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tempo e dal luogo in cui si svolge, si cercherà di capire soprattutto quali siano le condizioni
per lo sviluppo del sistema democratico e per l’affermazione di società più democratiche.
Del governo democratico si studieranno le definizioni di alcuni dei maggiori filosofi e
politologi del passato e del nostro tempo i quali hanno individuato le procedure per cui una
decisione presa da pochi possa essere accettata da tutti. Innanzitutto devono essere garantiti
diritto di voto e libertà civili, fra cui quelle di stampa, opinione e manifestazione, le quali
assicurano la libertà di scegliere fra più alternative possibili. Si accetta poi il principio per
cui la maggioranza, nell’ambito delle regole di ogni paese, vince e quindi decide, ma
sempre in maniera “ragionevole”, nel rispetto delle minoranze e con la massima
trasparenza nei confronti dei propri cittadini. Partendo da queste premesse condivise da
tutti o quasi i teorici considerati, le teorie di democrazia a cui si giunge sono almeno tre. La
prima è quella della democrazia diretta quale quella dell’Atene antica o quella proposta da
Rousseau, in cui il popolo si autogoverna partecipando fisicamente ad ogni decisione
pubblica. Questa proposta, pur presentando alcuni spunti d’interesse, risulta oggi
inattuabile, data l’ampiezza e la popolazione degli stati e la frammentazione d’interessi e i
rapporti di forza fra essi che contraddistinguono la società moderna. La seconda è quella
dell’economista Schumpeter il quale sostiene che la politica non sia nient’altro che un
mercato in cui pochi leader carismatici, assimilabili alla figura dell’imprenditore
innovatore, si confrontino per ottenere il favore popolare. Essi, una volta ottenuto il
governo possono condurre il paese senza il dovere di interpellare i propri cittadini o le loro
organizzazioni anzi tentando di eliminare tutti quei passaggi che possano rallentare le
decisioni. I rischi connessi a questi modelli sono molteplici e saranno quindi discussi in
maniera critica. La terza posizione è quella che, pur scartando le idee di democrazia diretta,
ritiene che una società democratica non possa che essere fondata sul più ampio
coinvolgimento dei suoi cittadini, e in particolare debba basarsi sull’idea secondo la quale i
cittadini hanno il diritto e il dovere di far sentire la propria voce, attraverso precisi canali di
raccordo con l’esecutivo e forme di rappresentanza organizzata, sulle decisioni che li
coinvolgono. Questo è il modello che si può definire di democrazia partecipata e che verrà
assunto come punto di riferimento nel corso dello studio. Punto centrale dell’analisi sarà
indagare come un tale modello possa sopravvivere o svilupparsi all’interno di un’economia
di mercato.
5
2. Se si analizzano alcuni dei mercati fondamentali per l’economia, si nota
immediatamente che spesso essi non sono regolati da principi democratici e da modelli
partecipativi; spesso accade che chi subisce le conseguenze delle decisioni assunte non
abbia la possibilità di sedersi al tavolo della discussione per far sentire la propria voce. Si
cercherà quindi di dimostrare che la gestione di questi mercati attraverso norme tipiche di
ogni processo democratico può condurre ad un miglioramento della loro efficienza. A
questo si deve aggiungere che l’ingresso nell’economia di principi quali la partecipazione
alle decisioni, non può che rafforzare forme di governo basate sulle regole della
democrazia partecipata e impedire l’affermazione di altri modelli. In questo modo vengono
a cadere le teorie di chi ritiene che la democrazia debba essere considerata un mercato così
come quelli descritti dalla teoria neoclassica. Nell’ ambito di quest’analisi si vedrà
innanzitutto che il governo di uno stato non può essere assimilato ad un mercato ed in
secondo luogo che la presenza di mercati regolati e in cui esistono istituzioni forti spesso
assicura di raggiungere risultati migliori. La conclusione sarà quindi quella secondo la
quale sono i mercati a dover sottostare ad alcune regole tipiche della democrazia per
migliorare il proprio funzionamento. L’affermazione delle regole democratiche anche in
campo economico diventa così l’elemento fondamentale perché la democrazia partecipata
si affermi nelle nostre società. Il percorso sarà quindi quello di analizzare due mercati,
quello della moneta e quello del lavoro, nonché l’incidenza delle istituzioni multilaterali
sui paesi più poveri e indagare se i principi democratici sono rispettati in questi campi.
