nella pratica si intrecciano e confondono e che qui, per semplicità, possiamo
riassumere in due diverse tipologie: le politiche di immigrazione che
disciplinano l’ingresso e quindi l’apertura o la chiusura o l’ammissione
regolata e controllata degli stranieri e le politiche per l’immigrazione tese invece
a consentire allo straniero di soggiornare, circolare e integrarsi nel territorio
3
.
Le norme che si rifanno all’una o all’altra politica dovrebbero essere
ragionevolmente sviluppate in modo uguale per evitare che si verifichino
fenomeni negativi come l’emarginazione, la disintegrazione e la tensione nei
confronti degli stranieri che si trovano sul territorio di uno Stato.
Nel presente lavoro ci si occuperà della libera circolazione dei cittadini
dei paesi terzi, materia che interessa entrambi i campi sopra indicati
4
. Da un
lato, infatti, vi sono le norme che si occupano congiuntamente dell’ingresso e
della libera circolazione dei cittadini dei paesi terzi nel breve periodo, che
sono le disposizioni entrate a far parte del diritto europeo come Acquis di
Schengen. Gli Accordi di Schengen
5
, avendo creato uno spazio entro il quale
i cittadini comunitari possono muoversi liberamente, implicano
necessariamente l’adozione di politiche comuni nei confronti delle
3
Come spiega RYMKEVITCH in Europa e immigrazione: verso l’adozione di un metodo aperto di
coordinamento a livello UE, in Diritto delle relazioni industriali, n. 4, 2001, p. 457, la distinzione
risale alla immigration law nord-americana. Cfr. anche BONETTI, La condizione giuridica del
cittadino extracomunitario, cit., p. 21, BASCHERINI, Europa, cittadinanza, immigrazione, in
Diritto Pubblico, n. 3, 2000, p. 767-792 e APAP, The rights of immigrant workers in the EU,
Kluwer law international, 2002, p. 134.
4
Cfr. APAP, op. cit. e DE ROSE, La libera circolazione delle persone nell’Unione Europea: profili
generali ed istituzionali anche con riferimento alla normative italiana (Parte seconda), ne Il
Consiglio di Stato, n. 4, 2003, p. 831.
5
Accordo di Schengen del 14 giugno 1985 relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle
frontiere comuni e la Convenzione di applicazione del 19 giungo 1990. L’entrata in vigore
prevista per il 1993 è avvenuta, per alcuni paesi, il 26 marzo 1995.
2
provenienze dai paesi terzi, in quanto, con la scomparsa delle frontiere
interne tra gli Stati membri, la frontiera comunitaria è la risultante delle aree
di confine dell’Unione con i paesi terzi e non è evidentemente possibile che si
applichino nei riguardi dei cittadini di quei paesi regole e procedure diverse
a seconda dello Stato membro attraverso cui si accede all’Unione
6
. Dall’altro
lato si trova il nuovo Titolo IV del Trattato di Amsterdam, intitolato “Visti,
asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle
persone”, che si occupa della libera circolazione dei cittadini dei paesi terzi
nel breve e nel lungo periodo e delle condizioni di soggiorno.
Questa materia rimase per lo più terra incognita
7
fino agli anni settanta,
quando la crescita dell’immigrazione in Europa si impose all’attenzione degli
operatori del diritto, anche se quasi esclusivamente a livello nazionale. Il
principio della libera circolazione delle persone stabilito dalla Comunità
Economica Europea ruppe questo schema introducendo un dialogo
sopranazionale sull’argomento, ma solo per quanto riguarda i cittadini degli
Stati membri. Infatti, per ciò che concerne i cittadini dei paesi terzi, le singole
legislazioni statali rimasero in massima parte sovrane almeno fino alla
cooperazione intergovernativa intervenuta a metà degli anni ottanta in
ambito Schengen.
6
DE ROSE, La libera circolazione delle persone nell’Unione Europea: profili generali ed istituzionali
anche con riferimento alla normativa italiana, cit., p. 832.
7
GROENENDJIK, Immigrazione e diritto in Europa nella seconda metà del XX secolo, in Diritto,
immigrazione e cittadinanza, n. 4, 1999, p. 12.
