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Analizzeremo la trama e tutte le situazioni narrative, verificando la corrispondenza, o
meno, dei fatti con la realtà. La ricostruzione delle scelte del regista, relative a una
rappresentazione storica precisa e accurata, sarà utile per comprendere in che modo e attraverso
quali figure linguistiche i fatti siano caricati di un valore simbolico e di un senso che presenta
forti legami con il mondo contemporaneo. Questa lettura dovrebbe essere funzionale
all’individuazione di numerosi rapporti tra la storia passata e la storia contemporanea al film.
Infine, ci soffermeremo su alcune reazioni della critica all’uscita nelle sale del film,
insistendo particolarmente sull’idea che Paths of Glory al suo apparire sia stato classificato come
film antimilitarista che indaga la società e i rapporti di forza che in essa si sviluppano, in
particolare quelli di potere, e passeremo in rassegna i più importanti giudizi critici espressi oggi
sul film.
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Capitoli Primo
CINEMA E STORIA
I.1. IL RAPPORTO TRA CINEMA E STORIA
Il rapporto tra cinema e storia si instaura contemporaneamente alla nascita stessa del
cinema.
Il nostro discorso potrebbe partire dalle stesse domande che si posero storici e studiosi di
cinema pochi anni dopo la nascita del nuovo mezzo: cosa può fare il cinema per lo studio della
storia? Perché lo storico dovrebbe riservare un’attenzione particolare al cinema? In che modo il
cinema può essere utile per accrescere la nostra conoscenza della storia?
Il tentativo di rispondere a queste e ad altre domande ha generato un importante dibattito
sul rapporto tra cinema e storia, che occupa molti studiosi da diversi anni.
Gianfranco Gori indica quattro strade nello studio del rapporto cinema-storia: «cinema
come fonte per lo storico, cinema come scrittura storica, cinema come agente di storia, cinema
come mezzo per raccogliere e conservare testimonianze e documenti» (GORI, 1984: XIV).
Lo storico utilizza come fonte non solo i film basati su immagini di attualità, ma anche
quelli che ricostruiscono la storia. In questo ambito rientrano le pellicole che uniscono documenti
storici reali a documenti ricostruiti: ad esempio Salvatore Giuliano (Francesco Rosi, 1962) e, più
recentemente, JFK (id., Oliver Stone, 1991).
All’ambito del cinema come scrittura storica appartengono i film di fiction, che ci
fornisco informazioni più che sul loro referente storico – vale a dire l’epoca e i fatti messi in
scena – sulla società che li ha prodotti e sul giudizio che questa da di un certo periodo della sua
storia.
Il cinema può comportarsi anche come agente di storia. In questo caso si deve compiere
«un’analisi del lavoro implicito che il film compie, determinando reazioni psicologiche, modi di
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pensare, atteggiamenti, ecc.» (GORI, 1984: XV). Un’opera può influire sulla cultura di un
gruppo sociale.
Da ultimo, per quello che riguarda il cinema come mezzo per raccogliere e conservare
testimonianze e documenti abbiamo quella che è definita la videostoria, la raccolta di
testimonianze storiche in video, anziché nella consueta forma scritta.
«L’accostamento tra il nuovo medium [il cinema] – la cui nascita ufficiale è fissata nel
dicembre 1895 – e l’antichissima disciplina storica è pressoché immediato. Ed è enfatizzato da
molti: tra gli altri, dal grande Griffith, che, più o meno tre lustri dopo tesse l’elogio del film
storico» (GORI, 1994: 12): secondo il regista americano, un film insegna e si imprime nella
mente degli spettatori in maniera molto più rapida e forte di qualsiasi libro.
