- il mercato creditizio e gli stessi sindacati non vedono di buon occhio un sistema
di gestione aziendale e delle risorse umane che si basa sulla valorizzazione
(capitalizzazione?) delle persone; il primo perché ritiene troppo rischioso dovere
valutare delle voci valoriali difficilmente quantificabili, i secondi perché vedono
in un modello basato sulla performance individuale delle potenzialità di
discriminazione.
L’obiettivo del presente lavoro è di proporre un modello di gestione organizzativa per
competenze che, prendendo spunto dall’approccio misto proposto da Camuffo (2000
1
),
rappresenti un punto di equilibrio tra le varie correnti teoriche e tra la teoria stessa e la
pratica aziendale, cercando di rintracciare i nessi causali che traducono la performance
individuale in performance organizzativa, nonché valutandone gli effetti in termini
valoriali. Secondo questo approccio il ruolo diventa il “mattone” di base per la
costruzione della performance organizzativa; si tratta di una configurazione del ruolo
che comprende le competenze strategiche, di derivazione top-down, le competenze
distintive individuali, frutto di analisi bottom-up, il grado motivazionale e il complesso
di reti comunicative e collaborative che lega la performance soggettiva a quella
organizzativa.
Il punto di partenza dell’analisi è rappresentato dalla presentazione del “Ciclo del
Valore”, che vede il risultato d’impresa come la conseguenza logica di un circuito
valoriale, articolato in sette fasi:
1) Identificazione delle competenze di successo (needed-to-win);
2) Condivisione della cultura aziendale, governo della conoscenza, motivazione;
3) Elaborazione di una strategia integrata;
4) Traduzione delle competenze in una proposition distintiva per il cliente;
5) Creazione di Valore per il Cliente;
6) Risultati d’impresa;
7) Feedback del ciclo.
La fonte del valore sta nella capacità di offrire qualcosa di differenziante rispetto ai
concorrenti, segnando il vantaggio competitivo dell’azienda. Questa attitudine a
generare valore è tipica delle competenze distintive dell’organizzazione, la quale deve
1
A. Camuffo, Il valore delle competenze, Sviluppo & Organizzazione, N. 178, 2000
4
promuovere lo sviluppo di quelle caratteristiche “strategiche”, che devono
necessariamente avere un orientamento trasversale rispetto al sistema aziendale.
Occorre inoltre identificare quelle competenze distintive di “ruolo”, che determinano il
successo della persona nel proprio lavoro e che sono di natura più “operativa”.
Questo approccio deve guidare la cultura aziendale verso un cambiamento, graduale e
costante, che sia indirizzato all’aumento delle conoscenze tacite negli individui e
nell’organizzazione, perché da esse sono generati i surplus propri delle competenze
distintive. La performance passa dunque dalla capacità di apprendimento degli individui
e dell’organizzazione, ma è influenzata altresì dal grado motivazionale delle persone:
sviluppare le competenze delle persone significa sostenere e formare le loro capacità,
cercando di motivarle al miglioramento.
Ogni fase del cambiamento non può che essere guidata dall’obiettivo comune della
“creazione del valore per il cliente”, che è il mezzo più sicuro per “creare valore
d’impresa” e ciò è possibile solo in contesti lavorativi trasparenti, collaborativi e
fortemente comunicativi.
E’ strettamente necessario che questa identità d’intenti si traduca in un approccio
strategico che integri pienamente le strategie di business, di marketing, finanziaria e di
gestione delle risorse umane, in una sola vision assolutamente customer oriented.
In questo senso ogni area di gestione aziendale porta il proprio contributo nella
definizione della proposition, intesa come pacchetto complessivo di offerta al cliente
(caratteristiche di prodotto, prezzo, servizi accessori, consegna, garanzie, valori
simbolici, design, ...).
Una “proposta di valore” distintiva – qualora sia riconosciuta come tale dal cliente – si
traduce in una posizione di vantaggio competitivo che conduce l’azienda a performance
di successo; sulla base di quanto ottenuto bisogna via via “aggiustare” la strategia e le
competenze, sfruttandone le caratteristiche di dinamicità e flessibilità che le sono
proprie.
