7
Nel 1992 la riforma Amato (D.Lgs. 503 del 30 Dicembre 1992) ha
ridisegnato il metodo di calcolo della pensione in base ad un criterio di
determinazione della pensione che prevede due quote: la prima, per i
contributi versati fino al Dicembre 1992, calcolata sulla base della
retribuzione annua media degli ultimi cinque anni; la seconda, per i
contributi versati dal Gennaio 1993 in poi, calcolata sulla base degli ultimi
dieci anni di retribuzione.
La riforma Dini (L. 335 dell’8 Agosto 1995), che è intervenuta in maniera
più incisiva rispetto alla prima, ha introdotto il sistema "contributivo"
1
per
il calcolo delle pensioni. Secondo tale modello, la pensione non è più
calcolata in base agli ultimi anni di retribuzione, ma in base ai contributi
effettivamente versati dal lavoratore nell’intera vita lavorativa, quindi
inevitabilmente più bassa.
Con il sistema retributivo, infatti, sono le retribuzioni percepite nell'ultimo
periodo della vita lavorativa a determinare l'ammontare della pensione
(generalmente quelle più alte, grazie all'anzianità maturata e alla carriera).
Nel contributivo, invece, si calcolano le retribuzioni relative all'intera vita
lavorativa.
Gli interventi legislativi citati hanno però concorso solo ad arginare il
problema e non a risolverlo, poiché in un sistema in cui l'ingresso nel
mondo del lavoro avviene sempre più tardi e il numero dei lavoratori
contribuenti decresce progressivamente, le prestazioni pensionistiche future
sono destinate necessariamente a ridimensionarsi rispetto al passato.
1
Il sistema contributivo prevede che la pensione sia pari al montante finale, cioè la sommatoria dei
contributi versati nel corso dell’intera vita lavorativa rivalutati (capitalizzati) ad un tasso di rendimento
pari al PIL, diviso per un coefficiente che rappresenta la speranza di vita al momento del pensionamento
scontato ad un tasso pari all’1,5%.
8
La conseguenza è, al raggiungimento dell'età pensionabile, una drastica
riduzione del proprio livello di reddito e un divario tra l'ultima retribuzione
percepita e la pensione.
Attualmente, a coloro che al 31 Dicembre 1995 hanno maturato 18 anni di
contributi, la pensione sarà calcolata in base al sistema retributivo; a coloro
che, alla stessa data, hanno maturato meno di 18 anni di contributi, la
pensione verrà calcolata con il sistema misto: retributivo per l'anzianità
maturata fino alla fine del '95, contributivo per quella successiva. A chi,
invece, è stato assunto dopo il 1° Gennaio 1996, verrà applicato il solo
sistema contributivo.
Emerge chiaramente, dall'applicazione di questo sistema di calcolo, la
posizione di svantaggio in cui vengono a trovarsi, rispetto al passato, i
giovani lavoratori di oggi, assunti cioè dal '96 in poi.
Nasce in questo quadro l’esigenza di sostituire il modello previdenziale
vigente fino a qualche anno fa, con un modello che prevede l'introduzione,
accanto alla pensione obbligatoria - la quale assume la funzione di
assicurazione di base - di una pensione complementare che assicuri invece
livelli di copertura previdenziale più elevati, in grado di colmare il divario.
I lavoratori, quindi, futuri pensionati, per salvaguardare un adeguato tenore
di vita, possono formare la propria posizione pensionistica integrando in
modo armonico il sistema previdenziale obbligatorio con quello
complementare, di tipo individuale o collettivo.
Il legislatore, con il D.Lgs. n. 124 del 1993
2
, istitutivo delle forme
pensionistiche complementari, ha inteso attuare un progressivo
spostamento della copertura previdenziale dai sistemi obbligatori pubblici a
2
Il D.Lgs. 124/93 è stato emanato in attuazione delle previsioni di cui all’art. 3 comma 1 lettera v), della
Legge 421 del 23 ottobre 1992 Delega al governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline
in materia di sanità, pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale.
