1.1.1 IL FRANCHISING NEGLI STATI UNITI
L’origine del franchising come tecnica distributiva può essere fatta risalire agli anni
‘30 negli Stati uniti allorché l’industria automobilistica dovette affrontare la
legislazione anti-trust appena imposta, che proibiva un’integrazione verticale.
Grandi compagnie come la General Motors, la Singer ed altre cercarono di sfruttare
questa tecnica che permetteva loro di coprire grandi aree commerciali ancora libere a
costi relativamente bassi, in maniera più rapida ed efficace, contrastando inoltre il
dilagare delle grandi imprese a succursali.
Successivamente questo sistema si estese ad altri settori per commercializzare altri
prodotti (tessili, articoli per la casa, ecc.) e servizi (autonoleggio, lavaggio rapido,
alberghi, consulenze amministrativo-fiscali, ecc.).
Lo sviluppo vero e proprio del franchising si è però avuto dopo la seconda guerra
mondiale, tanto da poter parlare di un vero e proprio “franchise boom”.
Si può dire, analizzando i dati riferiti al franchising, che esso ha giocato e gioca
tuttora negli Stati Uniti un ruolo molto importante nell’economia.
Secondo i dati ricavati dall’indagine annuale condotta dal Dipartimento del
Commercio degli USA si evidenzia un costante aumento del numero dei franchisor e dei
franchisee negli anni dal 1972 al 1991; nel 1991, il valore delle vendite dei franchisee
aveva raggiunto la cifra di oltre 232 miliardi di dollari, con un numero di punti vendita
di 408.000 unità.
Negli anni recenti si è assistito all’esportazione, da parte dei franchisor americani, dei
loro sistemi soprattutto verso il Canada, l’Europa e l’Australia. Nel 1988, 354
franchisor americani operavano nei mercati mondiali attraverso 31.626 franchisees.
3
1.1.2 ORIGINI DEL FRANCHISING IN ITALIA
Vediamo ora di accennare alle origini che il franchising ha avuto nel nostro paese.La
data di nascita, se così si può definire è quella del 18 settembre 1970, quando
un’azienda della grande distribuzione, la Gamma d.i., poi assorbita dalla Standa,
inaugura a Fiorenzuola il primo di 55 punti vendita gestiti direttamente da una decina
d’affiliati.
La Gamma d.i. offriva ai propri affiliati una serie di servizi: sopralluogo da parte dei
propri funzionari; progettazione ed assistenza tecnica per l’allestimento del magazzino,
istruzioni per il personale direttivo e per quello di vendita, allestimento commerciale
dell’unità di vendita, assistenza per il lancio di apertura e l’inaugurazione dell’unità.
Per contro al potenziale affiliato si richiedeva una superficie di vendita di almeno 350
mq, di una licenza di magazzino a Prezzo Unico e di un capitale di 25/30 milioni.
3
Amoroso. M, Bonami.G., Grassi.P.,(1996), “Manuale del Franchising”, Maggioli, Editore.
Nella descrizione delle sue caratteristiche principali rimane il dubbio che questo tipo
di contratto potrebbe rientrare nelle definizioni moderne di franchising, dove si parla di
“immagine di marca” di “know-how”e di formule commerciali che sono già state
sperimentate, però è certamente qualcosa di nuovo nello scenario della distribuzione in
Italia.
La prima differenza che si può notare, almeno all’origine del fenomeno, tra gli Stati
Uniti e l’Italia è che nel nostro paese furono le imprese della grande distribuzione a
tentare lo sviluppo di questa nuova formula, mentre oltreoceano furono le grandi
imprese industriali ad utilizzarlo.
Questo fenomeno può essere spiegato con i problemi relativi ad un’eccessiva
“polverizzazione” dell’apparato distributivo al dettaglio che ha storicamente favorito
l’industria e le imprese industriali.
L’anomalia in Italia ha ostacolato lo sviluppo delle tipologie commerciale di grande
dimensione e anche alle varie forme di commercio a base succursalistica e anche a base
associativa.Attualmente, in mancanza di una legislazione chiara in materia, si sta
rischiando una troppo brusca inversione di tendenza a favore della grande distribuzione.
