2
1) nel biennio 1945-1946, per frenare l’espansionismo titino
3
;
2) sino al 1948, per le estreme conseguenze della politica del containment,
che postulava il contenimento della minaccia esterna ( rappresentata dalla
Jugoslavia, in quanto satellite dell’Unione Sovietica) e di quella interna (
rappresentata dai partiti sovversivi, comunisti, filo-sovietici, presenti nella
zona A)
4
;
3) all’indomani della rottura fra Tito e Stalin, per inviare un esplicito
avvertimento all’Unione Sovietica – che sembrava, a quel tempo, pronta
ad aggredire militarmente Tito – riguardo all’intenzione statunitense di
sostenere il dittatore jugoslavo
5
.
A partire dagli anni ’50, si verifica un cambiamento nell’approccio statunitense
alla questione giuliana. Tale cambiamento portò gli Stati Uniti a rivedere
l’opportunità di continuare a mantenere le proprie truppe nella zona A e a
considerare la questione giuliana come un problema da risolvere il prima possibile
attraverso un negoziato italo-jugoslavo
6
.
Ma la vertenza giuliana, oltre ad essere fortemente collegata al quadro politico
internazionale, fu un problema locale, che influenzò i rapporti italo-jugoslavi e
condizionò profondamente l’attività diplomatica italiana. Pertanto non si è potuto
prescindere dalla consultazione dei Documenti Diplomatici Italiani relativi agli
anni compresi fra il 1943 ed il 1946
7
. La consultazione di tali fonti documentarie
ha evidenziato che:
1) era indispensabile, per il Governo Italiano, che le truppe alleate
procedessero all’occupazione di tutta la Venezia Giulia, in quanto appariva
evidente che, se ciò non fosse avvenuto, l’appartenenza della regione
giuliana all’Italia sarebbe stata, senza dubbio, messa in pericolo in sede di
Conferenza di Pace;
2) i diplomatici italiani non poterono, in nessun modo, incidere sulle scelte
che vennero prese in sede di Conferenza di Pace, in riferimento alla
questione giuliana;
3) che l’Italia non fu, sino al dicembre del 1947, a conoscenza dei piani
strategici alleati verso il Territorio Libero;
3
Cfr i volumi relativi al 1946 (amministrazione Truman): vol. III, Paris Peace
Conference: Proceedings (1970) e vol. IV, Paris Peace Conference: Documents (1970).
e nel IV volume della serie relativa agli anni 1952-1954, Western European Security
(1983).
4
Cfr. il III volume della serie riferita al 1947, The British Commonwealth. Europe (1972).
oltre che il IV volume del 1949, Western Europe (1975).
5
Cfr. il II volume della serie relative al 1950, The United Nations. The Western
Hemisphere (1976).
6
Cfr. il IV volume della serie relativa agli anni 1952-1954, Western European Security
(1983).
7
D.D.I. , serie X, volumi II, III, IV, V, VI, VII.
3
4) che la Dichiarazione Tripartita del 20 Marzo 1948 fu il frutto di un
suggerimento italiano, poi attuato, attraverso la dichiarazione stessa, da
Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia;
5) infine, che la decisione di riprendere i rapporti diplomatici con la
Jugoslavia fu dettata dall’esigenza di intrattenere rapporti amichevoli con
quest’ultima, in quanto tale eventualità veniva vista fondamentale per
permettere una soluzione del problema giuliano.
Tali fonti documentarie sono state integrate con la lettura delle memorie e delle
biografie dei personaggi che ebbero un ruolo attivo nella vicenda; ciò è stato
determinante per comprendere appieno una questione complessa come quella
giuliana. In primo luogo, si è rivelata utile la lettura del primo volume dei diari di
Nenni
8
, che fu, all’epoca della Conferenza di Pace di Parigi, Ministro degli Esteri
Italiano. E’ apparso, così, evidente come il politico socialista non fu,
preventivamente, informato da Togliatti della propria volontà di proporre a Tito
uno scambio fra Trieste e Gorizia, nonostante l’alleanza politica allora esistente
fra i due leader italiani. Nenni considerò inammissibile uno scambio fra le due
città ma ritenne positivo il riconoscimento jugoslavo dell’italianità di Trieste.
