2
– realizzare condotte di fiancheggiamento del potere mafioso, tanto
più pericolose quanto più subdole e striscianti, e sussumibili – a
titolo concorsuale – nel delitto di associazione mafiosa”
2
.
2
Trib. Palermo 17 Luglio 1987, inedita.
3
CAPITOLO I
FONDAMENTI STORICI ED EVOLUZIONE
GIURISPRUDENZIALE IN TEMA DI CONCORSO
ESTERNO.
1. La contiguità alle “comitive armate” nel codice napoletano
del 1819 e alcune pronunce di inizio novecento in tema di
complicità “esterna”.
Il problema di poter configurare come concorso “esterno” nei reati
associativi condotte di “contiguità” tali da non integrare le
fattispecie tipiche di favoreggiamento o di associazione a
delinquere, ha origini lontane, in particolare nel testo costituzionale
del Regno delle due Sicilie e nella prassi giurisprudenziale del
tempo
3
.
3
VISCONTI, Contiguità alla mafia e responsabilità penale, Torino 2003, pag.
4 e sgg.
4
In quell’epoca era assai diffuso il fenomeno del “banditismo”,
forma di criminalità in stato embrionale, già però caratterizzata
dagli elementi costitutivi delle moderne associazioni a delinquere:
organizzazione, indeterminato progetto criminoso, pluralità di
soggetti, durata indeterminata
4
.
Alle forme di organizzazioni criminogene in parola non mancavano
altrettante manifestazioni di appoggio, solidarietà, sostegno
materiale da parte di soggetti estranei al sodalizio
5
(situazioni che
oggi, al di là di quelle tipizzate, dottrina e giurisprudenza tentano di
distinguere e specificare).
Le suddette forme di contiguità ricevettero titolo unitario nella
figura di tradizione romanistica rappresentata dalla receptatio
6
, la
quale ben si prestava ad un’individuazione univoca delle molteplici
forme di aiuto ed assistenza agli associati: “è qui – si è osservato –
che il rapporto banditismo-società realizza in tutta la sua gamma di
4
ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte Generale, Milano, 1997, pag.
552 e sgg.
5
VISCONTI, op. cit.
6
La parola di origine latina (receptatio-onis, che significa “riprendere fiato”)
viene usata giuridicamente per indicare qualsiasi manifestazione di contiguità
prestata ad associazioni criminose.
5
possibilità, una dialettica storicamente molto importante (…) i
banditi hanno bisogno di basisti e complici occasionali”
7
.
Il sostegno in parola non era peraltro limitato ad alcune fasce
socialmente marginali ma era trasversale e diffuso, coinvolgeva
cioè villani e nobili.
La reazione statale non poteva che essere pari al pericolo che questa
forma di contiguità al banditismo rappresentava per le autorità
dell’epoca.
All’art. 154 del codice napoletano, collocato sotto il titolo III
(«Della violenza pubblica e delle minacce»), si definiva la comitiva
armata come: “… quella che in numero non minore di tre individui,
de’ quali due sien portatori di armi proprie, vada scorrendo le
pubbliche strade o le campagne con animo di andar commettendo
misfatti o delitti. Gli individui della comitiva per lo solo fatto che la
costituisce, saran puniti con la reclusione. I capi e i comandanti di
essa saran puniti col primo grado de’ferri (…)”
8
.
Le relative manifestazioni di contiguità alle associazioni criminali
venivano disciplinate dall’art. 159, nel quale si stabiliva che:
7
VISCONTI, op. cit. pag. 20.
8
VISCONTI, op. cit. pag. 21.
6
“coloro che scientemente e volontariamente somministrano armi,
munizioni, strumenti di reato, alloggio ricovero o luogo di riunione
alle comitive armate o alle loro divisioni o individui, benché non
ancora abbian commesso misfatti o delitti, saran puniti con la
reclusione: salve sempre le disposizioni che li soggettassero a pene
maggiori per la loro complicità”
9
.
La previsione in parola definiva chiaramente la qualificazione
autonoma della fattispecie rispetto all’associazione criminale,
“benché non ancora abbian commesso misfatti o delitti”,
dichiarando integrata la fattispecie al di là dell’effetto causale della
condotta sulla vita dell’associazione.