1
Il cinema come fonte è il primo approccio indicato da Gori e rappresenta il punto di vista
dominante fino alla fine degli anni Sessanta. In Italia, questa visione fu espressa, proprio in
quegli anni, da Antonio Mura che intraprese un’analisi in chiave positivista dei film e
dell’apporto che questi potevano dare agli studi storici. Nel suo saggio (MURA, 1963), lo
studioso si concentra sui film di carattere documentaristico, in particolare i cinegiornali, che
mostrano qualcosa che è avvenuto realmente. Secondo lo storico, i film sono in primo luogo
immagini e segni (immagini in movimento che acquistano un senso durante la proiezione) e in
secondo luogo documenti e fonti (mostrano eventi verificatisi e contemporaneamente ne danno
un giudizio). Per avere un valore storico, i film devono diventare documenti e questo avviene
solo se vengono messi in relazione con il mondo reale, analizzandone i contenuti. Una pellicola,
intesa esclusivamente come successione libera di inquadrature, non ha alcun valore per lo
studioso di storia, perché non è collegata in alcun modo con la società.
1
Griffith sosteneva che il film storico avrebbe soppiantato il libro, come mezzo di conoscenza. Le sue idee però
incontrarono ostilità da parte di storici, critici e teorici quali Ricciotto Canudo, anche se all’uscita nelle sale di The Birth
of a Nation (Nascita di una nazione, David Wark Griffith, 1915), la critica ne elogiò la veridicità e l’esattezza (GORI,
1994: 13).
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Negli stessi anni, Yvette Biro, che parla come artista di cinema e non come studiosa di
storia, si colloca in una dimensione nettamente diversa rispetto a Mura. La studiosa e autrice
cinematografica ungherese sostiene (BIRO, 1963) che il film storico attrae registi e pubblico per
la grandiosità della rappresentazione: scene di azione, suspense, costumi e scenografie. Secondo
Biro, questi aspetti, che all’inizio della storia del cinema rendevano il film interessante anche da
un punto di vista artistico, oggi (siamo nel 1963) lo allontanano dall’arte e da qualsiasi tipo di
messaggio. Il cinema mostra i grandi cambiamenti storici attraverso le reazioni della gente
comune e non solo dei grandi personaggi; si riaggancia alla tradizione del romanzo storico,
fondendo l’ambientazione d’epoca con le vicende di protagonisti inventati.
Gli studiosi della Nouvelle Histoire, che negli anni Settanta si fanno portavoce di un
nuovo approccio allo studio storico, rientrano nella seconda e nella terza strada individuate da
Gori: il cinema come scrittura storica e come agente di storia.
2
Fra questi studiosi si devono
ricordare: Marc Ferro, che può essere giudicato giustamente una sorta di precursore, e Pierre
Sorlin che, con i suoi studi del 1977 e del 1980, impone una nuova visione della materia.
3
È lo
stesso Gori a rilevare l’importanza dell’opera di questi autori, che aboliscono la distinzione tra
documentario e film narrativo:
i film sono una fonte per la storia del periodo in cui furono prodotti; una
fonte di tre tipi: «diretta» in quanto testimoni di «paesaggi», comportamenti,
fogge, ecc.; «indiretta» poiché riflesso, ancorché velato, delle mentalità e
dell’immaginario; «diretta» e «indiretta» insieme, in quanto strumento di
propaganda e di costruzione del consenso negli stati totalitari e nelle
democrazie liberali (GORI, 1994: 14).
2
Lucien Febvre e Marc Bloch, padri di questo nuovo filone di studi, sono i primi ad attribuire al cinema la stessa
importanza delle altre fonti.
3
Diverso è il caso italiano: nella nostra cultura storiografica c’è un considerevole ritardo riguardo allo studio dei film
come scrittura storica. Inoltre, la scuola italiana sottovaluta l’uso dell’audiovisivo in genere. Nonostante ciò, in Italia
l’importanza della storia nel cinema acquista un certo rilievo fin dagli anni Dieci e lo mantiene anche dopo la Seconda
Guerra Mondiale, quando Aristarco, a proposito di Senso (Luchino Visconti, 1954), parlerà della nascita del film
storico.