3
Lo sviluppo della disciplina comunitaria sull’argomento porta, con il
Trattato di Maastricht, all’attribuzione della cittadinanza comunitaria a tutti
coloro che sono cittadini di uno Stato membro dell’Unione
8
. Questo
complemento alla cittadinanza nazionale, se da un lato unisce e ravvicina
maggiormente i “comunitari”, dall’altro aumenta la distanza con i cittadini di
paesi terzi
9
. La cittadinanza comunitaria comporta infatti anche il diritto di
circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri ai sensi
dell’ex art. 8A (oggi art. 18) TCE, il cui effetto diretto è stato riconosciuto
dalla Corte di Giustizia
10
, mentre non esiste una norma corrispondente
applicabile ai cittadini dei paesi terzi.
Appare quindi sempre più chiara l’esigenza di definire lo status dei
cittadini stranieri stabiliti o inseriti in una comunità nazionale alla cui vita
economica, e per certi versi anche politica, partecipano e contribuiscono
11
. La
definizione di questo status è considerata il passo intermedio per il
riconoscimento di un generale diritto di circolazione e soggiorno, date le
conseguenze che ne possono derivare sul piano dell’equilibrio sociale e del
mercato del lavoro nei vari Stati membri
12
.
Oggi poi lo status civitatis, inteso come criterio in base al quale si
attribuiscono diritti, viene affiancato da altri elementi come la residenza, il
8
Cfr. art. 17, ex art. 8 TCE.
9
Come si vedrà più avanti nel capitolo conclusivo, sono molte le teorie sviluppate attorno ai
concetti di cittadinanza, status ed appartenenza per eliminare questa distanza.
10
Sentenza del 17 settembre 2002, causa C-413/99, Baumbast, in Raccolta, p. I-7091.
11
NASCIMBENE, L’Unione europea e i diritti dei cittadini dei paesi terzi, in Il diritto dell’Unione
Europea, n. 2-3, 1998, p. 513.
12
NASCIMBENE e MAFROLLA, Recenti sviluppi della politica comunitaria in materia di
immigrazione e asilo, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 1, 2002, p. 21.
4
domicilio o l’inserimento di fatto in una data comunità territoriale. Agli stessi
cittadini comunitari sono attribuiti alcuni diritti
13
solamente qualora si
spostino all’interno dell’Unione. Da un criterio di tipo soggettivo si passa
dunque a considerare fattori di tipo oggettivo e fattuale
14
.
L’Unione europea con il Trattato di Amsterdam fa un grosso passo in
avanti introducendo il Titolo IV del Trattato che si intitola “Visti, asilo,
immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle
persone”. Le norme ivi contenute forniscono la competenza all’Unione per
poter legiferare anche riguardo la libera circolazione dei cittadini dei paesi
terzi, danno la possibilità di attribuire anche a questi ultimi quegli stessi
diritti di cui gode il cittadino comunitario (in particolare il diritto di circolare
e soggiornare liberamente all’interno del territorio dell’Unione) e permettono
quindi l’attenuazione delle differenze fra cittadino comunitario e cittadino di
paese terzo. La libera circolazione delle persone è infatti uno degli obiettivi la
cui realizzazione è strumentale per la creazione di quello spazio di libertà,
sicurezza e giustizia che costituisce la ratio comune
15
delle norme del
Trattato il quale mira ad istituire una vera e propria Unione Europea.
La conoscenza approfondita e aggiornata dei flussi migratori, la
certezza di obiettivi e norme e la loro concreta attuazione sono fattori
necessari per la realizzazione della politica di immigrazione, all’interno della
13
Da vantare nei confronti dello Stato membro ospitante.
14
Cfr. NASCIMBENE, L’Unione europea e i diritti dei cittadini dei paesi terzi., cit., p. 513,
LIAKOPOULOS, La condizione giuridica dello straniero: evoluzione del concetto di cittadinanza alla
luce delle norme internazionali, in Diritto e Diritti on line, ottobre 2004 e APAP, The rights of
immigrant workers in the EU, cit., p. 25.
15
Cfr. NASCIMBENE, op. cit, p. 516.
5
quale si colloca il tema della libera circolazione dei cittadini dei paesi terzi.