Un simile approccio alla gestione organizzativa rappresenta una sfida tanto stimolante
quanto complessa e necessita di strumenti di gestione, motivazione e valutazione della
performance adeguati. Una soluzione a questo problema è stata proposta da Kaplan &
5
Norton (2000
2
) attraverso la creazione della Balanced Score Card, che è un metodo di
gestione, motivazione e misurazione della performance, perfettamente aderente alla
logica del ciclo del valore e molto utile per la sua capacità di prendere
contemporaneamente in considerazione sia le misure quantitative di valutazione del
business sia quelle qualitative di orientamento strategico. Nel presente lavoro si
cercherà di adattare la scheda di valutazione bilanciata al metodo delle competenze
(ipotesi peraltro già presa in considerazione dagli stessi autori nel loro celebre testo),
utilizzandole come indicatori qualitativo-predittivi ed affiancandole ad indici
quantitativo-consuntivi. L’intento è di proporre uno strumento unico che riesca a
conciliare (e valutare) tanto le spinte innovative quanto le esigenze di controllo
dell’impresa, facendo ricorso ad un’unica Balanced Score Card organizzativa e ad una
serie di schede valutative, coerenti alla configurazione del ruolo (o di gruppi di ruoli o,
eventualmente, di team).
Uno dei problemi fondamentali, proposti dal metodo delle competenze, riguarda la
valutazione delle “competenze”, almeno nelle loro caratteristiche più nascoste, la quale
non può che avvenire tramite delle analisi di tipo comportamentale.
Il primo passo da compiere è quello di cercare di comprendere i processi cognitivi e
decisionali dell’individuo e come essi si attivino, in che direzione evolvano, nonché in
che modo siano soggetti a distorsioni.
A questo punto si deve scegliere il metodo di valutazione più opportuno per valutare la
performance individuale, che è da intendersi come la sintesi delle competenze e della
motivazione espresse nel ruolo e del grado di allineamento all’interno
dell’organizzazione.
Il presente testo racchiude dunque l’intenzione di proporre un sistema di gestione delle
risorse umane per competenze, che risulti autenticamente integrato alla strategia
d’impresa, affinché la performance degli individui e dell’organizzazione siano orientate
al medesimo obiettivo. Questa è la condizione sine qua non risulta impossibile valutare
la performance delle persone e tradurla in performance organizzativa.
2
R. Kaplan, D. Norton, Balanced Score Card: tradurre la strategia in azione, ed. Italiana a cura di
A.Bubbio, ISEDI, 2000
6
L’ultimo capitolo presenta un caso di applicazione del metodo delle competenze in
Canon Italia S.p.a., con l’intento di verificare quali vantaggi abbia portato tale sistema,
quali problemi siano emersi nel corso della sua implementazione e in che direzione sia
destinato ad evolvere.
7
CAPITOLO I – IL CICLO DEL VALORE
Ogni impresa – intesa come “Sistema vitale” (G.M. Golinelli, 2000
3
) – a prescindere
dal settore di attività o dalla classe dimensionale, deve far fronte a diverse richieste (o,
per meglio dire, interessi) di differenti soggetti, spesso in contrasto tra loro.
I vari stakeholders si distinguono soprattutto per la scelta dell’obiettivo primario
d’impresa.
Gli azionisti (specialmente quelli di minoranza) mirano spesso ad ottenere alti profitti
(dunque alti dividendi), i fornitori gradirebbero trattare con aziende con alti flussi di
cassa positivi, i “commerciali” auspicano sempre un elevato fatturato, ecc…
Quest’ottica è tipica di un’azienda poco caratterizzata, nella quale le persone non
collaborano per il conseguimento di un fine comune, ma convivono nella speranza di
soddisfare i propri obiettivi e interessi.
E’ proprio in considerazione di questo fatto che, al fine di creare e sviluppare
un’organizzazione coerente ad uno specificato target, è indispensabile definire una
mission nella quale le persone che lavorano per l’azienda (o con l’azienda) possano
riconoscersi.
