VIII
Chi pensa alla Sicilia non può prescindere dal pensare alla sua tradizione culinaria, di
origini antichissime, influsso di mille culture e mille dominazioni. Inoltre, la tradizione
culinaria è uno degli elementi che meglio distinguono gli Italiani nel mondo, è uno degli
elementi chiave del Made in Italy, insieme all’industrial design e al fashion design,
appunto.
Nella prima parte di questo elaborato è stato fatto un necessario excursus che
introduce e spiega cosa sia il sistema moda, quali siano le sue peculiarità e la sua
evoluzione storica e antropologica, e cosa significhino i concetti di brand, brand equity,
brand identity, le strategie di sviluppo del brand e la brand extension. I quattro capitoli
introduttivi sono l’interazione delle diverse prospettive di studio e di analisi delle diverse
scuole di pensiero a livello mondiale.
Dopo aver spiegato in chiave teorica la marca e il suo sviluppo, nell’ultimo capitolo è
stata descritta la verifica empirica.
L’esperimento che meglio rispondeva alla domanda iniziale (“E se Dolce & Gabbana
aprisse una pasticceria siciliana in centro?”) è quello condotto da John e Loken,
pubblicato nell’Agosto 1993 sul Journal of Marketing. Le due autrici esaminano le
situazioni in cui le estensioni del brand possono in maniera maggiore o minore diluire
le convinzioni specifiche che i consumatori hanno imparato ad associare al core brand.
Una nuova brand extension introduce altri attributi o convinzioni, che possono essere
più o meno coerenti all’immagine del brand. John e Loken cercano di capire come
cambiano le convinzioni dei consumatori sulla marca con la diffusione di nuove
informazioni su brand extension non coerenti con le convinzioni sul brand, utilizzando
due differenti prospettive di categorizzazione: book-keeping model e typicality-based
model.
IX
Nell’esperimento qui proposto, alla pasticceria siciliana (estensione percettivamente
distante nella mente del consumatore) è stato affiancato il business alberghiero
(maggiormente vicino nella mente del consumatore perché molto gettonato negli ultimi
anni dai brand del lusso). Gli attributi presi in considerazione sono stati gli attributi
rilevanti per il consumatore (alla moda ed eccentricità/stravaganza).
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Capitolo 1
Il sistema moda: fenomeno e teorie
1.1. Cos’è la moda?
Ogni giorno si parla di "moda". Solitamente, il significato del termine “moda” viene fatto
coincidere con quello di “abbigliamento”. In realtà la moda può essere considerata un
fattore sociale totale, in quanto si applica a pressoché tutti gli ambiti sociali. Alcuni
affermano che oggi si possa parlare di moda anche in settori molto lontani dalla
dimensione estetica e del gusto, come l’informatica, la giurisprudenza e la ricerca
scientifica.
La moda influisce su di noi ogni giorno. Ovunque si posi lo sguardo, noi la incontriamo,
ma ignoriamo del tutto le sue cause. Sembra che tutto e il contrario di tutto si possa
ancora dire. Si afferma che è un argomento futile oppure serissimo, che la moda è
quella delle sfilate e delle riviste, oppure solo quella dei convegni istituzionali; si dice
che non esiste se non nella fantasia di chi la crea, che chiunque può costruirsi la
propria. Ciò che, secondo Codeluppi (2002), sembra mettere tutti d’accordo è il fatto
che la moda consente ad alcuni settori “maturi” di ritrovare una dinamica e una
redditività soddisfacenti grazie allo stimolo continuo che offre all’allargamento e al
rinnovamento della domanda.
Nel linguaggio comune, un fenomeno è considerato di moda se, nell’istante in cui se ne
parla, ha raggiunto un diffuso apprezzamento da parte di un certo pubblico e in un
determinato contesto, che può essere geografico o di tipo socio-culturale.