Per quanto riguarda il mercato della moneta, il punto fondamentale sarà quello
riguardante l’indipendenza della banca centrale dal governo. La teoria neoclassica, teoria
economica maggiormente accettata, e in particolare il suo filone monetarista afferma che la
presenza di organismi di gestione della politica monetaria i quali operino
indipendentemente dal volere dei propri governi assicuri un maggiore controllo
dell’inflazione. Tale teoria, anche attraverso l’introduzione della teoria dei giochi,
dell’ipotesi delle aspettative razionali e della teoria della credibilità, ha tentato di
dimostrare che quando le banche centrali dipendono direttamente dal governo l’inflazione
è destinata ad aumentare, poiché esso è interessato ad utilizzare la politica monetaria per
influire sulle varabili reali ed aumentare produzione e occupazione di breve periodo.
Questo risultato consegue dall’ipotesi sostenuta dagli economisti neoclassici per cui
l’inflazione è un fenomeno esclusivamente monetario. Le critiche a queste posizioni si
6
fondano su due elementi: quelli economici e quelli più strettamente legati alla questione
della democrazia. Dal punto di vista economico si sostiene che non esista relazione diretta
fra indipendenza della banca centrale e controllo dell’inflazione ma soltanto un ampio
favore dei governi verso la riduzione dell’inflazione, il quale ha portato alla creazione di
banche indipendenti. La relazione sarebbe dunque inversa. La condizione d’indipendenza
della gestione della politica monetaria non è in ogni caso sufficiente per ottenere bassa
inflazione. Senza l’appoggio del governo e l’accordo con esso, come dimostrano le storie
della Bundesbank e del Federal Reserve System, anche una banca fortemente indipendente
faticherebbe a raggiungere tale obiettivo. Inoltre, secondo alcune linee di ricerca
alternative, la moneta non è neutrale e le sue ripercussioni sulle variabili reali non sono
affatto trascurabili. In particolare secondo i modelli d’isteresi le politiche
disinflazionistiche possono produrre effetti duraturi sul tasso di disoccupazione. Per quanto
invece attiene alla questione democratica, l’indipendenza delle banche centrali rischia di
espropriare i governi di decisioni che hanno ricadute sull’intera popolazione. Ciò è quindi
in forte contrasto con l’ideale democratico prima delineato. Solo i governi, in quanto
organi politici le cui decisioni possono essere discusse con le parti sociali e le
organizzazioni di cittadini, in quanto sottoposti a controllo democratico, sostituibili e le cui
decisioni sindacabili, possono prendere decisioni da cui dipendono le sorti di tutti i
cittadini. Il controllo dell’inflazione può essere ottenuto anche attraverso il governo se
questo lo ritiene un obiettivo prioritario, ma non può trasformarsi nell’obiettivo preordinato
a tutti gli altri così come invece è accaduto con la creazione di un organismo prettamente
tecnico quale la Banca Centrale Europea.