Occorre dunque trovare un meta-obiettivo, condivisibile e condiviso dai vari soggetti,
che sia coerente e strumentale ai loro micro-obiettivi, affinché questi ultimi divengano
declinazioni della superiore mission aziendale.
E’ per dare una risposta a questa sfida che oggi si sono imposti nella cultura
manageriale le teorie di “Creazione del Valore” e di “Creazione di Valore per il Cliente”
(che affonda le sue radici nella teoria della “Qualità totale”).
I due principi attengono ad aree differenti (della finanza il primo, della produzione il
secondo), ma sono assolutamente complementari. Essi convergono infatti su medesime
finalità: la sopravvivenza a lungo termine dell’impresa, la conservazione e lo sviluppo
di posizioni di vantaggio, il controllo del rischio.
E’ a partire da questa considerazione di complementarità che si procederà a definire il
“Ciclo del Valore”, che mette al centro del Sistema-Impresa il “Valore per il Cliente”
come mission condivisa dalle persone.
3
G.M. Golinelli, L’approccio sistemico al governo d’impresa, CEDAM, 2000
9
Rispetto ad essa si dovranno poi derivare le needed-to-win capabilities, ossia quelle
meta-competenze proprie dell’organizzazione ed associate direttamente al meta-
obiettivo, che conducono ad una performance superiore.
Solo a questo punto sarà possibile elaborare una coerente Strategia di Business che,
implementata e tradotta in propositions distintive per il cliente, traghetti l’impresa verso
i risultati sperati.
Il Ciclo del Valore può quindi essere sintetizzato come in Figura 1.
Figura 1 – Il Ciclo del Valore
1) Identificazione delle needed-to-win capabilities
2) La condivisione della cultura aziendale,
governo della conoscenza e motivazione
7) Feedback del Ciclo
3) Elaborazione di una Strategia di Business coerente
6) Risultati d’Impresa
4) Traduzione delle Competenze in una distintiva
proposition per il cliente
5) Creazione di Valore per il Cliente
1. Needed-to-win capabilities e valori aziendali
Il primo passo per l’attivazione di un circolo virtuoso del Valore si caratterizza
nell’individuazione delle competenze, proprie dell’organizzazione, che conducono al
conseguimento ed al mantenimento di un vantaggio competitivo “sostenibile”.
Si fa riferimento ad un’architettura di competenze che, oltre a quelle indispensabili per
rimanere sul mercato, ricomprende un saper fare di ordine superiore che presidia la
10
traduzione della conoscenza in azione. Si traccia in tal modo una distinzione tra needed-
to-play capabilities e needed-to-win capabilities (A. Lipparini, R.M. Grant, 2002
4
).
Quali peculiarità deve avere una competenza perché possa ragionevolmente essere
definita “distintiva”?
Una competenza distintiva è tale se:
• su di essa poggia il business fondamentale dell’impresa (D.J. Teece, G. Pisano,
1994
5
);
• conduce a superiori benefici per il cliente, accrescendo il valore del prodotto o
del servizio offerto (G. Hamel, 1994
6
);
• segna una differenziazione, riconosciuta dal mercato, rispetto ai concorrenti;
• è unica (per poter mirare, ad esempio, ad un premium-price) e difficilmente
replicabile (per poter sostenere il vantaggio competitivo nel lungo periodo).
Le competenze che rispondono alle succitate caratteristiche si definiscono dunque,
secondo lo schema proposto da Lipparini e Grant, needed-to-win capabilities.
Si tratta dunque di creare un’architettura coerente e sistemica nella quale inserire le
varie competenze, skills e attitudini che, attraverso processi di apprendimento
individuale e collettivo, determinano lo sviluppo della competenza organizzativa.
Ogni impresa gestisce le proprie competenze in modo differente, in relazione alla
propria capacità di riconoscere le competenze possedute ed il loro potenziale, rispetto
alla dinamica competitiva. Per una gestione strategica delle competenze, finalizzata al
rafforzamento del potenziale dell’impresa in termini di creazione del valore, occorre
procedere ad una loro sistematizzazione.