Questa politica va perseguita con una strategia unitaria e di coordinamento
dalla quale non si può più prescindere data la complessità e grandezza del
fenomeno migratorio che, anche se con aspetti differenti, interessa tutti gli
Stati membri dell’Unione.
A questo punto si deve chiarire la portata dell’espressione “libera
circolazione delle persone”. Essa non gode di una definizione univoca ed è stata
intesa in maniera via via sempre più ampia
16
.
Questo diritto fondamentale del cittadino comunitario aveva una
connotazione prettamente economica e si esplicava nella libera circolazione
dei lavoratori subordinati e autonomi, nel diritto di stabilimento e di
prestazione dei servizi
17
(art. li 39, 43 e 49 TCE). Le persone, considerate
come forza lavoro, costituiscono il terzo fattore produttivo accanto a merci e
capitali e per questo la loro mobilità è un complemento necessario alla libera
circolazione degli altri due. La nozione fu in seguito ampliata, grazie alle
interpretazioni estensive della Corte di Giustizia e ad alcune direttive degli
anni novanta
18
che si sono occupate degli studenti, dei pensionati e dei cd.
inattivi ossia tutti coloro che non godono già a diverso titolo di questa libertà.
16
A volte vengono confuse o tradotte poco precisamente espressioni diverse come freedom
of movement, right to travel freely, right of circulation, right of residence, mobility. Cfr.
HOOGENBOOM, Free movement and the integration of non-EC nationals and the logic of the
internal market, in Schermers et al., eds, Free movement of persons in Europe, Martinus
Nijhoff Publishers, 1993, p. 500.
17
NASCIMBENE, L’attuazione delle norme comunitarie sulla libera circolazione dei lavoratori, in
La libera circolazione dei lavoratori, a cura di NASCIMBENE, Milano, Giuffrè, 1998, p. 3.
18
Direttive del Consiglio n. 90/364, n. 90/365, n. 90/366 e n. 93/96.
6
La libera circolazione viene dunque intesa non più solo come libertà di
spostarsi per lavorare o di viaggiare, ma anche di soggiornare
19
.
Oggi l’istituto della cittadinanza europea è contraddistinto soprattutto
dalla libertà di movimento e di residenza ormai indipendente dai profili
economici
20
, anche se ancora subordinata al soddisfacimento di alcune
condizioni (anche di tipo economico) e all’espletamento di alcune formalità.
Per esercitare il relativo diritto le persone devono infatti rientrare nelle
categorie previste dal diritto comunitario secondario e soddisfare i rispettivi
requisiti ivi previsti
21
.
Il concetto potrebbe comunque essere ampliato ulteriormente fino a
comprendere anche il diritto di accesso, durante la permanenza nel territorio
di un altro Stato membro, ad alcuni “public benefits” come l’assistenza
sanitaria o l’educazione. Secondo alcuni
22
, infatti, la mancanza di una tale
possibilità potrebbe costituire un deterrente all’esercizio del diritto e al
raggiungimento dell’obiettivo di uno spazio di libertà. La questione
andrebbe analizzata anche attraverso il confronto e lo studio del
funzionamento e delle capacità dei sistemi dei servizi pubblici nazionali.
Qui si utilizzerà una nozione ristretta di libera circolazione delle
persone che lascia da parte quest’ultimo aspetto concernente il trattamento
19
Come chiarisce la Corte di Giustizia nella sentenza del 5 febbraio 1991, causa C-363/89,
Roux, in Raccolta, p. I-273 e nella sentenza Baumbast, cit.
20
Cfr. art. 18, primo comma TCE: “Ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di
soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, …”.
21
Cfr. sentenza del 12 maggio 1998, causa C-85/96, Martinez Sala, in Raccolta, p. I-2691.
22
Fra gli altri cfr. VAN DER MEI, Free movement of persons within the European Union, Hart
Publishing, 2003, p. 1 e 484.
7
generale dello straniero, come pure tutte le questioni legate all’accesso al
lavoro e alla protezione per motivi umanitari dei cittadini dei paesi terzi, pur
tenendo presente che l’ingresso per motivi umanitari e quello per motivi
economici sono, insieme al ricongiungimento familiare, i motivi principali
dell’immigrazione verso l’Europa.