Nella fase attuale di sviluppo del franchising si scopre che esso è utilizzato soprattutto
da imprese industriali e dei servizi; inoltre nel nostro paese sono sempre un maggior
numero di aziende di piccole e medie dimensioni che si interessano a questa tecnica e
che si affacciano nel mercato con nuovi sistemi di franchising.
Il settore della moda è particolarmente attivo su questo fronte, infatti, sono sempre più
numerose le aziende Italiane che utilizzano questo strumento strategico per la conquista
di nuovi mercati all’estero.
1.2 LA CONCENTRAZIONE E LA CONCORRENZA NEL COMMERCIO
Allo scopo di modernizzarsi, il commercio ha attribuito grande importanza alle attività
di concentrazione e internazionalizzazione. Le concentrazioni commerciali, e lo
sviluppo della grande distribuzione ha subito una forte accelerazione a partire dagli anni
’90, in tutti gli Stati membri, e anche nell’Italia settentrionale. L’enorme sviluppo delle
grandi superfici di vendita (iper e supermercati), sta provocando la continua uscita dal
mercato delle piccole imprese alimentari, ed è in atto una forte riduzione di quelle non
alimentari.
Ad esempio, nel 1994, le sei principali catene di supermercati alimentari in ciascuno
stato membro assorbivano una quota significativa del mercato: 57% in Germania, 61%
in Belgio, 35% in Spagna, 67% in Francia, 39% in Grecia, 28% in Italia.
Il lato negativo di questo sviluppo è costituito dalla possibilità di un’eccessiva
dipendenza dei produttori da singoli clienti, che impedisce ai primi la ricerca di altri
clienti o nuovi distributori in concorrenza per gli approvvigionamenti. Questo fatto,
comporta, per i distributori minori, con una ridotta aliquota di mercato, l’impossibilità
di acquistare beni simili a prezzi simili. La concentrazione può inoltre incoraggiare i
fabbricanti dotati di una sufficiente forza sul mercato a sfruttare i compratori più deboli
alzando i prezzi, riducendone così la competitività e accelerando il processo di
concentrazione del settore al minuto.
4
Un altro aspetto importante che deriva dalla concentrazione in atto nel settore del
commercio, è rappresentato dall’inversione dei rapporti di forza tra industria e
distribuzione. Infatti, quest’ultima è oggi in grado di condizionare le politiche
commerciali e di marketing dell’industria, appropriandosi del rapporto con il
consumatore, attraverso lo sviluppo di proprie marche, ricercata dalle imprese di
distribuzione al dettaglio (store loyalty).
Al fine di rimanere competitive e di mantenere la rispettive quote di mercato, le PMI
commerciali tendono sempre più a collaborare in seno a reti associative sotto forma di
cooperazione fra dettaglianti, come i gruppi di acquisto, le catene volontarie, fra uno o
più grossisti e un certo numero di dettaglianti, e le reti in franchising. Questo nuovo
sistema di approvvigionamento, denominato commercio indipendente organizzato,
permette di integrare l’elasticità e le capacità di servizio dei piccoli negozi con i
vantaggi di un efficiente sistema logistico associato a strutture più ampie.
E’ un errore concludere che il commercio indipendente sia condannato a scomparire, e
anche se la modernizzazione della distribuzione si accompagna ad una tendenza alla
concentrazione ed allo sviluppo delle grandi imprese integrate, il franchising
rappresenta una possibilità di sopravvivenza dei commercianti indipendenti che
intendono associarsi, per reagire all’avvento della grande distribuzione. Allo stesso
tempo l’industria utilizza questo tipo di integrazione contrattuale per cercare di non
perdere il confronto con la grande distribuzione, accorciando sempre di più le distanze
con il consumatore finale, per ricevere direttamente i segnali ed interpretarne i bisogni.
