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destra ricalchi un giudizio di valore dal fortemente critico al tiepidamente critico, ed in
ultimo all’acritico (il che non significa necessariamente a favore). Vi è chi, sulla scia di
un’ottica economicista e fortemente polemica, ha interpretato questo movimento niente
più che come un gruppo di uomini che hanno saputo meglio di altri elogiare
l’imperialismo americano e che per questo sono stati ripagati dalle multinazionali con
un posto al sole vicino alla Stanza dei bottoni. Altri, invece, sostengono che il
neoconservatorismo sia un progetto politico derivante da una ben identificabile
attitudine comportamentale, quella dell’etica della convinzione, l’applicazione insomma
di uno schema concettuale da inquadrarsi nel filone del radicalismo politico. Altri
ancora, come Steinfels, hanno visto nel neoconservatorismo un movimento sì
conservatore, ma anche genuinamente americano, e quindi impossibile da comprendere
se analizzato “alla maniera europea”, al di fuori della peculiarità americana. In ultimo,
c’è chi considera i neocons conservatori tout-court: non vi è nessuna sorpresa ma solo
un ricambio generazionale avvenuto in seno al Partito repubblicano. Ciascuna griglia
interpretativa ha il suo merito, ma nessuna ha saputo offrire una spiegazione davvero
esaustiva del problema. I primi propongono una teoria semplice ed attraente, ma tutta
incentrata sugli effetti distruttivi e dimentica delle cause più profonde, culturali, del
pensiero neocon e della sua natura chiaramente trascendente ed interclassista. I secondi
comprendono la metodicità innata in ogni pensiero politico militante e radicale, ma la
loro visione non spiega la posizione nettamente conservatrice che il neoconservatorismo
occupa negli affari di politica interna. Le posizioni di Steinfels hanno il pregio di
strappare la critica del neoconservatorismo al monopolio europeo, ma pagano le
conseguenze cronologiche: si fermano a metà degli anni ottanta e molte cose sono
cambiate da allora. L’ultima interpretazione del neoconservatorismo, a mio giudizio,
coglie nel segno quando lega a doppio filo il movimento all’Elefante repubblicano, ma
non spiega affatto il perché delle sue origini collocate a sinistra. Dal mio punto di vista,
il neoconservatorismo può essere definito propriamente come l’ideologia politica che è
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alla base del movimento neoconservatore statunitense. Il Verbo neocon nasce nella
seconda metà degli anni sessanta in ambienti non conservatori ed è il frutto del
profondo ripensamento operato da alcuni intellettuali dei temi cari alla sinistra non
comunista verificatosi negli Stati Uniti una decina di anni addietro. Proponendosi, per
bocca stessa dei suoi fondatori ed epigoni, come il pensiero politico che rispecchia nel
modo più nobile l’essenza della civiltà occidentale, il neoconservatorismo si prefigge
come massimi obiettivi: 1) la difesa della democrazia liberale e capitalista da attacchi
interni ed esterni nei Paesi ove essa sia già stata instaurata; 2) la sua estensione alle aree
del mondo in cui essa non sia operativa. In quanto progetto politico con aspirazioni
globali, il neoconservatorismo deve essere iscritto fra le teorie politiche radicali o
utopistiche. Occorre, in seconda analisi, separare il movimento neocon, da riferirsi
geograficamente agli Stati Uniti d’America o al limite anche alla Gran Bretagna, da una
ancora non ben definita attitudine, un certo modo di pensare il mondo ed il proprio
ruolo nel mondo che il neoconservatorismo condivide almeno in parte con altre forme di
pensiero politico radicale per come si sono manifestate in ambienti sia
cronologicamente antecedenti alla formazione del movimento (il puritanesimo nel
Seicento inglese e nei primi decenni del Settecento americano), come anche non
anglosassoni (si pensi ai bolscevichi russi). Rispondendo alla domanda precedentemente
