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Questo duopolio di fatto ha avuto varie fasi nel corso dei decenni, fasi che
avremo modo di analizzare analiticamente nelle prossime pagine e che partono
dai primi anni del secondo dopoguerra. Al momento, però, mi preme solo dire
che l’attualità ormai consolidata è quella di una convivenza a tre. Un
allargamento dell’offerta, che nasce dalla comparsa relativamente recente (1996)
di un altro foglio, “Il Corriere di Rieti”, emanazione diretta della catena che fa
capo al “Corriere dell’Umbria” di Perugia e successivamente potenziato con
l’edizione della Sabina (2002).
Una situazione nella quale l’anello più debole è proprio “Il Tempo”, che fino a
non molto tempo fa, cioè fino alla fine degli anni ’90, ricopriva invece il ruolo di
prima donna della provincia.
Non solo, ma anche questo triumvirato sembra destinato ad un rapido
allargamento, perché nel dicembre del 2003 è stata inaugurata una nuova pagina
giornaliera dedicata alla città, ospitata dal quotidiano “Libero”ed ancor più il
quadro è cambiato dal giugno 2004 con l’avvio di un nuovo ed atipico quotidiano
“Nuovo Rieti Oggi”, corposo foglio in formato tabloid, totalmente dedicato a
Rieti e provincia e che attualmente esce dal martedì alla domenica come
“panino” de “Il Giornale”.
“Nuovo Rieti Oggi” nasce a metà 2004 come un service
1
sul territorio sabino,
anche se dopo pochi mesi, all’inizio di ottobre, diventa una testata a tutti gli
effetti, con i collaboratori che vengono regolarmente assunti dall’editore.
1
Cioè come una piccola agenzia d’informazione autonoma che, sotto contratto, edita e riempie un certo
numero di pagine. Per questo motivo un service non è in teoria necessariamente collegato in esclusiva ad
una singola testata.
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Una situazione favorevole per i suoi redattori che nasce dall’abbandono del
responsabile, Andrea Di Nicola, un ex-collaboratore de “Il Tempo” di Rieti.
Proprio partendo da queste modificazioni in atto avremo la possibilità di riflettere
insieme, durante il nostro percorso, sia sulla situazione del mercato locale, sia
sulle attuali difficoltà che stanno vivendo negli ultimi anni sia la testata
principale “Il Tempo”, sia per ovvio riflesso la sua edizione reatina.
A questo punto sarebbe però scorretto non aggiungere che la scelta de “Il
Tempo”, come materia di studio, nasce anche da una mia particolare situazione
lavorativa. Collaboro infatti dal settembre 2002 proprio alla stesura delle pagine
provinciali di Rieti. Situazione questa che ho cercato di sfruttare al meglio,
potendo osservare agevolmente l’oggetto della mia ricerca, sia da dentro che da
fuori. Potendo così parlare facilmente con persone che altrimenti non avrei
neppure saputo come raggiungere e respirando, in un certo senso, l’atmosfera
dell’azienda che inevitabilmente comunica qualcosa su se stessa a chi in essa
opera.
E’ questa, dunque, un analisi che mira ad essere esaustiva, e che partirà dal
necessario inquadramento storico della testata madre “Il Tempo”, per poi arrivare
al microcosmo Rieti, del quale non solo ricostruiremo fatti, storie e vendite, ma
cercheremo anche d’inquadrare il ruolo e l’importanza della redazione all’interno
della società civile locale.
Ed è doveroso, in questo inizio di percorso, spendere qualche parola per
spiegare la mia scelta di dare un ampio quadro iniziale della storia e delle
vicende nazionali del giornale “Il Tempo”.
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Come ogni buon ricercatore ho passato molte ore a sudare su liste di libri,
cataloghi ed motori di ricerca, senza però trovare nessun libro che
specificatamente trattasse la storia di questa testata (cosa che invece non vale per
il “cugino” di via del Tritone). Ho trovato solo accenni sparsi, in alcuni casi
anche molto corposi, ma nulla che fosse stato scritto in maniera completa e
sistematica su questo pezzo di storia giornalistica italiana. E sicuramente di
quelli, numerosi, che ho trovati, probabilmente molti altri ancora se ne sarebbero
potuti trovare.
