5
Tra i valori imprenditoriali che hanno un profondo influsso sulla vita delle imprese,
particolare rilievo assumono quelli professati dagli attori-chiave
3
cioè “le persone con
potere e autorità tali da influenzare le idee dominanti dell’impresa”, coloro che stante
una certa struttura di potere, di fatto esercitano la leadership strategica e operativa
dell’impresa..
In un’impresa con una struttura di potere fortemente accentrata, gli attori-chiave si
identificano con il vertice aziendale. Invece, in una struttura di potere molto decentrata
o distribuita attori-chiave possono essere tutti coloro che di fatto utilizzano i gradi di
libertà loro consentiti. In ogni caso, poiché la struttura di potere di un’impresa fa capo ai
detentori del cosiddetto capitale di controllo, tra gli attori-chiave si ritrovano
solitamente uno o più esponenti della proprietà, i quali non di rado hanno un ruolo
attivo anche sul piano imprenditoriale e manageriale.
I valori degli attori-chiave sono sempre costitutivi di ciò che l’impresa di fatto è: sia che
si tratti di attori dalla forte personalità, che lasciano un’impronta difficilmente
cancellabile nella cultura e nei caratteri distintivi dell’impresa, sia quando la leadership
è impersonata da uomini dalla personalità debole e non troppo attenti alla prosperità
duratura dell’impresa, che viene così a rispecchiarne le carenze e le incoerenze della
impostazione imprenditoriale.
3
R. Normann in “Management for growth”, 1970.
6
1.1. Valori imprenditoriali nella dottrina
Vari filoni di studio si sono occupati della tematica dei valori imprenditoriali; tra i più
significativi si possono citare: il filone istituzionalista-aziendale, quello dell’etica
d’impresa (Business Ethics), quello della strategia sociale (Societal Strategy), quello
dell’innovazione imprenditoriale e quello delle imprese eccellenti.
Gli studi del filone istituzionalista si occupano di una vasta problematica concernente le
finalità dell’impresa e i rapporti tra i “partecipanti” in ordine all’esercizio del potere di
governo o del potere di condizionamento della stessa. I valori imprenditoriali evocati e
proposti dai cultori di studi aziendali sono in ultima analisi la stessa impresa, concepita
come un istituto unitario nella molteplicità di elementi che lo compongono (finanza,
marketing, organizzazione, e così via); lo scopo è perseguire la funzionalità duratura
dell’impresa, con tutto quello che ciò comporta sul piano della ricerca di coerenze
sistematiche, della fedeltà alla missione istituzionale, della salvaguardia della continuità
e dell’autonomia, del mantenimento di una tensione all’economicità.
Diverso è l’approccio degli studi di Business Ethics che propone come valori la vita e il
benessere di ogni singolo uomo, l’onestà, la lealtà e la giustizia. L’applicazione di
questi principi etici generali nella vita concreta delle imprese non di rado si presenta
incerta, soprattutto perché i soggetti chiamati a decidere – sia per la molteplicità di
interessi coinvolti nell’impresa, sia per la molteplicità di ruoli da essi ricoperti nella
società – hanno dei doveri morali nei confronti di una pluralità di persone e collettività
dalle attese differenziate e spesso in conflitto tra loro. Le decisioni prese in esame
appartengono alle più svariate aree del management, potendo riguardare i sistemi di
produzione, l’informativa degli azionisti e dei terzi, le relazioni pubbliche, la
comunicazione pubblicitaria e via discorrendo, considerate sempre nei loro risvolti
morali, che interpellano le coscienze individuali dei decisori. Tuttavia questi studi non
riguardano solo il management, dato che chiunque lavori in azienda può trovarsi di
fronte a scelte in cui fatica a capire cosa è giusto fare. I valori in questione sono da
considerarsi come dei metavalori, la cui interiorizzazione è una precondizione per
l’affermarsi di valori d’impresa funzionali al successo duraturo della stessa.