L’oggetto dello studio sarà quindi “la libera circolazione dei cittadini dei
paesi terzi” intendendo per “libera circolazione” il diritto di circolazione e
soggiorno ossia la mobilità all’interno del territorio dell’Unione e per “cittadini
dei paesi terzi” tutti gli stranieri che rientrano nella sfera dell’immigrazione
legale e cioè coloro che sono presenti nel territorio dell’Unione essendovi
stati ammessi da uno Stato membro in base alla normativa nazionale. Si
escludono i cittadini dei nuovi paesi membri entrati a far parte dell’Unione il
primo maggio 2004, poiché la loro libertà di circolazione è soggetta a regole
diverse che comportano restrizioni di tipo temporaneo. Si esclude altresì la
questione dell’ingresso e dei visti se non quando strettamente collegata al
tema in oggetto.
Dopo aver brevemente scorso il processo storico di integrazione
europea che ha portato con il Trattato di Amsterdam all’attribuzione delle
competenze comunitarie in materia di immigrazione, si guarderà più
attentamente agli interventi attuati sulla base del Titolo IV del Trattato che
toccano la materia della mobilità dei cittadini dei paesi terzi. Per studiare gli
eventuali progressi compiuti nella prima fase di sviluppo della politica
comune in materia di immigrazione (maggio 1999 - maggio 2004) alla luce
8
degli obiettivi fissati dal vertice di Tampere dell’ottobre 1999, si distinguerà,
per chiarezza e comodità, fra libera circolazione nel breve periodo e nel
lungo periodo. Si attuerà anche un confronto fra la mobilità dei cittadini dei
paesi terzi e quella dei cittadini comunitari e dei loro familiari. Infine,
tenendo conto degli elementi della politica comunitaria in materia di
immigrazione, si tenterà di analizzare le prospettive e le tendenze legislative
per la cd. seconda fase, alla luce del vertice di Bruxelles del novembre 2004
(Tampere II o Programma de L’Aja).
9
CAPITOLO PRIMO
LE COMPETENZE COMUNITARIE IN MATERIA DI
IMMIGRAZIONE
1. PREMESSA: il processo di integrazione europea e l’immigrazione.
Per poter affrontare in maniera chiara la questione della libera
circolazione dei cittadini dei paesi terzi alla luce del Trattato di Amsterdam e
della sua attuazione è necessario tornare brevemente indietro nel tempo e
ricostruire i passaggi che hanno portato alla redazione delle norme del Titolo
IV dedicato a “Visti, asilo, immigrazione e altre politiche connesse con la
libera circolazione delle persone” e all’integrazione del c.d. Acquis di
Schengen.
Come è noto, diritto e società si influenzano a vicenda nella storia e solo
recentemente il tema dell’immigrazione e dei diritti degli stranieri è venuto
ad occupare, nell’agenda europea, la posizione prioritaria e di urgenza che
ben si conosce attraverso l’opera di informazione dei mass media.
L’evoluzione è strettamente collegata alle necessità pratiche e alle
considerazioni che nascono dall’ingigantirsi del fenomeno migratorio e dalla
10
cresciuta importanza delle sue conseguenze demografiche ed occupazionali
1
.
Oggi la terra incognita viene esplorata non solo dalle singole nazioni
individualmente ma da tutte insieme. Infatti, per poter affrontare
efficacemente la questione è necessario che vi siano forme di cooperazione e
che queste siano coordinate nell’ambito di un unico quadro istituzionale.
Anzi, è necessario avvalersi di un approccio globale
2
al fenomeno migratorio
che sviluppi un corpus normativo che sia anche coerente e organico.
La storia della convergenza delle politiche migratorie, che ha portato
alle nuove competenze europee in materia di immigrazione attraverso la c.d.
comunitarizzazione, è un graduale avvicinarsi al tema dei cittadini dei paesi
terzi: in un primo tempo secondo la logica dell’ognuno per sé ed, in seguito,
congiuntamente. Il percorso seguito va dalla tendenza verso la politica di c.d.
immigrazione zero
3
a quella verso un’ammissione regolata e controllata dei
flussi migratori. Emergono, come accennato, nuove esigenze che giustificano
l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati legali.