Il dilagare del fenomeno associativo-criminale spinse il Sovrano
Borbonico ad emanare nell’Agosto del 1821 una legislazione di
emergenza, istituendo quattro corti marziali e inasprendo la pena
per coloro i quali avessero avuto rapporti con gli associati.
I giudici marziali, appartenenti per la maggior parte all’ordine
militare, irrogavano la pena di morte anche a coloro i quali, ai sensi
dell’art. 4, primo comma, del Real Decreto 30 agosto 1821:
9
VISCONTI, op. cit. pag. 25.
7
“scientemente e volontariamente ricetteranno le comitive armate,
gl’individui che la compongono, (…) somministreranno ad essi
aiuti, viveri, armi, munizioni; o che con essi stessi manterranno
corrispondenza”
10
.
L’elemento psicologico individuato nei due suddetti avverbi
rappresentava il cuore dell’indagine giudiziaria, poiché accertare la
sussistenza della “scienza e volontà” di agevolare l’associazione o
una sua divisione o un suo membro, esimeva i giudici marziali dal
verificare la causalità della condotta agevolatrice.
Il suddetto codice napoletano dedicava altresì un capitolo al
concorso di persone con una tipizzazione delle forme di complicità.
Venivano ivi distinti infatti i mandanti da coloro che “con vari
mezzi abbiano indotto al reato o dato istruzioni per commetterlo e
questi, da coloro che abbiano fornito un mezzo per commettere
l’azione”. Per ultimo si prevedeva l’agevolazione o l’assistenza
nella preparazione o consumazione del fatto come ulteriori forme di
10
VISCONTI, op. cit. pag. 28.
8
complicità.
11
Alla differenziazione dei contributi descritti, l’art. 75
del citato codice faceva seguire un diverso trattamento
sanzionatorio: i mandanti e gli istigatori venivano puniti con la
stessa pena prevista per gli autori principali, mentre le altre due
forme di complicità erano distinte in base al criterio
dell’indispensabilità o meno del contributo necessario alla
realizzazione del reato. Ai secondi, i complici “non necessari”,
(esclusi quindi “quelli che nella scienza del reato la loro
cooperazione non sia stata tale che senza di essa il reato non
sarebbe stato commesso …” per i quali era prevista una pena pari a
quella prevista per l’autore principale), si applicava una pena
minore, da uno a due gradi, rispetto l’autore principale.
La possibilità di applicare la disciplina della complicità al reato di
“comitiva armata”, differenziando la pena per gli autori principali
da coloro che si fossero limitati ad agevolare il fatto commesso da
altri, a meno che non fossero considerati “necessari” ai sensi
dell’art. 75, faceva della complicità “non causale” una «sorta di
11
PATALANO, Sulle leggi penali contenute nella parte seconda del codice
per lo Regno delle Due Sicilie del 1819 in AA.VV. Codice per lo Regno delle
Due Sicilie 1819, Padova, 1996.
9
concorso esterno ante litteram suscettibile di incriminare condotte
diverse da quelle previste dall’art. 159 (“Assistenza agli associati”),
sottoponendole cosi ad un regime sanzionatorio meno grave di
quello previsto per gli “individui della comitiva” e i loro
somministratori»
12
.
Il reato di assistenza alla banda armata appena descritto testimonia
come ai giuristi napoletani fosse chiara la distinzione tra condotte
strettamente associative, fattispecie di contiguità e fattispecie di
complicità necessaria o “esterna”.
Con il codice Zanardelli del 1889 l’Italia venne unificata, non senza
difficoltà, anche sul piano della legislazione penale.
Al di là della disputa teorico-dottrinale sul modello di reato
associativo preferibile tra quelli offerti dalle legislazioni penali
preunitarie, sul versante della repressione delle condotte di
contiguità alle associazioni, il codice unitario sembrava
maggiormente in sintonia con quello piemontese e napoletano.
Venne così riproposta, all’art. 249, la fattispecie di
“fiancheggiamento esterno” (“Assistenza agli associati”)
12
Ibidem
10
distinguendola, sia sul piano morfologico che sanzionatorio, dalle
condotte propriamente associative ex art. 248 c.p.
