanno contribuendo all’evoluzione dell’ambiente da semplice
“patrimonio da difendere” a “variabile strategica” fondamentale
della gestione, a “forza motrice” della competitività aziendale; verrà
dunque visto come i nuovi orientamenti comportamentali stiano
promuovendo la progressiva diffusione di “sistemi di gestione
aziendale” che garantiscano risultati significativi sul fronte della
“prevenzione” dell’impatto ambientale. Non bisogna però
trascurare i danni ambientali consolidati, ovvero quei danni che
ancora necessitano nel presente (e probabilmente necessiteranno nel
futuro) di cure “consuntive” e la seconda parte del lavoro va ad
esaminare, tra i numerosi danni consolidati, quello
dell’inquinamento del suolo attraverso l’analisi del concetto di
rifiuto e di alcune delle problematiche più rilevanti ad esso
connesse, con un costante riferimento all’apparato normativo
vigente. La terza parte del lavoro, come giusto proseguimento della
seconda, prende in esame il sistema di gestione dei rifiuti urbani da
un punto di vista reale: dalla difficoltà di smantellamento delle
discariche all’individuazione degli Ambiti Territoriali Ottimali
(ATO) necessari per l’ottimizzazione dei sistemi di smaltimento; a
tal proposito vengono analizzate e comparate due realtà locali
concrete: la Provincia di Terni e la Provincia di Viterbo. La quarta
ed ultima parte è riservata ad una serie di considerazioni conclusive
sulla “Waste Minimization”, ovvero su quel complesso di azioni
che preventivamente o consuntivamente possono essere esercitate
per ridurre il quantitativo di rifiuti da smaltire, e sul ruolo delle
pubbliche amministrazioni nel contribuire a limitare l’impatto
ambientale delle attività produttive.
Capitolo 1
L’ECOSISTEMA
ECONOMICO
1.1 Definizioni
L’economia moderna produce ogni giorno realtà sempre più
complesse tanto da rendere necessaria la creazione di un numero
spropositato di nuove terminologie che siano in grado di descriverle
in modo sintetico ed efficace. Tale copiosa produzione di termini
porta con se inevitabili conseguenze: sommerge gli utenti di nuove
parole spesso incompatibili con le vecchie e concentra
eccessivamente l’attenzione degli stessi sulla specificità del termine
perdendone così il significato di più ampia portata. Sembra dunque
doveroso in primo luogo “tornare alle radici” e ridare freschezza ad
alcune definizioni fondamentali.
Il termine “ambiente” può genericamente essere inteso come
tutto ciò che circonda il singolo individuo o una comunità di
persone. Da un punto di vista tecnico-scientifico, l’ambiente può
invece essere inteso come l’insieme delle condizioni fisiche,
chimiche e biologiche in cui si può svolgere la vita di comunità di
organismi viventi (umani, animali, vegetali, microrganismi).
Nell’ambiente, oltre agli organismi appena menzionati, troviamo
anche elementi abiotici (ossia non viventi: energia, aria, acqua,
- L’ecosistema economico -
2
minerali, ecc.). Ogni ambiente può avere caratteristiche peculiari
che lo contraddistinguono da altri: il complesso dei vari ambienti
costituisce la biosfera.
Così esemplificata, tale definizione rappresenta l’ambiente
come un “insieme di elementi puro e semplice”, una
rappresentazione sostanzialmente statica che ignora le possibili
interazioni verificabili sia all’interno di un medesimo ambiente, sia
tra ambienti diversi. Nella realtà questo insieme di elementi è
aperto, dotato di meccanismi di autoregolazione e capace di
raggiungere e mantenere equilibri stabili; dunque un “insieme di
elementi complesso”; questa rappresentazione ci permette di
introdurre in materia ambientale il concetto di sistema con le sue
componenti essenziali:
- l’interdipendenza reciproca degli elementi che lo
compongono;
- le interazioni tra strutture appartenenti a sistemi diversi;
- i meccanismi di retro-azione (feed-back), attraverso i quali il
mutamento di un qualsiasi elemento del sistema va a
ripercuotersi, con dimensioni/senso/intensità diversi, su tutti
gli altri elementi.
