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ci si dovrebbe comportare e li trova, in abbondanza quando gli
adulti vivono la loro vita, compiendo delle scelte, affrontando la
gente, esprimendo le loro opinioni, i desideri e i valori. I bambini
sommano, imitano e archiviano ciò che osservano e così in
seguito, molto spesso, si allineano al particolare suggerimento
morale che gli adulti offrono loro, intenzionalmente o in modo
del tutto inconsapevole.
E’ da sottolineare, comunque, che il problema dello
sviluppo morale, e di conseguenza del giudizio morale, non
riguarda solo l’aspetto filo-pedagogico, cioè educativo, ma anche
quello psicologico e sociale. Non è un caso che il problema è
stato affrontato da più punti di vista:
a) cognitivo (sviluppo di una intelligenza morale);
b) comportamentale, legato al tema dell’identità della persona;
c) sociale, legato al tema dei valori.
Quest’ultimo aspetto è quello che più può interessare, in
quanto, perché si possano costituire le realtà morali, è necessario
che i bambini stabiliscano rapporti interpersonali per prendere
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coscienza del dovere e per mettere al di sopra del loro “io” la
realtà normativa.
Ebbene, se si crede che lo sviluppo morale si determini tramite
una continua interazione tra processi mentali e stimoli ambientali,
occorre sapere quale peso specifico hanno in tale sviluppo le
capacità di valutazione legate all’evoluzione mentale infantile e
l’esperienza quotidiana di particolari climi educativi.
Ed è proprio questo che si cerca di mettere a punto nelle
pagine che seguono, divise in tre capitoli centrali, i quali cercano
di evidenziare il processo della formazione morale nel fanciullo
partendo dalla definizione di norma fino ad analizzare le idee
chiave di Jean Piaget, Kohlberg e altri ancora.
Nel primo capitolo (Lo sviluppo morale nel fanciullo) sono
stati affrontati i problemi riguardanti soprattutto la morale e la
moralità. Dal concetto di norma, le convinzioni, gli atteggiamenti
o i valori condivisi dalla maggior parte all’interno di un gruppo,
si è giunti alla norma morale che riguarda spesso il
comportamento del bambino nei confronti degli altri, non solo,
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ma anche il rispetto delle regole del gioco, la lealtà, la sincerità,
la solidarietà, l’aiuto reciproco.
La moralità, invece, è la capacità, oggettivamente
dimostrata, di resistere alla tentazione di infrangere una norma o
una regola, anche quando appare improbabile l’essere scoperti o
puniti.
Anche al problema del bene, come dominio della moralità, e
del male, come oggetto negativo del giudizio di valutazione, è
stato riservato ampio spazio.
Se la formazione morale ha rappresentato gran parte del
primo capitolo, il secondo capitolo (Giudizio morale e sviluppo
cognitiivo in Jean Piaget) è stato dedicato interamente al
giudizio morale nella formulazione che ne ha dato Jean Piaget.
Nella restituzione abbiamo tenuto conto anche delle critiche
più recenti.
Nel terzo ed ultimo capitolo (Altre teorie a confronto) sono
state presentate alcune teorie riguardanti la formazione morale,
come quella di Kohlberg, di Turiel, di Bandura e McDonald, di
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Cowan e Langer, di Damon, di Rest, di Hoffman. Tutto frutto di
accurate ricerche. Ma, in genere, non si notano profondi
contrasti.
Il lavoro si conclude con un’ampia nota bibliografica.
CAPITOLO PRIMO
LO SVILUPPO MORALE
NEL FANCIULLO
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1.1 LA FORMAZIONE MORALE
Fin dalle sue origini il pensiero umano ha trattato
ampiamente l’argomento riguardante la legge morale e la libertà
del volere: chi negando la norma, chi negando la libertà, chi
confondendo i propri problemi. Dall’intellettualismo etico del
mondo classico, all’etica della situazione dei nostri giorni,
potremmo dire che l’uomo non ha fatto altro che cercare di dar
volto e significato alle sue azioni.
“Per nostro conto, scrive A. Valeriani, è da ritenersi che la
necessità della legge morale e libertà del volere, sono condizioni
essenziali della moralità, e il negarlo renderebbe vano e
insignificante lo stesso problema morale” (Valeriani, p. 155).