9
forme complementari, in modo da assicurare al pensionato, accanto alla
rendita di base, destinata, come già detto, a diminuire nel tempo,
un’ulteriore rendita vitalizia in grado di assicurare il mantenimento di un
soddisfacente tenore di vita.
10
Parte Prima
1. La previdenza complementare
In Italia la previdenza complementare è stata regolamentata dal D.Lgs.
n.124 del 21 Aprile 1993, modificato dalla Legge n.335 dell'8 Agosto 1995.
Tali provvedimenti hanno contribuito a creare, attraverso un nuovo
investitore istituzionale, un moderno modello previdenziale e hanno
iniziato il processo di razionalizzazione del sistema di previdenza pubblico
che, nonostante gli interventi legislativi e per i motivi ricordati
nell'introduzione, è entrato in crisi.
Oltre alla disciplina istitutiva della previdenza complementare, altri
riferimenti normativi sono sicuramente ravvisabili nella Costituzione
Italiana che, all'art. 38, comma 2, dispone che: "I lavoratori hanno diritto
che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in
caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione
involontaria. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed
istituti predisposti o integrati dallo Stato".
Al comma 5 dello stesso articolo si afferma il principio secondo il quale
"l'assistenza privata è libera", gettando così le basi per un sistema
accessorio.
Altro riferimento, anche se indiretto, alla previdenza complementare si
trova nell'art. 47 in cui si legge: "La Repubblica incoraggia e tutela il
risparmio in tutte le sue forme". E' indubbio che il risparmio previdenziale
passi attraverso forme di previdenza complementare.
Volendo dare una prima definizione si può affermare che la previdenza
complementare è una forma di risparmio gestito professionalmente che
11
differisce dal puro e semplice risparmio finanziario in quanto finalizzata
dal legislatore a scopi socialmente rilevanti, tutelati anche dalla
Costituzione.
Consente di realizzare un piano pensionistico attraverso il sistema della
capitalizzazione. Il lavoratore, in qualità di risparmiatore previdenziale,
versa dei contributi e il gestore, grazie alla propria specifica attività,
consegue un rendimento finanziario che si cumula con i contributi versati.
La previdenza complementare è finalizzata a garantire prestazioni
previdenziali aggiuntive e complementari a quelle offerte dal sistema
pubblico di base, con lo scopo principale di assicurare più elevati livelli di
copertura previdenziale e, quindi, consentire il mantenimento dello stesso
tenore di vita raggiunto durante il periodo lavorativo.
Nello specifico, le forme di previdenza complementare sono tre:
– fondi pensione chiusi;
– fondi pensione aperti;
– piani individuali di previdenza attuate mediante contratti di
assicurazione sulla vita (PIP).
I fondi pensione (aperti e chiusi) si affiancano al cosiddetto primo pilastro,
rappresentato dalla previdenza pubblica e obbligatoria, che assicura al
lavoratore la pensione di base e al secondo pilastro, rappresentato, invece,
dalla previdenza individuale (polizze assicurative): costituiscono, cioè, il
terzo pilastro, quello della previdenza complementare.
12
1.1 Fondi chiusi e aperti. I destinatari e le fonti istitutive
I fondi pensione si distinguono, come accennato, in:
– fondi chiusi (o negoziali, o contrattuali);
– fondi aperti.
I fondi pensione chiusi sono quelli riservati a determinate categorie di
lavoratori che condividono una stessa realtà (aziende, gruppi di aziende,
aziende dello stesso settore enti pubblici altri organismi).
Sono disciplinati dall'art.4 comma 1 del D.Lgs.n.124/93 e sono rivolti agli
stessi soggetti che li istituiscono.
Possono essere istituiti da:
a) lavoratori dipendenti, sia privati che pubblici, identificati secondo il
criterio di appartenenza alla medesima impresa o stabilimento, gruppo,
categoria produttiva, comparto (anche territorialmente delimitato e
distinto), categoria contrattuale, raggruppamento, ente, gruppo di
imprese o diversa organizzazione del lavoro;
b) raggruppamenti di lavoratori autonomi
3
, anche organizzati per aree
professionali e per territorio;
c) raggruppamenti di liberi professionisti, anche organizzati per aree
professionali e per territorio;
d) raggruppamenti di soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro,
anche unitamente a lavoratori dipendenti delle stesse cooperative
interessate.
