Capitolo 1 – La libertà dell’alto mare –
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Alle sue origini il principio della libertà del mare fu
diretto principalmente contro un suo uso esclusivo da parte di
determinate potenze che pretendevano di stabilirvi la loro
sovranità, e ciò spiega il perché per lungo tempo la nozione di
libertà ha comportato solo elementi negativi con un contenuto
essenzialmente composto da divieti: divieto di far pagare diritti
di passaggio o di pedaggio, divieto di esercizio della
giurisdizione, divieto di condurre inchieste a bordo di navi
straniere ecc. Tale principio, tuttavia, non poteva non evolversi
col tempo positivamente tanto che oggi possiamo dire che
l’alto mare è aperto a tutti gli Stati e nessuno può pretendere
di assoggettare alcuna parte di esso alla propria sovranità.
Questa idea è frutto di una sofferta evoluzione storico -
giuridica che nei secoli ha portato a forti scontri tra sostenitori
di opposte teorie.
Fu principalmente nei mari del nord che si sviluppò la
consuetudine delle interferenze nella navigazione; basti
pensare che nel 1201 l’Inghilterra si arrogava il diritto di
Capitolo 1 – La libertà dell’alto mare –
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controllo sulle navi mercantili in transito e che una legge
norvegese del XIII sec. vietava alle navi da guerra straniere di
navigare a nord di Bergen senza autorizzazione reale. Con
l’avvento poi delle grandi scoperte geografiche vi fu
un’esasperazione di tali pretese con l’intento di tutelare
principalmente le nuove rotte commerciali.
Nel 1493 Spagna e Portogallo si rivolsero addirittura a
Papa Alessandro VI il quale, nella Bolla “Inter Coetera”, ripartì
tutte le terre del Nuovo Mondo, scoperte o da scoprire, tra i
Regni di Spagna e Portogallo e precluse di conseguenza agli
altri Stati la possibilità di esercitare il commercio in queste
zone senza l’autorizzazione dei Sovrani cui esse spettavano.
Tale ingerenza sollevò non poche proteste da parte sia della
dottrina che degli altri Stati i quali, rifacendosi al principio
della libertà di comunicazione tra gli Stati, negavano al Papa il
diritto di ripartire tra i due paesi degli spazi sui quali egli
stesso non aveva diritto né di proprietà né di sovranità.
3
Il
3
Cfr. U. Leanza, Il nuovo diritto del mare e la sua applicazione nel Mediterraneo, Torino,
1993, pag. 57 ss..
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4
maggior sostenitore della libertà del mare fu Ugo Grozio il
quale nel 1609 con il suo (appunto) “Mare liberum” deduceva
la libertà del mare dall’impossibilità di occupare e delimitare
una cosa spazialmente sconfinata, come gli oceani: «commune
est omnium maris elementum, infinitum scilicet ita, ut
possideri non queat, & omnium usibus accomodatum».
4
Il fine
di Grozio era in realtà quello di difendere l’Olanda, ma
soprattutto la “Compagnia Olandese delle Indie Orientali”,
dalle pretese spagnole e portoghesi di controllo esclusivo della
navigazione verso le Indie orientali ed occidentali. La risposta
non si fece attendere e giunse dalla Gran Bretagna: Re
Giacomo I, con un proclama del 1609, stabilì che gli stranieri
dovessero munirsi di una licenza per poter pescare nelle acque
adiacenti alle coste inglesi
5
e, come sostegno giuridico di tali
pretese, John Selden nel 1635 intervenne con il suo “Mare
Clausum” dove tentò di dimostrare che anche il mare, come il
4
Cfr. U. Grozio citato in T. Scovazzi, Elementi di diritto internazionale del mare, Milano,
1994, pag. 15.
5
Cfr. B. Conforti, Il regime giuridico dei mari, Napoli, 1957, pag. 39.
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5
territorio, è suscettibile di appropriazione e che al Re di Gran
Bretagna spetta il dominio dei mari che circondano le sue
isole.
6
Anche qui la pretesa britannica aveva ben altro fine
ovvero quello di escludere la presenza degli olandesi dai mari
prossimi alla Gran Bretagna impedendone la redditizia pesca
dell’aringa in tali acque. Queste, ed altre, rivendicazioni inglesi
portarono di conseguenza ad una serie di guerre con le
Province Unite dei Paesi Bassi. È da notare che, in questo
periodo, la politica messa appunto dal Regno britannico
presentava le stesse caratteristiche di quella delle Repubbliche
di Venezia e Genova, rispettivamente nel Mar Adriatico e nel
Mar Ligure, fino a tutto il XVI secolo.