Il secondo mercato preso in analisi è quello del lavoro. Partendo dall’analisi sulle cause
della disoccupazione, si vedrà il confronto fra la teoria dominante, quella neoclassica e
teorie alternative. La prima considera le rigidità del mercato quali cause primarie della
disoccupazione. Tale teoria parte dalla considerazione per cui il lavoro è un fattore
produttivo del tutto simile agli altri e dalla convinzione che i mercati concorrenziali, se
liberi da qualsiasi vincolo esterno quali gli interventi dei governi sulla determinazione dei
salari o sui costi di assunzione e licenziamento, giungono da soli all’equilibrio di pieno
impiego, così come previsto dalla legge di Say. La continua spinta verso l’eliminazione
delle rigidità, salariali e numeriche, porta il mercato del lavoro verso la cosiddetta “via
bassa” alla competitività. Essa fa perno soltanto sulla riduzione dei costi, in particolare di
7
quelli del fattore lavoro, per mantenere competitive le imprese, attraverso la riduzione del
prezzo finale. Al contrario la via alta comporta scelte differenti. Con la consapevolezza che
l’uomo non può considerarsi al pari degli altri fattori produttivi ma che necessita di stimoli
ed incentivi per lavorare al meglio, la via alta cerca mezzi nuovi per aumentare la
produttività del lavoro e quindi la competitività, non solo attraverso la riduzione del
prezzo. Questi sono: la fiducia fra lavoratori e impresa, la certezza di rapporti di lunga
durata, l’investimento in capitale umano, formazione ed istruzione e la partecipazione dei
lavoratori alla vita e alla gestione dell’impresa. La partecipazione dei dipendenti alle scelte
gestionali e organizzative dell’impresa, attraverso diversi metodi, è il metodo per applicare
criteri di governo democratico anche nel campo dell’impresa. La condivisione delle
decisioni, la trasparenza nel governo e la partecipazione sono le ricette per raggiungere
l’obiettivo di aumentare il livello democratico di una società. Si argomenterà poi che
attraverso questa strada anche le imprese, pur sopportando costi iniziali superiori, possono
ottenere miglioramenti produttivi e vantaggi economici. All’interno di questa strada si
vedrà il ruolo fondamentale dei sindacati. Essi si rivelano importanti per far nascere e
sviluppare nuovi modelli organizzativi all’interno delle imprese e per garantire l’effettiva
partecipazione dei lavoratori alla loro gestione. Inoltre detengono ruolo importante anche
nel campo della democrazia politica, rivestendo parte centrale di ogni rapporto di
concertazione fra i governi e le parti sociali. L’accusa rivolta ai sindacati di attuare
comportamenti monopolistici e salvaguardare gli interessi dei propri iscritti, comportando
perdite nette per il resto della società non si rivelerà dimostrata dai fatti.
L’ultimo punto è quello riguardante il ruolo e i compiti degli organismi economici
multilaterali, i più importanti dei quali sono il Fondo Monetario Internazionale, la Banca
Mondiale e l’Organizzazione Mondiale per il Commercio. Questo tema, divenuto di grande
attualità dopo le proteste avvenute nel 1999 nelle strade di Seattle in occasionale della
riunione del WTO, riveste grande importanza e non solo per i paesi in via di sviluppo, i
quali sono toccati direttamente dagli interventi di queste organizzazioni. Il tema della
democrazia degli enti multilaterali risulta fondamentale anche per i paesi più ricchi. Infatti,
di fronte alla globalizzazione economica, tutti gli stati tendono a cedere parte della propria
sovranità ad enti sopranazionali; come sta avvenendo anche nel caso dell’Unione Europea.
Se governi democratici delegano parte dei loro poteri ad altri organi, non possono che
assicurarsi che questi siano regolati in maniera democratica, altrimenti, così come nel caso
8
delle banche centrali indipendenti, affiderebbero scelte che ricadono sulle proprie
popolazioni ad enti tecnici, le cui scelte non sono sindacabili, spesso sono scarsamente
trasparenti e i cui componenti non rispondono a nessuna opinione pubblica. Queste opzioni
sono inaccettabili per governi interessati a mantenere in vita la democrazia al proprio
interno ed estenderla ai paesi dove ancora non è il modello vigente. Per i paesi più poveri il
tema della democrazia è ancora più concreto. In questi paesi le prerogative tipiche dei
governi sono affidate al Fondo o alla Banca Mondiale, attraverso il metodo della
conditionality. Questa prevede che gli enti internazionali prestino fondi soltanto con la
garanzia che i paesi finanziati mettano in atto le riforme da loro imposte. I governi in
questo modo sono espropriati del loro compito di governo, il quale viene invece affidato a
scelte “tecniche” e non politiche. Le riforme imposte comportano l’esclusione dei cittadini
dalla discussione su di esse e quindi l’imposizione di un modello di governo molto lontano
da quello partecipato. Anche in questo caso la filosofia economica sottostante questo modo
di agire è quella neoclassica. Attraverso la teoria della credibilità si ritiene che solo riforme
fortemente liberiste possano aiutare i paesi ad intraprendere la strada dello sviluppo
economico. Infatti, gli investitori esteri investiranno solo in quei paesi che hanno scelto di
imporre in maniera decisa e veloce le riforme richieste dal Fondo e dalla Banca Mondiale,
ritenendo che essi garantiranno rendimenti maggiori e più velocemente. I governi che
antepongono le procedure democratiche, le quali dovrebbero essere seguite prima di
attuare qualsiasi riforma e decidono di non imporre alla propria popolazione le riforme
suggerite dall’IMF, rischiano così di essere emarginati sul mercato della raccolta dei fondi.
