2combattendo strenuamente contro i sovrani mussulmani, sostenuti
dalle forze demoniache.
Da un punto di vista strettamente letterario, la Real Tragicomedia
non presenta temi particolarmente originali, del resto, le produzioni
teatrali gesuitiche del diciassettesimo secolo non brillavano per la loro
creatività: l’intreccio narrativo è assolutamente farraginoso e
prevedibile, interamente costruito attorno alla figura del monarca
portoghese, scelto dalla Provvidenza Divina per diffondere nelle
lontane terre d’Oriente la vera fede, tanto da sembrare un mero
pretesto per esaltare l’indomito spirito lusitano e far bella mostra
dell’enorme scenografia, dei sontuosi abiti di scena e delle
innumerevoli pietre preziose fatte pervenire al collegio per
l’occasione. L’azione si svolge da un capo all’altro del globo,
ricoprendo un arco di tempo di otto anni (dal 1497, prima spedizione
di Vasco da Gama, al 1505, anno della conquista di Ormuz da parte di
Alfonso de Albuquerque). I primi tre atti (rappresentati il 21 agosto)
sono dedicati alla scoperta della rotta marina verso Est, mentre gli
ultimi due (messi in scena il giorno seguente) raccontano delle aspre
battaglie combattute dai primi vice-re portoghesi in Estremo Oriente,
Francisco de Almeida e Alfonso de Albuquerque, contro i sostenitori
dell’Islam.
3Assieme agli illustri e valorosi condottieri portoghesi, ai contadini,
ai marinai, ai soldati, e ai tanti sovrani loro nemici, sul palco del
collegio lisboneta, salgono personaggi raffiguranti demoni,
personificazioni delle virtù cristiane e molte altre figure allegoriche
(figurazioni di elementi della natura, delle stesse città portoghesi e
delle province conquistate dai protagonisti dell’opera), rendendo
estremamente vivida l’opposizione tra le forze benigne e quelle del
male.
La Real Tragicomedia è un perfetto esempio dell’evoluzione
avutasi all’interno del teatro gesuitico, il quale attorno al XVII secolo
sembra cambiar pelle, allontanandosi dalla primaria ispirazione
esclusivamente sacra, per abbracciare temi sempre più profani e legati,
soprattutto in Portogallo, alle vicende politiche. Sin dalla sua
fondazione, la Compagnia di Gesù, infatti, aveva attribuito un’enorme
funzione pedagogica e catechistica al teatro: già ai tempi di padre
Loyola e di padre Laynez furono messe in scena, all’interno dei
diversi collegi, numerosissime pieces, i cui argomenti erano per lo più
biblici o agiografici. Una volta giunti nelle colonie lusitane, i gesuiti
utilizzarono il teatro soprattutto come strumento per
4l’evangelizzazione
2
. Nei possedimenti ultramarini, infatti, i padri
missionari della Compagnia riuscirono a fronteggiare, in molti casi, le
ostilità delle popolazioni indigene proprio grazie all’utilizzo del teatro:
mettere in scena opere d’ispirazione sacra, presentando storie
edificanti ed intrattenendo, allo stesso tempo, agevolava il lavoro di
conversione. Pertanto, al fine di rendere le proprie opere
maggiormente comprensibili, i gesuiti studiarono a fondo le lingue dei
popoli da cristianizzare, inserendo, nelle loro rappresentazioni,
moltissimi passi recitati nei diversi idiomi locali. In tal senso, vi fu
una netta differenziazione tra le produzioni teatrali europee e quelle
ultramarine, dovuta soprattutto ai diversi scopi che gli autori dovevano
conseguire: nelle colonie le rappresentazioni erano rivolte ad un
pubblico alquanto eterogeneo (sia le popolazioni colonizzate, che i
coloni europei); diversamente, nel Vecchio Continente, la pratica
teatrale era intimamente legata alla vita sociale e politica delle
province e dei singoli collegi.
2
Come vedremo nei seguenti capitoli, l’instancabile predicazione della Società di Gesù si
estese fortemente anche nei possedimenti ultramarini del Portogallo. Ad Est i gesuiti,
partendo dalla città di Goa, in Malabar (antico nome usato per designare la costa occidentale
del subcontinente indiano), viaggiando, spesso in compagnia dei mercanti portoghesi, lungo
le coste dell’arcipelago malesiano, giunsero in Giappone, in Bengala ed in Tibet; ad Ovest
(grazie soprattutto al provinciale Manuel da Nóbrega) esplorarono il vastissimo territorio
brasiliano, costruendo villaggi e gettando le basi del futuro stato sudamericano; in Africa,
nonostante le grandi difficoltà incontrate dalle prime missioni, riuscirono a fondare collegi in
Congo, in Angola ed in Mozambico. In ogni dove, i gesuiti costruirono collegi, organizzarono
corsi sia per i propri seminaristi che per le popolazioni locali, e misero in scena diverse opere
teatrali.