Non è facile dare una definizione univoca del concetto di moda, anche perché non
esiste al riguardo un’interpretazione oggettiva e assoluta. La moda potrebbe essere:
Capitolo 1
11
“l’usanza più o meno mutevole che, diventando gusto prevalente, si impone nelle
abitudini, nei modi di vivere, nelle forme del vestire” (Il Grande Dizionario della Lingua
Italiana, Garzanti, 1993); “un principio universale, uno degli elementi della civiltà e del
costume sociale, che interessa non solo il corpo ma anche tutti i mezzi di espressione
di cui l’uomo dispone” (Devoto, Oli, Il Dizionario della lingua Italiana, Le Monnier,
1995); “una forma di bruttura così intollerabile che dobbiamo cambiarla ogni sei mesi”
(Oscar Wilde). “Moda" è il regime del “ mutamento obbligatorio del gusto”, è “quello che
passa di moda” (Salvador Dalì).
Decamps (1981) introduce cinque gradi di definizione del termine moda. Il primo
designa la diffusione improvvisa di un oggetto o di un uso. Il secondo grado considera
sempre la diffusione improvvisa di un oggetto o di un uso, ma senza giustificazione
utilitaria valida. Il terzo grado è propriamente della diffusione improvvisa, ingiustificata
ed effimera di un oggetto o di un uso. Nel quarto grado di definizione la moda è un
susseguirsi ininterrotto e lento di diffusioni improvvise, ingiustificate ed effimere. Nel
quinto grado di definizione, la moda è un susseguirsi ininterrotto e rapido di diffusioni
improvvise, che non si giustifica se non da sé, ed è di natura effimera.
Il regime delle mode si oppone, per definizione, ai valori, pensati eterni e immutabili. La
moda vive sull’innovazione e, sin dal primo apparire sulla scena sociale, si è
caratterizzata per la sua rapida successione di cicli. Cerca di essere vissuta come
eterna, come pura sacralità, mentre in realtà è soltanto variazione, produzione
incessante di forme nuove o che si presentano come tali. È il meccanismo essenziale
per lanciare le società sulla strada della modernità, dell’innovazione e del
rinnovamento.
Etimologicamente, moda deriverebbe da mos, latino aureo (misura, limite, norma;
legge, regola; buoni costumi, moralità) oppure da modus (modo, maniera, genere;
misura, limite, norma; criterio o modalità regolativi di scelte).
Capitolo 1
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Dall’insieme di questi significati si evince che il gusto, benché espressione di un
orientamento individuale (Cietta, 1999; Giancola, 1999), deve comunque confrontarsi
con un sistema di regolamentazione sociale che definisce ciò che in ogni periodo e
luogo può essere considerato “di moda”. Quindi, per Saviolo (2000), non sembrerebbe
casuale una supposta sovrapposizione etimologica tra “moda” e “moderno”, a
sottolineare la dimensione evolutiva del gusto. A conferma di tale teoria vi sono le
espressioni francese, inglese e tedesca mode, che derivano dal celtico mod o modd,
con lo stesso significato latino di mos: usanza, costume, foggia. Meno interessante ed
esplicativo appare invece il termine più diffuso a livello internazionale, fashion, che
deriva dal francese façon, a sua volta derivato dal latino facere (fare, costruire,
realizzare).
1.2. Teorie sulla moda
La moda ha una natura sociale complessa. È un fenomeno di tipo comunicativo. La
moda è uno strumento per comunicare attraverso il proprio corpo. L’abbigliamento ci
serve perché è lo strumento per la manipolazione della nostra immagine.
“L’abbigliamento non è uno strumento di condizionamento atmosferico portatile come è
stato a lungo e non è neanche uno strumento di difesa dalle aggressioni dello sguardo,
di pudore ed anonimato” (Volli, 2000). Attraverso la moda, gli individui e i gruppi sociali
nei quali essi si aggregano possono comunicare tra loro e definire, mantenere e
trasmettere la propria identità sociale. Cietta (1999) parla di “non bisogni sociali” per
definire il bisogno comunicazionale del prodotto. “I prodotti di moda non soddisfano
bisogni personali quanto piuttosto dei non bisogni sociali. Non si acquista un vestito, un
paio di scarpe o un profumo perché si deve soddisfare una necessità primaria: lo si fa
invece perché quel vestito, quelle scarpe e quel profumo appartengono al piacere di
vita, all’aspirazione di realizzare un proprio desiderio inespresso” (Cietta, 1999, p. 76).