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Ferro sottolinea come cinema e storia si intersechino su diversi piani. Il cinema interviene
innanzitutto come agente di storia: nasce da ricerche e con finalità scientifiche.
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I film, secondo
lo studioso, intervengono nella storia prendendo spesso posizione su fatti storici contemporanei e
non. Il cinema si inserisce nella storia e al tempo stesso agisce su questa: risulta pertanto molto
complesso misurare l’influsso esercitato dal cinema sulla società. Lo storico non deve
semplicemente usare i film per i suoi scopi, perciò Ferro propone: «lettura storica del film,
lettura cinematografica della storia: queste sono infine le due linee da seguire per chi si interroga
sulla relazione tra cinema e storia» (FERRO, 1977: 18).
Pierre Sorlin, inserendosi nella stessa linea di Ferro, parte da una visione sociale della
cosiddetta settima arte. Sorlin conferisce al cinema e all’andare al cinema un’importanza quasi
sacra; egli infatti afferma: «andare al cinema è, inevitabilmente, compiere un rito sociale, e
integrarsi all’insieme di coloro che assistono a uno spettacolo particolare» (SORLIN, 1977: 9).
I film si rivolgono in generale a tutta la società, senza distinzioni di classe e di cultura,
ma l’insieme di segni e contenuti che propongono viene interpretato in modo diverso da ciascun
gruppo. Il cinema e la televisione partono dalla rappresentazione di ciò che, in una certa epoca, è
considerato interessante, ma arrivano anche a imporre stereotipi e modelli nuovi.
La prima reazione e il primo giudizio che esprime lo spettatore di cinema è di tipo
affettivo: «mi è piaciuto» oppure «non mi è piaciuto». Può svilupparsi solo in un secondo
momento, e non è detto che ciò avvenga, un interesse per una comprensione più approfondita del
film, attraverso visioni successive e sempre più attente. Lo storico, sostiene Sorlin, deve
comportarsi come lo spettatore curioso e appassionato: deve andare oltre l’impatto sentimentale
ed emotivo. E l’unico modo per superare questo impatto è guardare il film più e più volte, in
modo da raggiungere una distanza critica.
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4
Ferro naturalmente si riferisce alla nascita del cinema, avvenuta appunto a partire da ricerche scientifiche sullo studio
del movimento e sulla sua riproduzione visiva.
5
Distanza critica che, ammette lo stesso Sorlin, non si può mai raggiungere in maniera totale. La scelta stessa del film
da analizzare parte molto spesso da interessi personali del ricercatore.
9
Lo studio del cinema in ambito storico, indica Sorlin, comporta una serie di difficoltà.
Innanzitutto, un problema di ordine materiale: l’accessibilità alle fonti, cioè ai film.
6
In secondo
luogo, al fine di uno studio storico, Sorlin (1977) individua dei limiti relativi al carattere di
catalogazione e di disposizione per valore delle opere, tipici della storia del cinema. In
particolare lo studioso contesta la collocazione dei film a seconda del loro valore artistico ed
estetico.
L’opera cinematografica presenta una notevole differenza rispetto agli altri oggetti e
strumenti dello storico: è qualcosa che per avere senso deve essere in movimento. Il ricercatore
di storia, abituato a lavorare su documenti scritti o oggetti d’epoca, si trova inizialmente in
difficoltà, perché il film non può essere sezionato in inquadrature e in immagini senza perdere, in
parte, il suo senso complessivo. Pertanto, lo studioso dovrà tenere conto sia delle parti, le
inquadrature, sia del totale, il film. È solo attraverso una visione approfondita e reiterata che lo
storico può giungere a possedere appieno l’opera, in modo da essere in grado di collegare fra
loro le diverse parti e le diverse componenti, per far risaltare quei collegamenti, quelle
correlazioni che sfuggono a una prima visione e che hanno bisogno di essere esplicitati.