Ma il dato di base rimaneva: nessuno si era mai preso la briga di ricostruire tutto
da cima a fondo.
Io invece ci ho provato. Con determinazione, trovandomi spesso a brancolare nel
buio e nell’incertezza delle fonti o degli accenni frammentari, ma alla fine sono
riuscito a mettere insieme una storia, che ritengo credibile, rispettosa e fondata.
Sicuramente molto più stringata ed incompleta di quanto l’argomento avrebbe
preteso, ma di certo più che sufficiente per le finalità di questo nostro lavoro e
per evitare che un importante pezzo della memoria storica nazionale andasse
irrimediabilmente perso.
E lo stesso discorso vale, anzi vale a maggior ragione, se io non avessi
raccolto le testimonianze e le storie de “Il Tempo” a Rieti. Anche in questo caso
una grossa fetta del bagaglio storico locale sarebbe presto o tardi scivolato
nell’oblio, forse per non riemergerne mai più.
Ovvio che da solo non sarei mai riuscito nel mio intento e quindi tanta parte di
merito va data ai tanti che mi hanno pazientemente aiutato lungo la via.
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Sanno tutti chi sono e che parte hanno avuta, per cui non li nomineremo ora, ed
avrò modo di ringraziarli uno per uno al termine di questo viaggio.
Quali aspetti bisogna necessariamente approfondire per capire la storia e
l’evoluzione di un giornale sia esso locale o nazionale?
Credo si possa trovare una risposta a questa domanda solo se si considera un
giornale come una entità a più strati, costituiti da una redazione che lo compila e
lo indirizza ogni giorno, dai lettori che lo acquistano e (presumibilmente) lo
leggono, senza dimenticarsi del peso, talvolta evanescente talvolta schiacciante,
della proprietà, che nel nostro Paese ha spesso giocato un ruolo da protagonista.
Sarà quindi necessario ricostruire tutti e tre questi fattori, cercando di capire
come si connettano gli uni con gli altri, contribuendo così a formare il prodotto-
giornale, un prodotto che proprio per le sue specificità nasce in redazione, ma
diviene “vivo” a tutti gli effetti solo quando s’inserisce nel tessuto sociale, in una
continua relazione di stimolo e di ricezione delle istanze ambientali in cui opera.
Non si può dunque comprendere la storia di un giornale semplicemente dalla
storia della sua proprietà o degli uomini che su di esso scrivono, ma bisogna
necessariamente considerare, solo per fare qualche esempio, anche il momento
storico nel quale un quotidiano si trova ad operare, gli orientamenti politici
prevalenti del bacino di lettori di riferimento e la zona geografica nella quale è
maggiormente diffuso.
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Una premessa al metodo
Il metodo d’indagine usato in questo lavoro ha una chiara indicazione di limite
ed una di pretesa.
Il limite riguarda il modo di procedere, che è volutamente né strettamente storico,
né accuratamente sociologico, ma una miscela in qualche modo più agile,
sebbene non per questo meno scientificamente fondata e ragionata, di entrambi
gli approcci. Ho scelto questa strada perché ritengo che il giornalismo, in quanto
materia di studio sfuggente ed atipica, debba essere indagato con metodo
giornalistico, cioè con un’efficace fusione tra rigore storico, richiami sociologici
e linguaggio della carta stampata. Ed è proprio questa la pretesa, o meglio la
meta, a cui il nostro testo mira. Fedeli all’idea, felicemente espressa da Papuzzi
2
con l’espressione “storico del presente”, che il giornalismo abbia una dignità e
una validità in sé, per nulla diverse da quelle di altre discipline più togate.