Il sistema moda: fenomeno e teorie
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Tra la moda e il mondo dei mezzi di comunicazione esiste un legame molto stretto e
l’esplorazione di tale legame consente di comprendere meglio il funzionamento dei
principali fenomeni relativi all’abbigliamento. Ad esempio, secondo Codeluppi (2002),
Chanel o le sorelle Fontana non avrebbero probabilmente ottenuto un successo della
stessa entità senza il contributo che hanno ricevuto dal mezzo cinematografico.
Secondo altri, il cinema ha molto influito nella nascita delle mode perché gli stilisti
hanno imitato i modelli del cinema e contestualmente questi sono diventati la moda
dominante del periodo (Kermol, 2001). Oggi l’alta moda, non influendo più
sull’abbigliamento, si è trasformata in un fenomeno puramente spettacolare e porta
così alle estreme conseguenze la natura mediatica e profondamente comunicativa
della moda.
La moda è un fenomeno che presuppone una vita sociale intensa e progredita, liberi e
frequenti contatti umani, una certa mobilità sociale tra le classi. È un fenomeno, di
durata ed estensione relativamente consistente, che costituisce una gestalt, un insieme
definito e strutturato chiaramente distinguibile e osservabile (Codeluppi, 2002). Inoltre,
rimane individuabile, per carattere e per spirito anche quando non è più dominante. La
moda è quindi un fenomeno in qualche modo radicato a un preciso contesto, che
risponde a bisogni, gusti, cultura di un gruppo dominante, oppure di un gruppo
contestatario o semplicemente nuovo.
Tradizionalmente, all’abbigliamento sono state attribuite due funzioni: protezione e
pudore. La forma maggiormente diffusa di protezione offerta dagli abiti è quella contro
il freddo e da ciò parecchi studiosi hanno derivato che il bisogno di vestirsi fosse
universale. Ma così non è, perché, ad esempio gli estinti aborigeni della Terra del
Fuoco, nonostante le temperature rigidissime, adottavano un vestiario ridotto. Il
bisogno di vestirsi sembrerebbe, quindi, legato a fenomeni di ordine culturale. Ci si
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veste perché si vuole esprimere una precisa identità sociale e il corpo, a qualsiasi
cultura appartenga, non è mai nudo.
Ci si veste, inoltre, per pudore, ovvero per non provare vergogna mostrando le parti
intime del proprio corpo. Su ciò ha influito fortemente la morale sociale, e soprattutto
quella religiosa. Non è un caso che il senso del pudore sia considerato un elemento di
differenziazione degli uomini dagli animali.
A tal proposito, Lemoine-Luccioni (2002) introduce un’interpretazione psicoanalitica
della moda. Il vestito appare come una pelle simbolica che manifesta la socialità
costitutiva del soggetto e lo stacca dall’abisso del vuoto. Ma, poiché non giunga ad
accentuare in modo eccessivo il carattere alienante di questa socialità, il vestito deve
potersi indossare e togliere, ovvero deve poter dare luogo al gioco delle maschere.
Vestirsi è, infatti, darsi una forma che prevede una trasformazione, un movimento e
non un’adesività rigida. Solo alcuni “vestiti rituali”, come le toghe degli avvocati, degli
accademici, dei preti, sono immutabili perché i vestiti rituali sfuggono all’aleatorietà
della moda, essendo “tagliati una volta per tutte”. Ma cambiare vestito e non cambiarlo
mai sono due facce della stessa alienazione. Il trucco, la maschera, l’abito, sono rimedi
al vuoto che abita il soggetto, sono veli rispetto al reale della morte e della castrazione.
