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La terza parte sarà interamente dedicata allo studio del trailer come mezzo di
promozione principale. Ne sarà delineata la struttura principale, gli elementi del
linguaggio e della retorica, le strategie, per individuare il tipo di relazione che esso è
in grado di instaurare con lo spettatore e con il proprio oggetto di riferimento: il film.
A questo proposito è importante osservare come il trailer sia in grado di assumere la
connotazione di testo a sé, soprattutto grazie all’utilizzo che ne viene fatto all’interno
della programmazione televisiva, alla fruizione da parte degli spettatori e alla nascita
di festival interamente dedicati all’argomento.
Infine, prendendo atto del necessario adeguamento alle nuove tecnologie, l’ultima
parte riguarderà l’evoluzione del trailer verso nuove tipologie strategiche e nuove
forme ibride di promozione, anche a livello interattivo, che si pongono in una zona
liminale tra la struttura classica del trailer e l’applicazione di linguaggi propri di
Internet e delle tecnologie delle Reti, sfruttando al meglio il rapporto che sussiste tra
spettatore e strumento pubblicitario.
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CAPITOLO PRIMO
IL CINEMA E L’ECONOMIA DELL’ENTERTAINMENT
1. L’industria culturale
Parlare di cinema vuol dire addentrarsi nell’acceso dibattito tra coloro che ne esaltano
l’aspetto intellettuale, considerandolo esclusivamente come espressione artistica, e
coloro che invece ne colgono l’aspetto più commerciale, considerandolo una forma di
guadagno e un oggetto di consumo.
Francesco Casetti, teorico del cinema, cita nel suo libro una frase di Peter Bachlin che
dice: “un film, in quanto produzione intellettuale, ha tutti i requisiti per essere
un’opera d’arte, ma è necessariamente anche una merce a causa delle diverse
operazioni industriali e commerciali richieste dalla sua produzione e dal suo
consumo”.
Se infatti, nelle altre produzioni intellettuali la commercializzazione appare solo al
momento della diffusione, nel cinema ogni fase di lavorazione, anche creativa, è
commercializzata.
Esso entra così a far parte di quel fenomeno chiamato “industria culturale”. Tale
concetto, introdotto nel 1962 da Edgar Morin, racchiude in sé “l’insieme degli
apparati di produzione, distribuzione e consumo di beni culturali che, per quanto
diversi nella qualità dei mezzi impiegati e dei pubblici a cui si rivolgono, funzionano
in modi e forme integrate sino a comporre una sola macchina, un solo sistema
complesso.”
1
1
Alberto Abruzzese, Lessico della Comunicazione, Meltemi, Roma, 2003.
10
In questa prospettiva, che Horkheimer e Adorno della Scuola di Francoforte hanno
interpretato negativamente, come un’eccessiva standardizzazione e attività di
controllo dell’estetica e del sistema culturale, Alberto Abruzzese esprime un punto di
vista più obiettivo e adeguato ai tempi.
L’industria culturale e con essa il cinema, mostrando il proprio funzionamento e i
propri meccanismi, consentono al consumatore di instaurare un rapporto di
complicità, senza rendersi schiavo del sistema. Non si tratta più quindi di
“mercificazione dell’estetica”, ma di “estetizzazione della merce”
2
.
In questo dialogo, il consumatore arriva ad una sorta di tecnologizzazione del corpo,
senza cedere al totalitarismo culturale che sembrava attaccare, secondo alcuni
studiosi, aspetti importanti del sistema sociale.
Il cinema trova così il suo equilibrio: essendo costruito su un modello industriale,
riesce comunque ad instaurare tale dialogo con lo spettatore, introducendo, in termini
di marketing, un orientamento al mercato, così come è dimostrato anche dalla storia
dell’industria cinematografica.
In questo tacito patto tra cinema e spettatore si svolge uno scambio: in cambio di
un’esperienza, in questo caso la visione di un prodotto-film, si chiede un corrispettivo
in denaro. Sta al cinema poi rendere quest’esperienza il più diversa dalle altre, sia per
quanto riguarda altri film che per le forme alternative di intrattenimento. Lo stesso
valore d’uso dei film impedisce alla standardizzazione di svilupparsi al di là di certi
limiti. Va poi al marketing e alla promozione pubblicitaria il compito di rendere
percepibile e appetibile questa differenza.
2
Francesco Casetti, Teorie del cinema 1945-1990, Studi Bompiani, Milano 1993, p.135
11
2. Il film come prodotto commerciale
Descrivere il prodotto dell’industria cinematografica significa ricondursi a due
branche dell’economia: quella dei beni culturali e quella dell’intrattenimento.
La disciplina economica per i beni culturali comprende due tipi di beni: i beni artistici,
che si suddividono in arti visive e arti rappresentate, in cui il prodotto dell’attività
dell’artista è un’opera unica ed autentica, e i prodotti dell’industria culturale, cioè
quelle opere riproducibili e concepite per essere riprodotte.