Nel 1702 un criterio teso a bilanciare i diversi interessi
alla libertà di navigazione e alla sicurezza delle acque adiacenti
al territorio fu proposto da Cornelis van Bynkershoek nel suo
“De dominio maris dissertatio”. Secondo il Bynkershoek, il
controllo del mare può essere esercitato solamente tramite le
6
Cfr. J. Selden citato in T. Scovazzi, op. cit., pag. 15.
Capitolo 1 – La libertà dell’alto mare –
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artiglierie poste sul territorio e pertanto non al di là di una
fascia di acque costiere: «generaliter dicendum esset,
potestatem terrae finiri, ubi finitur armorum vis».
7
Il
superamento degli inconvenienti pratici legati all’accertamento
della distanza effettivamente coperta dalla gittata dei cannoni
fu merito di Ferdinando Galiani il quale, nel 1782, propose il
limite generale delle 3 miglia «come distanza, che sicuramente
è la maggiore ove colla forza della polvere finora conosciuta si
possa spingere una palla, o una bomba».
8
Tale limite trovò
varie conferme nella pratica internazionale: gli Stati Uniti nel
1793 dichiararono che le istruzioni date ai propri agenti erano
valevoli entro le 3 miglia e anche la Gran Bretagna si rifece
allo stesso limite nel “Territorial Waters Jurisdiction Act” del
1878.
9
L’estensione delle 3 miglia del mare territoriale
comunque, seppur propria delle principali potenze marittime,
non venne mai universalmente accettata poiché altri Stati,
7
Cfr. Cornelis van Bynkershoek citato in T. Scovazzi, op. cit., pag. 16.
8
Cfr. F. Galiani citato in T. Scovazzi, op. cit., pag. 16.
9
Cfr. T. Scovazzi, op. cit. pag. 16 ss..
Capitolo 1 – La libertà dell’alto mare –
7
come Svezia, Norvegia, Portogallo e Spagna, rivendicavano
misure diverse sempre, naturalmente, più ampie.
Con il passare degli anni vi furono interventi di altri
importanti giuristi più o meno portatori anche loro di interessi
degli Stati di appartenenza, ma durante il XVIII secolo,
tuttavia, molte delle stravaganti rivendicazioni sulla sovranità
del mare furono abbandonate. Già dalla prima metà del sec.
XIX, infatti, il concetto di alto mare come area giuridicamente
distinta dalle acque nazionali e non suscettibile di
appropriazione da parte di alcuno Stato divenne
universalmente accettato. La sua definitiva consacrazione si
può trovare nel Patto della Società delle Nazioni e nel Trattato
di Versailles alla fine della prima guerra mondiale che
prevedevano la libertà di navigazione e di transito per tutti gli
Stati, compresi quelli privi di un litorale marittimo.
1.2. Il primo atto normativo comune di una certa importanza e
che vide l’adesione di dieci Stati, compresa l’Italia, può
Capitolo 1 – La libertà dell’alto mare –
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considerarsi la Convenzione di Costantinopoli del 29 ottobre
1888 nella quale si stabilì la «neutralizzazione» del Canale di
Suez come tratto di mare libero ed aperto, sia in tempo di
guerra che in tempo di pace, ad ogni nave mercantile o da
guerra senza distinzione di bandiera.
Nel cosiddetto periodo delle Conferenze Universali
rivestono una certa importanza, invece, le Conferenze
Internazionali tenutesi all’Aja nel 1899 e nel 1907 dove furono
fissate le regole del diritto bellico marittimo. La prima di tali
conferenze, promossa dallo Zar Nicola II, si preoccupò della
cd. “umanizzazione delle guerre terrestri” tramite
l’introduzione di soluzioni pacifiche delle controversie
internazionali e di intenti di disarmo degli Stati con
conseguente limitazione delle guerre stesse. La seconda e più
importante conferenza, che vide la partecipazione di ben 44
Stati, terminò con la firma di 13 Convenzioni, 4
Raccomandazioni e una Dichiarazione con cui si auspicava il
passaggio dall’arbitrato facoltativo a quello obbligatorio.