Quando la maschera cede e il monumento si screpola è la morte che appare. Il vestito
è puro involucro, ma non ricopre neanche la natura della nudità del corpo perché la
nudità, l’essere nudo del corpo, non esiste come tale, ovvero come un corpo-natura
originario. È il vestito che umanizza il corpo vivente. La funzione del vestito è quella di
essere la bandiera del sesso. Si riconoscono a prima vista un uomo e una donna dal
loro abito. La differenza di abito non è altro che la metafora ostentata della differenza
sessuale: l’uomo ha un organo che la donna non ha ma che desidera. Per supplire a
questa mancanza, la donna fa una “mascherata” (capelli tinti, orpelli, trucco, …).
L’uomo, al contrario, fa una “parata” di quello che ha (Lemoine-Luccioni, 2002).
Il sistema moda: fenomeno e teorie
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Fluegel (1930) approfondisce il tema del conflitto decorazione-pudore: l’abito si carica
degli equivalenti culturali del sesso, che ne perpetuano la competitività in campo
sociale quanto a potere, ricchezza, autorità. Lo spiccato dimorfismo sessuale della
civiltà occidentale si interpreterebbe nei termini di una sessualità più diffusa nella
donna, più localizzata, che porta sviluppare una differenza decorativa e in qualche
misura la variabilità decorativa. I vestiti che ci fasciano parlano di noi, esprimono ciò
che noi non diremmo mai se non fossimo in confidenza con chi ci sta vicino.
Ma altre ben più importanti funzioni vengono svolte dall’abbigliamento. Sono funzioni
legate alla complessa natura sociale dell’abbigliamento, che, secondo Codeluppi
(2002), ricopre da quando ha cominciato a coincidere con la moda, ovvero alla fine del
MedioEvo. Prima della fine del MedioEvo, il modo di vestire delle persone era
pressoché immutabile. L’abito era un vero e proprio costume, perché la società era
statica e il passato rappresentava il valore supremo degli individui, il modello di
riferimento per tutti i comportamenti. Con lo sviluppo del Rinascimento, il mutamento è
diventato un valore socialmente ambito e la società ha iniziato a muoversi, orientandosi
in maniera crescente verso il presente e il futuro. Dunque, lo sviluppo della moda è
stato reso possibile dal contemporaneo sviluppo in Occidente della cultura moderna e
dei suoi principi democratici.
Per Codeluppi (2002), non è un caso il legame etimologico tra moda e modernità. E'
proprio con l’emergere del “tempo nuovo”, nei comuni Italiani fra '300-'400 che risalta
con prepotenza, il cambiamento collettivo e ritmico del gusto. Questi mutamenti sono
lenti. All’inizio impiegano quasi una generazione intera, se non un secolo, ad
affermarsi. È solo con la piena modernità e con l’invenzione delle sfilate d’alta moda e
del sarto stilista, che la moda assume la sua nervosa intensità contemporanea, quella
che Benjamin chiamava, “il sex appeal dell’inorganico”. Oggi, sempre secondo
Codeluppi (2002), non si può più parlare di moda, soprattutto per quanto riguarda
Capitolo 1
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l’abbigliamento. La nostra società è così frammentaria, che non si può più imporre un
solo stile. E' con l'avvento del postmodernismo che la moda, originariamente un'onda
omogenea dell’imitazione collettiva (derivata dal prestigio sociale o professionale dei
modelli imitati), non riesce a fare altro che offrire vari stili uniformandosi
all’impostazione sociale. Ormai da tempo alla moda si sono sostituiti gli stili. Le
tendenze sono molteplici, confuse, ricche di citazioni e di ambiguità.
Simmel indicò già nel 1895 come la causa della variabilità della moda fosse da
rintracciare nel continuo confronto che si manifesta tra due spinte contrapposte
presenti nell’animo umano: quella che ricerca l’imitazione e quella che muove verso la
differenziazione. “La moda è imitazione di un modello dato e appaga il bisogno di un
appoggio sociale, conduce il singolo sulla via che tutti percorrono, da’ un universale
che fa del comportamento di ogni singolo un puro esempio. Nondimeno appaga il
bisogno di diversità, la tendenza alla differenziazione, al cambiamento, al distinguersi.