Inoltre, il Ministro degli Esteri italiano decise di approfittare del canale
diplomatico, aperto dall’iniziativa di Togliatti, per avviare un confronto italo-
jugoslavo in merito alla questione territoriale. Tale confronto, che si tenne a New
York sul finire del 1946, fallì miseramente provocando il rammarico del leader
socialista. Fondamentale è stata anche la testimonianza di Sforza, successore di
Nenni a Palazzo Chigi. La lettura di tale testimonianza
9
ha consentito di
comprendere appieno quali furono le linee guida della politica estera italiana
verso la Jugoslavia fra il 1947 ed il 1951. L’azione di Sforza fu improntata al
conseguimento di una distensione nei rapporti italo-jugoslavi, attraverso la
conclusione, con la Jugoslavia, di numerosi accordi economici e commerciali. La
pacifica collaborazione fra Italia e Jugoslavia fu, per l’allora Ministro degli Esteri
Italiano, un obiettivo primario, in virtù del quale il Governo di Roma si astenne
dall’inviare, al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, delle note di protesta contro
quell’atteggiamento di aperta discriminazione della minoranza italiana, che veniva
perpetrato dal Governo di Belgrado sia in Istria che nella zona B del Territorio
Libero. La collaborazione, in campo economico, fra Italia e Jugoslavia, avrebbe
potuto trasformarsi in una proficua collaborazione politica; da quest’ultima
sarebbe potuta anche discendere una soluzione della vertenza territoriale in atto
fra i due stati confinanti. Inoltre, la sottoscrizione di accordi economici con lo
stato balcanico, in un momento in cui questo era in una situazione internazionale
critica, a causa della rottura con Mosca, si sarebbe rivelata un valido mezzo di
pressione sul regime di Belgrado. Tutto ciò avrebbe potuto permettere una
possibile soluzione del problema del TLT, nel senso di un suo ritorno alla
sovranità italiana. Il ritorno all’Italia di tutto il TLT, rappresentò, per l’allora capo
della diplomazia italiana, la soluzione preferibile da conseguire per la questione
giuliana; egli ebbe un ruolo rilevante nella decisione franco-anglo-americana di
emettere la Dichiarazione Tripartita, la cui accettazione preventiva jugoslava egli
considerò fondamentale per una soluzione positiva della vertenza giuliana. Nei
8
P.NENNI, Diari, vol. I Tempo di guerra fredda, Edizioni Sugar, Milano 1981.
9
C. SFORZA, Cinque anni a Palazzo Chigi,: la politica estera italiana dal 1947 al 1951,
Atlante, Roma 1952.
4
primi anni cinquanta, la preventiva accettazione jugoslava della Dichiarazione del
20 marzo era, nella visione di Sforza, condizione necessaria per l’avvio di un
negoziato bilaterale italo-jugoslavo, che risolvesse la vertenza territoriale; ma la
Dichiarazione non doveva essere un diktat cui la Jugoslavia doveva piegarsi, bensì
il punto di partenza per un soluzione della vertenza territoriale sulla base del
principio etnico.
Le idee di Sforza, in merito alla questione giuliana, erano ampliamente condivise
da Alcide De Gasperi; ciò è risultato evidente dalla lettura della sua biografia
scritta da Canali
10
. Il Primo Ministro italiano fu, per così dire, rigido riguardo alla
questione del TLT, nel senso che non potè mai considerare accettabile nessuna
ipotesi di spartizione fra Italia e Jugoslavia del Territorio Libero, in quanto tale
eventualità veniva considerata come eccessivamente peggiorativa rispetto alla
Dichiarazione Tripartita. L’atteggiamento di De Gasperi venne descritta dallo
stesso Tarchiani, Ambasciatore italiano a Washington per dieci anni. Il
diplomatico italiano criticò tale posizione, in particolare, in riferimento alla
proposta Dulles del 1953, in quanto la ritenne per così dire, poco lungimirante;
per Tarchiani, in quell’occasione, l’uomo politico trentino non si rese conto del
crescente peso internazionale, che, venendo acquisito dalla Jugoslavia titina,
rendeva più forte la posizione politica dello stato balcanico. Pertanto, secondo
l’ambasciatore, la proposta Dulles doveva essere accettata senza condizioni dal
governo italiano, in quanto rappresentava il, per così dire, massimo che, data la
situazione internazionale, si potesse ottenere. Quest’ultima opinione era
condivisa, come traspare dal libro di Tarchiani, da membri autorevoli della
diplomazia italiana; ma di fatto non venne accettata dal Presidente De Gasperi,
che rimaneva strettamente legato all’imperativo di ottenere, per la questione
giuliana, una soluzione più soddisfacente.
Pertanto, l’analisi di tali testimonianze si è rivelata fondamentale, soprattutto per
comprendere come vi fosse una sorta di sfasatura fra mondo politico e mondo
diplomatico in merito alla vertenza considerata. Gli esponenti del Governo
italiano furono, di fronte alle decisioni da prendere in merito alla questione
giuliana, fortemente condizionati dalle ripercussioni che tali decisioni avrebbero
avuto sulla situazione politica interna; inoltre non compresero appieno che, il
crescente peso diplomatico di Tito, rafforzava la posizione jugoslava a discapito
di quella italiana. I diplomatici, invece, ebbero una visione più completa dei fatti;
in virtù di tale visione si resero conto, alla vigilia della discussioni di Parigi del
1951 e del Memorandum di Londra del 1954, di come fosse impossibile sia
l’attuazione della Dichiarazione Tripartita sia una spartizione del TLT sulla base
del principio etnico.