Capitolo 1 – La libertà dell’alto mare –
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Furono così introdotte molte regole procedurali e soprattutto
furono create una “Corte permanente d’arbitrato” e una “Corte
internazionale delle prede” che dovevano funzionare in tempo
di guerra ma che tuttavia non entrarono mai in funzione per
l’inerzia da parte dei governi nazionali.
Con la creazione, nel 1919, della “Società delle Nazioni”
si diede il via alla fase più produttiva in materia tanto che, già
a partire dal 1921, a Barcellona prima e a Ginevra poi furono
adottate tre importanti convenzioni: la “Convenzione e Statuto
sulla libertà di transito”, la “Convenzione e Statuto sul regime
delle vie d’acqua navigabili” e la “Convenzione sul regime
internazionale dei porti marittimi”. Fu comunque nel 1930
all’Aja che si tentò di giungere ad una vera e propria
codificazione del diritto del mare con la “1
a
Conferenza sulla
Codificazione Progressiva del Diritto Internazionale”.
Nonostante gli sforzi però non si riuscirono a superare i punti
di vista divergenti dei Governi rappresentati soprattutto in
merito all’ampiezza del mare territoriale al di là delle 3 miglia
Capitolo 1 – La libertà dell’alto mare –
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ed alla istituzione di una zona contigua con conseguente
riconoscimento, in essa, di alcuni poteri allo Stato costiero.
10
Il
documento finale di tale riunione si risolse in due
Raccomandazioni, una sulla protezione della pesca e l’altra
sulle acque territoriali, nella quale era inoltre contenuto uno
schema sulla condizione giuridica di questo spazio marino, ed
una Risoluzione in cui si raccomandava al Consiglio della
Società delle Nazioni di convocare, non appena fosse possibile,
una nuova riunione sulle questioni riguardanti il mare
territoriale. Su istanza della Seconda Commissione della
conferenza vennero inoltre comunicati ai Governi, con la
preghiera di fornire a loro volta contributi, informazioni e
chiarimenti, gli articoli annessi alla Risoluzione, in quanto essi
avrebbero potuto costituire ugualmente un materiale
importante per la continuazione degli studi in tale materia.
Il lavoro fu proseguito anni dopo, nell’ambito della
neonata “Organizzazione delle Nazioni Unite”, costituitasi nel
10
Cfr. G. Bertini, Diritto del mare e Poteri di Polizia, Napoli, 2000, pag. 8 ss..
Capitolo 1 – La libertà dell’alto mare –
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1946, dalla “Commissione del diritto internazionale”, organo
sussidiario dell’Assemblea dell’O.N.U. cui è affidato il compito
di studiare i vari settori del diritto internazionale. La
Commissione tenne diverse sessioni, delle quali occorre
segnalare la 7
a
e l’8
a
, con le quali furono collegate
sistematicamente tutte le norme relative all’alto mare, alla
piattaforma continentale ed alla conservazione delle risorse
biologiche e fu approvata, tra l’altro, la disciplina del passaggio
inoffensivo. I lavori terminarono con una Raccomandazione
rivolta all’Assemblea generale dell’O.N.U. per la convocazione
di una conferenza che tenesse conto di tutti gli aspetti del
problema sia giuridici, sia politici ed economici quanto tecnici e
biologici. Proprio in materia di transito inoffensivo bisogna
citare un’importante decisione del 1949 con la quale la “Corte
Internazionale di giustizia dell’Aja” nel caso della controversia
del Canale di Corfù (originata dal danneggiamento, da parte
albanese, di due Cacciatorpedinieri britannici) assimilò le navi
da guerra a quelle mercantili per ciò che concerne il diritto di
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accedere agli stretti e ai canali internazionali.
11
Nel 1951,
invece, con un’altra sentenza, relativa ad una controversia tra
la Norvegia e la stessa Gran Bretagna relativamente alle zone
di pesca, si giudicò legittima l'iniziativa assunta nel 1935 dalla
Norvegia per la determinazione delle proprie acque interne e
territoriali, e si posero così le premesse della dottrina delle
linee di base e delle baie storiche attualmente vigente.