La Figura 2 rappresenta la mappatura dell’architettura delle competenze basata su due
dimensioni: il valore della competenza, misurato dal suo contributo al vantaggio
competitivo dell’organizzazione, e l’unicità della competenza, misurata dal suo livello
di firm specificity (ovvero dal suo grado di non-replicabilità).
Per quanto attiene alla prima dimensione, si può affermare che una competenza ha un
alto valore se consente di: implementare strategie che migliorano l’efficienza e
l’efficacia del comportamento dell’impresa; sfruttare le opportunità di mercato;
4
A. Lipparini, R.M. Grant, La gestione strategica delle competenze organizzative, Sviluppo &
Organizzazione N. 192, 2002
5
D.J. Teece, G. Pisano, The Dynamic Capabilities of Firms: An Introduction, Industrial and Corporate
Change 3, pp. 537-556, 1994
6
G. Hamel, Competence-based competition, John Wiley & Sons, pp. 11-33, New York, 1994
11
neutralizzare potenziali minacce. Rifacendosi alla resource-based view, il valore delle
competenze coincide con ciò che un acquirente è disposto a pagare per il prodotto (o il
servizio) offerto dall’impresa. Le competenze creano valore se aiutano l’impresa ad
offrire prodotti e servizi a costi inferiori o a fornire maggiori benefici al cliente.
Una misura del valore può essere la differenza tra i benefici strategici per il cliente,
direttamente riconducibili alla competenza, ed i costi ad essa relativi (ad esempio, quelli
sostenuti per l’addestramento e lo sviluppo delle capacità del personale) (D.P. Lepak,
S.A. Snell, 1999
7
).
La seconda dimensione considerata fa riferimento alla difficoltà di replicazione della
competenza da parte dei concorrenti. Il possesso di competenze uniche può consentire
all’impresa l’ottenimento di rendite differenziali. Tale caratteristica di firm-specificity si
intensifica nei contesti fortemente interdipendenti, che sviluppano alti livelli di
conoscenza tacita e che si fondano su modalità di organizzazione di tipo team-based. I
processi idiosincratici che sottostanno a queste competenze ne rendono difficile il
reperimento sul mercato. Analogamente alla prima variabile, un alto grado di unicità
delle competenze si riflette in una posizione di vantaggio competitivo, poiché crea un
gap positivo (in termini di beneficio per il cliente) rispetto ai concorrenti.
Prendere il cliente come punto di partenza per l’analisi del valore di una competenza è
un fatto rilevante per l’implementazione della strategia. Una competenza è distintiva
solo se crea un surplus di valore per il cliente e se il cliente stesso riconosce tale
vantaggio all’impresa (pagando un premium-price, fidelizzandosi alla marca, ecc…).
Il quadrante (I) in Figura 2 è indicativo di competenze uniche che hanno un alto valore
a causa del loro impatto diretto sulle performance e sulla posizione competitiva
dell’impresa.
Queste competenze, già definite needed-to-win, rappresentano veri e propri core assets:
idiosincratiche e difficilmente replicabili conducono a benefici strategici che eccedono i
costi associati al loro sviluppo e impiego.
Un elemento chiave per la loro corretta gestione riguarda il commitment dei vertici
aziendali al loro sostenimento nel lungo periodo.
7
D.P. Lepak, S.A. Snell, The human resource architecture: toward a theory of Human Capital allocation
and development, Academy of Management Review, 24 (1), pp. 31-48, 1999
12
Figura 2 – L’architettura delle competenze organizzative (Lipparini, Grant, 2000
8
)
A
l
t
o
(III)
Competenze needed-to-play
(I)
Competenze needed-to-win
L
i
v
e
l
l
o
d
i
u
n
i
c
i
t
à
d
e
l
l
a
c
o
m
p
e
t
e
n
z
a
B
a
s
s
o
(IV)
Competenze needed-to-loose
(II)
Competenze needed-to-play
Basso Alto
Valore della competenza organizzativa
L’investimento nello sviluppo di questo tipo di competenze, associato ad un
significativo coinvolgimento delle persone nel processo decisionale, si traduce in un
maggiore incentivo ad intraprendere processi di apprendimento firm-specific e si
accompagna generalmente ad elevate performance (E.E. Lawler, S.A. Mohrman, G.E.
