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“Rivista trimestrale di diritto e procedura civile” si esprimevano positivamente
sulla necessità di tutelare alla stregua del “bene salute” ogni bene
costituzionalmente protetto, inizia ad affacciarsi sulla scena della responsabilità
civile la categoria del danno esistenziale. Nel triennio 1999-2001, a seguito di
una serie di sentenze , talvolta assai discusse, se non addirittura discutibili, il
danno esistenziale ha iniziato ad esser considerato molto più che un capriccio
dottrinario, determinando implicazioni concrete nell’ ambito del “formante”
dottrinale e imponendosi all’attenzione dell’intero panorama culturale giuridico
italiano.
2§ La ricerca di un modello alternativo.
L’esigenza di approdare ad una nuova concezione di tutela risarcitoria del danno
alla persona, sancita dalla sentenza n. 184/86 della Corte Costituzionale, ha
spinto le corti, sia di merito che di legittimità, a cercare in vario modo di
adeguare l’interpretazione delle disposizioni codicistiche, e non solo, alle
mutate esigenze latenti all’interno della società civile, determinate, talvolta, da
un’eccessiva “pigrizia” del legislatore
1
. Tuttavia nonostante i numerosi sforzi
della giurisprudenza, gli esiti di tale mutamento di prospettiva sono stati
tutt’altro che omogenei.
Uno dei primi tentativi volti a garantire una adeguata tutela degli interessi della
persona, ben oltre il limite rappresentato dall’interpretazione restrittiva
1
Vedi, G. Comandè, Il danno esistenziale e il “diritto pigro” in G. Ponzanelli, Critica del
danno esistenziale, 2003, Cedam
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dell’art.2059 c.c. in combinato disposto con l’art.185 c.p., proponeva
l’attrazione nella nozione di danno biologico d’ogni pregiudizio alla persona
diverso dal danno morale, o più strettamente patrimoniale, determinando un’
ipertrofia dell’intera categoria, al cui interno venivano a convivere tanto lesioni
di tipo biologico in senso stretto, quindi patologie mediche di natura psico-
fisica, quanto lesioni compromettenti la “qualità della vita” del danneggiato.
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Altro modello di particolare interesse proposto dalla giurisprudenza, prevedeva
l’ampliamento del concetto di patrimonio concepito, non tanto come complesso
d’utilità e vantaggi passibili di valutazione economica fondata su stime di
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Trib. Bergamo 16.11.1995 in DR, 1996, 249. “Ritiene il collegio che, nella specie, il danno
alla salute deve essere comprensivo del danno biologico in senso stretto, ossia alla vita di
relazione –determinato in minor possibilità di rapporti sociali, connessi alle eccezionali
attenzioni di cui necessita ordinariamente una persona priva degli arti inferiori e con una
notevole limitazione all’uso degli arti superiori e, correlativamente, dall’ulteriore forzata
selezione connaturata all’obbligatoria frequentazione d’individui non disturbati dall’“
handicap” e di luoghi funzionalmente adatti alla ricezione – ma anche al danno psico-fisico in
sé considerato, e derivante dal maggior sacrificio di accudire e crescere il minore con affetto e
partecipazione oltre che dallo “shock”emotivo consequenziale all’inaspettato esito della
nascita.
Né può essere trascurata l’ovvia rilevanza- sempre nell’onnicomprensiva nozione di danno alla
salute- del pregiudizio arrecato alla carriera professionale degli attori, i quali, per via del
minor tempo da dedicare al lavoro sono stati privati di gratificazioni che avrebbero
sicuramente sollevato la loro personale qualità della vita, nonché del danno alla loro sfera
sessuale, con l’evidentissima incidenza del rifiuto anche psicologico a nuove procreazioni.
Ma oltre ciò, il danno va necessariamente considerato anche alla luce del complesso di valori
che scaturiscono dai normali rapporti fra genitori e figlio, sul quale legittimamente si
proiettano le aspirazioni del padre e della madre circa una vita serena e il raggiungimento di
più alti livelli sociali: tali aspirazioni sono evidentemente destinate a rimanere, almeno in parte,
frustrate.”
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mercato, bensì secondo la coscienza sociale, a prescindere dall’intensa
sofferenza morale determinata da detta perdita, sofferenza che costituisce il
danno morale disciplinato dalla norma di cui all’art. 2059 c.c. Ad esempio la
mancanza della persona cara priva il superstite, in modo irreparabile di una
porzione della sua vita, insomma di un patrimonio importante, nel senso
giuridico pieno del sostantivo usato, patrimonio di cui egli godeva e di cui non
gode più.
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3§ La “costituzionalizzazione” dell’art. 2059 c.c.