Ovviamente, per comprendere appieno le fonti documentarie dirette e le
testimonianze dei protagonisti, è stato necessario inserirle nel contesto
internazionale dell’epoca; in particolare, si è rivelata fondamentale una
conoscenza articolata del quadro bellico, oltre che delle dinamiche della guerra
fredda. Particolarmente completi, a riguardo, sono i lavori di E. Di Nolfo
11
e di
10
ADSTANS (PAOLO CANALI), Alcide De Gasperi nella politica estera italiana (1944-
1953), Mondadori, Verona 1953.
11
Ci riferiamo, in particolare, a due opere fondamentali per lo studio delle relazioni
internazionali: E. DI NOLFO., Dagli imperi militari agli imperi tecnologici, Laterza, 2002
;E. DI NOLFO, Storia delle relazioni internazionali 1918 - 1992, Laterza, 1994
5
Henry Kissinger
12
; l’opera di quest’ultimo, in particolare, più discorsiva dei testi
di Di Nolfo, è stata utile per avere un quadro generale della politica estera
americana nel XX secolo. Per avere un quadro completo delle linee guida
dell’azione diplomatica italiana nel Secondo Dopoguerra , esauriente si è rivelato
il libro di Sergio Romano. Quest’ultimo mette in luce come, per l’Italia, la
revisione del Trattato di Pace, in particolare delle clausole territoriali, fu obiettivo
primario, attuabile soltanto attraverso una politica estera attiva
13
. Con
l’espressione “politica estera attiva” Sergio Romano intende quella politica che
portò l’Italia ad essere ben presente sulla scena internazionale, attraverso una
politica filo-occidentale e filo-americana. L’opera ha permesso anche di cogliere
come talune scelte italiane, in merito alla questione giuliana, furono notevolmente
influenzate dall’evolvere della Guerra Fredda e dalle pressioni ricevute dalle
Potenze Alleate. Secondo Sergio Romano, ciò avvenne, in particolar modo, per gli
Accordi di Osimo del 1975. L’autore compie anche delle osservazioni sottili in
merito alla politica italiana verso la Jugoslavia. Egli osserva come i tempi di tale
politica furono sempre sbagliati, a causa della sostanziale incomprensione della
realtà jugoslava
14
.
La lettura delle fonti documentarie dirette e la conoscenza della situazione
internazionale generale hanno permesso di comprendere meglio le ragioni di
talune scelte, compiute dai principali Stati coinvolti, in riferimento alla questione
giuliana. Ma è stata necessaria anche l’opportuna integrazione di tali fonti (
documenti diplomatici italiani e statunitensi, testimonianze dirette ed indirette di
chi intervenne nella vertenza ), con opere monografiche inerenti alla questione
giuliana. In primo luogo, la ricerca non ha potuto prescindere dall’opera di Diego
De Castro del 1981
15
, la cui consultazione si è rivelata necessaria per
comprendere appieno la questione giuliana, di cui analizza le innumerevoli
sfaccettature. Il contributo di questo libro è stato notevole per comprendere il
modo in cui agì, a Trieste, il Comitato di Liberazione ed i rapporti controversi che
questo ebbe sia con il Movimento di Resistenza Sloveno, sia con il Comitato di
Liberazione Nazionale Alta Italia. Il CLN triestino è apparso, durante la Seconda
Guerra Mondiale, in una situazione critica; ciò perché fu costretto a collaborare
con gli sloveni, nella comune lotta contro l’invasore tedesco, sebbene fosse a
conoscenza della volontà espansionistica degli jugoslavi. De Castro osserva come
tali progetti espansionistici fossero accolti dal CLNAI, che mise in una situazione
di disagio il CLN triestino, attraverso l’emissione di comunicati in cui si
auspicava la revisione di un confine, quello italo-jugoslavo, che appariva il
risultato dell’aggressività fascista
16
. L’opera omnia di De Castro è stata, inoltre,
fondamentale per avere un quadro complessivo dei rapporti italo-jugoslavi nel
12
HENRY KISSINGER, L’arte della diplomazia, Sperling & Kupfer editori SPA, Milano
2004
13
S. ROMANO, Guida alla Politica estera italiana, Rizzoli, Milano 1993.
14
Ivi, p. 168.
15
D. DE CASTRO, La questione di Trieste. L’azione politica e diplomatica italiana dal
1943 al 1954, Lint, Trieste 1981
16
Ibidem, pp. 185-186.