Secondo Sorlin, fermo restando questo approccio attento e approfondito lo studioso può
giudicare un film in due modi: come fonte di informazioni documentarie oppure può cercare di
comprendere le idee che hanno portato a un certo tipo di messa in scena e di combinazione fra le
varie immagini.
Per Sorlin risulta molto più interessante e più proficuo il secondo metodo. I suoi studi,
infatti, hanno come scopo «la visione della storia contemporanea prodotta dai film di finzione»
(SORLIN, 1980: XLI):
6
Sorlin scrive nel 1977, quando, ovviamente, non erano ancora presenti e diffusi videocassette e DVD; pertanto la
visione di film necessitava di un moviola in cineteca e della pellicola (a volte danneggiata oppure difficile da visionare
per diversi motivi).
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il film storico è una ricostruzione (come il libro di storia) che, in un certo
senso, ci obbliga a vedere cose che altrimenti ignoreremmo e che, in un altro
senso, ci impone uno sguardo particolare al passato (SORLIN, 1980: XLIII).
Nelle pellicole si riscontra una doppia dimensione storica: la storia ricostruita nel film e
la storia del film stesso e, quindi, della sua lavorazione – regista, attori, sceneggiatura, tecniche
di ripresa e di montaggio, ecc. Pertanto, il film non è solo una ricostruzione storica, ma anche un
documento dell’epoca in cui è stato girato e prodotto.
Le analisi di Sorlin considerano le opere cinematografiche come unità significanti, ma
l’interesse dello storico consiste soprattutto nello studiare i rapporti tra il film e il mondo sociale
e ideologico che li ha prodotti.
Il cinema è prevalentemente narrativo e quindi si inserisce all’interno di una tradizione
che implica il rispetto di certe regole:
il sistema narrativo fa riferimento a tre dati fondamentali: 1) esso combina in
proporzioni variabili dei microinsiemi che sono combattimenti o sfide, 2) si
iscrive all’interno di una temporalità indirizzata e si inquadra tra un inizio e
una fine, 3) mette in scena personaggi identificabili (SORLIN, 1977: 59).
Partendo dallo studio dei film storici, Sorlin vuole giungere a due tipi di conclusioni:
quale giudizio della storia emerge e in che misura questo giudizio ha influito e influisce non solo
sugli spettatori, ma anche sulla società in genere.
Una considerazione importante, fatta da Sorlin, è quella relativa al cinema come prodotto
di un’industria e, di conseguenza, dei rapporti fra cinema, finanziatori e denaro.
I film per esistere ed essere prodotti devono avere un riscontro economico, quindi indurre
il pubblico a pagare per vederli.
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Questa necessità di fondo, unita al fatto che alla realizzazione di una pellicola
collaborano molte personalità distinte, porta Sorlin a preferire una catalogazione delle opere che
escluda il concetto di “autore”.
7
A questo proposito, lo storico inserisce il concetto di «ambiente
cinema» (SORLIN, 1977: 98), definito come un «insieme sociale di produzione culturale»
(SORLIN, 1977: 103):
l’équipe che realizza un film, fa parte di almeno tre campi uniti l’uno
all’altro: l’ambiente del cinema, le persone interessate al cinema che
costituiscono il pubblico potenziale, l’intera società (Sorlin, 1997: 109).
L’importanza delle persone coinvolte come “insiemi” nella vita di un film (preparazione,
realizzazione, diffusione) è molto più forte di qualsiasi individualità singola.
Vediamo di chiarire questi tre campi individuati da Sorlin e di indicarne caratteristiche e
importanza.
L’ambiente del cinema è costituito da quelle persone che partecipano in maniera attiva
alla realizzazione di un film: dal regista agli attori, dagli sceneggiatori ai vari tecnici. Una
pellicola nasce dalla collaborazione di tutti gli individui coinvolti. Questa collaborazione è
soggetta ad una gerarchia (produttore, regista, ecc.) ed è influenzata anche dai rapporti personali
che si creano: in questo senso possono avere grande importanza l’esperienza e il carisma di
alcuni tecnici, attori, registi.