Senza dimenticare che una tesi con la cattedra di “Teorie e Tecniche del
Linguaggio Giornalistico” dovrebbe, sempre dal mio particolare punto di vista,
esprimere un vero utilizzo di quelle teorie, ma soprattutto di quelle tecniche, che
proprio al giornalismo fanno riferimento
Da qui la nostra scelta d’affidarci in gran parte al ricordo ed alle parole,
sempre suffragate da prove testuali, di chi ha vissuto a lungo, magari in momenti
diversi, nella storia e per la storia de “Il Tempo” sia di Roma che di Rieti.
E quale strumento giornalistico potevo scegliere per questo difficile compito se
non l’intervista? Non volevo, infatti, fornire un arido lavoro di numeri, statistiche
2
Professione Giornalista di A. Papuzzi, ed. Donzelli, Roma 1998
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e richiami bibliografici, cercavo invece di scrivere un libro, narrare una storia
fatta di persone reali, senza licenze poetiche ma senza neppure cedere alla
spersonalizzazione.
La storia è fatta da uomini che agiscono e creano, ed io volevo che fossero
proprio loro i primi protagonisti. In presa diretta, come ogni bravo giornalista
cerca sempre di raccontare. E spero di esserci riusciti.
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Capitolo I
La storia de “Il Tempo”
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I.1. Storia de “Il Tempo” di Roma
“Le truppe anglo americane sono entrate ieri a Roma”
E’ il 6 maggio del 1944 e con questo primo titolo nasce il quotidiano romano
“Il Tempo”.
Siamo in un momento di svolta per l’Italia che è ancora spaccata in due, con gli
Alleati vincitori che spingono verso Nord da un lato ed i Tedeschi ed i
Repubblicani di Salò sconfitti, che risalgono la penisola in ritirata, attestandosi
successivamente lungo la linea denominata “Gotica”.
Roma, intanto, è stata ripresa dagli uomini comandati dal generale Clark e,
con la riconquista della Capitale, le speranze dei soldati americani e dei partigiani
italiani che lottano contro i nazi-fascisti, diventano sempre più certezze per un
nuovo avvenire di sviluppo sociale e politico, in cui il fascismo sarà solo un
lontano, e sgradito, ricordo.
“Non crediamo tuttavia di sbagliare nel definire il giorno che ci si chiede di
ricordare, quello della liberazione di Roma, come il più felice della nostra
vita[…] – scriveva così nel 1985 il giornalista e anti-fascista Enrico Mattei, che
aveva vissuto in prima persona e raccontato sulle colonne del “Giornale d’Italia”
quei momenti epocali – La gioia della libertà recuperata si mescolò allora in noi
con la grande speranza di un avvenire di sviluppo democratico e di progresso
civile per il nostro paese, si allontanò l’incubo dell’oppressione nazifascista,
delle retate massicce degli “ebrei” e dei “comunisti badogliani”, come venivano
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chiamati con sommaria classificazione gli avversari anche solo sospetti dei
nazisti e dei repubblichini di Salò”
3
La riconquista di Roma è un chiaro segnale che la marea stava mutando, non solo
sul fronte italiano ma su tutti gli altri fronti
4
, e che i soldati inviati da Hitler alla
conquista del mondo stavano ormai perdendo la guerra sanguinosa voluta dal
loro Fuhrer.
Molti in città aspettavano, con comprensibile ansia, il giorno in cui gli invasori
ed i loro fiancheggiatori sarebbero stati cacciati e tra questi c’era sicuramente
Renato Angiolillo, l’uomo che divenne il fondatore e il direttore de “Il Tempo”
di Roma e che si era a lungo preparato per un simile momento.
Ma che tipo era questo personaggio della stampa del secondo dopoguerra
italiano?
Per rispondere alla domanda ci affidiamo alla penna di chi Angiolillo lo conobbe
di persona, avendo lavorato al suo fianco per anni.