6
periodo compreso fra il 1949 ed il 1951, un lasso di tempo in cui si svolsero
numerose conversazioni fra diplomatici italiani e jugoslavi. Dall’analisi di De
Castro emerge come tali incontri furono una sorta di preparazione diplomatica ai
negoziati bilaterali che fallirono nel 1952. Inoltre, lo stesso autore osserva anche
come l’Italia ricevette, dalle potenze Occidentali, notevoli pressioni affinché
acconsentisse ad un confronto con la Jugoslavia in merito al problema territoriale;
le pressioni maggiori coincisero con il cambiamento della politica del GMA a
Trieste
17
.
La lettura dell’opera di De Castro è stata integrata da quella di opere più recenti. Il
nuovo interesse storiografico, per la questione adriatica nella sua interezza e per
quella di Trieste in modo particolare, ha reso possibile la produzione di numerosi
studi su quei problemi. Fra queste, è apparso molto interessante il lavoro di
Giampaolo Valdevit
18
, autore, che, rispetto a De Castro, analizza la vertenza
giuliana ponendo, principalmente, l’accento sull’azione politica e diplomatica
anglo-americana. Quest’ultima viene descritta come opportunistica, nel senso che
sia Stati Uniti, sia Gran Bretagna subordinarono la propria politica verso Trieste a
ragioni di ordine contingente. Tali ragioni coincisero, dapprima, con i dettami
della politica del containment e, successivamente, con la necessità di mantenere
Tito al potere. La salvaguardia dell’indipendenza di Tito dall’URSS fu un
obiettivo primario per i due stati anglosassoni; tanto che questi ultimi arrivarono a
subordinare le proprie azioni verso Trieste al, per così dire, gradimento di Tito.
Quest’ultimo concetto, rimarcato più volte dall’autore, è stato tenuto in debita
considerazione nella trattazione; in particolare nell’analisi delle ripercussioni che
l’avvicinamento, del dittatore croato, ebbe nella questione di Trieste.
Nell’analisi della questione giuliana è stata utile anche la consultazione del lavoro
di Raoul Pupo del 1987
19
. Questo libro, che contiene un pregevole riassunto del
panorama interpretativo
20
della questione di Trieste, si è rivelato molto utile
soprattutto per “districarsi” tra le numerose opere che si sono occupate della
questione di Trieste. In questo lavoro, inoltre, Raoul Pupo si occupa anche delle
implicazioni che ebbe, sullo sviluppo politico ed economico di Trieste, la
provvisorietà del confine giuliano sancita dal Memorandum di Londra del 1954.
Stando all’analisi di Pupo, ciò si tradusse, a Trieste, sia in un sostanziale ritardo
economico, sia in una fragilità politica locale
21
.
Importante, per comprendere le ripercussioni delle scelte belliche anglo-
statunitensi sulla nascita del TLT, è stato il lavoro di R. Rabel
22
, che pone il
problema giuliano in correlazione con la definizione degli schemi della guerra
17
Cfr. D. DE CASTRO, La questione di Trieste. L’azione politica e diplomatica italiana
dal 1943 al 1954, op. cit., vol. I, pp. 638-639, nota 71 e vol. II, pp. 12-15;
18
G. VALDEVIT, La questione di Trieste 1941-1954. Politica internazionale e contesto
locale, Franco Angeli, Milano 1986.
19
RAOUL PUPO, Guerra e Dopoguerra al confine orientale d’Italia (1938-1956),Del
Bianco, Udine 1987.
20
Ivi, pp. 139-190
21
Ivi, pp. 231-268.
22
R.RABEL, Between East and West. Trieste, the United States, and the Cold War, 1941-
1954, Duke University Press, Durham and London 1988.
7
fredda. In proposito, l’autrice sostiene che il progressivo irrigidimento americano
nei confronti della Jugoslavia - legato alla percezione dell’azione di Tito quale
«esempio di un emergente disegno di aggressione, diretto dai sovietici, da un capo
all’altro dell’Europa» - possa essere considerato come « parte di una nascente
consapevolezza della guerra fredda » presso i responsabili della politica estera
americana
23
.
In riferimento al periodo successivo al Memorandum di Londra del 1954,
fondamentale si è rivelata l’opera di Dario Dassovich
24
,. L’autore osserva come
tale Memorandum, che doveva essere, nelle intenzioni italiane, una soluzione
provvisoria, venne considerato, dagli jugoslavi, come una soluzione definitiva.
Stando all’opinione dell’autore, quel sostanziale equivoco veniva risolto soltanto
dagli Accordi di Osimo del 1975. Questi ultimi sancirono la definitiva rinuncia
italiana alla zona B.