Maggior interesse ha suscitato, tra i modelli interpretativi adottati dai giudici, il
tentativo di valorizzare il danno non patrimoniale (ex art 2059 c.c.) e
ricomprendere al suo interno disagi e altre sensazioni gravemente spiacevoli,
anche non necessariamente coincidenti con il perturbamento dello stato d’animo
e cioè con il danno morale subiettivo. Allo stesso tempo il danno non
patrimoniale dovrebbe essere svicolato dalla sussistenza di un illecito penale e
apprezzato per la sua capacità di rimedio deterrente e punitivo. I danni in
questione sono tratteggiati nei termini di perdita di tipo analogo a quella
indicata nell’art 1223 c., costituita dalla diminuzione o dalla privazione di un
valore (per quanto non patrimoniale) alla quale il risarcimento deve essere
commisurato, come osserva la Corte Costituzionale 27/10/1994 n.372, sia pure
in tema di danno biologico. Ciò, costituendo un più esatto inquadramento
3
Trib. Milano, 31.5.1999, DR, 2000, 67
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dogmatico degli schemi operativi del risarcimento del danno, ai sensi dell’art
2043 c.c., di valori assoluti della persona umana, in quanto tale, poiché non
viene risarcito il fatto di lesione in se (cioè l’evento) ma la riduzione (o la
perdita) di tale valore, che l’evento lesivo ha prodotto
A tal proposito appare interessante la recentissima sentenza della corte
costituzionale n 233 del 2003 in cui
…il mutamento legislativo e giurisprudenziale venutosi in tal modo a realizzare
ha fatto assumere all’art. 2059 c.c. una funzione non più sanzionatoria, ma
soltanto tipizzante dei singoli casi di risarcibilità del danno non patrimoniale.
Su tale base, pertanto, anche il riferimento al “reato” contenuto nell’art. 185
c.p., in coerenza con la diversa funzione assolta dalla norma impugnata, non
postula più, come si riteneva per il passato, la ricorrenza di una concreta
fattispecie di reato, ma solo di una fattispecie corrispondente nella sua
oggettività all’astratta previsione di una figura di reato…
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sancendo in questo modo il venir meno, in maniera indiscutibile, del reato quale
antecedente logico del risarcimento del danno non patrimoniale, aprendo la
strada ad una serie di nuove considerazioni, soprattutto per quanto riguarda il
dibattito circa la collocazione del danno esistenziale all’interno dell’ambito del
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Cost. 11.7.2003 n. 233
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danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., oppure del danno “ingiusto” così come
configurato ex art. 2043 c.c.
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4§ Genesi del danno esistenziale.
La nozione di danno esistenziale, affacciatasi in punta di piedi nel panorama
giuridico ed affermatasi gradualmente nell’ultimo decennio, sino ad ottenere i
primi riconoscimenti dalle corti di merito e di legittimità
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, sembra trarre origine
dalla crisi dei modelli tradizionali di risarcimento del danno alla persona.
Si può ben affermare che la categoria del danno esistenziale sorge in risposta ad
una sensibilità preesistente e latente nell’operato dei giudici,volta a recepire
quelle istanze risarcitorie che, pur ritenute dalla coscienza sociale,del
pari,meritevoli di tutela non erano facilmente inquadrabili nella rigida griglia
delineata dal c.d. sistema bipolare, poiché non apparivano in grado di
attraversare le maglie strette della risarcibilità del danno morale e , al contempo
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infra pag.
6
Le prime sentenze di merito sul danno esistenziale risalgono a metà degli anni novanta; si
ricordano: Trib. Torino,
8 agosto 1995, in Resp.civ.,1996, p.282, con nota di Ziviz; Trib.Verona, 26 febbraio 1996, in
Dir.inf.,1996,p.576;
Trib. Monza 15 marzo 1997,in Fam. e dir.,1997, p.462.; Trib. Milano 20 ottobre 1997, in
Danno e resp.,1999, p.82;
Trib. Milano ,31 maggio 1999, ibidem,2000 p.67, il riconoscimento della nuova figura da
parte della corte
di Cassazione si attua con la sentenza n.7713/2000, in Danno e resp., 2000,p.835 con nota di
Monateri e Ponzanelli
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non presentavano la matrice medico-legale intrinsecamente connessa alla
nozione di danno biologico in senso stretto
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E tale esigenza appare ancor più evidente esaminando il testo di una delle prima
sentenze di merito, secondo cui il giudice, si rende conto di come la tripartizione
classica del danno ingiusto risarcibile sia inadeguata e insufficiente a
rappresentare la complessità a le rilevanza dei legami e dei rapporti che si
esplicano nell’ambito del “consortium familiare”, che certamente non possono
essere inquadrati esclusivamente in un’ottica patrimonialistica, né in una
ricreata sub specie di danno alla vita di relazione che la giurisprudenza, sia di
merito sia di legittimità, avallata anche dalla Corte Costituzionale, ha
configurato non più come voce indipendente, ma come una componente interna
del danno biologico e che, comunque nell’ambito di una compromissione dei
rapporti familiari coinvolgenti aspetti esistenziali di diverso genere,attribuirebbe
rilevanza solo ai nocumenti riflettenti la sfera esterna dei rapporti sociali.
Ripercorrendo il ragionamento giuridico elaborato dalla Corte costituzionale
con la sentenza n 184/1986 e tenendo presente la centralità che i valori della
persona vantano all’interno della Carta costituzionale, rileva la necessità di
individuare, nell’ambito delle possibili attività attraverso le quali l’individuo
realizza la propria dimensione esistenziale,quelle esplicazioni che incontrano un
riconoscimento normativo diretto da parte dell’ordinamento e proprio a
quest’ultime, in quanto “ attività realizzatrici della persona umana” (per usare al
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G.Pedrazzi , “Lifting the veil”: Il disvelamento del danno esistenziale, in G.Ponzanelli, op.cit.