Il film è un prodotto il cui output sul mercato è misurabile allo stesso modo delle arti
rappresentate con il numero di posti occupati, ma è anche un prodotto che si fonda
sulla riproducibilità dell’originale in copie tutte uguali, presentando così
caratteristiche comuni ad entrambe le tipologie.
Il cinema si fonda sul concetto di spettacolo, con un prodotto a consumo collettivo ma
esclusivo, nel senso che l’accesso del pubblico ai locali della rappresentazione è
regolato dal pagamento di un biglietto d’ingresso. I prezzi dei biglietti non sono
definiti in funzione del tipo di spettacolo offerto, il successo di uno spettacolo si
riflette quindi sulla sua permanenza in cartellone e non sul prezzo d’ingresso.
Questo porta ad inserire il prodotto cinematografico non solo nella categoria dei beni
culturali, ma anche in quella dell’amusement e dell’entertainment.
Il consumo del prodotto cinematografico ha infatti seguito lo stesso percorso fatto
dall’economia dell’intrattenimento, fin dal suo sviluppo.
Attorno alla fine dell’Ottocento si erano create delle condizioni ideali per un
cambiamento fondato sul nuovo concetto di tempo libero.
12
La popolazione urbana era vasta e concentrata e la crescita del reddito e l’aumento
della disponibilità di tempo esterno al lavoro permetteva il consumo di attività
collaterali, di intrattenimento appunto.
Il miglioramento dei sistemi di trasporto pubblico e privato e i passi da gigante fatti
nel campo della tecnologia non potevano che favorire la situazione.
Il cinema si è trovato a condividere, alla sua nascita, le modalità di consumo delle
attrazioni, entrando in spazi avvolti da un alone di “mistero, di magia e talvolta di
suggestione erotica, […] come le fiere, i carrozzoni ambulanti, i teatri itineranti, i
vaudeville ecc. che, proprio per la natura dei prodotti offerti, assumevano
contemporaneamente sia le caratteristiche dei non-luoghi – ovvero quegli spazi
caratterizzati dal fatto di non fornire identità, di non essere relazionali, dove il tempo
cambia e il luogo presenta un’artificiosità costante – sia le caratteristiche di luoghi
esclusi e separato dalla normalità.”
Nel corso del tempo, il fenomeno è poi andato incontro ad un’istituzionalizzazione,
con spazi dedicati appositamente al consumo del prodotto filmico, permettendo una
maggiore legittimazione di questa forma di spettacolo.
Il cinema si trova quindi a confrontarsi, in questo contesto dell’economia
dell’entertainment, con tutti quei comportamenti o attività che si svolgono nel tempo
libero, ormai – secondo Rifkin – quasi completamente mercificato, il cui uso
presuppone il sostenimento di un costo. E come in qualsiasi altro stato concorrenziale,
l’obiettivo è raggiungere il miglior risultato possibile: il marketing e la comunicazione
arrivano ad assurgersi come strumenti ideali.
Per citare una frase di Mario Morcellini: “il cinema è comunicazione che a sua volta
deve essere comunicata.”
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E nonostante esso sia il medium meno advertising supported, cioè che meno dipende
dal contributo finanziario della pubblicità, ha bisogno di essa per raggiungere una
fetta consistente di possibili consumatori.
È importante a questo punto vedere come questa forma di spettacolo si è sviluppata
sotto forma di industria e in che modo il marketing e la promozione si sono fatti
avanti come strumenti essenziali per la sopravvivenza del cinema.
14
3. L’evoluzione del marketing e della promozione cinematografica
3.1. Gli esordi
L’industria del cinema nacque sul finire dell’Ottocento, esplodendo subito con precise
caratteristiche, incredibilmente moderne se confrontate al contesto dell’industria
dell’intrattenimento dell’epoca. Si pose immediatamente come mass market, a larga
diffusione di mercato e non relegato ad un consumo elitario o di nicchia, e allo stesso
tempo ebbe un forte connotato di innovazione tecnologica, che spesso condizionava,
come succede oggi, il consumo di prodotti filmici; in rapporto al mercato, infine,
sperimentò una ricca strumentazione di marketing, come complemento essenziale per
la penetrazione nel mercato.
L’esordio in due continenti, gli Stati Uniti e l’Europa, avvenne pressoché
contemporaneamente, anche se l’Europa rappresentò inizialmente il centro
dell’innovazione produttiva e gli Stati Uniti divennero da subito il mercato più vasto e
internazionale.