Se si accetta l’idea di democrazia che qui viene presa a modello, i risultati di questo
studio non sono confortanti. In tutti e tre i campi presi in considerazione, il deficit di regole
democratiche è evidente. La teoria economica oggi dominante imporrebbe banche centrali
indipendenti, mercati del lavoro deregolamentati e riforme quali la liberalizzazione totale
dei mercati, in particolare quello dei capitali e dei prezzi e la riduzione della presenza dello
stato nell’economia, a tutti i paesi in via di sviluppo. Tutte queste indicazioni risultano
tutt’altro che compatibili con un modello di democrazia partecipato, nel quale il principio
di base è quello secondo cui nessuno può essere escluso dal dibattito su decisioni che poi
peseranno anche sulle sue spalle e condizioneranno la sua vita. L’applicazione della
democrazia a campi diversi da quelli della politica non è assolutamente un risultato
conseguito. Ne risultano una serie di minacce e di pericoli per i regimi democratici. Per
9
mantenersi viva e attiva ogni democrazia deve allargare alla società i suoi criteri, cercando
di estendere il diritto di partecipazione al di fuori del campo della politica. Se ciò non
accade, il contrasto fra un governo democratico ed una società che nelle sue manifestazioni
più importanti, come ad esempio il governo delle imprese, non lo è, può risultare letale per
la democrazia. È necessario poi che le democrazie più sviluppate s’impegnino nel tentativo
di estendere questa forma al maggior numero possibile di paesi anche per cercare di
rendere più democratico, e quindi come si vedrà anche più pacifico, il sistema
internazionale. Questo risultato non può ottenersi attraverso istituzioni internazionali non
trasparenti e non aperte al dissenso e alle critiche. Anche il rapporto fra governi
democratici e sistema internazionale regolate diversamente può condurre a forti e
pericolose tensioni.
3. Questa tesi è così articolata. Nel primo capitolo, attraverso le opere di alcuni filosofi e
politologi tra i quali Rousseau, Tocqueville, Weber, Dahrendorf, Bobbio e Sartori e di
alcuni economisti come Schumpeter, Stiglitz e Sen, si vedranno le tre teorie della
democrazia, sviluppando anche ragionamenti critici sulle prime due, e le procedure che la
caratterizzano. L’attenzione sarà poi rivolta verso la differenza fra i modelli di democrazia
diretta e rappresentativa. Assumendo questo secondo come l’unico modello in grado di
funzionare negli stati che oggi conosciamo si presenteranno, attraverso l’opera di Lijphart,
le differenze fra i modelli di democrazia consensuale e maggioritaria, individuando nel
modello consensuale quello che interpreta meglio i valori della partecipazione. In
conclusione si esamineranno le minacce che pendono sui governi democratici e le proposte
per sconfiggerle tramite l’allargamento della democrazia stessa.
Il secondo capitolo prende le mosse dall’analisi del ruolo della politica economica nelle
diverse teorie economiche ed in particolare dalle proposte neoclassiche di Friedman e
Lucas. Si esaminerà il modello d’incoerenza temporale proposto da Barro e Gordon che
dimostra la necessità di banche centrali indipendenti per garantire il controllo
dell’inflazione. A questa parte seguiranno i riscontri empirici ottenuti dai lavori di Grilli-
Masciandaro-Tabellini e Alesina-Summers sui risultati ottenuti dai paesi con banche
centrali indipendenti. Le critiche a questa visione dei fatti e i riscontri negativi sul lato
della democrazia, conseguenza di tale scelta, sono invece operate da Pivetti, Grabel,
Stiglitz e Pollard. Si vedranno poi alcuni esempi concreti di funzionamento delle banche
centrali. Nello studio della Bundesbank e del Federal Reserve System si analizzerà
10
l’indipendenza effettiva di queste organizzazioni, studiando i rapporti fra esse ed i propri
governi per scoprire che in realtà sono sempre esistiti rapporti di collaborazione piuttosto
che di scontro. Infine lo studio si concentrerà sui principi sottostanti l’istituzione della
Banca Centrale Europea.