7
L’approccio degli studi di strategia sociale prende le mosse dall’infittirsi di domande
sociali rivolte all’impresa e dalla caduta di consenso sociale avvenuta intorno alla stessa
a partire dagli anni Settanta. Questa crisi di legittimazione dell’impresa ha di fatto
attirato l’attenzione sul problema di come conciliare il tradizionale ruolo economico
dell'impresa con le nuove e molteplici richieste di assunzione di responsabilità sociali
che ad essa si rivolgevano. La soluzione di queste problematiche si attua non solo con la
formulazione della strategia sociale (intesa, appunto, come assunzione di responsabilità
e di produzione di risultati sociali), ma anche con lo sviluppo delle capacità
organizzative idonee a formulare una strategia valida e, più ancora, a metterla in pratica
e ad attuarla. Il valore cardine proposto dagli studi in questione è la socialità nella sua
straordinaria ricchezza di contenuti; allo stesso tempo non viene accantonato il valore
dell’economicità, pur restando in ombra rispetto alla rilevanza assunta nel filone
aziendalistico-istituzionale. Oltre a mettere a fuoco il valore della socialità, gli studi di
strategia sociale sono utili per investigare la questione dell’adattamento dei valori
d’impresa al mutare dei valori sociali nell’ambiente circostante.
Gli studi sull’imprenditorialità muovono tutti implicitamente da una concezione
schumpeteriana
4
dell’impresa che si esplicita nella realizzazione di innovazioni, e
concentrano il loro interesse sui processi innovativi. L’innovazione imprenditoriale
costituisce il valore principale della cultura aziendale, esplicitando tutta una
costellazione di valori d’impresa funzionali ai processi innovativi. Tali sono sia i valori
che riguardano l’esercizio di certi ruoli cruciali (ad esempio i valori della creatività e
dell’entusiasmo imprenditoriali, dell’informazione tecnica sullo stato delle conoscenze
in certi campi del sapere, dell’informazione commerciale sull’evolversi dei sistemi
competitivi in certi settori), sia i valori di contorno che definiscono un ambiente
organizzativo favorevole all’innovazione (ad esempio i valori del lavoro di gruppo, la
tolleranza per i devianti rispetto alle regole e alla cultura dominanti, l’informalità e la
facilità delle comunicazioni a tutti i livelli).
Il concetto di “impresa eccellente” si riferisce ad un’impresa che con continuità, nel
lungo periodo, dimostra di saper rispondere validamente alle sollecitazioni ambientali.
La spiegazione del duraturo successo delle imprese eccellenti, deve ricercarsi
4
P
“(…)
la realizzazione delle innovazioni è l’unica funzione fondamentale nella storia ed essenziale nella
teoria almeno in quel tipo di fenomeni che di solito si indicano con i termini di impresa e imprenditore”,
J. A. Schumpeter, “Business Cycles, A Theoretical and Statistical Analysis of the Capitalist process”.
8
nell’operare di una cultura aziendale forte, coesiva, alimentata da un continuo
apprendimento, fatta di un insieme di valori che risponde nel contempo ai bisogni
5
di
sicurezza e realizzazione delle persone che vi lavorano, alle necessità del mercato, alle
esigenze di economicità duratura dell’impresa, alla qualità, al servizio al cliente, alla
flessibilità, fluidità e informalità organizzativa, alla capacità di innovare, all’attenzione
per le persone che operano in azienda. Essi sono vissuti con un’intensa partecipazione
emotiva, che si manifesta nell’amore per il prodotto, nella dedizione al cliente, nella
soddisfazione e nell’orgoglio di far parte di un’impresa vincente nelle arene
competitive. Il management si occupa di questi aspetti, nel contesto di questa tipologia
di aziende, con una continuità di impegno che si traduce in politiche e fatti gestionali
coerenti e in una varietà di espedienti organizzativi che ne testimoniano il profondo
radicamento nella vita e nella struttura aziendale.
