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propri membri agli eventi, essendo un movimento e non
un’associazione.
Consumo quindi in questo caso come ribellione verso una realtà
condivisa e non più accettata, la ribellione sta nella riscoperta delle
tradizioni locali, nel ritorno alle origini, una presa di distanza dalla
standardizzazione del gusto (come recita lo statuto), attraverso un
consumo consapevole ed informato che però è spinto dalla ricerca e
dalla necessità di difesa del piacere.
L’intento della mia tesi sarebbe quindi, dopo un’analisi dei recenti
sviluppi nelle teorie del consumo ed una parte dedicata alla tradizione
gastronomica che permea il nostro paese, concentrarmi sul movimento
Slow Food e, attraverso alcune interviste con i responsabili Slow
Food, sul ruolo del consumatore e come questo entra in contatto con il
prodotto sostenuto dal movimento attraverso l’informazione e le
attività educative promosse dal movimento come, ad esempio il
Salone del gusto, gli itinerari e le degustazioni.
Per fare questo, nel primo capitolo ho preso in considerazione il
consumo in quanto veicolo di significato che permea le scelte di ogni
individuo. In effetti, analizzando i comportamenti di consumo è facile
constatare un mutamento nell’approccio del consumatore. Mentre in
tempi passati il consumo poco era più di un atto di natura utilitaristica,
oggi il consumo è al contempo metodo per rafforzare la propria
appartenenza sociale e per definire la propria identità differenziandosi
attraverso le proprie preferenze. Questo ha portato a comportamenti
differenti e particolari che fanno del consumatore un individuo che
spazia coadiuvato dagli oggetti di consumo, tra i suoi diversi interessi,
ciò può essere definito un comportamento tipico della società post –
moderna.
In questo periodo, infatti, vengono associati al consumo valori nuovi e
l’approccio ai beni è veicolo di credenze valoriali ben precise e che in
tal modo si esplicitano.
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A questa tendenza, certo, non si sottraggono le scelte alimentari che
portano con se le caratteristiche tipiche del consumo post – moderno.
La curiosità si affianca alla tradizione, l’omologazione si scontra con
la tipicità. Le qualità ricercate nel cibo, non saranno più legate solo
alla semplice preferenza di gusto, ma vi si aggiungerà una
consapevolezza nuova e una ricerca di esperienza e conoscenza,
sconosciuta fino a poco tempo fa.
Nel secondo capitolo, considererò due dei tratti tipici che hanno
trovato una nuova forza nella qualificazione del consumo alimentare
oggi: il territorio e il tempo. Nell’analizzare il primo aspetto procederò
in un’ottica che dal globale arriva fino al particolare. Partendo dalla
concezione che esiste una tendenza omologante che pervade il
consumo alimentare post – moderno si può però notare che si è spesso
alla ricerca di cibi di certa provenienza.
Analizzando il caso europeo è facile verificare come in un territorio
non troppo vasto esistono culture alimentari profondamente diverse
che hanno portato ad una differente valorizzazione di alcune qualità
nel settore alimentare. Per fare questo basta prendere in
considerazione la diversa risposta che i marchi di denominazione
europea (Dop e Igp) hanno riscontrato nei paesi del nord e sud
Europa. In effetti, le culture dei Paesi del sud Europa sono di norma
più propense a valorizzare un’appartenenza territoriale certa e
certificata, vedendo nei marchi di denominazione non solo un
vantaggio per il consumatore, che ha più elementi a sua disposizione
per la scelta di consumo, ma anche per il produttore, che vede il frutto
del suo lavoro tutelato e riconosciuto internazionalmente.
Dalla divisione nord/sud Europa, passerò a considerare il bacino del
mediterraneo e la sua forte cultura alimentare, fatta di appartenenza
territoriale e, purtroppo, spesso preda di luoghi comuni, infine
dedicherò una parte alla gastronomia italiana che pur essendo
composta da migliaia di prodotti e metodi di produzione ha saputo e sa
raccogliersi in un’unità non omogenea e per questo molto ricca.
6
Infine analizzerò il rapporto tra cibo e tempo, nelle abitudini
alimentari e nella concezione che oggi Slow Food vuole rivalorizzare.
Una sorta di riappropriazione di qualcosa che è andato perso e di cui si
sottovaluta il valore. Tempo quindi come sinonimo di convivialità e
conoscenza approfondita di sé e del cibo.