Ledford, 1995
9
). L’approccio più appropriato, per implementare tali competenze, è
stimolare il coinvolgimento delle risorse umane e cercare di massimizzare i ritorni sugli
investimenti a loro favore. A questo proposito, le imprese basano le decisioni sul
potenziale più che sulle competenze possedute dagli individui, oppure orientano gli
investimenti verso la formazione del personale, affinché possano sviluppare tali capacità
“uniche”.
8
A. Lipparini, R. Grant, Le competenze per lo sviluppo imprenditoriale, in Imprenditori e imprese. Idee,
piani, processi, pp. 103-118, Il Mulino, Bologna, 2000
9
E.E. Lawler, S.A. Mohrman, G.E. Ledford, Creating high performance organizations: Practices and
results of employee involvement and total quality management in Fortune 1000 companies, Jossey-Bass,
San Francisco, 1995
13
Il seguente elenco – certamente non esaustivo – evidenzia alcune competenze needed-
to-win, che accomunano molte imprese con performance significative e sostenute:
1) Saper far leva sulle competenze
2) Saper condividere la conoscenza (per rigenerare le competenze)
3) Saper coltivare il “fattore rapidità”
4) Saper accedere rapidamente a competenze esterne
5) Saper prevedere il fabbisogno di informazioni per generare conoscenza
6) Saper valorizzare il proprio archivio di esperienze
7) Sapere di sapere: riflettere sulle proprie risorse inutilizzate
8) Saper rompere le routine per recuperare concentrazione
9) Saper rendere l’apprendimento una pratica abituale
10) Saper costruire nuove competenze.
Da quanto fin qui esposto, appare evidente l’importanza delle competenze distintive e
della loro individuazione e valorizzazione all’interno del sistema–impresa.
Tuttavia le core competences, se non inserite in un adeguato schema di classificazione,
non forniscono elementi sufficienti a prendere decisioni chiave riguardo
all’organizzazione ed alla strategia.
Per utilizzare le competenze al fine di formulare strategie e di allineare l’organizzazione
occorre dunque isolare le proprie competenze distintive e quindi dividerle in classi di
competenze. In tal modo è possibile far emergere un ordine di priorità e stimolare un
ripensamento critico che può essere, in ultima analisi, la chiave per prendere decisioni
organizzative.
Il concetto di “competenza organizzativa” è distinto ma strettamente collegato a quello
di “competenza individuale”, propria di ogni singolo lavoratore. Combinazioni uniche o
ampie di competenze individuali possono costituire le competenze aziendali.
In Figura 3 si propone uno schema di classificazione che, ordinando le competenze
secondo il grado di priorità e strategicità, consente di operare delle scelte. Spesso infatti
il “caos” organizzativo è determinato dal desiderio di “essere bravi in tutto”, che si
riflette appunto nell’incapacità di focalizzarsi su decisioni di priorità e di saper compiere
scelte difficili.
14
Figura 3 – Classi di competenze (J.T. Kouchanski, D.H. Ruse, 1997
10
)
CLASSI DI COMPETENZE CARATTERISTICHE DISTINTIVE
• Strategiche
- Consentono un vantaggio competitivo
- Uniche rispetto alla concorrenza
- Valore per il cliente
- Orientate al futuro
- Dinamiche
• Core
- Motore “evidente” dell’azienda
- A contatto con il cliente
- Consentono l’ottenimento di quelle strategiche
• Necessarie
- Non se ne può fare a meno
- Non uniche
- Si può fare affidamento su altri
• Inadeguate
- Al di fuori della direzione strategica
- Di maggior valore altrove
- Ridondanti
Rispetto alla schematizzazione di cui in Figura 2, si crea qui una scissione delle
competenze needed-to-win in competenze “strategiche” ed in competenze core. La linea
di separazione tra esse non sta tanto nel loro “peso specifico” all’interno
dell’organizzazione, quanto nell’orizzonte temporale in cui si inseriscono, essendo le
prime tese al futuro e le seconde radicate nel presente. Da questo punto di vista si può
affermare che le competenze strategiche non sono che una proiezione, coerente e
sistemica, delle competenze distintive che determinano il successo aziendale nel
presente.