5Sul finire del XVI secolo, in Portogallo, la presenza della
Compagnia di Gesù divenne sempre più incisiva: in seguito all’unione
con la corona spagnola (1580) e alla conseguente mancanza di una
corte reale in terra lusitana, i gesuiti divennero gli unici detentori della
cultura, riuscendo a moltiplicare il numero dei loro collegi, nei quali
venivano messe in scena opere sempre più elaborate e spettacolari.
Del resto, l’introduzione, all’interno delle pieces lusitane, di sontuosi
elementi scenografici fu dovuta, da un lato, ad una progressiva
penetrazione dei modelli culturali castigliani
3
, dall’altro, alla grande
passione che il pubblico portoghese cominciava a nutrire per l’opera
italiana, la quale, proprio all’inizio del XVII secolo, muoveva i suoi
primi passi e si affermava, nelle varie corti europee, come tipo
d’intrattenimento prediletto dalla nobiltà. Nondimeno, la messa in
scena della Real Tragicomedia de la Conquista de Oriente, fu una
rappresentazione decisamente maestosa, ricca di strabilianti elementi
scenografici, grazie ai quali i padri del collegio di San Antão
riuscirono ad impressionare gli illustri spettatori. Sul palco salirono
più di trecento attori, con costumi di scena interamente decorati in oro,
3
Bisogna sottolineare che non fu soltanto la sudditanza politica ad influenzare la produzione
letteraria e teatrale dell’epoca: le commedie di cappa e spada di Lope da Vega, la novella
picaresca di Carvantes (entrambi istruiti presso collegi della Compagnia), il gusto
spettacolare di Calderón de la Barca e la poesia cultista di Luis de Góngora non
suggestionarono soltanto le menti degli scrittori lusitani, ma influenzarono gran parte delle
produzioni letterarie europee (del resto, il seicento è considerato il siglo de oro del teatro
spagnolo).
6ed abbelliti da centinaia di migliaia di smeraldi, perle, diademi e
rubini, giunti al convento sia dalle colonie orientali, che dalle famiglie
lisbonete più agiate
4
. La messa in scena dovette suscitare enorme
curiosità presso i cittadini della capitale, tanto che Pero Roi‚z Soares,
nel suo Memorial, ricorda la grande folla che, per l’occasione, si era
creata attorno al Collegio, nonché il gran da farsi del servizio
d’ordine:
“Nestes mesmos dias fizerão os padres da Companhia de Santo Antão
hu‚a tragicomedia del Rey dom Manoell a qual durou dous dias; foi el
Rey e toda a sua familia vella. Recereo tam grande numero de gente
que ouve darem os da guarda del Rey muitas pancadas a eltos e baxos,
levando todos pur hu‚a medida e eu as vi dar a fidalgos denche mão
nas costas e na cabessas”
5
Non doveva essere stata soltanto la presenza del sovrano a suscitare
un così grande interesse, dato che, durante il suo soggiorno a Lisbona,
Filippo III era solito uscire tutti i giorni in carrozza per visitare le
strade della capitale, piuttosto la ressa si era creata proprio per la
fastosità dello spettacolo
6
. I gesuiti di Lisbona, del resto, non potevano
farsi scappare l’opportunità di mostrare al monarca spagnolo tutta la
loro ricchezza ed il loro potere: mettere in scena una piece grandiosa,
4
Claude-Henri Freches, Le Théâtre Neo-Latin Au Portugal (1550-1745), Paris Librerie A. G.
Nizet, Lisbonne Librarie Bertrand, 1964, p 169
5
Claude-Henri Freches, Le Théâtre Néo-Latin Au Portugal “La Tragicomédie De Dom
Manuel”, Aufsätze Zur Portugiesischen Kulturgeschichte, Aschendorffsche
Verlagsbuchhandlung, Münster Westfalen, 5. Band 1965, p107
6
Ivi
7permetteva di esaltare tutto il genio creativo e le capacità
organizzative in loro possesso; al contempo, una tale rappresentazione
era la miglior soluzione, al fine di narrare al signore straniero le
illustri conquiste della dinastia Aviz, glorificare il coraggio e l’ardire
dei loro connazionali, nonché elencare tutti i possedimenti che la
corona castigliana aveva ereditato in seguito all’unione dei due regni.