4
“Il commercio. Bollettino d’informazione della Regione Sardegna”, Numero quattro-Ottobre 1997
1.2.1 ORIGINALITÀ’ DEL FRANCHISING NELLA MODERNA
DISTRIBUZIONE
Precedentemente si è accennato al fatto che il franchising è configurabile come una
strategia distributiva. Per chiarire meglio qual è l'originalità e il perché del suo utilizzo,
occorre collocarla nel contesto delle relazioni che si possono instaurare tra industria e
distribuzione.
Queste relazioni, nell’attuale struttura dei mercati, sono di vario tipo e fanno emergere
delle tendenze che si discostano da quanto teorizzato dalla letteratura ispirata
all’economia neoclassica, che attribuiva peso preminente all’aspetto contrattualistico-
negoziale delle relazioni cliente fornitore.
5
Semplificando si può sostenere che la struttura e la dinamica delle relazioni tra
industria e distribuzione sono influenzate da tre diverse componenti: la componente
contrattualistica, quella competitiva e quella strategica.
Nella prima prevale l’aspetto negoziale dello scambio e ciascuna delle parti cerca di
realizzare il massimo risultato a breve, facendo leva sulla propria forza contrattuale.Gli
scambi sono atti occasionali tra soggetti indipendenti ed autonomi.
Le relazioni di natura competitiva si riscontrano nel momento in cui si perde
l’armonia relazionale tra gli operatori che si collocano su livelli diversi della catena
produzione-distribuzione-consumo, e nascono occasioni di conflitto per la disputa delle
aree e delle funzioni di competenza.
Nella storia dei rapporti fra industria e distribuzione vi è una prima fase di prevalenza
del mercante-imprenditore e quindi c’è la prevalenza del momento distributivo. In
seguito la grande impresa industriale con l’avvento dei prodotti di marca e della
pubblicità ha tentato di ottenere un maggior potere di mercato. In questa fase invece la
grande industria distributrice ha spostato a valle il potere di mercato attraverso una
maggiore forza contrattuale e la capacità autonoma nei processi di formazione delle
aspettative dei consumatori.
Le relazioni di natura strategica si realizzano laddove le parti riconoscono
l’opportunità e la convenienza di gestire le proprie attività considerando tutti i vantaggi
ottenibili tramite una interazione tra le specifiche competenze e risorse per affrontare la
concorrenza. Queste forme di regolazione dei rapporti emergono nei settori in cui la
funzione distributiva e dei servizi è molto importante per il successo del business e allo
stesso tempo implica elevate competenze e risorse specialistiche che non sono
facilmente riproducibili.
Le forme organizzative che sono idonee a realizzare un tipo di relazione duratura e
che consentono di conseguire reciproci vantaggi sono varie e dipendono dal grado di
integrazione/centralizzazione che in esse si realizzano.
5
Cozzi G., Ferrero G.,(1996), “Le frontiere del Marketing”,G. Giappichelli Editore, Torino, p. 279
In uno schema di Fiocca e Vicari le alternative delle forme organizzative sono riportate
in un continuum che va dai rapporti di libero mercato fino all’impresa integrata:
6
- impresa indipendente coordinamento
- relazioni saltuarie di scambio del
- relazioni di fornitura mercato
- relazioni continuative acquirente venditore
- azioni collettive
- unioni volontarie
- consorzi
- accordi di esclusiva forme intermedie
- accordi di licenza
- sviluppo contiguo del prodotto
- franchising
- joint venture
- integrazione a monte e/o a valle coordinamento
- impresa integrata organizzativo
Le forme organizzative basate sul mercato basano la propria efficienza allocativa sui
meccanismi concorrenziali e dove si presume che vi sia trasparenza informativa e un
efficiente meccanismo di formazione dei prezzi.
Le altre forme di coordinamento si affermano invece dove i “fallimenti del mercato”,
dovuti ad una limitata capacità di elaborare informazioni e all’incertezza che
caratterizza i rapporti di scambio aprono la strada a meccanismi di coordinamento
aggiuntivi per abbassare il livello dei costi transazionali.