L’unione dell’ecologia (ovvero della scienza che studia i
rapporti esistenti tra i diversi ambienti e gli organismi in essi
viventi) al recente orientamento ambientale verso la teoria dei
sistemi ci consente di individuare un termine al giorno d’oggi assai
diffuso: ecosistema, ovvero il sistema ecologico, una definizione (e
non un sinonimo) di ambiente in senso dinamico. Più precisamente
la dottrina prevalente predilige distinguere l’ecosistema in due
sottoinsiemi:
- L’ecosistema economico -
3
- l’ecosistema naturale, ovvero una struttura che prevede
interazioni completamente naturali;
- l’ecosistema socio-economico, ovvero una struttura che
prevede interazioni tra l’ambiente naturale e l’attività
produttiva posta in essere dagli esseri umani.
I chiarimenti definitori finora visti ci hanno altresì permesso
di individuare una “terna” di vocaboli aventi il medesimo incipit
alfabetico: ecologia, ecosistema, economia. Tale identità è
riscontrabile anche da un punto di vista etimologico: tutti i termini
sono composti di due elementi (eco-logia, eco-sistema, eco-nomia)
ed hanno in comune il primo elemento (eco-: dal greco oîkos =
abitazione, dimora), ma differiscono per il secondo (-logìa: dal
greco “lógos” = parola, discorso; -sistema: dal greco “systéma –
atos” = complesso; -nomia: dal greco “nomía” = amministrare).
Ad una prima analisi etimologica è possibile riscontrare una
parziale similitudine dei termini: l’ecologia è la “scienza che studia
l’ambiente” e l’economia è la “scienza che amministra l’ambiente”.
Spostando l’attenzione dell’analisi verso i relativi “orientamenti
comportamentali” si può evidenziare una sostanziale discordanza di
significato di tali terminologie. Mentre l’orientamento ecologico
punta generalmente verso la difesa dell’ambiente, l’orientamento
economico, che prevede l’impiego razionale di denaro e altri mezzi
diretto a ottenere il massimo vantaggio col minimo sacrificio, ha
troppo spesso puntato verso la minimizzazione del sacrificio
“personale” in luogo di quello “naturale” e la prima entità che ha
subito direttamente le ripercussioni negative di questo
comportamento egoistico è stato proprio l’ecosistema e per i
meccanismi di feed-back anche l’uomo che ne fa parte.
- L’ecosistema economico -
4
Allora ci si può legittimamente chiedere come sia possibile
comportarsi in modo ecologico e contemporaneamente anche in
modo economico, come permettere la convivenza tra ecosistema ed
economia. La risposta a questo interrogativo può essere ricercata
nelle recenti evoluzioni delle relazioni uomo-ambiente, degli
obiettivi aziendali e dei modelli manageriali.
- L’ecosistema economico -
5
1.2 Evoluzioni nei rapporti con l’ecosistema
Qualsiasi epoca storica andiamo a considerare, l’uomo ha
sempre dovuto fronteggiare i problemi di sopravvivenza utilizzando
ciò che la natura ha prodotto: vale a dire che la natura è stata ed è
tuttora la principale “fornitrice di prodotti per la permanenza in vita
dell’uomo”. Sotto questo punto di vista tra l’uomo e la natura si
sono storicamente instaurate relazioni differentemente caratterizzate
che ora andremo brevemente ad analizzare.
Il rapporto uomo-ecosistema è stato inizialmente
caratterizzato da un modello comportamentale “passivo-adattivo”:
l’uomo si è adeguato all’ambiente e ciò gli ha consentito di
diffondersi su tutto il pianeta. Successivamente una serie di fattori
(l’evoluzione della specie, la dispersione delle comunità in tutto in
globo terrestre, gli aumenti demografici e il progredire dello
sviluppo e della tecnica) hanno contribuito a modificare
progressivamente tale linea comportamentale verso un
atteggiamento “attivo-modificativo”: l’uomo trasforma l’ecosistema
secondo le sue esigenze e vi introduce modificazioni tali da mutarne
i meccanismi di autoregolazione fino al punto di minacciarne la
capacità di mantenere o addirittura di ritrovare i propri equilibri.