Il terzo capitolo esamina le questioni del mercato del lavoro partendo da un’analisi
critica della teoria neoclassica. Si vedrà come da questa teoria si giunga alla proposta della
via bassa alla competitività, caratterizzata dalla flessibilità salariale e numerica, così come
proposto da Weitzman. Il confronto sarà effettuato con la via alta, la quale prevede la
partecipazione gestionale, organizzativa e salariale dei lavoratori all’impresa. Autori come
Levine-D’Andrea Tyson e Stiglitz metteranno in risalto i vantaggi di questa strada. In
particolare sarà la democrazia industriale, come definita da Baglioni, punto centrale
dell’analisi. Si faranno alcuni cenni critici alla questione della partecipazione finanziaria,
prima di passare ad un breve confronto internazionale fra i modelli di relazioni industriali
esistenti in paesi quali il Giappone, gli Stati Uniti, la Germania e le nazioni scandinave. In
particolare il caso della Svezia, sia per i suoi aspetti legislativi sulla democrazia industriale
che per l’approvazione di un piano sperimentale sulla partecipazione azionaria dei
dipendenti, il Piano Meidner, verrà approfondito nell’appendice al capitolo. Infine si
valuteranno le relazioni industriali in Italia, una breve storia delle proposte di democrazia
industriale ed una valutazione sul dibattito odierno, in particolare sulle proposte di
modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Il quarto ed ultimo capitolo tratta delle istituzioni internazionali. Di queste si forniranno
cenni riguardo alle origini, alla struttura e alle funzioni con contributi di Schlitzer, Gilbert-
Vines e George. Si esaminerà poi il concetto di conditionality e la filosofia economica che
lo accompagna, proponendo le critiche che Stiglitz, Feldstein, Grabel, Woods, Bello e
Meltzer vi apportano. In particolare le critiche di maggiore importanza sono quelle
riguardanti il tema della negazione della democrazia attraverso lo sviluppo della
condizionalità. Seguiranno alcune proposte per rendere più democratico e trasparente il
governo di queste istituzioni, senza mai giungere a proporre la loro abolizione.
L’appendice al capitolo riporta i documenti originali attraverso i quali il Fondo prescrisse
le sue ricette a Tailandia e Corea, due dei paesi pesantemente danneggiati dalla crisi
finanziaria dell’est asiatico. L’analisi delle politiche intraprese dai due governi aiuterà a
dimostrare che le riforme imposte dall’IMF spesso si sono dimostrate errate e che politiche
11
alternative si sono invece rivelate di maggiore utilità per la ripresa economica di paesi
colpiti da crisi.
12
1. DEMOCRAZIA
Introduzione.
Prima di poter discutere della relazione fra modelli di mercato e democrazia, è
necessario fornire una descrizione di ciò che in questo studio verrà definito come
democrazia. La democrazia è la forma di governo che si afferma nell’antica Grecia e che,
solo negli ultimi due secoli diventa un ideale universale e si conferma come valore in quasi
tutto il mondo. Nonostante sia il modello politico vigente nella maggioranza degli stati
oggi esistenti, al termine democrazia non viene sempre attribuito lo stesso significato. In
questa discussione si vedrà quanto la nozione di democrazia sia problematica, si
presenteranno alcune delle idee che esistono a riguardo e si mostrerà come ciascuna di
queste possa condurre ad impianti istituzionali e sociali completamente differenti. Il
tentativo è quello di tracciare un modello che consenta l’affermazione di una società
maggiormente democratica nel suo complesso, allargando le regole democratiche oltre il
campo della politica, comprendendo alcuni dei mercati più importanti per l’economia come
quello della moneta e del lavoro.