Non potendo approfondire ulteriormente il discorso si finirà con l'affermare, che si sta
verificando un progressivo aumento degli accordi interorganizzativi e soprattutto
nell’ambito delle funzioni commerciali si assisterebbe ad un tendenziale maggiore
successo delle forme di coordinamento intermedie nelle quali la formula del franchising
gioca un ruolo importante e se vogliamo originale.
7
6
Cozzi G., Ferrero G.,(1996), “Le frontiere del Marketing”, G. Giappichelli Editore, Torino, p.290
7
Cozzi G., Ferrero G., (1996), “Le frontiere del Marketing”, G.Giappichelli Editore, Torino, p.294
1.3 UNA PRIMA DEFINIZIONE DI FRANCHISING
Secondo la definizione dell’Associazione Italiana del Franchising, quest’ultimo “è una
forma di collaborazione continuativa per la distribuzione di beni o di servizi tra un
imprenditore (affiliante) ed uno o più imprenditori (affiliati), giuridicamente ed
economicamente indipendenti uno dall’altro, che stipulano un apposito contratto
attraverso il quale:
a) l’affiliante concede all’affiliato l’utilizzazione della propria formula commerciale,
comprensiva del diritto di sfruttare il suo know-how (l’insieme delle tecniche e delle
conoscenze necessarie) ed i propri segni distintivi, unitamente ad altre prestazioni e
forme di assistenza atte a consentire all’affiliato la gestione della propria attività con la
medesima immagine dell’impresa affiliante;
b) l’affiliato si impegna a fare propria la politica commerciale e l’immagine
dell’affiliante nell’interesse reciproco delle parti medesime e del consumatore finale,
nonché a rispettare le condizioni contrattuali liberamente pattuite”.
8
La grande originalità del franchising è quella di consentire la realizzazione da parte di
un’impresa di un sistema nel quale ogni membro è indipendente giuridicamente, ma
legato economicamente e contrattualmente all’impresa promotrice.
Il franchising contempla, come vedremo più in dettaglio in seguito, non solo lo
sfruttamento di prodotti identificati da un marchio, ma la preparazione di un “modello”,
di una “formula” che permetta ad un individuo di gestire un commercio rendendo
minimi i rischi di insuccesso.
In un sistema tradizionale di distribuzione il successo di ogni membro della catena
(produttore-grossista-dettagliante) dipende spesso ed esclusivamente dalle condizioni di
prezzo, dalle consegne, ecc. Nel sistema del franchising esiste una stretta
interdipendenza tra affiliante e affiliato e questa collaborazione continuativa che
permette ai partners il raggiungimento di un obiettivo comune, talvolta come mezzo per
realizzare gli obiettivi individuali che possono essere diversi. Si configura come una
forma organizzativa delle attività economiche che consente di coniugare controllo e
rischio, senza dover ricorrere a configurazioni canoniche di integrazione proprietaria e
di controllo manageriale.
Mentre nelle reti di distribuzione dette”integrate” le unità della catena sono di
proprietà e perciò gestite dal produttore, in un sistema di franchising l’investimento per
l’impianto di ogni unità è sostenuto dall’affiliato proprietario del punto vendita con il
vantaggio che il produttore può realizzare una rete di vendita in tempi brevi e senza
investimenti sostanziosi.
L’elemento caratteristico di questa collaborazione e cooperazione imprenditoriale è
che essa si sviluppa su un arco di tempo non breve e in modo continuativo, inoltre è
necessario che vi sia una precisa coincidenza (o convergenza) di interessi delle due
parti.
8
Amoroso M., Bonami G., Grassi P., “Manuale del franchising”, Maggioli Editore, Rimini, p.39
Inoltre perché si realizzi un’unione tendenzialmente duratura, significa che i due
partners si associano per sopperire con i punti di forza dell’uno ai punti di debolezza
dell’altro e viceversa.
I punti di forza del potenziale franchisor si riassumono sostanzialmente in tre fattori:
immagine, capacità manageriale e know-how.