Le interazioni appena viste possono essere reinterpretate e
concettualmente estese facendo riferimento all’uomo visto come
“persona giuridica”, come ente pubblico o privato, come persona o
gruppo di persone che perseguono identità di scopi attraverso un
corpus morale: l’azienda. Nell’analizzare il rapporto azienda-
- L’ecosistema economico -
6
ecosistema è più opportuno parlare di modelli “manageriali” [
1
]
differenziandoli didatticamente dai modelli “comportamentali” più
attinenti al rapporto uomo-ecosistema. In virtù delle diversità
culturali che si sono succedute nel tempo possiamo individuare tre
tipologie di modelli:
¾ modello “passivo”: l’azienda vede l’ambiente come un
vincolo economico/legislativo, per cui il suo obiettivo è
adeguarsi alle normative e minimizzare i costi, obiettivo
quest’ultimo solo apparente visto che nella maggior parte dei
casi le spese per il ripristino ambientale (nuovi impianti a
norma di legge, risarcimento dei danni ambientali,
smaltimento dei rifiuti, ecc.) generano nel medio-lungo
termine un notevole incremento dei costi. La cultura
aziendale non è tale da sfruttare le opportunità che gli
vengono fornite dalla variabile ambientale e dunque denota
carenza di visione strategica;
¾ modello “adattivo”: l’azienda vede l’ambiente come un vero
e proprio business e realizza processi e prodotti eco-
compatibili per adeguarsi ad una domanda sempre più
sensibile alle problematiche ambientali. La cultura aziendale
è ora tale da sfruttare le opportunità che gli vengono fornite
dalla variabile ambientale adottando strategie innovative
orientate al mercato, ma restando il profitto l’obiettivo finale
denota un orientamento di fondo non dissimile al modello
passivo precedentemente esaminato;
1
Cfr. A. Ruggieri “Il sistema di gestione ambientale” par. 1.3 (Ed. CEDAM 2000)
- L’ecosistema economico -
7
¾ modello “pro-attivo”: l’azienda vede l’ambiente come una
variabile strategica a tutti i livelli della struttura organizzativa
e la minimizzazione dei danni all’ecosistema come uno dei
principali obiettivi aziendali accanto a quello della
redditività. La cultura aziendale risulta profondamente
modificata dalla trasformazione di un vincolo in una vera e
propria opportunità di sviluppo, in un elemento sempre più
importante nelle scelte di politica aziendale. La tradizionale
finalità aziendale dell’efficienza (ovvero del corretto utilizzo
delle risorse produttive allo scopo di migliorarne i rendimenti
fisico-tecnici e di diminuire i costi di produzione) si
arricchisce di nuovi contenuti ecologici e si trasforma nella
finalità più moderna dell’eco-efficienza che prevede un
utilizzo delle risorse non solo efficiente, ma anche
ambientalmente compatibile.
- L’ecosistema economico -
8
1.3 Impatto ambientale e sviluppo sostenibile
Il crescente degrado dell’ambiente ha senz’altro posto
l’obiettivo della tutela ambientale in posizioni di assoluta
preminenza: il mondo politico e imprenditoriale, di “concerto” con i
cittadini di tutto il mondo, sono chiamati ad impegnarsi seriamente
per “armonizzare” nel tempo la crescita economica con la
protezione delle risorse naturali e della salute umana per
individuare una strada verso la compatibilità ambientale del
progresso.
Per lungo tempo l’umanità ha spinto la produzione di beni e
servizi senza particolare attenzione verso i problemi ambientali.
Fino alla metà del ventesimo secolo le attività industriali per le
limitate dimensioni, le distanti localizzazioni e lo scarso sviluppo
del settore dei trasporti immettevano nell’ambiente concentrazioni
di inquinanti che consentivano un naturale riequilibrio degli
ecosistemi. Dopo il 1950 l’esigenza della ricostruzione post-bellica
e il progressivo estendersi delle produzioni di massa hanno
determinato modificazioni del paesaggio industriale tali da condurre
prima all’espansione dell’inquinamento concentrato (a causa della
aggregazione delle attività industriali nei cosiddetti “poli”) e poi a
quella dell’inquinamento diffuso (a causa dell’incremento
demografico, dell’estensione delle zone urbanizzate, dello sviluppo
dei trasporti). Il risultato è stato quello di un incontrollato aumento
delle immissioni di scarichi solidi, liquidi e gassosi più o meno
nocivi in tutta la biosfera, immissioni che rappresentano
inequivocabilmente le cause reali dell’ “impatto ambientale”,
ovvero dei danni arrecati alla natura e alla salute umana.