formulata e riguardante la causa del successo del neoconservatorismo negli Stati Uniti,
io credo si sia trattato di un caso andato a buon fine di innesto di quelli che in gergo
tecnico sono detti “a marza”. Come infatti in agricoltura è possibile che un corpo
estraneo, ad esempio un ramo giovane, dopo esser stato congiunto tramite una corda al
tronco di un albero preesistente e vivo possa nel giro di poco tempo divenire una cosa
sola con l’albero che lo aveva accolto e crescere in salute assieme ad esso, così le idee e
le argomentazioni di fondo sostenute dai primi neocons, seppur provenienti in
larghissima misura da un ambiente religioso (ebraismo) e politico (socialismo)
differenti da quelli dominanti negli Stati Uniti (cristianesimo protestante e liberalismo),
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si sono armonicamente inserite con i filoni principali di politica estera ed interna
americana ed hanno finito con l’emergere dalla nicchia al governo. A partire da queste
premesse e considerazioni inizia la ricerca delle condizioni che hanno reso possibile la
buona riuscita di questo tentativo di innesto, concretamente reso necessario
dall’esplodere del nazismo in Germania e del comunismo in Unione Sovietica, che
hanno condannato tanti intellettuali europei sgraditi e perseguitati a causa delle loro idee
politiche o a causa della loro appartenenza etnica e religiosa all’emigrazione in
America. Occorre chiedersi perché il neoconservatorismo non sia stato rigettato
dall’elettorato statunitense. Una risposta a questa curiosità aiuterà di certo a
comprendere i caratteri dell’eccezionalismo americano, ma anche il nostro presente.
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CAPITOLO PRIMO
SULL’ESPANSIONISMO AMERICANO PRIMA DEI
NEOCONSERVATORI
1.1. Sul tema dell’elezione nel radicalismo politico puritano.
Molto è stato scritto sulla Rivoluzione Americana, sulle idee che ne sono state alla
base, sui suoi protagonisti ed epigoni. L’opinione dominante riscontrabile in questo tipo
di letteratura individua nel pensiero lockiano la genesi dell’identità americana. Di
conseguenza, al centro della discussione sono il liberalismo politico di matrice
anglosassone, il liberismo economico, la tolleranza religiosa e l’individualismo dei
possidenti agricoli e poi industriali. Sempre più spesso, tuttavia, ci si rende conto che
questo quadro concettuale non risolve efficacemente la realtà dei fatti. Si va, piuttosto,
nella direzione di considerare una cosa il pensiero lockiano, come la via seguita dai
Padri Costituenti nel designare a chi spettasse il potere temporale e come lo si dovesse
gestire e limitare, ed altro il substrato, il patrimonio simbolico originario dei primi
colonizzatori. Il riferimento, ovviamente, è al credo religioso ed all’intensità con cui
esso è vissuto. Il tema mi pare attuale. Plotke, in un recente articolo afferma che la
mobilitazione fondamentalista religiosa: “[is] one of the most important developments
of the last thirty years. There has been an extraordinary growth of religious forces in
politics, and this growth has occurred mainly on the right”.
1
Perché si è avuta una
escalation così decisa di ingerenza religiosa in politica in un Paese la cui condotta di
vita degli abitanti è simbolo in tutto il mondo di materialismo, consumismo ed
individualismo esasperato? Plotke non parla di nascita ma di crescita, a sottolineare che
1
In The success and anger of the modern American Right, saggio contenuto in The Radical Right, a cura
di Daniel Bell, Transactions Publishers, New Brunswick, New Jersey, Library of Congress, 2002, p. LXII
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si sia soltanto risvegliato qualcosa già affermatosi in precedenza. Ebbene, a guardare
all’intera storia degli Stati Uniti, pare proprio che il sentimento religioso non soltanto
non sia mai venuto meno, ma anzi abbia costituito la principale fonte della definizione
dell’identità dei primi cittadini americani, già coloni ribelli inglesi.