3
Fanno parte della categoria dei lavoratori autonomi anche i cosiddetti lavoratori parasubordinati di cui al
comma 26, art.2, della Legge 335/95, cioè soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non
esclusiva, attività di lavoro autonomo ai sensi del comma 1 dell’art.49 del TUIR 917/86.
13
I fondi chiusi nascono da fonti istitutive che sono, ai sensi dell'art.3 comma
1 del D.Lgs.n.124/93:
– contratti e accordi collettivi, anche aziendali;
– regolamenti di enti o aziende, nel caso di dipendenti i cui rapporti di
lavoro non sono disciplinati da contratti collettivi o accordi collettivi;
– accordi unilaterali tra lavoratori dipendenti, promossi da sindacati
firmatari di contratti collettivi nazionali di lavoro in mancanza di
contrattazione sulla materia;
– accordi tra lavoratori autonomi o fra liberi professionisti, promossi da
sindacati o associazioni di categoria di rilievo almeno regionale;
– accordi tra soci di cooperative di produzione e lavoro, promossi da
associazioni nazionali di rappresentanza legalmente riconosciute;
– accordi, anche interaziendali, per categorie di quadri, promossi da
organizzazioni sindacali rappresentative della categoria.
L'art.4, comma 1, del D.Lgs.n.124/93 prevede che le forme giuridiche per
la costituzione dei fondi chiusi siano esclusivamente:
a) l'associazione non riconosciuta, ai sensi dell'art. 36 del Codice Civile,
distinta dai soggetti promotori dell'iniziativa;
b) l'associazione con personalità giuridica, ai sensi dell'art. 12 del Codice
Civile, obbligatoria per i fondi costituiti nell'ambito di categorie,
comparti, raggruppamenti.
I fondi pensione aperti, invece, disciplinati dall'art.9 del D.Lgs.n.124/93,
non sono circoscritti ai lavoratori di una determinata azienda o ente, poiché
intendono garantire una copertura previdenziale a chi non possa o non
voglia aderire ad un fondo chiuso.
14
Rappresentano, ad esempio, una valida alternativa per le piccole e medie
imprese che non sono in grado di sopportare i costi di un proprio fondo.
Le fonti istitutive di questa tipologia di fondi, non sono contratti collettivi o
accordi promossi da sindacati, ma nascono dall'iniziativa dei soggetti
abilitati a gestire le risorse indicati dall'art.6, comma 1, del D.Lgs.n.124/93
e cioè banche, SIM, imprese assicurative, società di gestione di fondi
comuni d'investimento. Restano ferme le disposizioni previste per la
sollecitazione al pubblico risparmio e i criteri precisati negli artt.4, comma
2 e 6, comma 2.
Destinatari della normativa sono i lavoratori autonomi e i liberi
professionisti, i lavoratori dipendenti pubblici e privati quando:
– non sussistano o non operino le normali fonti istitutive;
– siano in mobilità o cessati da un fondo;
– i comparti produttivi non siano coperti da contrattazione nazionale;
– trasferiscano la loro posizione da altro fondo aperto, dopo il periodo
minimo di permanenza, che è pari a tre o cinque anni, a seconda che il
fondo abbia più o meno di cinque anni di vita;
– le fonti istitutive ne prevedano l'adesione.
E' questo il caso dell'adesione collettiva. A questo proposito, l'art.9 comma
2 della legge n. 335/95 precisa che questa disposizione trova applicazione
trascorsi 6 mesi dal rinnovo del primo contratto nazionale di lavoro
successivo all'entrata in vigore di tale legge, ovvero decorsi 6 mesi dalla
stipula degli accordi nazionali istitutivi di forme complementari.
15
La forma giuridica prevista, in base all'art.4, comma 2, del D.Lgs.n.124/93,
come novellato dalla legge 335/95, per la costituzione dei fondi aperti è
esclusivamente quella del patrimonio di destinazione, ai sensi dell'art.