Il primo paragrafo fornirà alcune delle posizioni più importanti che nella storia si sono
succedute riguardo alla nozione di democrazia. Dopo un breve accenno al sistema
democratico ateniese, si vedrà come filosofi e politologi quali Tocqueville, Rousseau,
Dahrendorf e Bobbio abbiano tentato di fornire la definizione di democrazia. Da questo
compito non si sono sottratti nemmeno gli economisti. Nel secondo paragrafo verrà
presentato il modello di Schumpeter, il primo economista a ritenere la democrazia come un
mercato concorrenziale in cui i leader politici si confrontano per ottenere il favore
dell’elettorato. In contrasto con questa posizione si porranno altri economisti tra cui Sen e
Stiglitz. Il terzo paragrafo farà riferimento ai caratteri che contraddistinguono la
democrazia così com’è stata attuata nei paesi occidentali, in altre parole alla democrazia
rappresentativa. Weber argomenta che solo attraverso forme di rappresentanza e grazie al
principio della maggioranza i diversi interessi esistenti all’interno di ogni nazione possano
coesistere. In questo sistema viene sottolineata l’importanza delle organizzazioni collettive
dei cittadini e dei gruppi d’interesse, che garantiscono che il principio di maggioranza non
vada alla deriva verso una “dittatura della maggioranza”. Anche la democrazia
13
rappresentativa non può essere ricondotta ad un unico modello; nel quarto paragrafo si
vedrà una delle possibili classificazioni, quella compiuta da Lijphart, che ha suddiviso in
due modelli principali le istituzioni delle maggiori democrazie del mondo. Il quinto
paragrafo avvierà l’analisi dei limiti del sistema democratico, dei pericoli che sono insiti in
tale forma di governo e delle possibili crisi che fronteggiano gli ordinamenti democratici.
Infine, il sesto paragrafo analizzerà le proposte di Bobbio e Sen e Stiglitz sull’ampliamento
del concetto di democrazia, anche come risposta a queste minacce. Il punto di partenza è
che elementi indispensabili per l’esistenza di un sistema democratico quali lo svolgimento
di elezioni politiche a scadenza regolare e il principio secondo il quale la maggioranza
vince, non possono da soli garantire la sopravvivenza della democrazia.
14
1.1 Democrazia: alcune posizioni.
La definizione etimologica del termine democrazia deriva dal greco: krátos significa
governo o potere, mentre dêmos significa popolo o “maggioranza attiva”
1
, da cui governo
del popolo
2
. In realtà una tale definizione non è di grande aiuto per capire cosa è una
democrazia. Diretta conferma di ciò è il fatto che nella storia ci si è rivolti con la parola
democrazia a forme di governo molto differenti l’una dall’altra.
La democrazia sorge in Grecia e specificamente ad Atene nel V secolo a.c.. Questa
forma di governo nasce all’interno della polis ateniese, una città piccola, in cui il popolo
governa attraverso un’assemblea (Ecclesia) composta da tutti i cittadini, la quale vota, con
la regola della maggioranza, le leggi proposte dalla Boulé, un consiglio composto da 500
persone
3
. Le cariche politiche sono attribuite per sorteggio, con turnazione annuale; non
esiste differenza fra governanti e governati
4
. Questa forma di democrazia diretta obbliga la
città a rimanere piccola ed i suoi cittadini ad occuparsi con devozione totale al servizio
pubblico
5
; “governarsi da sé vuol dire passare la vita governando”
6
. L’impossibilità di
crescere, di espandersi anche economicamente è una delle cause che portano alla caduta di
questa forma di governo.
Il vocabolo democrazia scompare dal dizionario politico per più di duemila anni. La
democrazia ritorna oggetto di studio nel periodo dell’Illuminismo, all’alba delle due
rivoluzioni che caratterizzarono il XVIII secolo, quella d’indipendenza degli Stati Uniti e
quella francese. In questo periodo fra i sostenitori dei vantaggi di un governo democratico
fu il francese Tocqueville. Secondo questo pensatore liberale la democrazia ha il merito di
aver sostituito il sistema feudale e comporta un enorme vantaggio: essa garantisce “una
società in cui tutti, considerando la legge come opera propria l’amerebbero e vi si
sottometterebbero senza fatica…essendo l’autorità del governo rispettata non in quanto
1
Cfr. Musti (1995) p. 11.
2
Lincoln, nel suo discorso pronunciato a Gettysburg nel 1863 riassume la democrazia in un aforisma:
government of the people, by the people, for the people.
3
Questi cittadini estratti a sorte fra tutti, ricevevano un’indennità che garantiva a tutti di poter partecipare al
governo della città.
4
Musti (1995).
5
La Boulé, infatti, si riuniva tutti i giorni.
6
Cfr. Sartori (1993) p. 145.