Il terzo capitolo verterà sul Movimento di Slow Food, analizzandone
la nascita e i suoi motivi cercherò di rendere evidente i valori che
questo movimento cerca di veicolare e diffondere. Una ricerca
costante di piacere e conoscenza che non si escludono reciprocamente,
ma che convivono all’interno del piatto, secondo la filosofia
dell’associazione. Attraverso alcune interviste a fiduciari di Condotte
e Convivium e attraverso la partecipazione ad alcuni eventi, come il
Salone del Gusto e le degustazioni è stato facile verificare come
l’approccio nuovo al cibo possa portare ad una maggiore
consapevolezza da parte del consumatore che diventa partecipante
attivo al mondo di produzione del cibo.
Spinto da valori quali l’attenzione all’ambiente, la protezione del
territorio, la salvaguardia della biodiversità di specie vegetali e razze
animali il consumatore sa e cerca di modificare la visione del
consumo preesistente, vale a dire come atto fine a se stesso, senza
implicazioni né conseguenze.
Attraverso la descrizione dell’organizzazione del Movimento è ben
evidente quanto siano importanti, da un lato i legami con il territorio e
dall’altro la condivisione globale di tali temi. In questa tensione
continua tra locale e globale, si inserisce, dunque, Slow Food.
Infine partendo dalla considerazione che gli obiettivi di Slow Food,
quindi la focalizzazione dell’attenzione su problemi quali le piccole
realtà produttive, la protezione di ambiente e biodiversità, la
promozione di educazione e cultura del gusto, sono di ampio interesse,
nel capitolo quarto prenderò in considerazione due dei metodi di
diffusione di queste problematiche, la rivista Slow e il Sito internet.
7
In entrambi i casi, anche se con modalità ovviamente differenti, i
fondatori di Slow Food cercano di riprodurre su carta e schermo
quella vicinanza e quel senso di appartenenza ad una comunità e ad un
territorio che accomuna i soci. In questo caso la comunità è sia reale
che virtuale, utilizzando indipendentemente i mezzi più classici, come
la rivista, e quelli più moderni, come il sito, si cerca quindi di
valorizzare quegli aspetti che avvicinano il socio Slow Food alla sua
realtà territoriale e alle differenti realtà provenienti da tutto il mondo.
Nel caso della rivista, attraverso l’aiuto e la collaborazione di
specialisti, giornalisti e scrittori di fama internazionale si cerca di
unire un approfondimento multisfaccettato ai temi proposti da Slow
Food, legando indissolubilmente il tema sociale alla curiosità, la
ricerca di nuova conoscenza all’informazione di tipo tradizionale.
Nel caso del sito, essendo internet un mezzo di comunicazione
malleabile e fluido, Slow Food cerca di avvicinare ad una sezione più
istituzionale, sezioni informative che però richiamano sempre e
costantemente sia il legame locale che quello globale, con notizie e
approfondimenti.
L’analisi del Movimento porta infine ad alcune conclusioni di
carattere generale. Il Movimento, in generale, specialmente oltre
oceano, suscita notevole curiosità. Slow Food, partendo da un ristretto
gruppo di intellettuali ha abbracciato, partendo dalla propria realtà
territoriale, Bra, nel cuneese, temi legati all’agricoltura e
all’allevamento, alla buona cucina e alle tipicità e nel fare ciò ha
raggruppato attorno a se migliaia di persone che condividono una
visione opposta a quella proposta in quegli anni dalla cultura, se non
dominante, quantomeno largamente diffusa. Era in atto, e lo è ancora,
un processo di rivalorizzazione dei comportamenti di consumo e della
fruizione alimentare in particolare che questo Movimento ha saputo
raccogliere e sviluppare in una continua ricerca che passando per il
piacere sensoriale tende alla conoscenza e che attraverso il sostegno e
la salvaguardia del patrimonio culturale alimentare tende ad un
8
consumo attivo ed inserito nel mercato globale, ma non inteso come
sinonimo di mercato delle multinazionali, ma considerato in quanto
mercato del mondo, un po’ come avviene all’interno del Lingotto,
durante il Salone del Gusto.