In sostanza, il filone istituzionalista-aziendale e quello di strategia sociale propongono
essenzialmente dei valori istituzionali tendenti a definire il ruolo dell’impresa nel
contesto socio-economico e il suo esplicarsi in rapporti fisiologici tra l’impresa, coloro
che ne reggono le sorti e gli attori sociali dotati di un potere di condizionamento della
stessa. Gli studi sull’innovazione e sull’eccellenza imprenditoriale, invece, propongono
innanzitutto dei valori di cultura organizzativa che consentono il raggiungimento di
elevate prestazioni.
5
Cfr la teoria di Maslow secondo cui la motivazione di un comportamento nasce dalla tendenza a
soddisfare un bisogno. Il concetto di bisogno è utilizzato nel vocabolario delle motivazioni per spiegare le
cause di un’azione, giustificarla e legittimarla. Esistono cinque livelli di bisogni sistemati in ordine
gerarchico in base alla priorità nella loro soddisfazione:
- bisogni fisiologici (cioè i bisogni più semplici: mangiare, coprirsi, ripararsi dalle
intemperie…)
- bisogni di sicurezza (cioè la protezione dai pericoli)
- bisogni sociali (cioè bisogni di appartenenza e amore: amicizia, famiglia,
associazione, gruppo…).
- bisogni dell’ego (cioè i bisogni di stima da parte degli altri ).
- bisogni di autorealizzazione (stima di se stesso come persona, piacersi…).
Si passa a realizzare i bisogni del livello superiore soltanto quando si sono realizzati i bisogni del livello
precedente, più pressanti, che tendono a dominare il comportamento tanto da far sentire gli individui
poco motivati a realizzare i bisogni superiori: le motivazioni che spingono al soddisfacimento di certi
bisogni, a volte sono evidenti ma a volte sono soltanto inconsce. Per questo è importante utilizzare una
comunicazione corretta che renda chiari a sé ed agli altri i vantaggi delle informazioni e gli obbiettivi che
si vogliono perseguire ed è soltanto tramite un processo di autoanalisi, che si riesce a comunicare sempre
meglio il proprio bisogno da soddisfare e a comprendere le necessità degli altri.
9
1.2 L’importanza dei valori
Lo studio dei valori e del loro ruolo all’interno della gestione organizzativa è stato uno
degli argomenti più dibattuti nel corso degli anni Ottanta, suscitato dalla pubblicazione
di tre libri nel 1981 e 1982.
Nel libro Corporate Cultures
6
, Terence Deal, docente della Vanderbilt University, e
Alan Kennedy, consulente della McKinsey & Co., studiano il legame che esiste tra
valori e cultura. sottolineando l’importanza della dimensione emotiva nella gestione. I
manager razionali, raramente prestano molta attenzione al sistema di valori di
un’azienda. Mentre gli autori ritengono che forgiare ed accrescere i valori, sia il
compito più importante di un manager: “In realtà, riteniamo che spesso le aziende
abbiano successo in quanto i loro impiegati riescono ad identificarsi con i valori delle
aziende stesse, abbracciandoli ed agendo in base ad essi”.
Deal e Kennedy dedicano la loro analisi al ruolo dei valori all’interno dell’azienda; i
valori costituiscono innanzitutto un meccanismo di controllo informale che modella le
aspettative cioè i framework all’interno dei quali le persone si muovono ma
rappresentano anche un fattore motivazionale che dà significato al lavoro.
William Ouchi, docente della University of California, pone l’accento sulla funzione di
controllo dei valori e sui i meccanismi per governare l’impresa e le transazioni
distinguendo tra:
ξ Mercato che richiede il rispetto delle norme sociali di reciprocità e l’informazione
sui prezzi;
ξ Burocrazia che richiede per il funzionamento anche il rispetto di autorità legittima
(gerarchia), oltre alla conoscenza di regole e procedure;
ξ Clan è la forma di governo più complessa perché richiede la condivisione di valori,
credenze e tradizioni, ma è la forma più adatta a governare le transazioni di lungo
6
T. Deal e A Kennedy, “Corporate Cultures”, Addison- Wesley, Reading, Mass., 1982. pag. 21
10
periodo, infatti la profonda socializzazione favorisce il formarsi della fiducia
reciproca.