La consultazione di tale opere è stata integrata dalla lettura di saggi sulla
questione di Trieste. Fra questi, estremamente interessanti si sono rivelati quelli
scritti da Raoul Pupo. La lettura di qui saggi si è rivelata importante per capire le
differenze esistenti fra la politica statunitense e quella britannica nei riguardi della
questione di Trieste, per come queste si delinearono a partire dai primi anni
cinquanta. Si è osservato, pertanto, che la Gran Bretagna premeva per una
soluzione della vertenza, onde arrivare ad un rapido disimpegno delle proprie
truppe, già nel 1950; invece gli Stati Uniti iniziarono a considerare come
accettabile il disimpegno del proprio contingente solo successivamente, ossia
quando sembrò definitivamente scongiurata l’ipotesi di una aggressione sovietica
alla Jugoslavia. Inoltre, Pupo pone, in altri saggi, in evidenza come alle radici del
Memorandum di Londra vi fu un precedente negoziato segreto jugo-anglo-
americano
25
. Tale negoziato fu fondamentale per la sottoscrizione, fra Stati Uniti,
Gran Bretagna, Italia e Jugoslavia, del Memorandum di Londra del 1954.
Per comprendere appieno la situazione politica triestina, si è, inoltre, rivelata utile
la lettura degli scritti politici di Manlio Cecovini. Particolarmente interessanti si
sono rivelati quelli attinenti agli Accordi di Osimo. Tra gli accordi siglati ad
Osimo fra Italia e Jugoslavia, l’autore giudica positivi quelli relativi all’istituzione
di una zona franca industriale a ridosso del confine italo-jugoslavo. In essi,
Cecovini
26
vede un sostegno allo sviluppo economico-industriale di Trieste,
sviluppo economico che si era reso precedentemente impossibile a causa
dell’isolamento geografico della città. La lettura degli scritti di Cecovini, pertanto,
è stata significativa per comprendere che il valore degli Accordi italo-jugoslavi
del 1975 risiede, oltre che nella parte politica, anche nella parte economica.
Quegli accordi ebbero, pertanto, notevole peso sia politico sia economico. Politico
perché chiusero, in maniera definitiva, una questione che si trascinava da più di
23
Cfr. R. Rabel, op. cit., pp. 53-73.
24
M. DASSOVICH, I molti problemi dell’Italia al confine orientale, Del Bianco, Udine
1990.
25
R. PUPO, Alle radici del Memorandum: il negoziato jugo-anglo-americano del primo
semestre 1954 nei documenti diplomatici britannici, in R. PUPO, Fra Italia e Jugoslavia.
Saggi sulla questione di Trieste (1945-1954), Del Bianco, Udine 1989.
26
M. CECOVINI, Dare e avere per Trieste. Scritti e discorsi politici (1946-1979), Del
Bianco, Udine 1991.
8
trenta anni. Economico perché riuscirono, almeno in parte, a risolvere il problema
dell’isolamento geografico di Trieste, cosa che aveva causato un notevole ritardo
economico della città.
9
CAPITOLO 1
PIANI DI REVISIONE DEL CONFINE ITALO-
JUGOSLAVO DURANTE LA SECONDA GUERRA
MONDIALE
Sommario.
1.1 Il confine italo-jugoslavo durante la seconda guerra mondiale.
1.2. I progetti anglosassoni di revisione della frontiera italo-
jugoslava durante la Seconda Guerra Mondiale e i piani di
occupazione alleata della Venezia Giulia (1941-1944). 1.3.
Caratteri dell’amministrazione alleata. 1.4 L’occupazione
jugoslava di Trieste e l’azione diplomatica italiana
all’indomani degli accordi di Belgrado e di Duino. 1.5.
L’infoibamento di migliaia di italiani.
1.1 Il confine italo-jugoslavo durante la seconda guerra mondiale.
rapporti italo-jugoslavi, durante la seconda guerra mondiale, furono collegati
agli avvenimenti contingenti determinati dalle vicende belliche. Quando
parliamo di avvenimenti contingenti, due furono fondamentali; ci riferiamo,
per quanto riguarda l’Italia, alla caduta del regime fascista – avvenuta nell’estate
del 1943 – e, per quanto riguarda la Jugoslavia, all’invasione tedesca e allo
smembramento del paese da tale invasione determinato, oltre, naturalmente, alle
numerose guerre intestine fratricide che sorsero nello stato balcanico durante la
Seconda Guerra Mondiale. Potremmo dire che l’invasione tedesca a danno della
Jugoslavia nel 1941 e la caduta del fascismo del 1943 siano due discriminanti
fondamentali per capire l’evoluzione dei rapporti italo-jugoslavi nel secondo
conflitto mondiale. A tal proposito va fatta una necessaria considerazione a
proposito di ciò che definiamo “rapporti italo-jugoslavi”. Parlare di rapporti italo-
jugoslavi in quegli anni, ed in particolare nel biennio ’41-’43, potrebbe essere
impreciso e fuorviante, in quanto, dopo l’operazione Castigo del 1941, in
Jugoslavia venne a delinearsi una situazione di anarchia, in cui ad un attore unico,
rappresentato dallo stato di Jugoslavia e dal governo di questa, si sostituirono tutta
un’altra serie di attori che operarono, con alterne vicende, nello stato balcanico.