“Con Angiolillo, meridionale iroso negli attimi, mai alla distanza, mai un addio
era definitivo. – lo dipinge con efficacia Francobaldo Chiocci - Oltre tutto per
3
In “Welcome, vi aspettavamo da tanto” di Enrico Mattei, Il Tempo del 4/11/1985 pag. 3, ed. speciale
per i quarantanni della testata.
4
Il 5 maggio del 1944 fu anche la vigilia del “D-Day”: la flotta d’invasione era già in navigazione lungo
la Manica.
Di fatto il “fronte occidentale” che nel 1940 era scomparso sotto i colpi devastanti della guerra lampo
della Wermacht, stava per ricrearsi, ma questa volta, potenziato da centinaia di migliaia di soldati
americani. E a tale scopo, era stato creato due giorni prima un governo gollista clandestino in Francia. Sul
fronte orientale, invece, continuavano le manovre in atto ormai da mesi. All’inizio di giugno le divisioni
sovietiche erano arrivate sul Dnper e in Galizia, mentre nel settore nord stavano lentamente avvicinandosi
alla Polonia. Le proporzioni di forze erano nettamente a favore dei sovietici che potevano contare su 430
divisioni e 12000 carri armati, contro solo 200 divisioni e 5500 carri armati a disposizione dell’Asse.
Nel pacifico, dopo lo sbarco nell’isola di Wake, gli americani si apprestavano ad investire l’arcipelago
delle Marianne, pesantemente fortificato dai Giapponesi . Mentre le fanterie americane ed australiane
avanzavano faticosamente nella giungla della Nuova Guinea.
In ultimo è da ricordare il fronte asiatico, dove i giapponesi stavano conducendo una violenta
controffensiva. I soldati del Sol Levante che combattevano contro le truppe di Ciang Kaishek nella Cina
Meridionale, erano riusciti a ricongiungersi con le truppe che presidiavano l’Indocina. Mentre l’attacco
nipponico stava per arrestarsi presso Imphal, sul confine della Birmania, grazie alla tenace difesa delle
truppe anglo-indiane.
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avventure e disavventure di vita, era un permissivo filosofo del precario. Anni
prima (cioè prima della fondazione de “Il Tempo” N.d.A.), ostinato antifascista
lucano come il fratello Amedeo fondatore del “Giornale di Napoli”, era stato
costretto a campare di espedienti: pubblicitario, regista, produttore
cinematografico, anche venditore delle giacenze dell’editore Laterza con libri
recapitati ai familiari dei morti più abbienti, fingendo che fossero le ultime
volontà del defunto.”
5
E come non parlare in questa sede dei suoi terribili scherzi? Scherzi
celeberrimi, di cui alcuni davvero eclatanti, che rimasero per anni impressi nella
memoria collettiva della redazione e contribuirono molto a tramandare
un’immagine quasi mitica del padre fondatore de “Il Tempo”.
“I suoi scherzi sono sovente feroci. – scrive ancora a tal proposito Chiocci –
Sveglia di notte il povero Ugo D’Andrea per dirgli che è scoppiata la terza
guerra mondiale e fargli scrivere l’ennesimo editoriale dal titolo “Il dado è
tratto”. Fa mettere la camicia di forza ad un cronista picaresco, Del Bufalo,
inviandolo per un fattaccio inesistente all’Excelsior e preavvertendo il maitre
che sta arrivando un matto che si spaccia per giornalista. Santevecchi lo fa
indagare su una setta di pittori stercorari. Della Giovanna sulle corse
clandestine dei cercopitechi. M;a inventa anche gag a scopo benefico. Sa che il
cronista Moggia combatte il pranzo con la cena coi suoi undici figli e, per
aiutarlo senza umiliarlo, organizza una scommessa su chi abbia il pisello più
lungo e fa vincere quello più demografico.