Pertanto, possiamo già cominciare ad evidenziare un elemento
fondamentale al fine di comprendere meglio l’opera in questione:
assistiamo ad una piece che, distaccandosi notevolmente dalle rigide
regole del classicismo rinascimentale (lo stesso utilizzo della
tragicommedia, genere ritenuto, da molti letterati dell’epoca, minore)
e riallacciandosi alla produzione teatrale del tardo medioevo (l’uso di
personaggi allegorici che interagiscono con quelli umani), si inserisce
a pieno titolo all’interno di una sensibilità profondamente barocca (il
gusto per lo spettacolo e la sontuosità nella costruzione delle scene
corali).
Altro elemento abbastanza tipico nelle creazioni teatrali dei gesuiti
era la presenza, all’interno del testo latino (idioma ufficiale della
Compagnia), di brani recitati in volgare o in un idioma esotico. Nel
caso specifico, ci imbattiamo in quattro brevi cori in lingua
8portoghese, un lungo coro recitato in portoghese di indio
7
ed anche un
brevissimo passo in tupi
8
. Le battute recitate in latino, infatti, si
intersecano, durante il primo atto col coro dei marinai lisboneti i quali,
cantando in volgare, incitano Vasco da Gama a sfidare le forze oscure
degli oceani. Nel secondo atto, invece, sono i contadini di Sintra a
rivolgersi al condottiero lusitano, una volta ritornato in patria, e a
tessere le lodi di Dom Manuel. Sul finire del terzo atto, irrompe sul
palco un folto gruppo di Tapua (indios brasiliani) mescolati ai
portoghesi, i quali a turno cantano e danzano, rivolgendosi
direttamente a Filippo III. Ultima interruzione in lingua volgare è
quella, a metà del quinto atto, nella quale i soldati di Albuquerque
manifestano il loro continuo desiderio di conquistare nuove terre.
Analizzando il lungo passaggio recitato dalla folta rappresentanza
sudamericana, evidenzieremo, in prima istanza, la palese opposizione
tra le popolazioni orientali, ostili nell’abbracciare la fede cattolica, ed i
Tapua, i quali sembrano quasi sottomettersi spontaneamente
all’autorità di Filippo III. Differentemente dalle colonie d’Oriente,
7
Il portoghese di indio , non dissimile dalla lingua di negro , già conosciuta in quegli anni,
palesa caratteristiche di pidgin, e per tale motivo il senso del lungo coro non è sempre chiaro
(Maurizio Gnerre, Il Cannibal da Circo, in Letteratura d’America, Anno IV Autunno 1983, p
20)
8
Il tupi è uno dei tanti idiomi della famiglia linguistica Amerindia, parlato lungo la costa
brasiliana, il quale venne utilizzato, nella prima fase della colonizzazione del Brasile, dai
gesuiti, per comunicare con gli indigeni, al fine di superare la notevole frammentazione
linguistica della regione, diventando così la base della lingua geral. Come vedremo in seguito,
il coro tupi viene tradotto all’interno della stessa Real Tragicomedia.
9infatti, il Brasile era una terra abitata da popolazioni selvagge, per lo
più nomadi, le quali non possedevano religioni o strutture sociali
stratificate e con tradizioni consolidate come quelle orientali: il vasto
continente sudamericano, come scrive Serafim Leite, era considerato
“o papel branco”, su cui i gesuiti potettero scrivere la loro dottrina. Da
un punto di vista più strettamente linguistico, invece, il passo in
portoghese di indio può annoverarsi come valido esempio della fase
iniziale di creolizzazione della lingua lusitana in Brasile.
Osserviamo, quindi, come nella Relación finiscano col coesistere
ben quattro lingue (escludendo il brevissimo passo in tupi): lo
spagnolo, il latino, il portoghese e la sua variante d’oltreoceano, anche
se l’idioma predominante di quest’opera, però, risulta essere quello
castigliano. Infatti, nonostante la Relación fosse dedicata al Duca di
Bragança ed i temi trattati riguardassero la gloriosa storia patria, Iuan
Sardina Mimoso asserisce, nella prima dedica al Duca, di scrivere in
spagnolo “affinché in tutta la Spagna si conosca la perfezione
portoghese”, testimoniando, così, una certa forma di inferiorità sia
linguistica che culturale. Tale sudditanza, all’interno della Relatión,
viene interrotta soltanto da due brevi dediche, scritte in portoghese.