Nel testo Theory Z, spiega che alcune organizzazioni, come ad esempio l’esercito
americano e la IBM, controllano le decisioni attraverso la “cultura di clan” ossia un
sistema di valori. L’organizzazione di tipo Z è molto simile a quella di aziende
giapponesi. Essa prende le decisioni basandosi sia sui valori, che sui fatti. In
un’organizzazione di tipo Z ciò che è esplicito e ciò che è implicito sembrano coesistere
in armonioso equilibrio. Infatti le decisioni vengono prese non solo in base ad un’analisi
completa dei fatti, ma anche tenendo presente la cultura aziendale ed in particolare ci si
chiede se quella decisione è adatta all’azienda.
Nelle burocrazie e nei mercati finanziari, gli individui vengono incoraggiati ad agire in
modo egoistico ed individualistico per arrivare al bene comune; la socializzazione degli
individui all’interno di un sistema di valori è una soluzione per assicurarsi che essi
cercheranno naturalmente di fare ciò che è bene per tutti. Egli sostiene che solo il
meccanismo burocratico che si basa esclusivamente sulla razionalità legale produce solo
alienazione ed un ridotto senso di autonomia.
Il terzo libro è The Art of Japanese Management di Richard Pascale e Anthony Athos:
la tesi sostenuta è che molte aziende giapponesi hanno una componente che manca alle
imprese occidentali: la capacità di saper creare il senso di appartenenza che diventa il
“tessuto spirituale” dell’azienda e sono “probabilmente la sua arma segreta meno
manifesta”
7
.
Al contrario il problema della maggior parte delle aziende occidentali è che i manager e
i leader sono diffidenti nei confronti della spiritualità. “Per un incidente storico, noi
occidentali abbiamo sviluppato una cultura che crea una scissione tra la vita spirituale
ed istituzionale dell’uomo. Tale corso degli eventi ha avuto un impatto di vasta portata
sulle moderne aziende occidentali. Esse, infatti, liberamente accampano diritti sul
corpo e sulla mente, ma vengono culturalmente scoraggiate ad intromettersi nella
nostra vita personale e nelle nostre più profonde convinzioni”
8
.
7
R. T. Pascale e A. G. Athos “The Art of Japanese Management”, Simon & Schuster, New York, 1981 p.
192
8
Pag. 192, ibidem.
11
Pascale e Athos riconoscono l’attenzione che, nei tardi anni ’70, molte aziende
prestavano alla responsabilità aziendale ed alla dichiarazione della missione. Ma essi
sono giunti alla conclusione che tali sforzi non erano sufficienti. Ci si è orientati verso
lo sviluppo della nozione di scopo aziendale. Ciononostante, il riconoscimento del ruolo
di un’azienda, nel servire i valori umani di livello più alto, non è stato ancora
pienamente accettato.
12
1.3 Gli attori-chiave
Volendo fornire una più articolata strumentazione analitica, utile per riconoscere ed
esplicitare i valori di fatto professati nella concreta realtà di determinate imprese, si può
cominciare con l’osservare che determinati valori d’impresa – innestati nella sua cultura
e nella sua organizzazione dagli attori-chiave avvicendatisi nel corso della sua storia – si
identificano in ultima analisi con la concezione che nei fatti tali soggetti hanno
dimostrato di avere dell’impresa e della sua ragion d’essere in rapporto:
~ a loro stessi, ai loro interessi e alle loro responsabilità;
~ ai contributi e consensi da richiedere ai vari attori sociali della cui collaborazione
l’impresa ha bisogno e alle prospettive di ricompensa e partecipazione da offrire loro;
~ alle arene competitive su cui l’impresa deve cimentarsi e in ciò che in esse ha da dire;
~ ai caratteri strutturali e funzionali dell’organizzazione;
~ all’immagine aziendale, intesa come identità dell’azienda percepita da chi vi lavora e
all’esterno, la quale può rispondere o meno alla identità ricercata.