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CAPITOLO PRIMO
CONSUMO E PRODUZIONE DI
SIGNIFICATO
“Un mondo destinato alla
globalizzazione delle industrie e dei
commerci, con distanze accorciate da
imponenti mezzi di comunicazione e di
trasporto, rimpicciolito dalla
conseguente omologazione di usi e
costumi, trova in Slow Food una forza
rivoluzionaria, interna allo stesso
sistema.”.
Carlo Petrini
1
1.1 Che cos’è il consumo oggi.
Definire il consumo, oggi, significa parlare di un atto complesso e
molto articolato che permea ogni aspetto della nostra società e della
vita contemporanea. In effetti, il consumo non esaurisce la sua ragion
d’essere nel mero soddisfacimento del bisogno materiale ma come
afferma Barthes veicola ed incarna simboli e strutture sociali. Esso
quindi è funzionale per il mantenimento della società, ed è, infatti, da
considerarsi a tutti gli effetti come veicolo di cultura.
Se per comportamenti di consumo intendiamo tutti gli atti d’acquisto,
essi sono presenti in tutte le civiltà umane e in quasi tutte le epoche, è
ovvio costatare che sia per motivi di sussistenza o, come direbbe
Veblen, mossi da una volontà di ostentare, tutti consumiamo.
1
Carlo Petrini è il fondatore e attuale presidente di Slow Food.
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Analizzando il caso italiano possiamo identificare quattro fasi dello
sviluppo del consumo di massa. La prima fase la si può ricondurre
all’immediato dopoguerra quando, nonostante l’elevato livello di
sottosviluppo, accanto alle due sottoculture dominanti già presenti in
Italia, quella cattolica e quella laico-marxista, si inserisce l’american
way of life come modello di realizzazione. La seconda fase invece è
quella caratterizzata dal boom economico degli anni ’60 quando
l’Italia inizia ad assumere i connotati di una società industriale, nella
quale molti beni industriali diventano beni di status
2
, in questo
periodo inoltre accanto alla radio, la televisione inizia a diffondersi
nelle case. Tra il 1968 e i primi anni Ottanta, periodo al quale è
riconducibile la terza fase, si assiste ad un periodo di recessione
dovuto alla crisi petrolifera che si aggiunge alla grande contestazione
anticonsumistica, che mette in discussione il modello nord americano.
Infine la quarta fase inizia nel 1984, quando i consumi hanno una
nuova impennata e la società di massa, basata sull’omologazione,
subisce un cambiamento diventando una società individualistica di
massa, basata sulla distinzione.
Effettivamente sul finire degli anni Settanta molti studiosi concordano
nel collocare la nascita di una nuova realtà: il Post-moderno. Partendo
dal presupposto che, necessariamente, la società è sempre stata un
fenomeno complesso, così come quasi tutto ciò che ci circonda, si può
notare come il mondo pre-moderno abbia in generale cercato di
ignorare la complessità racchiudendola all’interno di miti e leggende
così come il mondo moderno ha limitato tale complessità
classificandola all’interno di regole, che hanno come unico scopo il
mantenimento della razionalità e di una visione del mondo il più
possibile uniforme e nitida. (Fabris, 2003) Nel mondo post-moderno
la complessità, la frammentazione e la schizofrenia si riappropriano
prepotentemente del loro ruolo e si fa largo la consapevolezza
dell’impossibilità di poter comprendere razionalmente i fenomeni
2
Si pensi all’automobile, la Vespa, gli elettrodomestici ecc…
11
sociali, è necessario quindi imparare a convivere con la complessità,
anziché cercare di gestirla (Fabris, 2003).
L’era moderna era in origine considerata come l’era della società dei
consumi, in realtà ciò non è necessariamente vero, in effetti il
consumo era una pratica marginale, dovuto principalmente al continuo
ampliamento del mercato delle merci, il consumo, quindi, era
seguente alla produzione ed una “variabile dipendente dagli obiettivi
di accumulazione del profitto” (Fabris, 2003). Nella società moderna è
quindi la produzione il focus, non certo il consumo che è
principalmente un linguaggio della produzione. Nell’era post-
moderna invece il consumo viene ad acquisire sempre più un ruolo
centrale, è possibile, secondo Fabris, ricondurre al consumo un
metalinguaggio col quale comunichiamo, un ipertesto in continuo
divenire. A questo proposito Baudrillard invece sostiene che più che
ad un linguaggio il consumo è assimilabile ad un codice, un sistema di
significazione privo di una sintassi vera e propria. In ogni caso, la
società di massa, oggi è ben evidente, non ha, come era stato predetto,
prodotto una società omologa ed eterodiretta ma genera continue
stratificazioni e differenziazioni al suo interno caratterizzate da
numerose nicchie di consumatori diversissime tra loro. Quindi il
consumo esplicita quella caratteristica di agire complesso e non è più
possibile, semmai lo è stato, racchiuderlo all’interno della definizione
di soddisfacimento utilitaristico di un bisogno.