Le persone interessate al cinema sono, ovviamente, i critici cinematografici, il cui lavoro
– le recensioni su giornali e riviste, più o meno specializzate – può concorrere a determinare il
successo o l’insuccesso commerciale di un film. A questi esperti si avvicinano le persone comuni
che vanno al cinema: il pubblico. Lo spettatore di fronte all’opera cinematografica mostra
7
Anche se Sorlin non nega l’evidenza di caratteri autoriali in alcuni registi.
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un’attenzione che spesso è molto sviluppata: egli mantiene una concentrazione elevata per due
ore o più.
Anche la società nel suo insieme svolge un ruolo fondamentale e complesso. Da un lato
determina la scelta di soggetti e forme cinematografiche, dall’altro ne è influenzata.
Seguendo le idee di Sorlin, diversi studiosi italiani si sono interessati al rapporto cinema-
storia ed hanno approfondito e sviluppato alcune ipotesi dello storico francese.
Peppino Ortoleva (1984) sottolinea che lo studio del cinema e dei mezzi audiovisivi come
fonte e agente di storia è utile se si prendono in considerazione gli aspetti veramente innovativi
di questi strumenti. «Il film è sempre, e al tempo stesso, documento e rappresentazione»
(ORTOLEVA, 1984: 304). Questa duplicità è stata sottolineata prima dagli studiosi di cinema
che dagli storici. L’idea del cinema come fonte documentaristica è affrontata anche in Citizen
Kane (Quarto Potere, Orson Welles, 1941). La presenza del cinegiornale all’inizio della
pellicola sottolinea che il cinema, anche se mostra immagini del tutto vere, non aiuta in alcun
modo a scoprire il senso profondo della realtà. Anzi, Welles sembra affermare che la falsità e
l’inganno si nascondono proprio sotto la riproduzione del reale. Secondo Ortoleva, un film deve
essere analizzato come documento sociale sia nel suo aspetto produttivo, sia in quello ricettivo: il
rapporto con il pubblico. Possono essere produttivi due tipi di approccio psicologico al cinema:
cercare nel film il non detto, i lati oscuri di una società, oppure cercare i luoghi comuni, la
mentalità comune.
Anche per Gianni Rondolino (1983), l’opera cinematografica si rapporta con la cultura
storica del momento in cui è stata realizzata (seguendola, eludendola o anticipandola in alcuni
casi). L’interesse, per Rondolino, consiste nel ricercare i meccanismi linguistici che il film usa
per rappresentare la storia.
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Pasquale Iaccio (1998), rifacendosi all’idea del cinema come scrittura storica, individua
nel genere western il caso simbolo di una rappresentazione del passato funzionale alla
legittimazione del presente. Significativo è, per Iaccio, che la diffusione presso il grande
pubblico dell’epopea della conquista, del mito dell’ovest e della frontiera sia stata effettuata
soprattutto grazie al cinema.
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I.2. LA STORIA NEI FILM
Gli studi sul rapporto cinema-storia si occupano, soprattutto, dei film storici:
la nozione di film storico, vaga e largamente estensiva, serve a classificare
tutti i film che, in qualche modo, riguardano il passato. Proponiamo, molto
arbitrariamente, di circoscriverla ai film nei quali luoghi e situazioni sono
interamente ricostruiti e nei quali i ruoli sono interpretati da attori […],
parleremo di film di informazione storica o anche di film di storia (SORLIN
1976: 103).
L’idea di “passato” si determina in base al momento in cui è stato girato il film. Per
essere considerato storico un film deve, quindi, trattare di fatti che sono avvenuti prima della sua
realizzazione. Anche se può sembrare banale, questa riflessione è necessaria per sgombrare il
campo di indagine da film che, per le loro caratteristiche, si collocano in una dimensione
ambigua.
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In quanto ricostruiti, i film storici sono sempre film di finzione: le situazioni, i luoghi, i
personaggi, non sono mai quelli originali, ma sono riprodotti.