5
In “1944 Il Tempo” di Francobaldo Chiocci, I giornali di Roma, Ed. Ass. della Stampa Romana 2003
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C’è però anche un redattore che fa carriera beffando lui. Quando Egidio Sterpa
se ne va lasciando vacante il suo box di redattore capo, Angiolillo vi colloca in
prova Vanni Angeli. Poi gli telefona, fingendosi un lettore, ma lasciandosi
riconoscere dall’accento. “Con chi parlo?”. “Con uno che dovrebbe essere il
nuovo redattore capo…”. “Se è così importante mi sa dire quanto pesa uno
strunz?.” Risposta: “Si dia una pesata e divida per tre”. Angiolillo si tiene il
triplo “strunz” a conferma che ha scelto un redattore capo “scefato”.”
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Non solo ma Angiolillo era uno che, oltre ad essere un grande professionista,
amava la bella vita, gli scherzi, i cavalli e soprattutto le scommesse. E fu proprio
da una scommessa, un vero e proprio azzardo, che nacque il quotidiano “Il
Tempo”.
La storia della testata “Il Tempo” inizia già sei mesi prima della sua
apparizione nelle edicole cittadine. Nel gennaio del 1944 infatti, Angiolillo si
adopera per acquistare, con dei soldi vinti grazie ad una mano fortunata di poker,
un giornale praticamente sconosciuto: “L’Italia”. Questo foglio era stato fondato
da Camillo Benso di Cavour, ma sotto il fascismo era caduto in disgrazia e si era
ridotto ad essere stampato semi-clandestinamente. Almeno fino a quando il
fascista Giuseppe Bottai ne fece il suo organo personale, in modo da poter
contrastare efficacemente sia Galeazzo Ciano, che disponeva del Telegrafo di
Livorno, diretto da Giovanni Ansaldo, e del Giornale d’Italia, diretto da Virginio
Gayda, sia Dino Grandi, che controllava il Resto del Carlino. Il ritorno agli
antichi fasti non durò molto perché, dopo la caduta del fascismo, “L’Italia”
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“1944 Il Tempo” di Francobaldo Chiocci, I giornali di Roma, Ed. Ass. della Stampa Romana 2003
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ricadde in uno stato di crisi; stato del quale seppe approfittare Angiolillo, il quale
acquistò la testata per la modesta cifra di 2.000 lire.
La compravendita di testate giornalistiche, però, era all’epoca vietata, per cui
quando la cosa venne a galla, la pubblicazione dell’”Italia” fu sospesa dalle
truppe naziste occupanti fino a nuovo ordine.
Visto il mal partito, Angiolillo fece allora convocare a piazza della Pietra i
redattori del quotidiano cioè Gugliemo Serafini, Carlo Scaparro, Gaspare Gresti e
Marcello Zeri, dando loro appuntamento al giorno in cui Roma sarebbe stata
liberata dagli Alleati.
“Così, il 5 giugno 1944, nella ex-tipografia de Il Tevere di Telesio Interlandi
in via Mario de’ Fiori, uscì il primo numero de IL Tempo, un giornale a due sole
facciate – racconta con chiarezza Marcello Zeri, l’ultimo superstite di quel
gruppo d’intraprendenti – compilato dallo stesso Angiolillo, dal direttore
Leonida Repaci e da quattro colleghi. Costretti a lavorare nello stabilimento in
cui veniva stampato L’Avanti! Faticammo un’intera giornata per far comporre
quelle poche colonne di piombo, poiché i tipografi si facevano in quattro per
accontentare tutte le esigenze di Pietro Nenni, idolatrato dalle vecchie
maestranze, in grande maggioranza ex socialisti e, comunque, privilegiato nei
confronti di noi, poveri sconosciuti.”