Il processo di integrazione, per raggiungere un quadro unitario, deve
anche affrontare e vincere l’ostacolo della sovranità nazionale. Come ci
1
Fra queste la questione della “migrazione secondaria” all’interno dell’Unione, effetto delle
differenti procedure vigenti negli Stati membri, che rende opportuno un ravvicinamento
delle regolamentazioni, ed in alcuni casi anche un’armonizzazione. Cfr. DEHOUSSE e
MARTINEZ, La politique européenne d’immigration et d’asile, in Studia diplomatica, 2002, vol.
LV, I, p. 44.
2
Come più volte sottolineato dalle istituzioni europee. Cfr. SN 200/99, Conclusioni della
Presidenza del Consiglio europeo di Tampere, 15-16 ottobre 1999, prf. 11 e COM/2000/757,
Comunicazione della Commissione su una politica comunitaria in materia di immigrazione,
p. 3-4, 13-14 e 19.
3
Questo tipo di politica, che comporta una chiusura pressoché totale dello Stato nei
confronti del fenomeno migratorio, non è più sostenibile come dimostrato dal fatto che gli
immigrati illegali aumentano con l’adozione di legislazioni cd. restrittive e come confermato
dalle frequenti sanatorie, avvenute in molti paesi europei, per la regolarizzazione a
posteriori degli stranieri clandestini.
11
insegna il diritto internazionale, gli Stati sono sempre restii a cedere anche la
più piccola quota di sovranità proprio perché ciò comporta la rinuncia alle
proprie competenze. Tale materia in particolare è considerata storicamente e
tipicamente di competenza esclusiva degli Stati, quindi lasciata alla loro
discrezionalità, e non esistono in proposito obblighi di natura
consuetudinaria a livello internazionale. Questo è dovuto al fatto che i temi
della cittadinanza, degli stranieri e dell’immigrazione sono delicati e
complessi e coinvolgono direttamente gli interessi nazionali.
Anche oggi la competenza comunitaria in materia non ha carattere
esclusivo. Come si spiegherà più avanti, l’art. 63, penultimo comma, del
Trattato di Amsterdam lascia ancora agli Stati interessati la possibilità di
legiferare in materia compatibilmente con il diritto comunitario e gli accordi
internazionali. Oltretutto tre paesi membri (Irlanda, Regno Unito e
Danimarca) sono contrari alla comunitarizzazione, cioè all’attribuzione
all’Unione della competenza in questo settore, e pertanto non partecipano al
Titolo IV del Trattato di Amsterdam.
Esiste, però, a livello comunitario ed in particolare per quanto riguarda
il campo dell’immigrazione, una lettura diversa della questione:
l’attribuzione della competenza all’Unione darebbe la possibilità di
espandere la logica del controllo oltre la dimensione nazionale e di
aumentare le potenzialità delle politiche di immigrazione
4
. La Corte di
4
KOSTAKOPOULOU, The “Protective Union”: Change and Continuity in Migration Law and
Policy in Post-Amsterdam Europe, in Journal of Common Market Studies, vol. 38, n. 3, 2000, p.
514.
12
Giustizia inoltre ha interpretato estensivamente alcune norme comunitarie
ampliando il loro ambito di applicazione ed erodendo dunque la sfera
lasciata alla discrezionalità statale
5
.
Comunque, se oggi è certamente chiara l’esigenza di lavorare insieme
per disciplinare la materia, più confusi sono invece gli obiettivi specifici ed i
contenuti delle norme in oggetto. Come è stato rilevato, la quantità di
comunicazioni, proposte, rapporti e relazioni presentate dalla Commissione
e, in misura minore, dalle presidenze di turno, anziché contribuire a meglio
delineare e attuare la politica in materia di immigrazione, ha offuscato gli
obiettivi comuni e distolto l’attenzione dai risultati effettivamente raggiunti
6
.
Inoltre molte proposte normative non vengono adottate perché le
disposizioni vanno oltre quel minimo comune denominatore considerato
base accettabile da tutti i paesi membri.
