10
Per far fronte a questa evoluzione, la maggior parte delle azioni
militari coercitive ha dovuto essere condotta direttamente da forze delle
Nazioni Unite, od essere autorizzata dal Consiglio di Sicurezza sulla base
del Capitolo VII della Carta dell’Organizzazione, al fine di permettere la
realizzazione degli obiettivi previsti tramite specifiche operazioni di
mantenimento della pace. La creazione, in tempi molto ristretti, di una forza
di reazione rapida con i compiti di proteggere ed assistere i “caschi blu”
2
in
Bosnia è un’altra misura volta al medesimo scopo.
Parallelamente, l’ONU si è preoccupata di assicurare la sicurezza del
proprio personale, e del personale associato, tramite un nuovo strumento
giuridico: la “Convention sur la sécurité du personnel des Nations Unies et
du personnel associé “.
In sé stessa, l’adozione rapida , in seno alle Nazioni Unite, di una
convenzione il cui soggetto è stato causa di numerose controversie, pare
essere di per sé un successo ( PARTE PRIMA della presente tesi).
In più, la Convenzione definisce e tipicizza in quanto a fattispecie un
certo numero di infrazioni contro il personale delle Nazioni Unite ed il
personale associato, stabilisce un regime di repressione delle suddette
infrazioni da parte degli stati membri e prevede un regime di cooperazione
internazionale mirante a facilitare la repressione delle medesime.
2
Per maggiori dettagli sul termine Caschi Blu, sulla storia, sulle problematiche ad esso
connesse, noché sui costi relativi, cfr. PARTE QUARTA della presente tesi, ed in
particolare il capitolo “I Caschi Blu”.
11
Queste misure dovranno, questo il loro scopo, contribuire ad
assicurare una migliore protezione del personale delle Nazioni Unite e del
personale associato( PARTE SECONDA).
Inoltre, l’efficacia del regime di protezione creato ex novo dalla
convenzione rimane ostacolato da un discreto numero di ambiguità che
concernono principalmente il suo campo d’applicazione. Queste ambiguità
interferiscono nei reciproci rapporti fra la medesima ed il Diritto
Internazionale Umanitario (PARTE TERZA).
Alcune tematiche particolari entrano poi in gioco in particolari
momenti/settori delle operazioni di mantenimento della pace o costituiscono
sviluppi/approfondimenti di quanto affermato dalla Convenzione stessa; essi
a rigor di logica avrebbero dovuto essere sviluppati direttamente nei capitoli
in cui vengono richiamati, ma per motivi di sistematicità sono stati raccolti
in un capitolo “specificativo” e di approfondimento (PARTE QUARTA).
Nel lavoro viene inoltre fatto espresso riferimento a problematiche e
caratteristiche dei contingenti italiani( pur non mancando mai lo sguardo
comparatista alle realtà degli altri Stati), quali missioni cui hanno
partecipato, manuali militari, addestramento, regole d’ingaggio, struttura del
comando, problematiche delle operazioni di peace-keeping sia a livello
internazionale(responsabilità internazionale, poteri del contingente in
missione, risarcimenti/indennizzi per morti/feriti,…) che di diritto interno
(compatibilità costituzionale sia del peace-keeping in sé che delle specifiche
12
operazioni, autorizzazione, istituzione e cessazione di un’operazione,
partecipazione ad operazioni multinazionali,…) sia per un certo qual spirito
nazionalista e sia per la notevole difficoltà nel reperire i materiali ( sovente
rapporti interni e documenti militari di difficile accesso per i “civili”,
nonché raccolti in sedi estere come Ginevra, New York, Vienna, Strasburgo,
etc.). Colgo infine l’occasione per ringraziare la Biblioteca della Scuola di
Applicazione di Torino per la splendida collaborazione offertami.
A corredo del lavoro vengono aggiunti i documenti cui si fa
riferimento nonché quelli che possano essere utili ad avere una migliore
visuale d’insieme dei temi connessi alla sicurezza ed allo status del
personale delle Nazioni Unite ( come lavori preparatori, precedenti,
accordi modello, etc.) (APPENDICE DOCUMENTARIA).
In conclusione ricordo che le opinioni espresse ed i giudizi forniti
rappresentano solo il punto di vista dell’autore e non necessariamente quelli
dell’Organizzazione.