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“E Renato Angiolillo fondò Il Tempo” di Marcello Zeri, Il Tempo del 4/11/1985 pag. 2, ed. speciale per
i quarantanni della testata
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Eppure le difficoltà nell’essere considerati dai tipografi non furono solo ore
sprecate, visto quello che continua a scrivere Zeri:
“Ma quella lunga attesa, che indubbiamente ci danneggiò nella diffusione, fu,
sotto un certo aspetto, provvidenziale. Lavorammo per ore e ore con la vecchia
testata in prima pagina; poi, quasi improvvisamente, Angiolillo ebbe una felice
intuizione. Rinunciò al titolo Italia che gli sembrava di scarsa presa sul
pubblico, scartò quello ambizioso di Europa che gli era stato suggerito da uno di
noi e scelse Il Tempo, riprendendo la testata di un vecchio giornale romano
fondato e diretto da Filippo Naldi nel primo dopoguerra e poi soppresso dal
fascismo.”
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Partì così il più grande azzardo nella vita di quello che poi divenne il senatore
Angiolillo, che con tanti debiti, una società scricchiolante con Leonida Repaci e
solo 3600 lire in cassa, si lanciò nel mondo della carta stampata.
Non è mai stato troppo chiaro come avesse fatto Angiolllo, in quel magma di
testate che comparvero all’improvviso come fiori nel deserto all’indomani della
liberazione di Roma, per ottenere la licenza di uscire necessaria al suo giornale,
che di fatto era l’unico a non essere né un organo di partito né un giornale creato
appositamente dal PWB (Physicological Warfare Branch) alleato, nel frattempo
insediatosi all’interno del decaduto Ministero della Cultura Popolare. Alcuni, tra
cui Chiocci, propendono per l’ipotesi che Angiolillo avesse utilizzato delle
conoscenze non proprio raccomandabili per rabbonire il capo del governo
provvisorio alleato.
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“E Renato Angiolillo fondò Il Tempo” di Marcello Zeri, Il Tempo del 4/11/1985 pag. 2, ed. speciale per
i quarantanni della testata
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“Non è stato mai però esattamente chiarito se fosse vero che per ottenere il
permesso di uscire in esclusiva dal governatore di Roma Charles Poletti,
[Angiolillo] si sia rivolto alle disinvolte arti persuasorie (festini, donne e coca)
di Max Mugnani.”
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Fatto sta che il nuovo quotidiano, con l’indicazione nel sottotestata di
“quotidiano socialdemocratico”
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, comincia ad uscire in edicola.
Si tratta di un giornale povero come tutti quelli che uscivano in quel periodo,
composto di sole due pagine e stampato con mezzi di fortuna ed energia elettrica
razionata, in stamperie spesso non adeguate a questa nuova fame di notizie della
città.
Il foglio di Angiolillo ebbe da subito vita difficile, perché dopo poche uscite
gli alleati decisero di censurare ogni quotidiano che non fosse un organo di
partito, arginando in questo modo l’aumento fuori controllo del numero di nuove
testate e facendo contemporaneamente rispettare gli accordi sulla stampa presi tra
il CLN ed il comando alleato. Fu così che “Il Tempo” venne sospeso fino a data
da destinarsi, sebbene la sua linea non si allontanasse in alcun modo da quella
ufficiale del CNL, e Angiolillo, con l’allora codirettore Repaci, dovette ingoiare
il rospo, pur attivando tutti i canali a sua disposizione per aggirare il divieto.
Detto fatto, dopo circa un mese dalla sospensione, “Il Tempo” tornò in edicola e
questa volta senza riportare la dicitura di “quotidiano socialdemocratico”
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In “1944 Il Tempo” di Francobaldo Chiocci, I giornali di Roma, Ed. Ass. della Stampa Romana 2003
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Leonida Repaci si rifaceva ad un tipo di dottrina socialista avversa al comunismo. Tale dottrina
propugnava comunque una rivoluzione ed il Tempo doveva servire a farsi messaggero di questi ideali.
Repaci sosteneva infatti che Angiolillo si fosse impegnato con lui proprio in questo senso.
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Che ad onor del vero era già scomparsa prima della sospensione, già dal numero 3 del 9 giugno. Dopo
la ripresa dell’edizione giornaliera scompare anche il riferimento alla vecchia testata “L’Italia” fondata da
Cavour e da cui il Tempo era nato.