Io concordo con Stephanson e con Walzer quando vedono nel puritanesimo, una
particolare interpretazione integralista del protestantesimo inglese, il più influente credo
religioso americano. Minoritario ed emarginato nella Madrepatria, il puritanesimo fu in
grado di plasmare la vita culturale delle prime generazioni di coloni anglosassoni e gli
deve perciò essere riconosciuto lo status di espressione religiosa egemonica statunitense
e terreno sul quale i Padri Costituenti, una volta ottenuta l’indipendenza, si trovarono ad
applicare le teorie di Locke. L’impronta puritana si sarebbe manifestata (e
continuerebbe nel presente) nell’autocoscienza “entusiasta” di un Popolo che si crede
eletto da Dio, nel settarismo, nel millenarismo e nell’inclinazione permanente alla
guerra santa. Iniziata negli anni Trenta del Seicento, l’emigrazione su vasta scala di
esuli puritani provenienti dall’Inghilterra portò alla colonizzazione dei territori poi
ribattezzati New England, Nuova Inghilterra. Già solo la scelta del nome richiama il
tema della predestinazione. Il futuro presidente Jefferson infarciva i suoi discorsi di
riferimenti biblici che rendessero chiara a tutti i cittadini (allora ancora britannici)
l’eccezionalità della loro situazione e la loro missione santificatrice e civilizzatrice: “[il
Signore ha condotto] i nostri padri lontano dalla terra natìa, come un tempo il popolo di
Israele, collocandoli in una terra ricca di tutte le necessità e di tutti gli agi della vita”
2
.
Più di duecento anni dopo, Reagan si esprimeva con gli stessi termini. I puritani
ritenevano di possedere la chiave di lettura per comprendere un destino a sua volta
razionale ed in Dio predeterminato. Si potrebbe dire che essi concepissero la libertà in
2
cit. in A. STEPHANSON, Destino manifesto. L’espansionismo americano e l’Impero del Bene,
Feltrinelli, 2004, p. 19
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termini di “fare del proprio destino una libera scelta”. In riferimento all’espansionismo
in politica estera, la concezione puritana del rapporto fra la comunità ed il “fuori” è stata
ormai metabolizzata e fa parte del patrimonio culturale di tutti gli americani, magari
svilita nell’originaria profondità, ma ad ogni modo intatta quanto a forza di
aggregazione. Anche a causa del pluralismo confessionale che è alla base dei rapporti
fra Stato e Chiese, fra laici ed appartenenti a confessioni religiose il dibattito volge in
favore di questi ultimi. Attualmente, in America, i neocons si permettano di incitare
all’Impero
3
ed alla fine delle Nazioni Unite. Allo stesso modo, i teocon, loro alleati,
incitano alla Guerra santa permanente e lottano per la restrizione di libertà civili come
l’aborto o il divorzio. Ciò da un lato testimonia che l’America è davvero uno Stato
liberale in cui la libertà di espressione non è in questione. Dall’altro, occorre riflettere
sulle ragioni dell’ampia popolarità di tali proposte.
Scrive Walzer sull’uomo puritano: “mi appare ora come il primo di quegli agenti
della ricostruzione sociale e politica che, con la loro autodisciplina sono apparsi così di
frequente nella storia moderna. E’ il distruttore del vecchio ordine di cui non c’è
bisogno di essere nostalgici. E’ il costruttore di un sistema repressivo che forse bisogna
saper sopportare prima che lo si possa sfuggire o trascendere. Soprattutto, è un politico
straordinariamente audace, creativo e determinato, come forse dev’essere un uomo che
ha grandi cose da compiere, perché “le grandi opere hanno grandi nemici.”
4
Come i
puritani, anche i neocons emersero da un “fuori”, ideologico come anche geografico.
Molti di essi (si pensi a due capiscuola come Kristol e Podhoretz) erano ad esempio
ebrei europei. Ciò che li accomuna, quindi, è prima di tutto il costituire una élite unita e
militante che crede di riconoscere negli obiettivi che persegue la difesa di interessi
3
Sul sito del Christian Science Monitor (www.christiansciencemonitor.com) essi sono definiti Empire
Builders.
4
M. WALZER, La rivoluzione dei santi. Il puritanesimo alle origini del radicalismo politico, Claudiana,
1996, p. 33