10
La prima, indirizzata a Dom Theodosio II, è – come noteremo in
seguito – di importanza essenzialmente politica: il sacerdote non
manca di sottolineare l’ascendenza reale dei Bragança, ed in qualche
modo il loro diritto al trono del Portogallo:
“pois no mesmo grao com sua Magestade conhece por ascendente
aquelle grande Rey [Dom Manuel], pareceome faltaria ao officio de
servo diligente se como fazenda de meu senhoer a não recolhesse”
9
La seconda dedica, invece, è rivolta direttamente al sovrano
castigliano.
Nonostante le nobili intenzioni celebrative di padre António de
Sousa, e l’ambizioso progetto di Iuan Sardina Mimoso di restituire al
lettore tutto splendore e l’erudizione presente nell’opera, nei libri di
storia della letteratura la Real Tragicomedia viene esclusivamente
ricordata per la sua mastodontica rappresentazione, la quale non fu
mai più ripetuta. Anche se improbabile – data la magnificenza della
sua messa in scena – Sardina Mimoso ci informa che il lavoro di
preparazione impegnò per venticinque giorni sia i professori che gli
studenti del vecchio collegio di Santo Antão, situato nel Bairro Alto,
nella sede primaria della Casa Professa della Compagnia di Gesù in
9
Relación de la Real Tragicomedia, dedica al Duca di Bragança
11
Lisbona
10
. Indubbiamente, per il lettore moderno, gli elementi degni di
maggiore interesse sembrano essere proprio quelli legati alla pratica
scenica, nonché all’inserimento dei quattro cori in volgare e di quello
in portoghese di indio.
Appaiono essere diversi, quindi, i temi che si intrecciano all’interno
dell’opera di Sardina Mimoso. La Real Tragicomedia, con le sue
particolari scelte linguistiche, sembra porre su livelli differenti la
narrazione delle conquiste lusitane: recitano in lingua latina, carica di
prestigio culturale e sociale, i personaggi nobili (Dom Manuel, i suoi
condottieri ed i sovrani nemici), il portoghese, invece, viene
impiegato, al fine di inserire elementi maggiormente realistici, per dar
voce alle figure più umili e popolane (come, appunto, contadini,
marinai e soldati), mentre il portoghese di indio, inevitabilmente –
oltre a consegnare un tocco di esotismo all’opera – viene pronunciato
da buffi selvaggi, ormai «addomesticati» e posizionati al livello più
infimo della struttura sociale lusitana.
10
Il collegio gesuita della capitale fu fondato nel 1553 da due professori di Coimbra,
Cipriano Álvares e Manuel Álvares, i quali utilizzarono per le loro classi il vecchio collegio di
Sant’Antonio: dopo pochi mesi dalla sua fondazione già 330 alunni, appartenenti a tutte le
classi sociali, erano iscritti ai corsi. Il successo di questa scuola fu tale che “alcuni genitori
ritirarono i loro figli da Coimbra per mandarli al collegio di Lisbona” (cfr. Le Théâtre Neo-
Latin Au Portugal, Op. Cit., p 155)
12
La meticolosità con la quale il sacerdote di Setúbal
11
espone ogni
passaggio della messa in scena, consente al lettore di poter
effettivamente «assistere» sia alla rappresentazione della
tragicommedia, sia all’entrata in Lisbona del sovrano castigliano
12
.
L’enumerazione di tutte le pietre preziose impiegate, l’accurata
descrizione degli abiti di scena (la provenienza delle stoffe, i vari tipi
di drappeggi, le decorazioni utilizzate, e talvolta il costo della loro
fattura), la realizzazione dei diversi apparati scenografici, nonché
l’aver riportato dettagliatamente i singoli movimenti e l’aver riassunto
le battute recitate dagli attori, offrono al lettore un’immagine della
rappresentazione precisa almeno quanto, al giorno d’oggi, risulterebbe
essere una ripresa cinematografica
13
.
Pertanto, l’opera che andremo ad analizzare ha un notevole valore
documentale, al fine di approfondire le notizie, talvolta frammentarie,
circa il copioso lavoro della Società di Gesù a cavallo tra XVI e XVII
secolo, sia per quanto riguarda la produzione teatrale, che il rapporto
che quest’ultimi avevano stabilito con le diverse culture, all’interno
del vasto impero portoghese.