2117
4
del Codice Civile.
Emerge, a questo punto, la principale differenza relativa alla fonte
costitutiva tra fondi chiusi e aperti.
Nel modello dei fondi chiusi si ha una stretta correlazione tra i destinatari e
i promotori del fondo, indicati dalla legge. I promotori sono di solito
organizzazioni esponenziali dei beneficiari, tipicamente i sindacati che
rappresentano i lavoratori fruitori delle prestazioni. C'è dunque una
sostanziale identificazione tra questi due soggetti: rispetto a questi il
gestore è una entità diversa ed estranea.
Il modello dei fondi aperti, invece, si basa sulla identificazione tra
promotore e gestore: sono i destinatari delle prestazioni ad essere un'entità
completamente distaccata. I soggetti promotori sono individuati dalla legge
per rinvio ai soggetti indicati nell'art.6 (banche, SIM, assicurazioni, ecc.).
Dunque, mentre per i fondi chiusi la legge parla esplicitamente di fonti
istitutive, individuandole nei contratti collettivi o accordi tra lavoratori, per
i fondi aperti tale fonte non è indicata con precisione. La caratteristica
principale di questi fondi è, quindi, la unilateralità istituzionale, nel senso
che non occorre un atto di autonomia collettiva o un accordo tra lavoratori,
poiché è sufficiente un atto istitutivo del fondo da parte del soggetto
promotore-gestore. Sarà proprio la deliberazione assunta dagli enti
promotori la fonte istitutiva dei fondi aperti.
4
“I fondi speciali per la previdenza e l’assistenza che l’imprenditore abbia costituito, anche senza
contribuzione dei prestatori di lavoro, non possono essere distratti dal fine al quale sono destinati e non
possono formare oggetto di esecuzione da parte dei creditori dell’imprenditore o del prestatore di
lavoro.”
16
Da questa diversità di disciplina deriva un'altra considerazione importante:
nei fondi chiusi la fonte istitutiva si basa sulla funzione di rappresentanza
dei soggetti promotori (i sindacati) e quindi sul collegamento con il
rapporto di lavoro sottostante.
Nei fondi aperti, invece, la fonte istitutiva è del tutto neutra rispetto ai
rapporti di lavoro e si fonda sul programma previdenziale del soggetto
gestore.
17
1.2 Il regime di contribuzione
I fondi pensione possono prevedere due diversi regimi di contribuzione:
– contribuzione definita;
– prestazione definita.
Per entrambi i regimi, inoltre, è possibile prevedere la garanzia di un
reddito minimo (garanzia finanziaria).
Nei fondi a contribuzione definita vi è un elemento fisso, rappresentato dal
contributo, ed un elemento variabile, rappresentato dalla prestazione.
Questo significa che l'iscritto al fondo pensione, al momento dell'adesione
sa di dover versare un certo contributo per più anni, ma non può sapere con
certezza quale sarà la prestazione finale. Al massimo, il contributo potrà
subire qualche variazione, ma sempre quantificabile, come nell'ipotesi di
una sua indicizzazione alla retribuzione o al reddito di riferimento.
In questa tipologia di fondi il rischio d'investimento
5
è, quindi, a carico
dell'aderente che, a fronte di cattivi risultati di gestione, sarà penalizzato
sotto il profilo della prestazione. Ove ricorra una simile evenienza non sono
previste contribuzioni aggiuntive per riequilibrare la posizione. Per avere
un'idea dell'ammontare delle prestazioni si potranno fare solamente delle
proiezioni basate su parametri oggettivi, i benchmark
6
di riferimento della
linea di gestione prescelta, rapportati al numero degli anni di versamento e,
per la rendita, all'età anagrafica al momento del pensionamento. Questi
fondi hanno il vantaggio di poter essere gestiti in modo semplice (non
hanno bisogno di complessi calcoli demografici ed attuariali) e trasparente
per l'iscritto; sono basati su conti personali, che facilitano le operazioni di
passaggio tra fondi; infine, i datori di lavoro, a differenza delle forme a
5
Rischio di diminuzione del valore del fondo a seguito delle variazioni dei prezzi dei titoli in cui esso è
investito.