Così la moda non è altro che una delle forme di vita con le quali la tendenza
all’uguaglianza sociale e quella alla differenziazione individuale e alla variazione si
congiungono in un fare unitario” (Simmel, 1976, p. 21). L’individuo si sente rassicurato
di appartenere, grazie alla moda, ad una collettività sociale che si comporta nello
stesso modo e condivide gli stessi obiettivi e ideali. Allo stesso tempo, però, è anche
gratificato quando riesce a sperimentare gli effetti originali e sorprendenti che la moda
può assumere. La moda è stata vista come un fenomeno totalmente culturale e
condizionato dalle dinamiche attive nel sistema sociale. È il risultato del fatto che al
vertice della società vi è una classe superiore che tenta costantemente di differenziarsi
dalle classi inferiori, manifestando la diversità della propria posizione sociale, il proprio
status di privilegio.
Veblen (1949) mette in evidenza che la classe superiore fa ciò ostentando la propria
agiatezza (“agiatezza vistosa”) e il proprio consumo. A loro volta le classi inferiori
Il sistema moda: fenomeno e teorie
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tentano di imitare le scelte di consumo effettuate dalla classe agiata, costringendo
quest ultima a ristabilire la sua posizione di privilegio, modificando tali scelte, le quali,
una volta imitate si banalizzano, perdono il loro carattere innovativo e non esprimono
più l’appartenenza a uno status elevato. Ne deriva un effetto di continua discesa di tali
scelte dall’alto verso il basso della società, determinando una diffusione delle mode e
dei beni di consumo. Veblen (1949) cade, però, in una spiegazione del movimento
della moda troppo naturalistica, che non può essere accettata, quando dice che i cicli
che caratterizzano la dinamica della moda nascono dal bisogno naturale dell’uomo di
fuggire dalla bruttezza che è espressa dopo qualche tempo da ogni capo di
abbigliamento divenuto di moda e di pervenire a un più elevato livello di soddisfazione
estetica. Veblen (1949), quindi, deve essere considerato per il contributo fornito
nell’interpretazione della dinamica di diffusione delle mode dall’alto verso il basso nella
piramide sociale e non per questa seconda teoria.
Ma è necessario che una piramide effettivamente esista, cioè che la società sia come
quella europea dell’Ottocento di Simmel o quella che si stava delineando ai tempi di
Veblen: integrata, senza classi sociali, seppure stratificata in differenti status, e con
un’elevata mobilità sociale all’interno. Secondo Alberoni (1964), la concezione di
Veblen (1949) non sarebbe applicabile all’Italia e ai principali Paesi europei poiché essi
sono segmentati in classi sociali rigidamente separate in quanto hanno sistemi di valori
specifici e inconciliabili. In realtà, per Codeluppi (2002), questa considerazione era
valida negli anni ’60, ma il potente processo di omologazione sociale che si è verificato
nei decenni successivi ha allargato la classe media, disgregando le barriere etiche e
culturali esistenti tra le classi e rendendo il sistema sociale sempre più dinamico.
Le analisi di Simmel (1895) e Veblen (1949) sono state in seguito sintetizzate ed
esplicitate tramite la teoria della diffusione verticale, o “goccia a goccia” (trickle down
theory), formulata negli anni Cinquanta da Fallers. Tale teoria ha messo in luce come i
cicli della moda si determino per effetto dell’ingresso sulla scena sociale di
Capitolo 1
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un’innovazione, che scende lungo la società a causa del trickle effect, si diffonde e
inevitabilmente perde i suoi significati simbolici, determinando la necessità di un’altra
innovazione che ne prenda il posto.
Veblen (1949) tendeva a esaurire nell’unico significato di prestigio e di competizione
sociale le motivazioni alla base dei comportamenti legati alla moda. Non è quindi un
caso che King (1981) abbia proposto di sostituire la teoria della diffusione trickle down
delle mode con la “trickle-across theory”, che prevede che le mode e le informazioni ad
esse relative si diffondano simultaneamente in tutti gli strati sociali. King (1981), in
particolar modo, ha messo in luce l’importante ruolo esercitato dagli opinion leader
nella diffusione delle mode, sostenendo che ogni gruppo sociale ha i propri leader.