Fino alla Prima Guerra Mondiale l’Europa si trovò dominante sia sul piano industriale
che su quello creativo: standard tecnici come lo stesso Kinetoscope, che fu la base
economica del settore cinematografico negli Usa e nei paesi europei, provenivano
direttamente dalla Francia e le imprese che prima del 1915 determinarono il dominio
europeo a livello internazionale furono Pathé Frères e Gaumont, entrambe francesi.
Nonostante ciò, alcune importanti innovazioni di prodotto, introdotte ad esempio da
C. Méliès, non vennero accompagnate da una strategia di distribuzione efficace,
costringendo le sue produzioni a concentrarsi nelle fiere, senza poter beneficiare della
nascita degli esercizi cinematografici stabili.
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Al centro della strategia di internazionalizzazione della Pathé vi era il mercato
americano, il più grande del mondo e in continua espansione: difatti i film prodotti si
dimostrarono molto popolari anche negli Stati Uniti, tanto che la casa di produzione vi
arrivò a realizzare direttamente le proprie pellicole.
Per contro, la nascita di Hollywood (inizialmente chiamata Frostless Belt) fu
impostata come una qualsiasi altra attività industriale, con una ricerca della grande
dimensione aziendale e il controllo degli sbocchi di mercato, che allora erano
costituiti dalle sale cinematografiche, cercando un’integrazione verticale del settore;
da subito ci fu un orientamento verso una produzione confezionata con ogni cura
perché riuscisse gradita al mercato, arrivando alla costituzione dello studio system con
un atteggiamento market oriented: l’affermazione di tale impostazione portò
all’utilizzo dei sistemi di genere come strumenti di marketing e di fidelizzazione del
consumatore.
Negli anni Dieci, l’integrazione tra produzione e distribuzione e il forte potere
contrattuale delle grandi imprese, portò alla nascita di pratiche vincolanti nei confronti
degli esercenti, quali il block booking e il blind bidding. Il primo, consisteva nel
legare la distribuzione di uno o più film a condizione che l'esercente si impegnasse a
noleggiare anche altri film distribuiti in un periodo determinato, usando la popolarità
dei film di successo per obbligare i proprietari di cinema a comprarli congiuntamente
con film di minor richiamo commerciale. Il secondo, invece, riguardava la pratica di
presentare offerte di pellicole senza la possibilità di visione anticipata rispetto alla
consegna
3
.
3
Per una migliore analisi delle pratiche commerciali citate, vedi “Economia del Cinema.
Principi economici e variabili strategiche del settore cinematografico”, Perretti – Negro, Etas,
2003.
16
“Agli inizi della diffusione commerciale del cinematografo, i film erano venduti al
metro, indipendentemente dal contenuto, il che dimostra un evidente orientamento
alla produzione seriale di massa”
4
Il passaggio negli Stati Uniti dalla proiezione di cortometraggi al lungometraggio
modificò la struttura concorrenziale del settore, poiché i metodi di produzione
impiegati in Francia erano differenti. Pathé e Gaumont continuarono difatti a produrre
cortometraggi, senza inoltre tentare di standardizzare il processo produttivo con gradi
più elevati di divisione del lavoro. L’importanza della figura del produttore
nell’industria statunitense veniva praticamente sottovalutata in Europa. Tali ostacoli e
l’arrivo della Prima Guerra Mondiale furono la causa di un forte declino del cinema
europeo, mentre gli Stati Uniti proseguivano la propria corsa verso
l’industrializzazione.
3.2. L’oligopolio delle Major
La prima casa di produzione ad iniziare il processo d’integrazione verticale fu la
Paramount Pictures Corporation, fondata da Adolf Zukor, che già nel 1921 aveva
acquistato più di 600 sale, ma ben presto il mercato si accentrò attorno a tre imprese
completamente integrate, dette Majors: la Paramount, appunto, la Loew’s e la First
National. Le concorrenti solo parzialmente strutturate, controllando solo la produzione
e la distribuzione, vennero chiamate Minors ed erano: Fox, Warner Bros., Universal e
United Artists.
Il fenomeno della proprietà delle sale permetteva alle majors un monitoraggio certo e
diretto del mercato riguardo al livello di accoglienza, da parte dello spettatore, del
4
Rifkin, L’era dell’accesso, 2000, p. 33.
17
genere del film, del soggetto e degli interpreti, sviluppando sin dagli inizi una
strategia market oriented.
Successivamente, gli investimenti per l’introduzione del sonoro nel 1928 e la crisi
economica causata dal crollo di Wall Street nell’anno successivo, portarono
all’intervento di banche e grandi investitori a sostegno di questa industria che stava
suscitando sempre maggiore interesse. Tale operazione però, a fronte di una maggiore
garanzia per la produzione di film, comportò anche la necessità di garantire
un’adeguata distribuzione ai propri prodotti. Fu l’affermazione di un oligopolio
costituito adesso da cinque majors – Paramount, Loew’s MGM, Warner Bros., Fox
Corporation e RKO – e tre minors – Universal, Columbia e United Artists, che
insieme generavano oltre il 95% degli incassi dei distributori.