In altri termini, la domanda “che cos’è stata l’impresa per i suoi attori chiave?”
conduce direttamente al nocciolo di ogni problematica esistenziale dell’impresa e al
riconoscimento dei suoi valori, a condizione di cercare la risposta non in astratte
disamine filosofiche, ma nella storia dell’impresa e, precisamente, nelle scelte e nei fatti
rivelatori della mentalità, della cultura e dei valori effettivamente professati.
La concezione dei propri diritti e doveri, da cui gli attori-chiave si sono lasciati guidare
nel rapporto con l’impresa, rimanda a precise scelte di valore: la pace e gli equilibri
familiari del gruppo proprietario, da mantenersi dando occupazione in azienda a
qualunque erede lo desideri, ancorché non sia adatto e preparato; la creatività
imprenditoriale; un non corretto esercizio del potere di controllo; la solidità e la
continuità dell’impresa. E’ chiaro che questi modi di intendere il proprio rapporto con
l’impresa, nella misura in cui informano il comportamento direzionale, esercitano un
influsso profondo sui destini della stessa, implicando decisioni di importanza cruciale
13
tra cui il prelevamento degli utili, le politiche di investimento/indebitamento, lo
sviluppo di nuove iniziative, l’allargamento della base azionaria.
Il modo di intendere il proprio rapporto con l’impresa non può non saldarsi con il modo
di intendere il rapporto dell’impresa con gli altri attori che ne sono parte integrante (in
primo luogo i lavoratori, le minoranze azionarie, i creditori e gli altri attori sociali
interessati). I valori d’impresa che ne emergono regolano le modalità di ricerca dei
contributi e dei consensi necessari e hanno a che vedere in varia misura con categorie
come la fiducia, la collaborazione costruttiva, il dialogo, le convergenze di interessi, la
trasparenza dell’informativa, la responsabilizzazione reciproca nei rispettivi ruoli, il
tutto in una visione lungimirante ed attrattiva della “missione” aziendale; oppure,
all’opposto, la diffidenza, i rapporti di forza, le contrapposizioni frontali ed esasperate
di interessi immediati, l’opacità dell’informativa, le confusioni di ruoli senza una lucida
e lungimirante visione dell’avvenire dell’impresa.
L’idea di missione richiama il campo di attività
9
in cui l’impresa è impegnata e in cui
vuole continuare ad cimentarsi; il “senso” o la ragion d’essere dell’impegno in quel
campo di attività, intesa come elemento su cui costruire l’immagine aziendale (il senso
può essere legato alla particolare rilevanza dell’attività esercitata, ma per lo più è quello
di eccellere, di essere vincenti); quella variabile o quelle pochissime variabili
competitive prescelte come fattori critici di successo su cui si vuole eccellere
sviluppando proprie competenze distintive (ad esempio il servizio al cliente, la qualità
del prodotto, il rapporto qualità/prezzo).
Ciò che da senso all’impegno in un certo campo di attività economica e la mobile
frontiera su cui ci si vuole avventurare costituiscono i valori d’impresa direttamente
evocati dalla missione aziendale. Ma altri valori sono sottesi: il lavoro umano, che dalla
missione aziendale riceve significato; l’innovazione e l’apprendimento, senza cui non
c’è vantaggio concorrenziale che possa essere durevolmente mantenuto; la libertà di
espressione delle proprie idee, il rispetto e l’attenzione per i ‘devianti’ rispetto alla
cultura dominante (portatori di idee e modelli di comportamento non convenzionali), la
capacità di lavorare insieme, la trasmissione di conoscenza alle nuove leve che entrano
in azienda e ogni altro valore teso a consentire e a favorire le innovazioni necessarie per
realizzare una continua corrispondenza con l’ambiente e una piena coerenza tra gli
elementi interni della formula imprenditoriale. Valori tutti che sono realmente operanti e
9
Il cosiddetto “raggio d’azione”.