13
.
Queste ultime risultavano incentrate sul fatto di associarsi allo
scopo di commettere in comune una serie indeterminata di delitti.
Le prime si riducevano alla realizzazione di singole prestazioni di
vettovagliamento, ricovero e assistenza nei confronti degli associati
medesimi. Conseguentemente, per le condotte associative la pena
poteva variare da un minimo di un anno ad un massimo di dodici
anni di reclusione, mentre per il fiancheggiamento la pena non
poteva comunque superare un anno di reclusione.
Ma, la vera novità – ai fini della presente indagine – era nella
clausole espressa all’art. 249 c.p. “fuori dei casi preveduti
dall’articolo 64”
14
.
La norma di cui all’art. 64 c.p. disciplinava le varie ipotesi di
complicità punibile, sicché con l’inserimento di una tale clausola si
13
Art. 248, comma 1, “Quando cinque o più persone si associano per
commettere delitti contro l’amministrazione della giustizia, o la fede pubblica,
o l’incolumità pubblica, o il buon costume e l’ordine delle famiglie, o contro la
persona o la proprietà, ciascuna di esse è punita, per il solo fatto
dell’associazione, con la reclusione da uno a cinque anni”. La pena era quindi
aumentata nel caso che gli associati fossero armati (comma 2) o nel caso vi
siano capi o promotori. Da Codici penali del Regno d’Italia, testi non
commentati a cura di CASOTTI, MAZZITELLI e PEZZANO, Napoli, 1996.
14
CASOTTI, MAZZITELLI e PEZZANO, op. cit.
11
riconosceva esplicitamente “uno spazio di operatività del concorso
criminoso interposto tra la punibilità degli intranei e degli
estranei”
15
.
Nei lavori preparatori del codice Zanardelli invero, si era paventato
il rischio di una indiscriminata criminalizzazione delle condotte di
contiguità, e infatti le corti di giustizia dell’epoca applicavano
frequentemente l’istituto del concorso criminoso al reato
associativo, configurando la correità alla societas sceleris per quei
soggetti che vi contribuivano con il loro apporto “esterno”
16
piuttosto che i reati di favoreggiamento o di assistenza agli
associati, cosi che la pena, veniva calibrata sul più grave reato
associativo rispetto ai meno sanzionati reati di contiguità tipizzata.
In una pronuncia del 1903 la Cassazione affermò che “risponde di
correità in associazione per delinquere, e non di semplice
favoreggiamento, chi presti la casa per discutere sui delitti da
compiere, per assumere informazioni e per ripartire gli utili,
prendendo parte ai convegni e alle operazioni”
17
.
15
VISCONTI, op. cit., pag. 52.
16
Ibidem
17
Cass. 27 novembre 1903, Alasia, in Riv. pen., vol. I LIX (1904), 581.
12
La sentenza citata condannava, con una pena pari a quella prevista
per il partecipe all’associazione, il correo “esterno” ai sensi dell’art.
64 del codice Zanardelli; nella fattispecie la moglie di uno dei
membri del sodalizio criminoso.
Alcuni anni più tardi la Corte di Cassazione fu di nuovo investita
della questione. Chiamata a sindacare sulla legittimità di una
decisione dei giudici di merito di Reggio Calabria, i quali avevano
condannato due ex sindaci calabresi per “complicità non necessaria
in associazione per delinquere”, essa fornì una soluzione meno
radicale ma più consapevole della precedente
18
.
Nel caso, la Corte di Assise di Reggio Calabria, in una sorta di
“maxi-processo” ante litteram (furono condannate settanta persone
per affiliazione all’organizzazione criminosa “Monte Albano”),
aveva accolto la configurabilità, sul piano probatorio e in punto di
diritto, della complicità al reato di associazione a delinquere degli
ex Sindaci di Calanna e Villa San Giuseppe
19
.
18
Cass. 30 giugno 1934, Romeo e altri, in Scuola Positiva, 1935, 193.
19
Corte di Assise di Reggio Calabria 4 febbraio 1932, inedita. Da VISCONTI,
op. cit. pag. 63.