Nonostante le strategie di marketing fossero determinate dalle decisioni delle imprese
major, il controllo sul settore lasciava qualche spazio per la distribuzione delle scarse
produzioni indipendenti nel mercato del noleggio di seconda e terza visione e delle
sale indipendenti dei circuiti.
In ogni caso, gli Studios, oltre a creare barriere alla distribuzione dei prodotti filmici,
discriminando l’accesso del pubblico a uno specifico prodotto, soprattutto se
indipendente, iniziarono a far leva massicciamente sulla potenza degli strumenti
pubblicitari, riuscendo a convincere gli spettatori che il cinema fosse il mezzo più
economico per abbandonarsi all’oblio e ai sogni, in un periodo di crisi nera. Una
mossa del genere consentì a questa fabbrica dei sogni dell’immaginario collettivo di
uscire dalla crisi prima degli altri settori economici, andando a costituire
probabilmente uno dei motivi del grande successo del cinema americano.
Nei mercati europei, invece, i problemi associati all’introduzione del sonoro furono
principalmente due: la necessità di ingenti investimenti nella conversione ai nuovi
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sistemi di registrazione e proiezione, e le barriere linguistiche e i costi di adattamento
dei prodotti ai differenti mercati nazionali che le case di produzione dovevano
affrontare.
Inoltre, l’intervento pubblico entrato a sostegno delle imprese, iniziato in Germania
con la creazione dell’UFA, pur consentendo una maggiore stabilità nel settore,
allontanava la produzione dalle esigenze del mercato.
3.3. Gli anni d’oro del fordismo
Accanto all’integrazione verticale delle grandi imprese cinematografiche si
sviluppava nel frattempo negli Stati Uniti un modello produttivo, centralizzato e
standardizzato: lo studio system.
Adeguandosi al modello fordista della produzione lineare a flusso continuo, anche il
settore cinematografico americano adottò un “preciso metodo di organizzazione del
lavoro di ideazione, progettazione e realizzazione di un film, teso alla
massimizzazione dei profitti attraverso uno sfruttamento ottimale delle risorse”
5
. In
questo sistema, tutto si basava sulla suddivisione del lavoro in maniera rigida e
regolata e tutte le funzioni e le professionalità all’interno del ciclo produttivo di un
film si trovavano ad un livello di subordinazione rispetto alla figura del produttore.
Ogni pellicola veniva prodotta come in una catena di montaggio, passando
linearmente da un reparto all’altro della produzione, in un processo frammentato in
fasi di lavorazione. In tutto questo, la figura del regista non disponeva di autonomia
creativa, ma doveva sottostare alle esigenze del produttore: erano pochi i registi, come
John Ford, Frank Capra, Charlie Chaplin ed Ernst Lubitsch, che godendo di una
5
Cinema. Industria e marketing, di Celata – Caruso, pag. 25
19
reputazione di successo, disponevano di un superiore grado di autorità e
discrezionalità sui film che dirigevano. Allora andare al cinema era un’abitudine e
anche il modo più frequente ed economico di trascorrere la serata, tanto che il
ricambio era di almeno due film a settimana: ad una domanda così elevata quindi
bisognava rispondere con una produzione ricca e snella.
Ogni studio definì uno stile distintivo nell’assemblaggio di input produttivi: Metro
Goldwyn Mayer si specializzò nella produzione di film sofisticati con attori famosi,
Paramount si distinse con commedie brillanti in cui recitavano artisti provenienti dal
teatro, dal vaudeville e dalla radio, Warner Bros, che non disponeva di un grande
carnet di stelle, diversificò il proprio output con film drammatici e di genere, Fox
progettava le proprie pellicole impiegando trame dalla formula stereotipata ed, infine,
RKO introdusse i musical e distribuì con successo i film d’animazione creati da Walt
Disney.
Già potente fenomeno ai tempi del cinema muto, crebbe ancora di più in questi anni il
fenomeno del divismo, creando lo star system. Gli attori rappresentavano la principale
fonte di differenziazione delle pellicole, di fidelizzazione del pubblico e di marketing
del film stesso. Non vi erano barriere politiche, sociali o nazionali: Hollywood
attirava e creava fenomeni provenienti sia dagli States che dall’estero. Le star
potenziali, le starlet, venivano poste sotto contratto dallo studio che, in caso di
successo, poteva garantirsi i benefici di accordi a lungo termine e a condizioni
stabilite prima che gli interpreti raggiungessero la celebrità. Il divismo divenne così
un complesso e prezioso strumento di promozione del prodotto filmico e ancora oggi
lo star system svolge una funzione decisiva nel costruire l’appetibilità di un film per il
mercato, maggiorando a dismisura i conti delle produzioni. Strettamente legato allo