15
divina, ma perché necessaria”
7
. L’idea di Tocqueville è quella di una società in cui le
differenze fra i gruppi sociali vengano ricomposte dal governo. Già allora era presente una
delle critiche che maggiormente colpiscono ancora oggi l’ideale democratico, quello
dell’ingovernabilità. La risposta di Tocqueville è molto efficace: il governo di uno solo si
deve rifiutare perché se è vero che è in grado di assicurare maggiore continuità e velocità
nella scelta delle politiche, la democrazia “produce di più, fa meno bene ogni cosa, ma fa
più cose”
8
. Probabilmente non verrà assicurato il miglior governo possibile ma il vero
pregio della democrazia è quello di diffondere “in tutto il corpo sociale un’attività
incessante, una forza sovrabbondante, un’energia che [altrimenti] non esisterebbe”
9
. Questi
sono i veri benefici della democrazia. È indubbiamente vero che un governo di pochi
difficilmente potrà generare quei benefici garantiti da un ordinamento democratico, né
all’intero corpo sociale, né alla sua maggioranza, così com’è altrettanto difficile che i
cittadini siano coinvolti nelle decisioni. Da un governo autocratico deriva l’assoluta
immobilità del corpo sociale incapace di far sentire la propria voce attraverso i canali che
oggi conosciamo; in secondo luogo la mancanza di senso civico, la visione dello stato non
come ente necessario ma solo come prevaricatore. Tuttavia, nonostante queste
considerazioni, Tocqueville non può considerarsi un sostenitore di una democrazia
partecipata, così come in questo studio sarà tracciata. Il pensatore francese, un aristocratico
liberale che scrisse a metà del XIX secolo, è sostenitore di una concezione democratica
elitaria
10
. Egli considerava pericoloso concedere eccessiva influenza politica alle masse
popolari, ritenendo che le classi meno agiate una volta al governo avrebbero tentato di
approfittare del potere politico per attuare una redistribuzione della ricchezza. Il
liberalismo di Tocqueville e quindi la sua contrarietà a qualsiasi intervento dello stato
nell’economia lo condusse a pensare che solo le classi borghesi di ogni nazione siano in
grado di governare con raziocinio. Le masse popolari possono essere coinvolte nelle
questioni politiche, possono ottenere il diritto di voto, di cui in quei tempi non
disponevano, ma queste costituirebbero una “moltitudine bambina” che necessita di una
guida, in quanto priva dell’educazione necessaria. Sono le classi borghesi, data la loro
istruzione e considerata la loro presunta “superiorità” nei confronti del popolo, a costituire
7
Cfr. Toqueville (1968-9) p. 22.
8
Cfr. Ibidem p. 290
9
Cfr. Ibidem p. 290.
10
L’idea è simboleggiata dalla proposta di elezioni indirette in grado di filtrare il volere del popolo e portare
all’interno delle assemblee elettive nazionali soltanto uomini appartenenti alle classi sociali più agiate.
16
tale guida e quindi ad avere il diritto di governare un paese. Solo così la democrazia può,
secondo Tocqueville, evitare il rischio della mediocrità e garantirsi un governo adeguato.
Democrazia significa “identità di governanti e governati, di oggetto e soggetto del
potere, governo del popolo sul popolo”
11
, significa libertà di scegliere da chi farsi
governare mentre si va perdendo qualsiasi ideale di uguaglianza fra gli uomini
12
. Il
problema è che il popolo non è un’unità ma piuttosto una molteplicità di gruppi distinti. Ne
risulta che definire democrazia significa innanzitutto stabilire il modo in cui questi gruppi
possano governarsi e le procedure attraverso le quali possano giungere ad una stabile
composizione dei molteplici e spesso contrastanti interessi. Rousseau, fortemente critico
nei confronti della democrazia rappresentativa, unica forma di governo democratico
conosciuta nei grandi paesi, ammette che l’ideale greco di democrazia è a questi
inapplicabile. Questa forma presuppone troppe cose e troppo difficili perché possano
verificarsi, “uno stato molto piccolo, il cui popolo sia facile da radunare…una grande
semplicità di costumi…una grande uguaglianza nei gradi e nelle fortune”
13
. Per Rousseau
la sovranità non può essere rappresentata, “qualunque legge che non sia stata ratificata dal
popolo in persona è nulla; non è una legge”
14
. Dahrendorf ritiene che il termine democrazia
esprima cose diverse per persone diverse, in epoche diverse. Addirittura, la conclusione a
cui giunge è quella secondo la quale la democrazia, intesa nella sua etimologia come
governo del popolo, è “qualcosa che non esiste”
15
. Essa è semplicemente la presenza
simultanea di due processi fondamentali, la cui assenza è indice di mancanza di
democrazia: raccolta degli interessi popolari da parte di chi governa e controllo su chi è al
potere
16
. La democrazia si sostanzia da un lato nella possibilità di far giungere al governo
le richieste dei cittadini e dall’altra in un doppio controllo su chi governa, quello
giudiziario, per punirne le eventuali violazioni di legge e quello popolare legato alla libertà
di stampa e di opinione e quindi alla possibilità di esprimere e rendere pubblico il dissenso.