Dopo aver identificato, classificato ed inserito le needed-to-win capabilities in una
adeguata strategia di business, è di fondamentale importanza tradurre questi valori
aziendali di successo in valori condivisibili – e condivisi – dagli individui, affinché si
crei un forte legame tra competenze individuali e competenze organizzative.
E’ dalla reale condivisione di questi valori che si possono rigenerare e rinnovare le
competenze acquisite; ed è soltanto affrontando questo passo fondamentale che si può
ottenere un alto grado di commitment da parte delle persone, fondato su solide basi.
Si passa in tal modo dalla sfera propria delle “competenze” all’area “motivazionale”
delle risorse umane: è su queste due variabili, infatti, che si basa la performance
dell’individuo, che si riflette necessariamente sul risultato d’impresa (tale argomento
sarà approfondito oltre, cfr. Cap. III).
10
J.T. Kouchanski, D.H. Ruse, Competenze e sviluppo delle risorse umane, Sviluppo & Organizzazione
N.160, 1997
15
Tra i valori aziendali si vedrà come la “Creazione di Valore per il Cliente” giochi un
ruolo centrale ed imprescindibile, per ottenere risultati sostenibili nel lungo periodo.
2. La condivisione della cultura aziendale, governo della conoscenza e
motivazione. Cenni sulle politiche retributive.
La cultura aziendale può essere definita come l’insieme di norme (etiche,
comportamentali, tecniche ed organizzative) che caratterizzano un’impresa,
condizionando le azioni e gli atteggiamenti delle persone e dei gruppi che operano al
suo interno. Tali norme, a loro volta, sono aspettative in merito ai comportamenti che si
ritengono appropriati e inappropriati (E. F. Cabrera, 1999
11
).
In altre parole si può affermare che la cultura aziendale è il luogo ideale di sintesi tra i
valori che l’organizzazione esprime (o vorrebbe esprimere) e la mission strategica di
business che intende perseguire.
In realtà ogni persona è portatrice di una diversa costellazione di culture, che è
l’elaborazione individuale di vari elementi di cultura nazionale, etnica, familiare ed
organizzativa. Il comportamento del singolo è dunque dettato dal proprio bagaglio
culturale, che influenza le scelte personali.
L’azienda rappresenta una subcultura basata su un corpus particolare di norme, create
inizialmente da coloro che condividevano una determinata visione ed un certo modo di
metterla in atto.
I valori fondamentali che un’azienda riesce a darsi nel corso degli anni rappresentano
quella che si potrebbe definire cultura “primaria”. Essa, se da un lato offre stabilità nelle
fasi di caos, dall’altro rappresenta un duro ostacolo verso il cambiamento. Spesso
infatti, una delle principali resistenze all’innovazione da parte delle organizzazioni (a
partire dai livelli più alti) prende piede dalla paura di abbandonare una situazione stabile
ed acquisita. In tal senso, l’obiezione più frequente all’idea del cambiamento è
esemplificata dalla frase “Perché cambiare una cosa che fino ad oggi ha funzionato?”.
Questa è una considerazione basta su un’analisi aprioristica del passato. Non è detto che
ciò che ha determinato il successo nel passato debba necessariamente essere un fattore
11
Elizabeth F. Cabrera, An Expert HR System for Aligning Organizational Culture and Strategy,
HUMAN RESOURCE PLANNING, Vol. 22.1, 1999
16
vincente nel futuro. Uno dei principali fini di un’adeguata strategia organizzativa è
quello di traghettare la cultura aziendale verso la propria cultura futura.