È facile quindi riprendere ciò che Simmel sottolineava ovvero
l’aspetto simbolico del consumo nella società moderna e presente
anche in quella post-moderna. Partendo dall’assunto di base che esiste
un dualismo tipico della nostra esistenza, dal campo dalla biologia
fino alla vita dello spirito, Simmel afferma che, nella personificazione
sociale, questo è rappresentato da un lato dall’imitazione e dall’altro
dal bisogno di distinzione. La moda, e quindi il consumo, necessita
per esistere di entrambi gli aspetti di questo dualismo, appaga sia il
bisogno di appoggio sociale che la tendenza alla differenziazione.
12
Secondo Simmel l’efficacia della moda sta nel fatto che essa è sempre
una moda di classe, infatti, l’impulso all’imitazione non è rivolto ai
nostri pari, ma a persone che sono di una classe sociale superiore.
Perché la moda esista, la società deve essere stratificata, quindi da un
lato significa coesione di una cerchia sociale da essa caratterizzata,
dall’altro chiusura di questo gruppo rispetto ai gradi sociali inferiori.
Necessariamente imitazione e distinzione sono due facce di una stessa
medaglia, una persona imita un idealizzato altro per distinguersi dagli
appartenenti alla propria cerchia, ma non appena le classi inferiori
iniziano ad appropriarsi di questa moda, le classi superiori si
rivolgono ad un’altra, con la quale cercano nuova distinzione.
Nonostante ciò, la teoria secondo la quale i creatori di moda
provengano sempre dalle classi sociali superiori è spesso contestata e
anche Simmel sembra rendersene conto, riferendosi al demi–monde
scrive, infatti:
“Che il demi–monde sia spesso il pioniere della
nuova moda dipende dalla forma di vita sradicata che
gli è propria. L’esistenza da paria che la società gli
assegna, produce un odio aperto o latente verso tutto
ciò che è legalizzato” (Simmel, 1895; trad. it. 1986)
Quindi in questo caso la moda è un mezzo di ribellione sociale. Un
aspetto del dualismo imitazione–distinzione, secondo Simmel, è la
tensione tra l’elemento sociale e elemento individuale, la moda può
essere vista come un modo per celare una parte di se stessi, come un
raggiungimento di una maggiore libertà interiore. Il fascino della
moda è dato proprio dalla sua doppia natura, dal contrasto tra
diffusione e rapido decadimento, dalla possibilità di creare sfumature
personali e di liberarsi da responsabilità etiche, che ci appartengono
come individui ma che sfuggiamo in quanto gruppo. Egli, in effetti, è
il primo a considerare il consumo non solo un soddisfacimento di un
13
bisogno ma aggiungendovi la caratteristica di gesto simbolico legato a
dei segni, consumo visto quindi come pratica ideale. In effetti, come
sostiene Baudrillard, esiste una sorta di paradosso nel consumo,
infatti, mentre siamo spinti all’acquisto di un determinato bene per le
sue caratteristiche uniche, allo stesso tempo siamo esortati a
possederlo perché tutti lo usano (Sassatelli, 2004).
Inoltre, sempre più importante, nella società post- moderna, è l’aspetto
ludico e giocoso del consumo, ma questa non è l’unica caratteristica
del nuovo consumatore in effetti egli è molto più esigente, selettivo,
attento alla qualità e soprattutto informato. La nuova società post-
moderna si basa, in effetti, su una profonda rivoluzione tecnologica
che ha in pochi anni permeato gran parte della società e che ha portato
cambiamenti sostanziali nel modo di rapportarsi agli altri, di
informarsi, di aver accesso ai media.