13
Introduzione
14
Nonostante i Mass Media rendano ogni giorno più popolari i termini
“peace keeping” e “peace keeping operations”, risulta difficile definirli con
precisione. Del pari in dottrina esistono divergenze di opinione causate in
parte dalla vastità della materia e in parte dalla mancanza di una sua
definizione all'interno di un atto di riferimento quale lo Statuto delle Nazioni
Unite.
Per limitare il campo della nostra indagine possiamo utilizzare la
definizione di “peace keeping” che ci fornisce “The United Nations Military
Observer Handbook”
3
: “United Nations presence in the field,normally
involving military and civilian personnel, with the consent of the parties to
implement or monitor the implementation of arrangerments relating to the
control of conflicts (cease-fire, separation of forces, etc. ) and their
resolution (partial or comprehensive settlernents ) or to ensure the safe
delivery of humanitarian relief “.
Un' altra definizione, forse più completa, è contenuta in “The Blue
Helmets”
4
:” ... peace-keeping has come to be defined as an operation
involving military personnel but without enforcement powers, undertaken by
the United Nations to help maintain or to restore intemational peace and
security in areas of conflicts …”.
3
Edited by United Nations Department for Peace-keeping Operations, office for planning
and support, training unit,1985.
4
Published by the U.N. Department of Public Information .
15
Da queste definizioni emergono alcune delle caratteristiche di fondo
del peace-keeping quali : il consenso dello stato ospite e delle parti in
conflitto, l’uso della forza da parte delle forze ONU solo come “ultima
ratio”, la necessità di un forte consenso espresso in seno al Consiglio di
Sicurezza.
Evoluzione Storica
Il 26 Giugno 1945 a S. Francisco vedeva la luce, dopo una
conferenza durata circa tre mesi, lo Statuto delle Nazioni Unite. Questo atto
costituisce (almeno fino ad oggi così è stato) il punto di riferimento
giuridico per tutte le iniziative che l’organizzazione ha preso allo scopo di
realizzare il fine principale per il quale è nata: “... mantenere la pace e la
sicurezza internazionale ed a questo fine: prendere efficaci misure collettive
per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di
aggressione o le altre violazioni della pace, e conseguire con mezzi pacifici
ed in conformità ai principi della giustizia e del diritto internazionale la
composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni
internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace...”
5
.
5
Art. 1, Statuto delle N.U.
16
L’ONU nasceva dopo che la comunità internazionale era stata
sconvolta dal più grande conflitto della storia dell’uomo, che in sei anni
aveva provocato decine di milioni di vittime e distruzioni materiali
enormi .
La necessità di evitare il ripetersi di un simile evento indusse
cinquantuno Stati, con alla testa Stati Uniti, URSS
6
, Cina, Gran Bretagna
e Francia, gli Stati a capo della coalizione vincitrice della Seconda Guerra
Mondiale, a creare una struttura stabile per la regolamentazione dei
rapporti tra gli Stati.
L'ONU è nata da una scelta “politica” e quindi è frutto della
mediazione tra posizioni differenti. Tra le proposte più importanti che
hanno preceduto quella definitiva vale la pena di ricordare quella del
Presidente Roosevelt il quale proponeva un sistema mondiale “dominato”
da quattro “poliziotti”, e quella del Primo ministro inglese W. Churchill
tendente a creare un “Consiglio Mondiale” articolato in tre “Consigli
Regionali”: uno per l’America diretto dagli Stati Uniti, uno per l’Europa
diretto dalla Gran Bretagna, e uno per l’Asia sotto la guida dell'URSS.
Un fattore che influenzò fortemente la conferenza fu la pesante
eredità della Società delle Nazioni. Questa organizzazione, nata nel 1919 a
Versailles su proposta del Presidente Wilson, durante la conferenza per la
preparazione del trattato di pace che poneva fine alla Prima Guerra
6
In seguito allo smembramento vada letto come Russia.
17
Mondiale, aveva avuto un successo limitato a causa soprattutto di due difetti
molto gravi: la mancanza di universalità e la quasi totale assenza di
responsabilità in settori differenti da quello politico ( economico, sociale,
sanitario, culturale, etc.). Il primo in particolare è stato fatale
all’organizzazione in quanto l’assenza riguardava nazioni molto importanti
quali gli Stati Uniti, mai entrati a farne parte, l’URSS, entrata nel 1934 ma
cacciata nel 1939, la Germania entrata nel 1926 e uscita nel 1933, l’Italia
e il Giappone usciti nel 1937.