9
L’immagine è il risultato del suo comportamento economico nel tempo e
dell’investimento finanziario che l’azienda ha posto in essere per crearla attraverso le
attività comunicative (campagne pubblicitarie), il marchio, la qualità del prodotto, il
mix dei prodotti offerti, il lay out, le politiche di marketing, etc..
La capacità manageriale che consiste in una capacità imprenditoriale che ha permesso
di creare un’azienda con un marchio e un’immagine differenziata, che sia in grado di
offrire un beneficio percepito superiore ai consumatori e che abbia una domanda in
espansione ed un business attrattivo per i potenziali franchisees.
Infine il know-how, inteso come insieme delle tecniche, delle conoscenze, dei metodi
originali concepiti e sperimentati dal franchisor per la commercializzazione di prodotti
o di servizi, rappresenta un bene immateriale, si crea nel tempo, costituisce la colonna
portante di un sistema di franchising e il privilegio di sfruttarlo rappresenta l’oggetto del
contratto di franchising e sarà proprio il know-how a rilevare il tasso di redditività
dell’unità in franchising.
Il know-how è da considerare il nodo centrale per lo sviluppo della tematica del
franchising, infatti, in esso convergono sia gli aspetti riguardanti la nozione giuridica
del contratto e allo stesso tempo i concetti che si riferiscono alla strategia di marketing.
Per quanto riguarda i punti di forza del franchisee possiamo indicare la buona
conoscenza dei mercati locali, soprattutto nel franchising internazionale, dove le
abitudini e la cultura diversi possono comportare problemi di vario genere per
raggiungere il consumatore tipo del proprio prodotto o servizio.Inoltre uno specifico
punto di forza è il possesso di una licenza commerciale e la possibilità di una
localizzazione del punto di vendita idoneo alle esigenze di mercato.
Per contro i punti di forza del franchisor sono i punti di debolezza del franchisee:
mancanza di immagine, di managerialità e di esperienza, da ciò consegue la
convenienza per entrambi i contraenti dell’accordo.
10
In Italia nell’ambito della distribuzione commerciale vi sono alcuni accordi di
collaborazione, come le unioni volontarie, i consorzi ed i gruppi di acquisto, che
presentano numerosi punti di contatto con il franchising.
Per concludere riepiloghiamo lo schema del sistema distributivo italiano:
- la grande distribuzione organizzata e cioè le imprese a succursali, i grandi magazzini
ed i supermercati;
- il commercio indipendente tradizionale;
- il commercio associato.
11
9
Frignani A., (1990), “Il Franchising”, UTET, Torino, p.7
10
Frignani A., (1990), “Il Franchising”, UTET, Torino, p.7
1.3.1 LE TIPOLOGIE DI FRANCHISING
Il franchising si presenta sotto tre tipologie diverse:
1) Franchising di distribuzione di prodotti.
In questo caso l’oggetto del sistema di franchising è quello di distribuire un
prodotto o una gamma di prodotti. E’ il sistema più diffuso in Italia, secondo i dati
dell’Assofranchising con il 56.8% delle imprese affilianti (v.tabella 4). Questo sistema è
distinto in due categorie in funzione del ruolo svolto dall’affiliante nel circuito
distributivo.
a) Franchising di produzione: in questo caso l’affiliante è un’impresa industriale che
cerca di trovare uno sbocco alla sua produzione e commercializza i propri prodotti
attraverso affiliati raggruppati sotto un’insegna comune. E’ il caso dei grandi industriali
dei settori: abbigliamento, mobili, articoli per la casa, calzature, ecc.
Esempi: Stefanel, Buffetti, Mandarina Duck
b) Franchising di distributore: in questa categoria è inquadrato l’affiliante “grossista”
che commercializza attraverso una catena di affiliati i prodotti acquistati presso fornitori
o produttori esterni.In questa tipologia rientrano gli affilianti che operano soprattutto nel
campo della distribuzione degli alimentari.