Inoltre, con la caduta del fascismo e l’armistizio dell’8 settembre, anche la
situazione italiana divenne difficile, in quanto anche la penisola italiana, occupata
dalle truppe tedesche, sprofondò nell’anarchia. Detto questo, per quanto riguarda
la zona oggetto della trattazione, ossia il confine italo-jugoslavo, va fatta una
prima considerazione: dopo il 1941 e sino al 1943, l’interlocutore, per così dire
principale, dell’Italia fascista in merito all’assetto della frontiera orientale divenne
il nuovo Stato Croato di Ante Pavelić. Abbiamo parlato di interlocutore principale
e non unico in quanto anche un altro stato fu direttamente coinvolto, almeno fino
al 1943, nella determinazione dell’assetto della frontiera orientale italiana. Questo
Stato fu la Germania nazista. Inoltre abbiamo posto come discriminante la data
del 1943 per una ragione fondamentale: la caduta di Mussolini e l’armistizio di
I
10
Cassibile crearono, in Italia, una situazione politica interna completamente
differente, che ebbe notevoli ripercussioni sulla situazione giuliana nello
specifico. A partire dal 1943, pertanto, i rapporti concreti fra il “neonato” governo
italiano e quello che stava diventando il maggior rappresentante politico
jugoslavo, ossia Tito, divennero quasi del tutto inesistenti e per lo più “mediati”
dai partigiani italiani e sloveni. Pertanto, per quanto riguarda la situazione
giuliana quale questa si delineò a partire dal ’43, più che i rapporti “italo-
jugoslavi” sarà necessario osservare i rapporti fra il C.L.N.A.I. e il C.L.N.
triestino da un lato e l’ Osvobodilna Fronta (sigla OF) dall’altro. Ci sembra
opportuno esaminare tali avvenimenti, seppur in forma sintetica, proprio perché,
mentre essi si verificavano, vennero a delinearsi i primi piani per un nuovo
assetto del confine italo-jugoslavo.
L’operazione Castigo del 6 aprile 1941 fu un accadimento fondamentale per
l’assetto dell’Adriatico, nonché del confine italo-jugoslavo. La Jugoslavia venne
smembrata ed occupata da truppe straniere. I tedeschi si annessero una zona
comprendente i due terzi del territorio sloveno, inclusa la metà settentrionale della
Carniola e la maggior parte del territorio che, prima del 1918, aveva formato le
province austriache della Stiria e della Carinzia. Il distretto di Prekomurje fu dato
all’Ungheria, mentre la Macedonia Jugoslava venne annessa alla Bulgaria. Il
Montenegro venne dato in amministrazione all’Italia. Dalle ceneri della
Jugoslavia nacque, il 10 aprile 1941, a Zagabria, lo Stato indipendente di Croazia,
riconosciuto successivamente da un accordo italo-germanico del 21 aprile. Tale
stato, che doveva essere, nominalmente, affidato ad un duca di Spoleto, venne, in
realtà, affidato all’amministrazione di Ante Pavelić, capo degli ustaśa e vicino a
Mussolini. L’accordo italo-germanico del 21 aprile non fissava i confini fra il
nuovo stato croato e l’Italia, ma demandava ad un accordo tra le due nazioni, parti
in causa, la sistemazione dei confini. Pertanto, dopo il 21 aprile, ci furono una
serie di incontri fra i rappresentanti dei due Stati per ridisegnare l’assetto della
frontiera orientale italiana. Gli incontri avvennero il 25 aprile a Lubiana ed il 7
maggio a Monfalcone. Per determinare i confini fra i due stati, l’Italia preparò due
soluzioni: la prima comprendeva l’intera Dalmazia, da Fiume a Cattaro; la
seconda si limitava alla Dalmazia costiera, lasciando la parte Nord della regione
alla Croazia. La controproposta croata prevedeva la cessione all’Italia dei territori
dalmati compresi nel Patto di Londra del 1915. L’accordo finale, siglato a Roma il
18 maggio 1941, prevedeva la cessione all’Italia di Lubiana, della costa dalmata
fra Selenico e Spalato, oltre alle isole di Solta, Lissa, Curzola, Lagosta e Melena
27
.
Il decreto n. 452 istituì il Governatorato della Dalmazia con capitale Zara. Il
governatorato comprendeva tre province: Zara, Spalato e Cattaro. Il nuovo regno
croato comprendeva la Croazia, la Slovenia, la Bosnia Erzegovina, parte della
Dalmazia, le isole di Pago, Lesina e Brazza.