Sorlin approfondisce la definizione: «il film storico è una ricostruzione (come il libro di
storia) che, in un certo senso, ci obbliga a vedere cose che altrimenti ignoreremmo e che, in un
altro senso, ci impone uno sguardo particolare al passato» (1980: XLIII) e ancora «i film sono
una parte del testo generale che racconta la storia, una parte della storiografia dell’epoca in cui
sono prodotti» (1980: XLIII).
Al centro del film storico sta la storia stessa e non i personaggi: è la storia il vero soggetto
del film. Ortoleva (ORTOLEVA, 1984a) distingue film storico e film in costume. Della seconda
categoria fanno parte quelle produzioni nelle quali la storia è utilizzata come semplice sfondo per
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È il caso della trilogia del dopoguerra di Roberto Rossellini, in cui la rappresentazione è contemporanea agli
avvenimenti. Secondo Guido Fink (1974) questa contemporaneità non limita il valore di film storico, anzi, lo studioso
sottolinea come Rossellini la inserisca anche negli altri film storici da lui realizzati: Francesco, giullare di Dio (1950),
La prise du pouvoir par Louis XIV (La presa del potere da parte di Luigi XIV, 1966), Viva l’Italia! (1961).
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ambientarvi vicende che non hanno alcuna attinenza ed alcun legame con la realtà dell’epoca.
Alla prima categoria appartengono, invece, quei film che, pur raccontando vicende particolari,
pongono al centro della trattazione il periodo storico rappresentato. Spesso i film si riferiscono al
passato, attraverso allusioni a date o fatti realmente accaduti, senza per questo voler essere
sempre una rievocazione di quel passato. Il film storico si comporta come il romanzo storico
dell’Ottocento: fatti storici reali si intrecciano a fatti privati inventati.
La definizione di film storico è complessa e ambigua, in quanto questo particolare genere
viene determinato a partire da una materia esterna al cinema: la storia. La presenza della storia
nei film ha aperto riflessioni e dibattiti sulla sua importanza e sulla sua utilità sia per lo studio
storico sia per la società in generale.
Un film storico si inserisce in due filoni di studio: da una parte lo studio della società
contemporanea attraverso la riflessione sul passato, dall’altra lo studio della trasmissione e
diffusione delle conoscenze storiche. I film storici hanno anche il compito, in una certa misura,
di fornire informazioni sul passato ad un numero elevato di persone: lo spettatore medio riceve
dal cinema e dalla televisione moltissime notizie. La rievocazione storica operata dal cinema è
uno degli strumenti con cui la società affronta il proprio passato.
Il cinema svolge una funzione catartica: un film è un mezzo di distrazione e di
divertimento, che permette una trasposizione dei problemi della vita e della società, in modo che
vengano circoscritti e relegati in una dimensione marginale e più rassicurante per la mentalità
dello spettatore.
Karsten Fledelius (1970) fa una distinzione dei film in base alla struttura interna. Egli
individua tre categorie: film narrativi (con al centro una storia e uno sviluppo cronologico),
caratterizzati da uno sviluppo temporale diacronico; film tematici, caratterizzati dalla sincronia;
film d’informazione (cinegiornali e telegiornali), caratterizzati dalla compresenza di sincronia e
diacronia, acronia. Secondo Fledelius, lo storico deve prendere in considerazione anche i film di
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puro intrattenimento, in quanto contribuiscono in maniera rilevante alla formazione di una
coscienza nello spettatore.
Sigrifried Kracauer (1947), parlando del suo metodo di studio sul cinema tedesco degli
anni della Repubblica di Weimar, afferma:
ho motivo di credere che il metodo qui adottato, l’impiego del film come
strumento di ricerca, si possa applicare con successo allo studio del
comportamento di massa sia negli Stati Uniti sia altrove. Credo inoltre che
studi di questo genere possano essere d’utilità nell’ideare film – per non
parlare di altri mezzi di comunicazione – che servano efficacemente gli scopi
culturali delle Nazioni Unite (KRACAUER, 1947: 47).