Nel 1958, fu convocata la 1
a
Conferenza sul Diritto
Internazionale Marittimo che si svolse a Ginevra. Con tale
conferenza furono istituite cinque Commissioni che si
occuparono della definizione di vari concetti come quelli di
mare territoriale, di zona contigua, di alto mare, di piattaforma
continentale e di libertà di accesso al mare per gli Stati privi di
litorale marittimo. Il tutto si risolse in un vero e proprio lavoro
di codificazione in senso stretto poiché il risultato fu quello di
razionalizzare e raccogliere, in quattro distinte Convenzioni, la
realtà preesistente che si era consolidata nei cinque secoli
11
Cfr. “Corte Internazionale di giustizia dell’Aja” sentenze del 9 aprile 1949 e 18 dicembre
1951, richiamate in G. Bertini, op. cit. pag. 9 ss..
Capitolo 1 – La libertà dell’alto mare –
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precedenti. La ragione che indusse all’adozione di quattro
diversi accordi fu quella di favorire la più ampia partecipazione
degli Stati, consentendo ad essi di vincolarsi relativamente ad
alcune parti soltanto del regime convenzionale stabilito per gli
spazi marini. Alcuni problemi tuttavia rimasero insoluti poiché
ogni volta che si poneva una questione di limiti, soprattutto
relativamente all’estensione del mare territoriale e delle zone
contigue in materia di pesca, mancava l’accordo tra i vari
delegati. Ciò, secondo alcuni, era dovuto dall’adozione del
criterio spaziale considerato come il solo idoneo al
raggiungimento del fine cui tende qualsiasi codificazione: la
certezza dei rapporti giuridici. Le conseguenze, forse,
sarebbero state diverse se si fosse adottato il criterio
funzionale, il quale, ricollegando l’esercizio della potestà di
governo negli spazi marini a determinati interessi di natura
politica, economica e sociale, opera un rinvio a regole di
comune esperienza destinate a chiarire quali interessi siano
essenziali alla vita della comunità. Anche così, tuttavia, si
Capitolo 1 – La libertà dell’alto mare –
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sarebbero poste all’interprete delle difficili valutazioni sul
contenuto e sul rispetto delle accennate regole di esperienza
nel momento in cui si fosse dovuto giudicare sulla liceità di un
intervento coercitivo dello Stato costiero.
12
I risultati positivi
che scaturirono da questa conferenza furono comunque quelli
di riconoscere agli Stati privi di uno sbocco sul mare un diritto
di accesso al litorale più vicino, di fissare, una volta per tutte,
la libertà di navigazione sull’alto mare e di definire la zona
contigua marittima e la piattaforma continentale. Quest’ultima,
definita come «il letto del mare e il sottosuolo delle regioni
marine adiacenti alle coste, ma situate al di fuori del mare
territoriale, fino ad una profondità di 200 metri o, al di là di
tale limite, fino al punto in cui la profondità delle acque
sovrastanti permette lo sfruttamento delle risorse naturali
delle predette regioni»
13
, riuscì solo in parte ad accontentare
quegli Stati che volevano procedere allo sfruttamento delle
risorse economiche racchiuse negli spazi costieri. Proprio a
12
Cfr. U. Lenza, op. cit. pag. 9.
13
Vd. art. 1, Convenzione di Ginevra.
Capitolo 1 – La libertà dell’alto mare –
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causa di questa mancanza di accordo nel 1960 fu convocata,
sempre a Ginevra, una 2
a
Conferenza sul Diritto Internazionale
Marittimo con l’intento di risolvere i problemi precedentemente
menzionati. Anche questa, tuttavia, si risolse in un insuccesso
e, non a caso, il parziale fallimento sia della prima che della
seconda conferenza si ebbe in uno dei pochi settori nei quali
anche il diritto consuetudinario preesistente presentava non
poche incertezze. C’è da dire, comunque, che tali Convenzioni
costituiscono tuttora, nonostante le sopravvenute carenze, il
diritto convenzionale vigente tra molti Stati.
Con il secondo dopoguerra il diritto internazionale
marittimo si sviluppò secondo fattori sostanzialmente diversi
rispetto a quelli tradizionali che erano stati oggetto delle
precedenti codificazioni. Argomenti come lo sfruttamento delle
risorse biologiche e minerali dei fondali marini (cui si fa cenno
nella prima Convenzione di Ginevra), della ricerca scientifica,
della tutela del patrimonio ambientale e dell’inquinamento si
sostituirono a quelli concernenti la pesca e la semplice