Pertanto, l’accordo di Roma del 18 maggio 1941 ridisegnava un nuovo assetto
della frontiera orientale italiana; ma il nuovo assetto determinatosi lasciava
insoddisfatti entrambi gli stati e dava, all’Italia, il problema di come controllare
una ingente popolazione slovena. Il nuovo assetto della frontiera adriatica
diventava, così, un motivo di attrito considerevole fra Italia e Croazia. Pertanto,
27
MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI. Trattati fra il Regno d’Italia e gli altri Stati,
Tipografia min. A. Esteri, Roma, Vol. 57, in AA. VV., Il confine mobile AA. VV., Il
confine mobile. Atlante storico dell’Alto Adriatico, Edizione della Laguna, Monfalcone
1996, pag. 41.
11
assai labile si sarebbe dimostrata la fedeltà di Ante Pavelić al duce. Formalmente,
Ante Pavelić era a capo della corrente filo-italiana, che era contrapposta a quella
filo-tedesca guidata da Slavo Kvaternik. Ma quest’ultima continuò ad operare
anche dopo che prese il potere il capo della coalizione filo-italiana. Lo stesso
Poglavnik
28
(duce) di Croazia prese ad avvicinarsi alla Germania nazista,
avanzando notevoli rivendicazioni territoriali; fra queste quella, inammissibile per
Mussolini, del Sangiaccato di Novi Bazar. Hitler aveva riconosciuto formalmente
il diritto italiano sulla Croazia e sulla costa dalmata, ma, di fatto, minava questo
diritto. L’influenza economica tedesca su quelle zone, che erano state riconosciute
come poste sotto l’influenza italiana, era ingente; i tedeschi avevano il controllo
economico di tutta la Slovenia
29
e, attraverso la Croazia, miravano a controllare
l’adriatico. Di fatto, come osservava Ciano già il 19 novembre 1941: «Ormai non
esiste più un problema italo-croato, esiste un problema italo-germanico nei
confronti della Croazia
30
.». Il dominio italiano nella Venezia Giulia e nella
Slovenia appariva labile. Notevoli problemi sorsero in merito al controllo degli
sloveni, cittadini italiani della nuova provincia di Lubiana e quelli delle province
di Spalato e di Cattaro, ai quali si aggiungevano nuclei di croati, anch’essi nuovi
cittadini italiani, delle province di Fiume e Zara, il cui territorio era stato ampliato.
Il regime fascista decise di attuare una politica, per così dire, morbida, verso la
nuova minoranza slovena, per due motivi: in primo luogo per poter controllarla
facilmente; in secondo luogo per mettere in luce le differenze fra la liberalità
italiana e la spietatezza germanica
31
. Mussolini decise, per questo, di fornire
amplia autonomia alle due minoranze; vennero, così, accordate scuole croate e
slovene e permessa la formazione di associazioni culturali croate e slovene. Però,
mentre agli slavi che erano, da poco, soggetti al controllo italiano, veniva dato un
amplio margine di autonomia, invece agli slavi della Venezia Giulia, appartenenti
ai territori annessi dopo la Prima Guerra Mondiale, non venivano riconosciuti
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Appellativo che si era dato Ante Pavelić una volta che ebbe raggiunto il potere in
Croazia.
29
Osserva De Castro : «All’Italia rimase la Slovenia a sud della Sava, con la capitale
Lubiana tagliata fuori dalle sue normali fonti di rifornimento, sia alimentare che di
elettricità; vi furono immediatamente insediate banche ed altre istituzioni economiche
tedesche. La ferrovia che, da Jesenice, arriva a Lubiana, passava prima in territorio
italiano, poi in territorio tedesco, ed occorrevano speciali accordi di passaggio con i
germanici, in questo ed in altri punti; ulteriori intese erano necessarie per l’uso
dell’energia elettrica. I tedeschi avevano, quindi, il completo controllo economico della
Slovenia. Era passata all’Italia una parte della costa tra Fiume e la Kupa, compresa Sušak
e Bakar; una parte della costa dalmata dal Nord di Zara al Sud di Spalato, con l’aggiunta
di Cattaro. Passò alla Croazia la costa dalla baia di Bakar a Senj e tutta l’altra parte verso
Sud. La nuova geografia dalmata assomigliava un po’ a quella del Patto di Londra del
1915 ma l’occupazione, nel Nord, era molto più estesa.». Cfr. D. DE CASTRO, La
questione di Trieste. L’azione politica e diplomatica italiana dal 1943 al 1954, Lint,
Trieste 1981, vol., pp. 140-141, nota n. 252.
30
G. CIANO, Diario 1937-1938, Cappelli, Bologna 1948, vol. II, p. 95.
31
A proposito di Lubiana, Ciano la descrive come « […]una provincia italiana con larghe
autonomie amministrative, culturali e fiscali e di […]concetti molto liberali.». Inoltre,
secondo Ciano, tale comportamento «varrà ad attirarci simpatie nella Slovenia
tedeschizzata nella quale si registrano i più cupi soprusi.». G. CIANO, Diario 1937-1938,
op. cit., vol. II, pp. 22-23.