Delle cause di questo fallimento i fondatori dell’ONU hanno tenuto
conto. Dalla Conferenza emerge infatti una organizzazione tendenzialmente
universale dotata di strutture e norme di procedura che le consentono di
superare lo scoglio dovuto alla divergenza di opinioni tra i suoi membri. Il
vero organo direttivo nel campo politico e della sicurezza non è infatti
l’Assemblea Generale, che attribuisce un voto a ciascuno stato membro a
prescindere dal suo peso politico, economico e militare, ma il Consiglio di
Sicurezza, composto attualmente da 15 membri, dove “le decisioni di
carattere non procedurale devono essere prese col voto favorevole di nove
membri, tra i quali devono figurare tutti i membri permanenti”
7
, (Stati
Uniti, URSS, Cina, Gran Bretagna e Francia). Così si attribuisce ad ognuno
di essi un diritto di veto su qualsiasi decisione non gradita.
7
Cfr. “Le Nazioni Unite”, B. Conforti, CEDAM, Padova, 1996.
18
Fondamenti giuridici
All’interno dello Statuto delle Nazioni Unite i fondatori hanno
inserito due capitoli, il VI ed il VII , che riguardano rispettivamente
“l’esercizio da parte del Consiglio di una funzione di natura meramente
conciliativa” e “l’azione a tutela della pace”, in caso questa sia violata o
minacciata, attraverso “una serie di misure implicanti e non implicanti l’uso
della forza, idonee a ristabilirla”
8
. Il Cap. VI prevede una serie di strumenti
diplomatici e giudiziari quali negoziati, mediazioni, conciliazioni, arbitrati,
etc. che possono essere intraprese dalle parti di propria iniziativa o su
proposta e sotto la guida dei Consiglio di Sicurezza. I casi riconducibili alla
fattispecie prevista dal capitolo VI sono caratterizzati da una minaccia
potenziale alla pace e di conseguenza il potere del Consiglio è molto
limitato perché il compito vero e proprio di risolvere la controversia è in
realtà lasciato alle parti in causa, mentre l'ONU si riserva solo un potere di
indirizzo, attraverso l'uso delle raccomandazioni, che le parti sono
sostanzialmente libere di non rispettare. Questo problema già tipico della
Società delle Nazioni dipende dalla caratteristica di entrambe le
Organizzazioni, che accolgono come membri solo stati sovrani.
Per sbloccare la situazione di stallo che si crea ogni qual volta che
uno Stato non accetta di seguire le indicazioni date dall'organizzazione circa
8
Cfr “Le Nazioni Unite”, B. Conforti, CEDAM, Padova 1996, pag. 157.
19
la risoluzione di una controversia, è stato inserito nello Statuto il
Capitolo VII che prevede per il Consiglio di Sicurezza la possibilità di
decidere qualsiasi misura necessaria a ristabilire la pace e la sicurezza
internazionale, tra cui anche misure coercitive. Il compito del Consiglio è
quello di determinare se la crisi già in atto costituisce effettivamente una
“minaccia alla pace, una violazione della pace o un atto di aggressione”
(Cfr. art.39 della Carta) e, attraverso una risoluzione o una decisione,
stabilire se le misure non implicanti l'uso della forza siano o meno
sufficienti. Se non lo sono “può intraprendere ogni azione che sia
necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza
internazionale”
9
. In questo caso alle parti non viene rivolto un invito a
concordare una soluzione ma un obbligo ad adeguarsi a quanto stabilito dal
Consiglio. Il conflitto bipolare e la reciproca diffidenza tra le due
superpotenze ha fatto peraltro rimanere lettera morta gli articoli 43 e
seguenti, così come l’articolo 47 dello Statuto che prevede la creazione di
un Comitato di stato maggiore alle dipendenze del quale gli stati devono
mettere proprie unità in caso di operazioni. Le operazioni di Peace-Keeping
non sono comunque riconducibili né all’uno né all'altro capitolo in quanto
sono qualcosa in più delle attività conciliative previste dal capitolo VI e
qualcosa in meno delle azioni coercitive del capitolo VII. Vista
l'impossibilità di ricondurre questo tipo di operazioni ad un unico principio
9
Art 42, Statuto delle Nazioni Unite.
20
giuridico il Segretario Generale Dag Hammarskjöld le attribuì ad un teorico
capitolo “sei e mezzo” dello Statuto
10
.