Agire moralmente è quindi aderire praticamente e
liberamente a ciò che alla ragione si presenta come degno di
essere attuato, in quanto autentico valore dell’uomo. La morale,
infatti, è il risultato di due fondamentali elementi: oggettivi (la
norma), soggettivo (la libertà dell’atto umano). Elementi questi
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che impegnano la ragione e la volontà, funzioni della personalità
umana che necessitano di essere sviluppate ed educate
convenientemente, in direzione delle finalità proprie dell’uomo e
in continuità della sua natura. Di conseguenza agire moralmente
è quindi aderire praticalmente e liberamente a ciò che alla
ragione si presenta come degno di essere attuato, in quanto
autentico valore dell’uomo, valore intrinsecamente e
universalmente valido, anche se non uniformemente vissuto e
realizzato. Il bene è ciò che è conforme alla realizzazione della
natura umana, il quale è ciò che vi si oppone. In questo senso è
morale tutto ciò che è pienamente conforme alla struttura
dell’uomo totale. Da ciò deriva che la colpa morale prima di
essere considerata offesa ad una legge o ad un comandamento, è
offesa rivolta alla dignità della persona umana e quindi la
qualifica dell’agire umano si ricava dal carattere di “umanità
dell’agire stesso”. Insomma, “il valore morale unisce gli uomini
in una comune convivenza” (Spirito, p. 97).
Rifarsi alla personalità umana, al carattere dell’umanità
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dell’agire è senz’altro positivo per impostare in partenza un
discorso morale all’uomo d’oggi e in particolare ai giovani molto
sensibili alle vosi che parlano in nome dell’uomo, cioè
dell’antropologia piuttosto che della metafisica. Tutto questo
porta come conseguenza, a rompere la barriera che divide la
scienza dalla morale e a riconoscere insostenibile la tesi della
neutralità morale della scienza, che si rivela chiaramente come
un pretesto di disimpegno morale o addirittura come
giustificazione di malafede. Se la scienza, è una prerogativa
dell’uomo, fatta cioè dall’uomo e per l’uomo deve
necessariamente misurarsi con la dimensione morale dell’uomo
stesso, perché è proprio nel compito morale che si pone il valore
del vivere e dell’agire umano, qualunque sia la condizione
esistenziale nella quale l’uomo è chiamato ad operare.
In questo senso, già Kant si preoccupava di ricordare che
universalità del dovere non è sinonimo di uniformità, in quanto
la legge morale è per l’uomo, e pertanto nella sua applicazione
non può sottrarsi alle condizioni dell’esistenza umana. Peraltro,
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lo stesso rigorismo kantiano va opportunamente ridimensionato,
nel senso che per Kant non è importante che il “patologico”
accompagni l’agire morale, ma soltanto che non ne sia il
movente. Ciò è confermato dal fatto che Kant esclude la felicità
solo se considerata come sentimento anteriore posto a base del
volere (Kant, 1989, p. 144), a contatto con le esigenze proprie
della pratica educativa appaiono chiaramente attenuati (Kant,
1966).
Ma è stato merito di Pestalozzi di aver chiaramente
affermato in campo pedagogico che l’imperativo etico è radicato
nell’esperienza concreta della vita e cioè che il recupero etico
della personalità avviene all’interno della sua condizione umana
reale. Ciò vuol dire che la educazione deve tener conto delle
condizioni della natura dell’uomo, la quale per altro, rivela una
spontanea “benevolenza”, o istintiva inclinazione al bene (Litt -
Spranger, p. 89).
Questo è un discorso abbastanza complesso, ma che in certa
maniera può giustificare un intervento didattico a livello di
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educazione morale. E’ infatti la condizione dell’uomo di essere
spirito incarnato; quella che giustifica la libertà umana, e quindi
la stessa moralità. Di fronte al giudizio morale con cui l’uomo
afferma che una data azione è un caso di applicazione di un
valore, l’uomo stesso può scegliere lo spirito o la carne, il dovere
o il piacere. Ovviamente, alla coscienza spetta il controllo degli
istinti ai quali l’uomo è sottoposto, e in ciò consiste la moralità.
Ma di fronte ad ogni comportamento umano occorre sempre,
prima di qualificarlo sul piano morale, considerare le condizioni
anche bio-psichiche, in cui tale comportamento è stato attuato.
Perciò è molto importante, per definire le vere azioni buone
o cattive, tenere presenti anche le indicazioni delle scienze
biologiche e psicologiche, in modo da poter distinguere numerosi
comportamenti normali o patologici che non sono affatto vizi o
virtù. (Valeriani, 1960).
Pur essendo particolarmente delicato il problema della
formazione morale, soprattutto per la presenza della coscienza,
anche in questo settore è inevitabile il rapporto autorità-libertà.