Esempi: Standa, Rinascente, Sidis, Idea Gs
2) Il franchising di servizi
E’ un sistema nel quale l’affiliato non vende alcun prodotto ma fornisce la prestazione
di servizi concepiti, elaborati, messi a punto e sperimentati dall’affiliante. I settori, in
cui trova applicazione il franchising di servizi sono quanto mai eterogenei. Si va dalla
ristorazione rapida agli alberghi, dai clubs vacanze a quelli sportivi, dagli istituti di
bellezza ai saloni di parrucchiere, servizi di consulenza, centri di formazione ed
istruzione, intermediazione immobiliare, autonoleggio, etc.
In Italia, questa tipologia, che è rappresentata dal 42.7% (v.tabella n.4) degli affilianti
italiani, non ha ancora sfruttato le ampie possibilità del mercato, come si è verificato
negli USA, in Gran Bretagna e in Francia.
Esempi: InSip, Tecnocasa, Jean Luis David, Quality Hotels, McDonald’s.
3) Il franchising industriale o di produzione
In questo tipo di franchising i due partners sono due imprese industriali, nel quale
l’impresa affiliante ha messo a punto un procedimento di fabbricazione di un prodotto
originale identificato da un marchio e trasferisce all’affiliato le conoscenze tecnologiche
i procedimenti e brevetti di fabbricazione necessari per concludere il processo di
fabbricazione del prodotto.
11
Bonami G., (1996), “Guida al Franchising”, Buffetti Editore, Roma, pp.1-14
Oltre alle conoscenza tecniche, sono richiesti all’affiliato importanti investimenti di
capitale, e questo spiega la scarsa diffusione di questa tipologia di franchising.In Italia
esso è rappresentato dallo 0,5% del totale degli affilianti.
12
1.3.2 ALTRE FORME DI FRANCHISING
a) Franchise Corner.
Si parla di franchising corner quando l’affiliato, che è un commerciante indipendente,
allestisce, in un’area del proprio negozio, uno spazio destinato all’esposizione ed alla
vendita dei prodotti di un affiliante.
In questo modo il commerciante rinuncia soltanto parzialmente alla propria identità e
conserva un’ampia autonomia
b) Pluri-franchising.
In questo caso un operatore commerciale apre in franchising più punti di vendita, ma
sotto insegne diverse. Affinché questo sia possibile è necessario che i marchi non siano
in concorrenza tra loro e che gli affilianti non pongano condizioni di esclusiva.
c) Multi-franchising
Si parla di operazione di multi-franchising quando l’affiliato apre più di un punto di
vendita sotto l’insegna di un affiliante.
13
1.3.3 IL MASTER FRANCHISING
Questo tipo di franchising è utilizzato nel caso in cui il franchisor intende espandere la
propria attività in un paese diverso dal proprio per creare una rete internazionale.
Per superare le difficoltà giuridiche, finanziarie, umane e di carattere organizzativo
che si possono incontrare, l’affiliante principale (o master franchisor) stipula con il
master -franchisee un contratto di franchising coprente un determinato territorio (talora
l’esclusiva può concernere un intero stato) nel quale è concessa la facoltà di stipulare
contratti di affiliazione con i vari sub-franchisees, i quali non hanno alcun rapporto
contrattuale diretto con il master-franchisor.
Il master-franchisee può essere un soggetto totalmente autonomo, oppure può essere
una società-figlia o comunque controllata dal franchisor.
Questa strategia è stata utilizzata da molti franchisor americani per l’espansione dei
propri sistemi in Europa dopo aver utilizzato la stessa tecnica per l’espansione nei
grandi spazi del continente nordamericano.
12
Bonami G., (1996), “Guida al Franchising”, Buffetti Editore, Roma, pp.29-30.
13
Bonami G., (1996), “Guida al Franchising”, Buffetti Editore, Roma, pp.31-32.
Altre tecniche di franchising molto simili al master-franchising che sono
particolarmente idonee per facilitare l’internazionalizzazione delle imprese e la
globalizzazione dei mercati sono:
1) Area development agreement.
2) Area representation
3) Franchising brokerage.
14
14
Bonami G., (1996), “Guida al Franchising”, Buffetti Editore, Roma, pp.31-32