Per spiegare il cambiamento e la diffusione, Konig (1976) evidenzia l’importanza
dell’istinto del nuovo e della curiosità, anche se da un punto di vista sociologico, e
ammette la rilevanza delle teorie dell’imitazione-distinzione.
Con la produzione industriale di massa e con redditi più elevati anche nelle classi
inferiori, lo schema trickle-down perde di validità, in quanto si determina una diffusione
dei fenomeni moda anche orizzontale o addirittura dal basso verso l’alto, conseguenza
tra l’altro del pluralismo e del policentrismo che sempre più caratterizzano
l’abbigliamento contemporaneo occidentale. La “bottom-up theory”, formulata da
Greenberg e Glynn, sostiene che i giovani sono più veloci degli altri gruppi sociali a
iniziare nuove e differenti mode, perché cercano di comunicare il proprio desiderio di
appartenenza a uno stile di vita e a un sistema di valori. Invece, intento del designer è
dare una risposta stilistica concreta a uno stile concettuale già esistente in astratto
presso il consumatore, il quale però non sa materializzarlo in uno stile nuovo. Questa
teoria evidenzia i limiti dei precedenti presupposti per i quali centrale era quasi
esclusivamente il concetto di status symbol e serve a dare una prima spiegazione del
perché, al di là del fatto dinamico, alcuni contenuti di abbigliamento vengano creati,
diffusi e distrutti. Inoltre la trickle-down theory presta scarsa attenzione al complesso
Il sistema moda: fenomeno e teorie
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delle strutture istituzionali, organizzative e di mercato che orientano oggi il processo
della moda, non esistendo esse ancora nel momento in cui è stata elaborata.
Anche Blumer (1969), che parla di “selezione collettiva”, nega che rapporti gerarchici di
classe animino oggi il processo della moda: si tratta invece di un rapporto generico che
coinvolge molte aree della vita sociale, rapporto stretto alleato della modernità e
capace di introdurre ordine in un presente potenzialmente anarchico e in continuo
movimento. I gusti sono di per sé prodotto dell’esperienza. Si formano nel contesto
delle interazioni sociali, in risposta a definizioni e affermazioni proposte da altri.
Persone che condividono aree di comune interazione e seguono percorsi di esperienza
simili sviluppano gusti analoghi. Il processo della moda implica sia la formazione sia
l’espressione del gusto collettivo, che è inizialmente un insieme confuso di inclinazioni,
amorfo, inarticolato, vagamente equilibrato e in attesa di trovare una direzione
specifica. Attraverso modelli e proposte, gli innovatori della moda abbozzano linee
possibili lungo le quali il gusto incipiente può conseguire un’espressione obiettiva e
assumere forma definitiva. Ponendo limiti e fornendo direttive, il gusto collettivo è
dunque una forza attiva nel conseguente processo di selezione, e subisce nel lungo
ciclo della moda un processo di affinamento e strutturazione sempre più preciso.
Quindi, anche Blumer (1969) attribuisce alla moda una sorta di funzione sociale, legata
sia alla razionalizzazione di una direzione di gusto sia direttamente al concetto di
modernità intesa nel senso di “adeguamento a ciò che si profila all’orizzonte”.
Successivamente, Wiswede (1971) ha ampliato ulteriormente questa concezione
parlando di teoria della “virulenza”, cioè di diffusione per contagio delle mode presso
tutti gli strati sociali. Le mode non nascono più al vertice della piramide ma, come i
virus, possono formarsi in qualunque luogo e da lì diffondersi in tutto il sistema sociale.
Per Bertasso (1999), “il gusto si sta omogeneizzando dappertutto. Non esistono più
gusti locali laddove i consumi sono evoluti” (Bertasso, 1999, p. 107).
Capitolo 1
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I fautori di un più recente approccio policentrico all’analisi del fenomeno sostengono
che, in virtù del suo valore simbolico e segnaletico, la moda rappresenta lo strumento
di differenziazione verso l’esterno e di appartenenza all’interno di gruppi differenti sotto
molteplici aspetti, dalle connotazioni socio-economiche a quelle di età, di provenienza
geografica, e così via (Davis, 1992).