14
si tramandano nel tempo solo se permeano profondamente stili di direzione, struttura e
meccanismi operativi diventando così i fondamenti della cultura aziendale.
Non tutte le imprese hanno scoperto di avere una loro specifica vocazione e non si sono
date conseguentemente una missione con le caratteristiche e con i valori tipici delle
imprese eccellenti. Le imprese appartenenti alla sfera della “mediocrità imprenditoriale”
spesso mancano di personalità, hanno una cultura che, anziché essere forte e coesiva, è
debole e frammentata; non hanno coscienza della propria vocazione; presentano
caratteristiche organizzative che ostacolano l’apprendimento e l’innovazione. In tali
imprese i valori di business sono assenti oppure non collimano o non evolvono in
parallelo con i fattori critici di successo nel mercato, mentre i valori organizzativi e
sociali hanno a che fare più con il rigido rispetto delle regole di comportamento
consolidate (politiche, procedure, meccanismi di controllo) piuttosto che con la
flessibilità e l’informalità organizzativa.
I valori d’impresa sono implicati nell’immagine aziendale, in quanto i contenuti della
stessa, in ultima analisi, sono costituiti da valori d’impresa percepiti. Tutti i valori
professati dagli attori-chiave e passati in rapida rassegna concorrono a definire l’identità
e, di conseguenza, l’immagine dell’impresa. E gli interrogativi sull’immagine e su come
essa sia venuta costruendosi nel tempo sono un importante momento di verifica e di
sintesi sui valori e sulla cultura d’impresa.
Le imprese a cultura debole e frammentata, indotta da valori imprenditoriali non
condivisi e contraddittori, sono caratterizzate da un’identità non riconoscibile che
provoca riflessi negativi sull’immagine. Per contro, le imprese con una cultura coesa,
fatta di valori condivisi, hanno una spiccata identità in grado di attrarre selettivamente le
risorse, le collaborazioni e i consensi necessari.
Da questa analisi emerge che valori e cultura d’impresa, da un lato, e immagine
aziendale, dall’altro, sono variabili strettamente collegate. Il management che intenda
costruire una cultura forte, fatta di valori capaci di animare tutti i collaboratori –
trasformandoli tutti in attori-chiave (in un’accezione lata del termine) in grado di
contribuire responsabilmente al successo aziendale – non può fare a meno di agire su
una seria politica di immagine che muova dalla considerazione dell’identità
15
dell’impresa così come essa è percepita, all’interno, dai suoi dipendenti e, all’esterno,
dai suoi clienti, fornitori, finanziatori.
La finalità di una politica di immagine è rivolta non già ad accreditare una identità non
corrispondente al vero, ma a colmare il divario rispetto all’identità desiderabile e,
quindi, a costruire un’immagine autentica di ciò che l’impresa vuole e cerca di essere. E
l’identità ricercata non può che essere quella di un’impresa che si pone al servizio dei
suoi clienti, che sa dare un significato al ruolo dei suoi dipendenti, che assolve nel
migliore dei modi il suo ruolo economico: dunque l’immagine migliora l’impresa.
perché fa prendere coscienza dell’identità aziendale, ed è in grado di generare una
tensione verso una piena realizzazione e condivisione di certi valori imprenditoriali.
16
1.4. Valori individuali e valori aziendali
“Abbiamo imparato (…) che gli elementi intangibili e tangibili stanno diventando
sempre più interconnessi. I valori di un’azienda, ciò per cui essa esiste, quello in cui
crede chi ci lavora, sono fondamentali per il suo successo competitivo. In realtà, sono
loro che guidano l’azienda.”
Robert Haas, presidente e amministratore delegato Levi Strass
I valori sono l’essenza della filosofia di un’azienda per il raggiungimento del successo.
Sono la roccia su cui si fonda la cultura aziendale. Procurano ai dipendenti un senso di
direzione comune e linee guida per il comportamento quotidiano. E in effetti i valori
sono la fonte più profonda e potente di motivazione dell’azione individuale,
rappresentano un principio organizzativo della vita personale, come di quella
dell’azienda.