Per il successo della strategia comune in questo ambito è dunque
imprescindibile la fiducia reciproca tra le diverse nazioni europee che
permette di superare le diffidenze e ottenere il consenso necessario per il
processo legislativo. A questo proposito, bisogna considerare che i contesti e
gli orientamenti politici nazionali possono variare di molto all’interno dello
spazio dell’Unione e che, come sottolineato da due autori, “non vi sono altri
esempi nella storia del processo di integrazione di un policy field passato così
5
Cfr. ad esempio la sentenza del 31 gennaio 1984, cause riunite C-286/82 e C-26/83, Luisi-
Carbone, in Raccolta, p. I-377 e la sentenza del 26 febbraio 1991, causa C-292/89, Antonissen,
in Raccolta, p. I-745.
6
NASCIMBENE e FAVILLI, Gli orientamenti comunitari, in Rapporto sulle migrazioni, 2003,
ed. ISMU, Milano, p. 81.
13
rapidamente da una forma soft di cooperazione intergovernativa al “vertice”
dell’agenda politica e legislativa dell’Unione”
7
.
Ad ogni modo la stessa Commissione, nella Comunicazione
COM/2000/757 su una politica comunitaria in materia di immigrazione,
scrive: “… rispetto ad alcuni anni fa, vengono riconosciute più
consapevolmente l’importanza dei problemi di immigrazione e asilo a livello
di UE e la necessità di affrontarli con un’impostazione comune” e ancora “[la
politica in materia di immigrazione] dovrebbe essere elaborata entro un
nuovo quadro di cooperazione a livello comunitario, basato su cooperazione,
scambio di informazioni e relazioni informative, con il coordinamento della
Commissione”. Inoltre sempre la Commissione propone poi nella
Comunicazione COM/2001/387 un metodo aperto di coordinamento della
politica comunitaria in materia di immigrazione, come si vedrà più avanti.
2. BREVI CENNI SULL’IMMIGRAZIONE E SULLA LIBERA
CIRCOLAZIONE DEI CITTADINI DEI PAESI TERZI NEL SISTEMA
PRECEDENTE ALL’ENTRATA IN VIGORE DEL TRATTATO DI
MAASTRICHT.
Nel Trattato della Comunità Economica Europea, firmato a Roma il 25
marzo 1957 ed entrato in vigore il 14 gennaio 1958, non si trovano
disposizioni che attribuiscono alle istituzioni europee competenze in materia
7
NASCIMBENE e MAFROLLA, Recenti sviluppi della politica comunitaria in materia di
immigrazione e asilo, cit., p. 37.
14
di immigrazione. Le norme sulla “libera circolazione delle persone”,
nonostante la genericità dell’espressione, si riferiscono esclusivamente ai
cittadini degli Stati membri. Solo l’ex art. 59 CEE (art. 49 TCE), secondo
comma, sulla libera prestazione dei servizi permette l’estensione della
disciplina ai cittadini dei paesi terzi, ma questa opportunità non viene colta
8
.
Per contro altre norme non impediscono ai cittadini dei paesi terzi di godere
di alcune libertà, come la libera circolazione dei capitali e delle merci, né di
essere destinatari della libera prestazione dei servizi.
Del resto, come brevemente accennato nell’introduzione, durante
questo periodo il fenomeno migratorio verso l’Unione è ancora di modesta
entità, la disciplina della materia è lasciata alla discrezionalità degli Stati
membri e manca un qualsiasi quadro unitario e/o organico di riferimento.
Solo negli anni settanta interviene la prima svolta: l’affluenza dei cittadini dei
paesi terzi cresce velocemente e di conseguenza vengono predisposti i primi
interventi in materia.
8
Sarà la Corte di Giustizia ad estendere questa libertà per quanto riguarda i cd. posted
workers con la sentenza del 27 marzo 1990, causa C-113/89, Rush Portuguesa, in Raccolta, p.
I-1417 e con la sentenza del 9 agosto 1994, causa C-43/93, Van der Elst, in Raccolta, p. I-3803.
Cfr. GUILD, The legal framework and social consequences of free movement of persons in the
European Union, Kluwer Law International, The Hague, London, Boston, 1999, p. 65 e ss.
9
Questa stabilisce già come obiettivo: “the realisation of equal treatment with respect to
living conditions and labour conditions, payment and economic rights of workers who are
nationals of third countries and their family members legally living in the member States”.
15