6
Parametro di riferimento per i rendimenti di una determinata classe di titoli.
18
prestazione definita, sono sollevati dai rischi degli investimenti, non
avendo contratto alcun obbligo di prefissate prestazioni finali e, avendo la
certezza del contributo da versare, possono quantificare a priori
l'ammontare dell'esborso.
Nei fondi a prestazione definita, invece, l'elemento fisso è rappresentato
dalla prestazione finale, mentre l'elemento variabile è rappresentato
dall'ammontare delle contribuzioni.
Tale caratteristica comporta che l'associato, nel momento in cui aderisce, sa
di poter contare su una certa prestazione, legata ad alcuni parametri, ma
non potrà sapere quanto dovrà versare nel corso degli anni. L'ammontare
della prestazione è dunque, l'elemento di riferimento dell'iscritto: essa viene
determinata in relazione al livello di reddito o a quello del trattamento
pensionistico obbligatorio. L'entità del contributo è fissata, anno per anno,
in funzione dei risultati di gestione ed è inversamente proporzionale a
questi, per cui, aumenta in caso di performance deludenti. La diretta
conseguenza è che, diversamente da quanto avviene nella contribuzione
definita, per riequilibrare la situazione, cioè per riportare il rendimento in
linea con quello garantito, l'associato dovrà effettuare versamenti
aggiuntivi. Per i motivi citati questa forma tende ad essere utilizzata sempre
meno.
Anche in questo caso, per conoscere l'ammontare annuo del contributo da
versare, si può ricorrere a simulazioni.
Il regime a prestazione definita può essere gestito unicamente da imprese di
assicurazione ramo vita. Il piano pensionistico è di norma rappresentato da
un'assicurazione sulla vita a premi unici ricorrenti con controassicurazione
e si tratta di una polizza collettiva e non individuale.
19
In base a quanto previsto dall'art.2, comma 2, lettera a) e b) del
D.Lgs.n.124/93:
– il regime a contribuzione definita è attuabile per tutte le categorie di
lavoratori: dipendenti, autonomi, liberi professionisti e soci di
cooperative di produzione e lavoro;
– il regime a prestazione definita è attuabile solamente per i lavoratori
autonomi e i liberi professionisti.
20
2. Istituzione e costituzione dei fondi di previdenza
complementare
Le procedure per l'istituzione e per l'ottenimento dell'autorizzazione alla
costituzione e all'esercizio dell'attività dei fondi pensione, così come
previsto dal D.Lgs.n.124/93, rimodellato dalla legge 335/95, sono
particolarmente articolate e complesse. Per la fase istitutiva, i riferimenti
normativi sono tutti ricavabili dal testo rimodellato del decreto 124, e
dall'art.2 del Decreto Ministeriale di attuazione. Per la fase costitutiva ed
autorizzativa, in base alle previsioni dell'art.4, comma 3, del decreto
124/93, le norme sono dettate anche dal decreto del Ministero del Lavoro e
della Previdenza sociale.
2.1 Istituzione e costituzione dei fondi contrattuali
Prima di analizzare i passaggi necessari per l'avviamento di un fondo
pensione chiusi è utile fare delle precisazioni. Poiché dalla lettura del
decreto 124/93, integrato dalle modifiche della legge 335/95, emerge un
frequente utilizzo dei termini "le fonti istitutive" e "le fonti costitutive",
appare necessario specificare che le fonti istitutive dei fondi contrattuali
sono i contratti e gli accordi tra lavoratori ed imprese a livello aziendale
ed interaziendale e gli accordi collettivi, anche aziendali, promossi dalle
organizzazioni sindacali firmatarie dei contratti nazionali, nonché gli
accordi tra i soci lavoratori i cooperative di produzione promossi da
associazioni nazionali del movimento cooperativo e gli accordi tra
lavoratori autonomi e liberi professionisti promossi dai sindacati di
categoria.
I promotori delle fonti istitutive sono dunque le cosiddette parti sociali.