Mentre ci saranno sempre differenze di priorità e una crescente diversità di valori tra i
dipendenti, il creare consenso su quelli chiave è un compito importante per qualsiasi
gruppo. I dipendenti a qualunque livello devono fronteggiare i clienti, prendere
decisioni costose e bilanciare le priorità in concorrenza. Una volta, l’accordo nasceva
dall’esistenza di prassi rigide e di modelli di comportamento imposti dai superiori.
Oggi, data la più diffusa delega di responsabilità e una maggiore sfera di autonomia per
i singoli dipendenti, le persone devono essere guidate non dalle regole, o da superiori,
ma dalla comprensione dei principali valori sostenuti dall’organizzazione.
I valori si pongono come validi sostituti delle regole solo nella misura in cui questi sono
condivisi, cioè nella misura in cui, nel tempo, si viene a creare una convergenza tra i
valori aziendali e quelli personali. L’incapacità di gestire un vero accordo è in realtà la
principale fonte di gravi disfunzioni organizzative. La condivisione non deve interessare
17
solamente i vertici aziendali ma occorre che vengano presi in considerazione i valori
individuali dell’intera organizzazione.
VALORI CONDIVISI
Fig. 1 -
Ciò che facilita il processo dell’accordo non sono regole scritte o imposizioni, ma un
complesso di valori e di principi. Nelle organizzazioni, così come le business
community, gli individui devono trovare la propria identità. Da qui l’importanza di
mettere in evidenza che un’azienda si può sicuramente definire guidata dai valori se si è
riusciti a trovare una convergenza tra un set di valori esplicitati dall’organizzazione e i
valori personali di ogni membro dell’organizzazione. I risultati che ne scaturiscono sono
i valori condivisi.
I valori personali sono emblematici dell’identità personale di un individuo. Quando
l’individuo trova coerenza tra i propri valori e quelli aziendali riesce a definire meglio la
VALORI
AZIENDALI
VALORI
INDIVIDUALI
18
propria identità. L’appartenenza al gruppo o all’organizzazione prescelta conferisce
maggior spessore alla propria individualità, agevolando l’individuo nell’esprimere
compiutamente sé stesso.
Kets de Vries
10
sostiene che il lavoro dei leaders potrebbe essere definito come gestione
di energia: il compito principale del leader è quello di trovare il modo di indirizzare
tutte le energie presenti nell'organizzazione verso un obiettivo comune: “Devono fare
qualcosa di più che non creare ed estrinsecare una visione del futuro capace di
armonizzarsi con l'ambiente esterno. Si chiede loro di articolare, condividere e
realizzare questa visione incanalando verso l'esterno l'energia aggressiva delle persone
che dipendono da loro, di creare un ambiente nel quale questa energia non vada
sprecata in lotte intestine e giochi di potere”.
Nella loro analisi sui fattori dinamici che caratterizzano il processo di leadership, Posner
e Kouzes individuano cinque pratiche comuni che il leader deve mettere in atto:
1. ispirare una visione condivisa;
2. rendere gli altri capaci di agire;
3. sfidare i processi di cambiamento;
4. esemplificare le loro azioni;
5. essere in relazione con gli altri.
Secondo Posner e Kouzes, la leadership è un processo attivo che richiede la capacità di
agire di propria iniziativa; molto spesso le competenze specifiche, anche se soddisfano
le esigenze del momento, devono affiancarsi al coraggio di agire sfidando gli eventi. La
sfida può essere relativa a un prodotto innovativo, a una riorganizzazione o ad una
svolta nella struttura lavorativa, ma nella maggior parte dei casi essa implica un
cambiamento di uno “status quo”.
I leaders possono essere considerati innovatori e pionieri quando si misurano con una
situazione sconosciuta: devono saper rischiare, apportare innovazioni e sperimentare
nuove vie per dare oggi soluzioni migliori ai problemi di ieri.
10
Citato da Trentini in “Oltre il Potere. Discorso sulla Leadership”.