10
Per ciò che riguarda la ricerca di una precisa base giuridica delle operazioni delle Nazioni
Unite, la migliore dottrina resta divisa. Le più interessanti posizioni risultano essere le
seguenti:
1. alcuni autori ritengono che il fondamento delle operazioni di mantenimento della pace
sarebbe da ricercare nel Capitolo VI della Carta e, in particolare, nell’articolo36, che
autorizza il Consiglio di Sicurezza a raccomandare “appropriate procedures or
methods of adjustment” in presenza di qualsiasi controversia di natura tale da costituire
una minaccia alla pace ed alla sicurezza internazionali o di qualsiasi situazione di
natura analoga;
2. secondo altra parte della dottrina esse sarebbero da collocare nel Capitolo VII della
Carta. Più precisamente, alcuni indicano come base giuridica più appropriata
l’articolo 39 (che autorizza il Consiglio di Sicurezza a fare raccomandazioni o decidere
misure in presenza di una minaccia alla pace, rottura della pace, o un atto di
aggressione); altri propongono l’articolo 40 (adozione di misure provvisorie); altri
ancora propendono per l’articolo 42 ( adozione di misure implicanti l’uso della forza);
3. va inoltre ricordata la succitata teoria per cui le operazioni di mantenimento della pace
non sarebbero giuridicamente inquadrabili né nel Capitolo VI, né nel Capitolo VII
della Carta, risultando qualcosa di più delle semplici attività conciliative, ma non
potendo essere considerate a pieno titolo azioni coercitive; risulterebbero così fondate
su una sorta di “Capitolo 6 e mezzo” della Carta delle Nazioni Unite ( secondo la nota
definizione del Segretario Generale D. Hammarskjöld).
4. c’è inoltre chi si è ispirato alla teoria dei poteri impliciti ed ha individuato nel fine
generale delle Nazioni Unite di mantenere la pace e la sicurezza internazionali, così
come risulta enunciato nel preambolo (“to save succeding generations from the
scourge of war”;”to practice tolerance and live together in peace with one another as
good neighbours”) e nell’articolo 1 della Carta di San Francisco il fondamento
legittimo di qualsiasi operazione di mantenimento della pace;
5. altri infine, facendo leva su un pratica assai ampia, sono invece propensi a ritenere che
le lacune della Carta sarebbero colmate dall’esistenza di una norma di diritto
consuetudinario ormai consolidata.
Negli ultimi anni, in seguito al proliferare di nuove operazioni, quasi sempre incaricate di
svolgere funzioni molteplici, e talvolta autorizzate a far ricorso all’uso della forza militare
per assolvere il loro mandato, la questione dell’inquadramento delle operazioni delle
Nazioni Unite nelle norme della Carta ha suscitato nuovi motivi di riflessione. Mentre
alcuni autori confermano le soluzioni “tradizionali”, talvolta parzialmente rivedute e
corrette( c’è chi, ad esempio parla di “Chapter 6 ¾ operations”), altri ritengono che sia in
errore chi tende a ricercare “un unico fondamento giuridico preciso(in una disposizione o in
un capo della Carta, o in eventuali norme consuetudinarie integrative della medesima) per
tutte indistintamente le operazioni di pace”; le funzioni assegnate alle singole operazioni
sarebbero infatti riconducibili ad attività autorizzate dalle Nazioni Unite sulla base di
determinate disposizioni della Carta soltanto in alcuni casi. In altri, l’autorizzazione delle
Nazioni Unite troverebbe il suo fondamento giuridico “in nuovi poteri normativi attribuiti
dagli Stati all’Organizzazione”, alla stregua di una consuetudine emergente di diritto
internazionale generale. In una situazione in cui è sempre più evidente la sproporzione tra i
fini assegnati alle diverse operazioni ed i mezzi di cui le stesse dispongono, alcuni autori
preferiscono invece accantonare la questione dei presupposti teorici e concentrare piuttosto
l’attenzione sulle condizioni operative. Di conseguenza, in relazione a tali operazioni, la
21
Fondamenti militari
Alla luce delle considerazioni fatte in precedenza analizziamo
brevemente come si è sviluppata la prassi. Una volta che il Consiglio o
eccezionalmente l’Assemblea
11
abbiano deliberato di intervenire, essi
delegano al Segretario Generale una serie di poteri, di cui l’organo
delegante è titolare, necessari per portare a termine la missione. Questa
delega seppur molto ampia ricadrà all'interno delle direttive dell'organo
delegante e delle norme dello Statuto.