Per Fabris (2003) mentre nella modernità l’apparenza era ritenuta una
visione non vera e quindi con un connotato prevalentemente negativo,
l’interesse per questo aspetto nella post-modernità rappresenta un’area
significativa; intendendo comunque per apparenza la superficie,
l’esterno, non necessariamente in contrasto con l’interno, il contenuto.
Egli definisce il consumatore come individuo-consumatore,
riprendendo una definizione di George Katona, e definisce la
condizione post-moderna di consumo come
“discontinua, plurale, disordinata, ambigua,
paradossale, dominata da una molteplicità di verità,
fluida e libera” (Fabris, 2003).
Il consumo diventa, nell’era post-moderna, un modo di costruzione di
senso al mondo sociale, permette la costruzione di un insieme di
significati condivisi, in continuo divenire che premettono uno scambio
di informazioni. Le scelte di consumo, quindi non identificano più
degli status sociali, ma degli stili individuali, in effetti, il consumo ha
14
assunto, negli ultimi vent’anni, più un connotato di ricerca personale
di senso. Il consumatore quindi può attraverso beni anche provenienti
da differenti fonti riutilizzarli e creare nuovi codici e significati per
amplificare la propria personalità e rispecchiare il proprio stile di vita,
rendendoli in qualche modo decifrabili unicamente da chi in questo
stile si rispecchia, da una stretta cerchia di partners. In ogni caso
questa modalità di consumo sottintende ad una capacità nuova di
interagire con i beni consumati, che è protesa nella creazione di nuovi
mondi sociali (Douglas e Isherwood, 1979; trad. it. 1984). Questo tipo
di consumo autoriferito può essere associato alla società italiana degli
anni Ottanta.
Con gli anni Novanta si assiste, invece, ad un ulteriore cambiamento
nelle scelte di consumo si diffondono, infatti, comportamenti sociali
ispirati alla solidarietà sociale. Una nuova attenzione è rivolta
all’aspetto qualitativo del consumo, che va non a sostituire, ma ad
affiancare quello di quantità. Il consumatore è più consapevole e
soprattutto più informato rispetto alle opzioni che gli si presentano e,
in generale, ha una maggior consapevolezza critica di sé. Come nota
Fabris (2003), si assiste ad un ritorno al minimalismo e rimane
fondamentale la ricerca di equilibrio tra salute e bellezza.
In Italia si ha un orientamento di consumo verso l’ecopragmatismo
nel
quale si tende a combinare il rispetto per l’ambiente e l’accettazione
dell’industria. Sembra farsi strada una nuova etica della
responsabilità, questo ha portato al fiorire delle associazioni dei
consumatori, ad una nuova attenzione allo sviluppo compatibile e un
grande interesse per il commercio equo solidale, che è sintomo di una
maggior attenzione da parte del consumatore a questioni quali le
produzioni autoctone e al risparmio energetico.
Gli oggetti di consumo, negli anni Novanta, vengono usati come
tasselli per costruire un progetto di consumo unitario e non di segno
superficiale, il consumatore, ora attento e più virtuoso, attraverso
15
l’agire di consumo inizia a dar vita a comunità di gusto (Douglas e
Isherwood, 1979; trad. it. 1984).
A questo proposito Mary Douglas condivide con Levi Strass l’idea
che ogni società deve disporre di significati comuni che rendono
possibile la comunicazione e la comprensione tra gli individui. I
rituali del consumo, ai quali il consumatore fa capo, sono dunque
fondamentali, perché consentono, come i rituali delle civiltà primitive,
di dare ordine e senso agli eventi. Il comportamento di consumo porta
quindi a rendere palesi e visibili i significati e le categorie culturali
utilizzati nella società. Le categorie, così, rendono possibile agli
individui comunicare senza dover nuovamente stabilire, ogni volta, i
significati degli oggetti e degli eventi. Il consumatore, cioè colui che
interagisce, utilizza un codice che è immediatamente comprensibile
dagli altri individui (ibidem).
L’individuo, quindi, è un soggetto attivo che contribuisce
costantemente alla rielaborazione del sistema culturale in cui si trova,
ma, allo stesso tempo, è anche influenzato da tale sistema culturale.