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La motivazione dell’intervento: rilevata la complessità della
formazione morale per le implicanze delle disposizioni più
intime e proprie del soggetto, da una parte, e dalle esigenze dei
valori, dall’altra, ci si chiede come l’educando, immaturo possa
giungere ad operare una sintesi fra le due (disposizioni proprie ed
esigenze dei valori), ossia come egli possa acquisire la capacità
di una costante scelta preferenziale per il bene.
Si avverte, infatti, che fra il detentore dell’autorità e colui
che deve conquistare la libertà, l’autonomia, vi è di mezzo la
coscienza del soggetto che deve essere risvegliata e resa operante
nel suo ruolo di essere, dal punto di vista del soggetto, la
sorgente fondamentale del bene.
E’, perciò, la condizione di una maturità in cui si trova il
soggetto, che richiede l’intervento del più anziano, in qualità di
esperto, il quale sappia offrire al soggetto immaturo quegli
stimoli di cui la bisogno per procedere, mediante atti di vita
propri, verso la maturazione della propria personalità, anche nel
settore che coinvolge gli aspetti di moralità. Ma anche in questo
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caso sorgono numerosi problemi da prendere in considerazione.
Indubbiamente dipende dall’abilità, dal “saper fare”
dell’anziano (in genere, l’educatore) - saper commisurare le sue
prestazioni alle possibilità e capacità del minore (cioè
l’educando). Ma questo che cos’è se non riconoscere l’inevitabile
posta in gioco del rapporto fra un maggiore e un minore, cioè fra
chi è maturo e chi ha bisogno di maturare?
Ebbene, pur riconoscendo l’eticità dell’autorità nel fatto
educativo morale, non è giustificato ogni e qualsiasi suo
esercizio, ma quello soltanto che risponde alle esigenze
educative. Se ciò non fosse si cadrebbe nell’autorità autoritaria,
come la definirebbe il Laberthonnière.
Scrive il Laberthonnière: “C’è l’autorità che usa del potere e
dell’abilità di cui dispone, per subordinare gli altri ai suoi scopi
particolari, e cerca unicamente di impadronirsi di essi per
sfruttarli; ecco l’autorità che asservisce” (E’ l’autorità-
autoritaria). “C’è l’autorità che si serve del suo potere e
dell’abilità di cui disporre per subordinare in certo senso se
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stessa a quelli che le sono sottoposti, e legando la sua sorte alla
loro, persegue con essi un fine comune: ecco l’autorità
liberatrice” (Laberthonnière, p. 34).
Dire, dunque, autorità educativa equivale a dire ricorso
all’autorità in funzione di una libertà potenziale, protezione del
soggetto immaturo e guida verso traguardi di vita migliore.
Tutti periodi della vita del minore-educando e tutte le sue
modalità di percezione della realtà devono essere presi in seria
attenzione, anche perché proprio su queste è ciò che si fonda
quel personale modo di atteggiarsi nei riguardi della realtà
circostante, che orienta la coscienza del minore-educando.
“Pensare ad un neutralismo etico - scrive Luigi Secco - è lo
stesso che pensare a neutralismo educativo. Toccherà se mai
all’educando, una volta giunto alla vita adulta, avere tanta
maturità da sentirsi pienamente libero rispetto alle soluzioni che
gli servirono di orientamento nell’epoca della sua formazione. A
questo deve mirare la vera educazione della coscienza:
permettere la crescita di soggetti capaci di scegliere da soli, liberi
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di fare scelte diverse dal consueto, dall’abitudinario, le quali
testimoniano la libertà creatrice di ciascuno (Secco, p. 210).
Un’ultima osservazione riguarda il moralismo e la morale.
Il moralismo accentuato ha reso la morale sospetta in quanto si è
troppo spesso manifestato come uno strumento di dominio
assoluto sull’uomo. Infatti, molto spesso, nell’infanzia si ha la
sensazione che il “bene” che viene insegnato non sia altro che il
piacere o il desiderio arbitrari degli adulti, in particolare quando
l’adulto non mantiene lo stesso atteggiamento e passa da un
ammonimento all’altro, con evidente contraddizione.
Ne risulta, molto spesso, che il fanciullo anziché aderire ad
una morale che lo aiuti a vivere e a maturarsi, rimane preda di
sentimenti di colpa e di rimorso che aggravando i conflitti
interiori, si ripercuotono negativamente sulla sua condotta e sullo
sviluppo della sua personalità.
Certo, se noi estendiamo l’attenzione dell’educazione
morale ai problemi che toccano lo sviluppo psichico, affettivo e
sociale in rapporto all’acquisizione dei valori morali, la vera