- L’ecosistema economico -
9
La protezione dell’ambiente diventa un problema recepito in
tutto il mondo, cosicché gli Stati sotto la spinta degli organismi
internazionali (in particolare l’O.N.U.) cominciano fin dal 1960 a
gettare le basi di una politica più attenta a tale problematica. Nel
corso di questa decade comincia però a prendere forma una
coscienza ambientale collettiva e la stringente necessità di dare una
risposta convincente ad una pubblica opinione sempre più
preoccupata per il degrado del patrimonio naturale conduce gli Stati
verso l’elaborazione di una regolamentazione transitoria fondata sul
principio del “command & control”, un approccio di tipo
autorizzativo basato sul rispetto da parte delle aziende di limiti
legislativi nell’emissione di inquinanti (le cosiddette “soglie di
accettabilità”) e su una logica repressiva e punitiva in caso di
violazione di tali restrizioni.
Verso la fine degli anni ’60 negli Stati Uniti viene introdotto
il concetto di “Valutazione dell’Impatto Ambientale” (V.I.A.); esso
consiste essenzialmente nell’analisi preventiva delle conseguenze
che un’attività può determinare sull’ambiente nel rispetto delle
risorse naturali e delle condizioni di vita; scopo fondamentale di
tale valutazione è quello di sollecitare una nuova linea di gestione
degli impianti industriali all’interno della quale occorre progettare,
insieme al processo produttivo, tutti quei dispositivi necessari per la
sicurezza dell’uomo e per la tutela degli ecosistemi.
L’obiettivo della compatibilità tra crescita economica e tutela
ambientale comincia a prendere forma nel 1972 con il rapporto “I
limiti dello sviluppo” elaborato dal M.I.T. (Massachusetts Institute
- L’ecosistema economico -
10
of Technology) per conto del Club di Roma [
2
] nel quale tra l’altro
veniva richiamata l’attenzione sul possibile esaurimento di alcune
risorse fondamentali a causa di un eccessivo sfruttamento e
sull’impossibilità di sostenere nel lungo periodo il fabbisogno dei
popoli della terra a causa di una crescita demografica eccessiva;
nello stesso anno viene indetta la Conferenza di Stoccolma per lo
Sviluppo Compatibile con l’Ambiente dove viene proposta la
diffusione di alcuni principi di base per la protezione del patrimonio
naturale. Le crisi petrolifere e le guerre degli anni ’70 stravolgono il
mondo intero, per cui in questo periodo le problematiche ambientali
vengono considerate solo secondariamente in virtù delle nuove
emergenze da risolvere, ma la natura non dimentica affatto questa
subordinazione. I lavori ambientali tornano all’ordine del giorno nei
primi anni ’80 e nel 1983 le Nazioni Unite istituiscono la
Commissione delle Nazioni Unite per l’Ambiente e lo Sviluppo,
meglio nota come Commissione Brundtland (dal nome della
norvegese Gro Harlem Brundtland, Ministro dell’Ambiente e poi
Primo Ministro della Norvegia), ma il 26 aprile 1986 il pianeta
intero è gravemente scosso dal terribile incidente alla centrale
nucleare di Chernobil: questo evento segna una svolta decisiva per
il mondo scientifico che comincia così a porsi i giusti interrogativi
sul problema della compatibilità tra crescita economica e
preservazione del patrimonio naturale e a rendersi conto della reale
necessità di contromisure più efficaci e concrete per ridurre
l’impatto ambientale dell’attività umana.
2
Associazione internazionale creata dall’industriale Aurelio Peccei allo scopo di proporre
alternativa alle politiche di sviluppo deleterie per l’ambiente.