Il cinema, secondo lo studioso tedesco, riflette la mentalità di una nazione in modo più
diretto di altri mezzi artistici per due motivi: non è mai il prodotto di un solo individuo e si
rivolge sempre alla massa.
Antonio Costa (1982) individua tre settori di indagine che possono accrescere la materia
dello studio della storia nei film: storia delle mentalità, storia dell’immaginario, cinema e
memoria. La memoria conservata dai film va spesso oltre le finalità e gli obiettivi che si era
posto il regista: rimangono nel prodotto finito una serie di informazioni che sono una fonte di
grande importanza per lo storico.
Un film storico si situa in un certo periodo, riconoscibile grazie a richiami (eventi, date,
personaggi) che fanno parte del patrimonio comune del gruppo culturale a cui si rivolge; invece,
se il periodo è poco conosciuto, è il film stesso che deve fornire le informazioni spaziali e
temporali necessarie per comprenderlo. I particolari di un film non sono recepiti da ogni gruppo
culturale allo stesso modo.
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È fondamentale, quindi, verificare il sottotesto culturale sottinteso
dal film e conoscere il pubblico a cui è indirizzato.
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Ad esempio, fuori d’Italia non tutti sanno che il Risorgimento è stato un periodo delicato per l’Unità nazionale e le
storie ambientate in quel particolare momento vengono spesso lette e interpretate come una rappresentazione della
decadenza della nobiltà, tralasciando i significati politici.
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L’uso di alcuni particolari all’interno di un film da un lato è utile per collocarlo
storicamente, dall’altro informa sulla visione storica del regista. I cineasti hanno generalmente
accesso a cinque tipi di fonti (SORLIN, 1980): la documentazione scritta (ad esempio i giornali);
i testi scritti dagli stessi personaggi (lettere, diari, ecc.); disegni o fotografie (nei film si trovano
spesso posizioni degli attori ed angolazioni della macchina da presa che ricordano fotografie o
quadri d’epoca); episodi ben conosciuti usati come testimonianza (aneddoti, racconti tramandati
oralmente); ritratti di personaggi celebri.
Queste fonti sono le stesse utilizzate dagli storici. È chiaro, quindi, che il punto di
partenza dei registi e degli studiosi sia lo stesso.
Più difficile è definire il fine dell’opera per il cineasta e per lo storico. Il secondo, se
scrive un libro monografico o un manuale, ha come obiettivo quello di divulgare una visione
della storia. L’autore di cinema
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compie un percorso analogo, ma più libero perché le sue
pretese sono artistiche e non scientifiche. Entrambi ci danno comunque un quadro che è parziale
e personale: è un punto di vista sulla storia o su parte di essa.
Dal momento che questo punto di vista si evolve e si modifica con il tempo e con i
cambiamenti storici, politici, sociali, culturali, è utile rintracciare i tratti del presente nella
rappresentazione del passato, nei suoi modi estetici, nei contenuti e nei giudizi dati a riguardo.
Ad esempio la produzione dei cosiddetti “telefoni bianchi”, di cui in passato si è sottovalutata
l’importanza, permette di ricostruire desideri, aspettative, gusti dell’italiano medio e piccolo
borghese degli anni Trenta. I regimi fascisti utilizzarono il cinema per conquistare consensi e
imporre la propria visione della realtà politica e della storia.
Pasquale Iaccio, affrontando il cinema fascista, osserva come le immagini ricostruite,
ricreate appositamente, rivelino molto di più di quelle autentiche, prese “dal vero”, in quanto
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Ci riferiamo qui a quei registi che, per le qualità delle loro opere e del loro lavoro, posso essere a buon diritto definiti
autori; escludiamo perciò, in questo caso, tutte quelle produzioni che hanno un mero interesse commerciale.