Tuttavia la cultura non può – né deve – cambiare di colpo. Essa deve evolvere
lentamente – ma coscientemente – in armonia con la strategia d’impresa.
E’ sotto tale prospettiva che si inseriscono le competenze strategiche che, se
adeguatamente individuate, costituiscono la vera e propria “via per il successo”.
Quindi cambiare la cultura significa modificare i comportamenti individuali per
cambiare le norme culturali. La cultura è la stratificazione dei comportamenti collettivi;
dunque il cambiamento culturale inizia quando si convincono le persone a modificare i
loro comportamenti.
Le culture aziendali filtrano l’azione in diversi modi. Rob Goffee e Garreth Jones hanno
costruito una matrice tipologica delle diverse culture aziendali.
Lo schema si basa su due elementi: “solidarietà” e “socialità”. La solidarietà è il grado
di coesione sugli obiettivi e sul modo di perseguirli. La socialità è definita dal grado di
sincerità e di rapporti all’interno dell’organizzazione. In un’organizzazione che dimostra
un’elevata solidarietà, i rapporti sono costruiti intorno alla partecipazione ad attività
comuni e da una serie di obiettivi condivisi che andranno a beneficio di tutti quanti. Le
organizzazioni “sociali” si fondano generalmente sull’interazione personale tra colleghi
che condividono gli stessi valori ed interessi. Questo tipo di ambiente favorisce il lavoro
in team, lo scambio delle informazioni e la creatività.
Laddove la cultura è di ostacolo al cambiamento organizzativo, la prima preoccupazione
dovrebbe essere quella di modificare i comportamenti che contrastano il perseguimento
dei nuovi obiettivi del sistema-impresa (H.C. Weizmann, J.K. Weizmann, 2001
12
).
Nella Figura 4 è esplicitata la matrice delle dimensioni culturali Goffee – Jones.
La Direzione del Personale deve avere come obiettivo quello di creare
un’organizzazione che presenti un alto grado per entrambe le caratteristiche menzionate.
Per ottenere un elevato livello di solidarietà è necessario orientare le persone verso il
meta-obiettivo comune, come precedentemente sottolineato. A tal fine è altresì
necessario predisporre un clima di intesa e collaborazione, facendo leva sulla
motivazione e cercando di sviluppare negli individui competenze di diplomazia e di
leadership adeguate.
12
Howard C. Weizmann, Jane K. Weizmann, Gestione delle Risorse Umane e Valore dell’Impresa,
FrancoAngeli, p.66, 2001
17
Figura 4 – Le dimensioni culturali (R. Goffee, G. Jones, 1996
13
)
A
l
t
a
INTEGRATA
"Aggirare la gerarchia"
COMUNITARIA
"Siamo sulla stessa barca"
S
o
c
i
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l
i
t
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B
a
s
s
a
FRAMMENTATA
"Quale organizzazione?"
MERCENARIA
"Difendiamo i nostri interessi"
Bassa Alta
Solidarietà
Soltanto in organizzazioni che presentano alti livelli di socialità e solidarietà si può
innestare un circolo virtuoso di condivisione e creazione di conoscenza.
E’ da tempo condivisa, in ambito di teoria e di pratica manageriale, la convinzione che
una delle principali fonti di vantaggio competitivo risieda nella conoscenza
organizzativa.
“L’informazione è un flusso di messaggi, mentre la conoscenza è creata da quel flusso
di informazioni, che è ancorato alle convinzioni e alle responsabilità di chi la
possiede… La conoscenza è essenzialmente legata all’azione umana” (I. Nonaka, H.
Takeuchi, 1997
14
).
13
Rob Goffee, Garreth Jones, What Holds the Modern Company Together, Harvard Business Review,
1996
14
I. Nonaka,H. Takeuchi, The knowledge-creating company. Creare le dinamiche dell’innovazione,
Guerini e Associati, Milano, 1997
18