12
questi diritti. Ciò generò un clima di malcontento nei, per così dire, vecchi slavi,
che avevano subito la politica fascista di massiccia snazionalizzazione ed
imposizione della lingua italiana
32
. Pertanto gli slavi della Venezia Giulia
cominciarono a protestare per ottenere scuole e amministrazioni proprie, facendo
riemergere quell’antico irredentismo che mai era stato completamente placato dal
regime. A ciò va aggiunto che l’amplio margine di autonomia, concesso dai
fascisti agli sloveni da poco divenuti cittadini italiani, irritò i tedeschi, i quali
videro, nel comportamento italiano, una mossa attuata per screditarli nelle zone da
loro occupate e per creare irredentismo nelle stesse; perciò i nazisti chiesero al
governo di Roma di scambiare 70.000 sloveni, presenti nelle zone occupate dalla
Germania, con i 18000 tedeschi della sacca di Čabar. Questa mossa preoccupò
fortemente Mussolini, che temeva che i tedeschi tentassero di annettersi Tarvisio
per controllare tutte le linee ferroviarie portanti dall’Italia al Nord
33
. I timori di
Mussolini erano determinati dal fatto che più volte Hitler, già prima dello scoppio
della Seconda Guerra Mondiale, aveva reclamato le province originariamente
tedesche del Trentino e di Trieste, ed aveva fomentato manifestazioni
irredentistiche nei cittadini italiani di lingua tedesca di Tarvisio e di Udine
34
. I
32
Sul problema del trattamento della minoranza slovena, da poco passata sotto il
controllo italiano vedi D. DE CASTRO, La questione di Trieste. L’azione politica e
diplomatica italiana dal 1943 al 1954, Lint, Trieste 1981, vol., pp. 140-141. Osserva lo
storico: « L’Italia si rese conto di aver annesso – si potrebbe dire come preda bellica – un
nucleo molto notevole di persone alloglotte abitante compattamente territorî al di là di
ogni confine nazionale, linguistico, storico (se tralasciamo Roma e Venezia) e strategico.
Si comprese che conveniva, da un lato, ingraziarsi queste masse compatte, per poterle
controllare senza l’uso di eccessive misure di forza, dall’altro per far vedere quale fosse la
differenza fra la spietatezza germanica e la liberalità italiana, nell’amministrare i territori
occupati ed annessi». Lo stesso De Castro osserva, inoltre, come Pacor dica esattamente
l’opposto; ciò deriva, secondo lo storico, dal fatto che Pacor avrebbe preso in
considerazione la sola Dalmazia, tralasciando la zona di Fiume e la Slovenia. Secondo De
Castro, pertanto, l’opera repressiva e di snazionalizzazione sarebbe stata attuata solo in
Dalmazia, ossia nei riguardi della “vecchia” minoranza slovena, ma non nei territori
annessi all’Italia nel 1941, territori in cui il regime fascista attuò una politica liberale e
rispettosa delle minoranze. Cfr. Ibidem e M. PACOR, Italia e Balcani dal Risorgimento
alla Resistenza, Feltrinelli, Milano 1968, pp. 201-202.
33
Questo timore era stato espresso anche da Ciano. Cfr. G. Ciano, op. cit., vol. I, p. 365.
34
La questione è analizzata analiticamente da De Castro nel suo libro del 1981. L’autore
osserva come già quando « […]era stato firmato il Patto d’Acciaio fra l’Italia e la
Germania, una dichiarazione semiufficiale germanica parlava della restituzione delle
province originariamente tedesche del Trentino e di Trieste, ed era accompagnata dal
crescere di manifestazioni irredentistiche dei cittadini italiani di quella lingua residenti, in
provincia di Udine, nella zona di Tarvisio, manifestazioni cominciate subito dopo
l’Anschluss. […] Tutto ciò era avvenuto prima che Mussolini entrasse in guerra a fianco
della Germania. Egli non ignorava, quindi, quando vi entrò, quale sarebbe stato il destino
di Trieste. E, dei desideri di espansione germanica ai danni dell’Italia, ebbe altre
conferme durante la guerra. In data 18-19 novembre 1940, Ciano racconta nel suo diario
come Hitler gli avesse detto d’essere sollecitato da Horthy a porre sul tappeto la questione
di Trieste, ciò che avrebbe permesso al Reggente ungherese di porre, a sua volta, quella di
Fiume. Nel 1941 corrono voci su una prossima annessione di Tarvisio da parte della
Germania. ». Cfr. D. DE CASTRO, La questione di Trieste. L’azione politica e diplomatica
italiana dal 1943 al 195, op. cit., vol I, pp. 174-175.