Secondo Ragone (2000), in virtù della loro natura spontanea, i processi di moda sono
fortemente condizionati dal tipo di struttura sociale esistente e, in particolare, dal tipo di
stratificazione sociale; inoltre, sono processi spontanei di trasmissione delle
conoscenze, con un bassissimo grado di istituzionalizzazione; poi, i processi di
diffusione delle mode hanno durata variabile; infine, si evidenzia l’aspetto ludico.
Questi caratteri si presentano combinati in maniera diversa, dando luoghi a fenomeni di
moda spesso molto diversi fra loro. Così, le mode sono di massa o di elite o di altro
tipo secondo il modo in cui si combinano i fattori suddetti. Inoltre, Ragone (2000)
individua tre tipi di processi di moda: piccole mode (che nascono e si sviluppano in
ambienti sociali molto ristretti), mode commerciali (si sviluppano quasi esclusivamente
su sollecitazione del mondo della produzione), mode strutturali (sono in gioco stili di
vita).
Con il progressivo sviluppo della classe media la moda è diventata sempre più
accessibile e democratica e i centri di creazione delle mode si sono moltiplicati.
Parallelamente si sono sviluppate nuove forme di differenziazione sociale. Secondo
Baudrillard (Busacca, 1990) l’individuo è alla costante ricerca di differenziazione sul
piano sociale attraverso il consumo di beni idonei a comunicare valenze distintive;
tuttavia, ogni azione di rottura dell’equilibrio generale delle differenze di status innesca
un processo di aggiustamento progressivo, al termine del quale l’individuo si ritrova
nella stessa posizione sociale di origine. La conformità delle scelte nell’ambito di un
gruppo non deriva dall’uguaglianza delle posizioni di status, ma dalla comunanza del
Il sistema moda: fenomeno e teorie
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sistema di segni utilizzato per differenziarsi. Il processo di consumo va considerato
come un insieme sistematico di segni, come un linguaggio, il cui significato dipende dal
dinamico evolversi del contesto socio-culturale. Le combinazioni di prodotto sono
alcuni tra gli elementi di differenziazione sociale. Al crescere del benessere economico
è sempre più importante la qualità dei prodotti. Inoltre, cambia la modalità di utilizzo di
particolari insiemi di prodotti. Si fa riferimento allo stile di vita, complessa combinazione
di fattori culturali che lega i prodotti di consumo alle regole sociali per la loro
utilizzazione. Un altro elemento di differenziazione sociale è rappresentato dalla
valorizzazione del negativo, ovvero il rifuggire da manifestazioni ostentative. Trovano
così spiegazione il sottoconsumo ostentativo o il metaconsumo. Ulteriore elemento di
differenziazione è l’enfasi sull’utilizzo del prodotto.
Esistono macrosimboli (potere di distinzione a priori) e microsimboli (recuperano il
potere di distinzione se combinato con altri microsimboli). La necessità dell’individuo di
adottare simboli che attestino la propria differenziazione rispetto a certi gruppi e
l’appartenenza ad altri lo induce ad attivare processi di comunicazione orizzontali
(comunicano appartenenza) e verticali (il consumatore è volto a distanziarsi da certi
gruppi sociali, salendo la gerarchia). Questa distinzione è estremamente importante
per ricercare i nessi causali esistenti tra sviluppo economico, consumi e stratificazione
sociale. Al crescere dello sviluppo economico si ha una generalizzata adozione di beni
atti ad attestare la riclassificazione sociale dell’individuo (comunicazione verticale). Se
l’economia è invece in fase recessiva le gerarchie tra gruppi sociali tendono a rimanere
inalterate (comunicazione orizzontale).
Secondo Bourdieu (2001), la moda riguarda la creazione di distinzioni: vuole
rappresentare la distanza dal bisogno. In questo senso lo stile diventa espressione
distintiva di una posizione privilegiata ed esclusiva nello spazio sociale.