Anche il consumo viene dunque ad essere un processo attivo, in cui
tutte le categorie sociali sono continuamente ridefinite. Ma sebbene
tutti i beni siano portatori di significato, nessuno ne possiede uno
autonomo. Il significato è correlato indissolubilmente alle relazioni fra
tutti i beni. Inoltre, l’accesso all’uso di determinati beni è un fattore
indispensabile all’individuo per sentirsi in contatto con gli altri, per
evitare la marginalizzazione e dunque possedere le informazioni
fondamentali (ibidem). Per questo le motivazioni che inducono i
consumatori a volere dei beni possono essere sintetizzate in un
problema di controllo sul processo di produzione del significato, cioè
un problema di informazione. Il consumo è considerato, da Douglas,
come un’arena in cui gli individui, con lotte reciproche per il controllo
dell’informazione, elaborano delle strategie di inclusione ed
esclusione (Sassatelli, 2004). La ricchezza, perciò, non deriva dai beni
posseduti, ma dall’essere parte di processi di scambio in cui i contatti
16
con gli altri sono facilitati dai beni. Al di là della loro funzionalità
materiale, i beni fungono da strumenti per entrare in un gruppo. E’ per
questo motivo che, per Douglas, il consumo possiede un carattere
decisamente razionale. Molto spesso i beni sono vissuti dal
consumatore come un ponte che conduce ad ideali altri. Possono
rappresentare qualcosa che il consumatore desidera ma non è in grado
di ottenere oppure qualcosa che possiede, ma è solo una parte del
“significato trasposto”. Vale a dire un significato sottratto dalla vita di
tutti i giorni e trasportato in un altro universo culturale, dove, allo
stesso tempo, può essere visto come lontano, ma anche come
facilmente raggiungibile (Douglas e Isherwood, 1979; trad. it. 1984).
Se quindi, inizialmente, si era portati a pensare che ogni individuo era
destinato ad un consumo pre-ordinato generalmente imposto da un
ordine economico dominante, che i consumatori fossero votati alla
passività e facilmente riconducibili a classificazioni e che il consumo
dovesse seguire binari già tracciati per il consumatore, in realtà presto
ci si è resi conto che non era affatto così. In effetti le procedure di
creazione del linguaggio, che sottostà al consumo, funzionano in
relazione a situazioni sociali e rapporti di forza, ed è, quindi,
necessario differenziare le azioni dei consumatori attraverso i prodotti.
Allora quali sono i margini di manovra che l’individuo ha a sua
disposizione?
De Certeau distingue tra strategie e tattiche. La strategia è un gesto
tipico della modernità scientifica, politica e militare, presuppone
infatti un luogo ed è vincolato ad un soggetto dotato di volontà e
soprattutto di potere;
le strategie sono dunque azioni che, grazie al
postulato di un luogo del potere (il possesso di uno
spazio proprio), elaborano luoghi teorici (sistemi e
discorsi Totalizzanti), capaci di articolare un insieme
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di luoghi fisici in cui le forze vengono ripartite.
(ibidem, 71)
la tattica, invece, non può contare su una base propria; parlare di
tattica vuol dire, quindi, parlare di un’azione da compiere all’interno
di un territorio altro.
Le tattiche sono procedure che valgono grazie alla
pertinenza che conferiscono al tempo, alle circostanze
che l’istante preciso di un intervento trasforma in
situazione favorevole. (ibidem, 71)
La tattica implica sempre una dipendenza temporale, una ricerca di
trasmutazione degli eventi in occasioni (De Certeau, 2001). Mentre le
strategie sono sostenute alla base da un potere consolidato, le tattiche
vengono definite come “l’intelligenza indissociabile da affanni e
piaceri quotidiani”(ibidem).
L’agire di consumo è riconducibile all’area delle tattiche, infatti così
come nel linguaggio i messaggi possono, attraverso gli idioletti,
assumere differenti sfumature allo stesso modo il consumo è oggetto
di innumerevoli atti creativi. De Certeau porta ad esempio come, già
ai tempi dei colonizzatori spagnoli nelle Americhe, le tribù indiane
trasformassero le azioni rituali loro imposte, usandole a loro modo,
creando così un connubio tra le loro credenze e quelle a loro estranee
e facendole diventare infine altro.
De Certeau parla inoltre di “opacità” della cultura popolare
intendendo, appunto, la capacità di trovare un spazio di movimento
all’interno di un ordine vincolante e costituito da altri, la definisce
come una sorta di stratagemma da combattenti per aggirare le regole.
I consumatori utilizzano i prodotti secondo modalità proprie.