11
Nel lungo titolo della Relación, leggiamo “[…]escrita por Iuan Sardina Mimoso nativo de
Setúbal”.
12
La Relación de la Real Tragicomedia , si conclude, infatti, con un’altrettanto meticolosa
descrizione circa l’entrata nella capitale portoghese di Filippo III e del suo seguito.
13
In effetti, la precisione di Sardina Mimoso è tale da rendere comprensibili gli avvenimenti
della tragicommedia senza doversi cimentare necessariamente col testo latino.
13
Avremo modo di evidenziare, inoltre, come il teatro – che, proprio
in quegli anni, era diventato lo strumento prediletto dai padri della
Compagnia per appagare la necessità, da un lato, di moralizzare,
educare ed evangelizzare, dall’altro, di divertire ed intrattenere –
rifletta non solo la consapevolezza che i gesuiti avevano acquisito dei
propri mezzi comunicativi (violando regole e stravolgendo canoni
letterari), ma anche l’abilità di quest’ultimi di incorporare, all’interno
del proprio sistema educativo, le diverse etnie provenienti dagli angoli
più disparati del globo, facendo loro calcare i palchi dei teatri europei
anche in occasioni eccezionali come la visita di Filippo III di Spagna.
14
Capitolo 1
Il quadro storico-politico
1.1 La dominazione castigliana e la dinastia Bragança
La Real Tragicomedia, dato l’argomento trattato, appartiene alla
tradizione teatrale profana della Compagnia. Pertanto, onde fornire
un’analisi dettagliata della piece e della sua relativa Relación (la quale
pare essere altrettanto ricca di richiami agli eventi accorsi attorno al
1620), accenneremo brevemente sia alla cornice storico-politica entro
la quale entrambi i lavori furono concepiti, che agli avvenimenti
accorsi tra la fine del XV secolo e i principi del XVI (periodo storico
nel quale vengono ambientate, appunto, i vari episodi della piece).
Re Filippo III di Spagna salì al trono nel 1598, e sin dall’inizio
aveva manifestato l’intenzione di visitare il Portogallo. Nel 1609
furono riunite le camere municipali, le quali, però, mostrarono la
situazione “meschina e deplorabile” nella quale vessava il Portogallo,
ed il viaggio fu rinviato
14
. In realtà, all’epoca una forte crisi
economica, dovuta soprattutto alle disastrose conseguenze della
14
Joaquim Veríssimo Serrão, O Tempo Dos Filipes Em Portogual E No Brasil (1580-1668) ,
Lisoboa Edições Colibri, 1994 p 24
15
politica di espansione voluta da Filippo II e della rovinosa sconfitta
dell’«Invencível Armada», investiva il paese, il quale aveva dovuto
fornire per l’impresa 12 navi e ben cinque mila uomini, tra soldati e
marinai, oltre ad armi e viveri
15
. L’entrata del sovrano avvenne,
quindi, soltanto due anni prima della sua morte
16
. Il cronista ufficiale
dell’evento fu João Baptista Lavanha, il quale definì l’entrata nella
capitale portoghese come lo spettacolo più solenne al quale i lisboneti
avessero mai assistito. Il soggiorno di Filippo III in Portogallo
cominciò il 14 maggio del 1619 ad Évora. Il giorno seguente ricevette
l’omaggio della città, mentre il 16, dopo mezzogiorno visitò
l’Università dove vennero organizzate delle dispute letterarie e messi
in scena dei dialoghi. La domenica di Pentecoste (19 maggio) il
sovrano assistette ad un auto da fé. Il 29 giugno il seguito reale arrivò
a Lisbona: nel corteo che, da Belém a Terreiro do Paço scortava
l’imbarcazione del monarca, figuravano dei momos marini, mentre
musiche e danze accompagnarono il viaggio. Tutta la città fu abbellita
e decorata con ornamenti sontuosi, mentre sugli archi e sulle statue
furono poste delle iscrizioni simboliche, le quali celebravano la
grandezza portoghese ed, in particolar modo, ricordavano il secolare
15
Ib., p 66
16
Molti storici indagano tutt’ora se questo continuo procrastinare non fosse altro che uno
strumento per chiedere denaro, in nome di un viaggio continuamente rinviato, alle province
lusitane (Ib., p 24)