Il Segretario Generale viene a godere di una ampia autonomia
decisionale e deve vagliare la possibilità dei paesi membri di mettere a
disposizione le risorse finanziarie ed i contingenti necessari a sostenere
l’impegno che si è assunta l’organizzazione. Ha inoltre la direzione politica
della missione, cioè la possibilità di prendere tutte quelle decisioni che
necessitano di tempestività, rimanendo sempre peraltro all’interno dei
compiti assegnatigli, esercitando poteri quali “la conclusione di accordi”
lettera delle norme rilevanti della Carta deve intendersi in un senso conforme a quello
risultante dalla pratica effettivamente intercorsa, secondo un’interpretazione evolutiva
consentita dalle regole del diritto dei trattati.
11
Si possono considerare operazioni autorizzate dall’Assemblea Generale, pur se
formalmente considerate dalla medesima solo sotto l’aspetto dei costi derivanti dalle
operazioni stesse, quelle condotte in Congo (ONUC) ed in Medio Oriente (UNEF).
Risulta inoltre particolarmente rilevante il precedente costituito dalla risoluzione
dell’Assemblea Generale n. 377(V) (Uniting for Peace) del 3 novembre 1950. In base ad
essa, in qualsiasi caso in cui appaia presente una minaccia alla pace, una rottura della pace
od un atto di aggressione ed il Consiglio di Sicurezza risulti paralizzato per mancanza di
accordo fra i cinque membri permanenti, l’Assemblea Generale può riunirsi in sessione
22
con gli stati fornitori di contingenti e lo stato ospite e “la decisione circa il
concreto impiego delle forze”
12
. Ad esclusione di quanto avvenuto in
occasione dell’Operazione delle Nazioni Unite in Congo il cui mandato
aveva durata illimitata ed anche a seguito delle critiche per la troppa
autonomia decisionale di cui è stato vittima il Segretario Generale in quella
tragica occasione che gli costò la vita in seguito all’abbattimento dell’aereo
su cui viaggiava, la prassi del Consiglio è stata di porre dei limiti temporali
al mandato, per poi prorogarlo se necessario (di solito di tre, sei o nove
mesi ).
Il Segretario Generale si avvale inoltre della collaborazione di un
comandante delle forze impegnate nell'operazione (normalmente il
comandante del contingente più numeroso) da lui scelto ma approvato dal
Consiglio di sicurezza .
I contingenti militari possono essere messi a disposizione da tutti gli
stati membri . L’adesione è volontaria, ma allo stesso tempo il Segretario
Generale non è tenuto ad accettare qualsiasi offerta di contingenti gli
provenga dagli stati. Nel caso, sempre più raro vista la frequenza con cui le
operazioni si susseguono e si accavallano, che le truppe offerte siano
in eccesso rispetto a quelle necessarie, sarà il Segretario Generale a
scegliere quali offerte “attivare” e quali no. Non esistono criteri giuridici
straordinaria d’urgenza ed esercitare i poteri d’intervento collettivo che la Carta riserva la
Consiglio.
12
Cfr. Benedetto Conforti, “Le Nazioni Unite”, pag. 211.
23
che facciano preferire un contingente ad un altro. Nella prassi si cerca di
tenere conto di alcune regole che favoriscano un pieno successo della
missione:
a) si tende ad escludere stati che abbiano interessi nel conflitto
(l'offerta di truppe iraniane per l’UNPROFOR per esempio non è stata
attivata temendo le implicazioni religiose che comportava in un conflitto
etnico come quello bosniaco) che appartengano a stati confinanti, a stati
ex-colonizzatori o che siano stati in guerra con lo stato ospite . Nel caso
dell’UNEF, per esempio la Nuova Zelanda venne esclusa perché
appartenente al Commonwealth e il Canada, per lo stesso motivo, poté
fornire solo sostegno logistico. La partecipazione del Pakistan invece
venne osteggiata con successo dal Capo di Stato egiziano Nasser per la
politica anti-egiziana che quello stato attuava;
b) Non esistono impedimenti formati all’impiego di truppe dei
membri permanenti del Consiglio anche se, rifacendosi al principio
indicato al in precedenza, non esistendo zone del mondo in cui non
fossero presenti interessi sovietici o americani. Nel periodo della guerra
fredda Stati Uniti e URSS si astenevano dall’offrire contingenti. Va
comunque ricordata la partecipazione di truppe della Gran Bretagna
all’UNFICYP.