Ciò che la democrazia deve fare è mettere in grado i cittadini di dire la loro, in particolare
nei momenti di crisi. Esprimere la propria opinione, far sapere ai governanti ciò che si
11
Cfr. Kelsen (1981) p. 51.
12
Cfr. Ibidem pp. 133-134, “l’uguaglianza formale può essere realizzata altrettanto bene e forse meglio in un
regime dittatoriale”.
13
Cfr. Rousseau (1971) pp. 139-140.
14
Cfr. Ibidem p. 163.
15
Cfr. Dahrendorf (1988) p. 68.
16
Cfr. Ibidem pp. 69-70.
17
desidera, deve diventare dovere di ogni cittadino
17
. Naturalmente questo diritto-dovere sarà
compiuto in maniera più efficace attraverso le organizzazioni dei cittadini stessi; chi
governa non può essere in grado di ascoltare ogni singolo individuo, le voci collettive e
organizzate diventano così il tramite necessario fra governanti e governati. Elementi
necessari per esercitare questa possibilità sono: l’esistenza di una vasta rete di libertà civili
e la possibilità di dissentire. Un sistema di telecomunicazioni libero e plurale diventa così
uno dei caratteri fondamentali per lo sviluppo di una democrazia e perciò uno di quelli che
appare più spesso nelle definizioni di democrazia.
Norberto Bobbio, di fronte al compito di dare una definizione del concetto di
democrazia elenca quell’insieme di regole fondamentali che la caratterizzano e la
distinguono da ogni forma di governo “di pochi”, con particolare riguardo al chi e al come
si prendono le decisioni. Solo se le procedure decisionali rigidamente fissate a priori sono
seguite alla lettera allora una decisione che, nella realtà concreta, è presa da un gruppo
ristretto di persone potrà essere accettata da tutti
18
. Un regime democratico deve essere
innanzitutto caratterizzato dal diritto di voto che, pur scartando l’idea dell’onnicrazia come
governo di tutti
19
, deve essere attribuito al maggior numero possibile di cittadini.
Sicuramente non si potrà considerare democratico, così come intendiamo oggi la
democrazia, un paese che esclude dal voto le donne, che discrimina per questioni religiose,
oppure di censo, oppure che non attribuisce il medesimo valore al voto di cittadini
differenti. Da questo punto di vista un paese che va estendendo il numero di partecipanti
alle tornate elettorali, è sicuramente un paese che aumenta il suo grado di
democratizzazione. Il secondo principio fondamentale è quello della maggioranza. L’unica
regola possibile per garantire un governo democratico è quella secondo cui la maggioranza
vince. È evidente che il principio dell’unanimità, consentendo il diritto di veto a ciascuno
dei partecipanti alla discussione, porterebbe alla paralisi decisionale, in particolare in
società pluraliste, caratterizzate da conflitti fra gruppi sociali ed interessi diversi;
l’adozione di maggioranze qualificate è possibile per decisioni di particolare rilevanza
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ma non può diventare regola generale per il medesimo motivo. Infine, ricorda Bobbio che,
anche all’interno di una “definizione minima” di democrazia come quella fornita, “occorre
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Ibidem.
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Bobbio (1984).
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Dal diritto di voto rimangono sempre esclusi i minorenni e gli incapaci, l’importante è che qualcuno non
sia ritenuto incapace per questioni religiose, razziali, sessuali ecc.
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Come per esempio avviene in Italia per le modifiche alla Costituzione.