2
confronti degli argomenti indagati; sono, inoltre, spiegate in dettaglio tutte
le scale in cui si articola il nostro strumento. Nell’ultima parte, infine, sono
riportate le caratteristiche socio-demografiche dei soggetti che hanno
partecipato alla ricerca.
Il quarto capitolo è interamente dedicato ai risultati emersi dalle
nostre analisi. Nella prima parte viene presentata la situazione finanziaria
dei partecipanti, analizzata in base alle caratteristiche socio-demografiche
del campione; sono, quindi, presentati i risultati relativi all’atteggiamento
dei soggetti verso il risparmio, le pensioni e le assicurazioni sulla vita.
Attraverso l’analisi della correlazione e della regressione vengono poi
indagate le relazioni fra l’atteggiamento e altri costrutti psicologici:
atteggiamento verso il denaro, locus of control e self-efficacy.
3
CAPITOLO 1
LA PSICOLOGIA ECONOMICA
1.1 Introduzione
Storicamente, il rapporto tra economia e psicologia, è transitato da
una iniziale, silenziosa coesistenza ad un tentativo da parte dell’economia
di espellere ogni componente psicologica dai propri fondamenti. Il dialogo
tra le due discipline si è quindi esaurito per un certo periodo di tempo sotto
il dominio dell’economia neoclassica, per riprendere vigore
successivamente in risposta al tentativo della behavioral economics di
incorporare alcuni assunti di stampo cognitivo e psicologico nei razionali
modelli dell’economia.
La diversità tra economia e psicologia non riguarda esclusivamente il
dominio di indagine, ma anche i metodi impiegati nel processo di indagine.
Mentre l’economia si occupa della razionalità del comportamento umano,
la psicologia studia invece le cause che impediscono di sviluppare una
condotta razionale (Rumiati e Mistri, 1998). Ancora, l’economia sviluppa i
suoi modelli attraverso un processo prevalentemente deduttivo, utilizza il
ragionamento matematico per trarre le conseguenze dei postulati di base ed
è fortemente orientata alla previsione; al lato opposto, la psicologia utilizza
4
un processo induttivo, ricorre alla matematica solo per l’elaborazione dei
dati, ed è orientata alla descrizione e alla spiegazione, più che alla
previsione (Warneryd, 1986)
1
. Se da una parte i metodi formali dell’analisi
economica (individualismo metodologico, formulazione matematica dei
suoi assunti, analisi logica delle conseguenze di tali assunzioni) hanno
permesso di formulare correttamente ipotesi precise, dall’altra hanno
ridotto il comportamento umano a modelli così semplificati da far perdere
le caratteristiche soggettive, motivazionali ed emotive degli individui,
rappresentandoli come esseri unicamente razionali: gli studi economici
hanno così trascurato le variabili psicologiche, relegando gli individui a
posizioni estremamente marginali. L’analisi psicologica, invece, non si
avvale di un modello generale di comportamento, ma consiste piuttosto di
numerose teorie che valgono parzialmente, in contesti precisi, a volte
isolate le une dalle altre, relative a situazioni (oggettive e soggettive)
specifiche. La psicologia economica, in particolare, studia i fattori e le
motivazioni che determinano il comportamento economico degli individui.
Data una così evidente contrapposizione, come è possibile, dunque,
unire psicologia ed economia in modo armonioso? Essere uno psicologo
economico significa “lavorare su una linea di confine tra economia e
psicologia, senza appartenere completamente ad alcuna delle due
discipline, ma attingendo idee e dati da entrambe” (Zappalà e Sarchielli,
2001): il pensiero è chiaro, mettere insieme quanto di positivo vi è nell’una
e nell’altra disciplina per creare qualcosa di nuovo, frutto della fusione tra
razionalità e tendenza alla comprensione del comportamento umano.
1
Cit. in Kirchler e Zappalà, 1995.
5
1.2 Nascita e sviluppo della psicologia economica
La psicologia economica nasce e si sviluppa agli inizi del 1900. La
prima pubblicazione di psicologia economica risale infatti al 1902, ad opera
di Gabriel Tarde, in due volumi intitolati La psychologie economique. Tale
pubblicazione si colloca in un periodo in cui un gruppo di economisti di
Vienna si proponeva di migliorare la teoria economica attraverso l’uso
delle osservazioni del senso comune. Stava così iniziando una fase in cui,
pur con cautela, anche studiosi notoriamente razionali come gli economisti
percepivano viva la necessità di spiegare la condotta economica umana non
solo in termini di calcoli matematici, ma anche di percezioni e
comportamenti soggettivi (Kirchler e Zappalà, 1995).
È tuttavia necessario attendere gli Anni ’40 per vedere applicate le
teorie e i metodi della psicologia ai temi economici. In quegli anni George
Katona, importante studioso di economia del periodo, sottolinea che “le
indagini economiche hanno bisogno di utilizzare la psicologia per
individuare e analizzare le forze che, stando alla base dei processi
economici, provocano le azioni, le decisioni e le scelte economiche. […]
L’economia senza la psicologia è incapace di spiegare importanti processi
economici, mentre la psicologia senza l’economia non è in grado di far luce
fra i più comuni aspetti del comportamento umano” (Katona, 1951, trad. it.
1964, pp. 36-37).
Un altro importante contributo allo sviluppo della psicologia
economica era orientato invece ad individuare nello specifico i processi
cognitivi responsabili delle condotte economiche. Il riferimento è a
Edwards (1961), che introduce la teoria dell’utilità soggettivamente attesa
6
(USA), in base alla quale la scelta che ogni consumatore compie è
scomponibile in probabilità e preferenze, combinate fra loro secondo regole
prestabilite: l’assunto è che gli individui tenderanno a scegliere l’opzione
con l’utilità soggettivamente attesa più elevata (Rumiati e Mistri, 1998).
Per Edwards, dunque, ciò che conta sono le stime soggettive che gli
individui compiono nel momento in cui devono fare una scelta, in quanto
indicano quali sono i processi cognitivi che guidano il loro comportamento
economico.
Anche gli Anni ‘70 rappresentano un periodo molto fertile per la
psicologia economica, poiché vedono un’importante unione tra psicologi ed
economisti, in prevalenza europei, attraverso la fondazione della
International Association for Research in Economic Psychology (IAREP),
che dal 1981 pubblica la nota rivista “Journal of Economic Psychology”.
Accanto a questa associazione europea ne sorge quasi contemporaneamente
una americana, la Society for the Advancement of Socio-Economics (SASE),
che pubblica il “Journal of Socio-Economics”.
Più recentemente, altri studiosi hanno contribuito in maniera
significativa alle ricerche sulla psicologia economica. Tra essi spiccano i
lavori di Furnham e Lewis (1986), Lea, Tarpy e Webley (1987), Lewis,
Webley e Furnham (1995), e Lea, Webley e Young (1992), i quali hanno
studiato in particolare le interazioni e le influenze sull’economia da parte
degli attori economici considerati come singole entità (consumatori,
lavoratori, imprenditori) da un lato, e l’influenza del sistema economico nel
suo complesso (dunque inteso come un insieme di individui) sulla condotta
degli stessi, dall’altro (Ruminati e Mistri, 1998).
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Da tali studi si evince che il comportamento economico individuale
non è solo il risultato di calcoli razionali, come vorrebbero gli economisti
“puri”, bensì deriva da una serie di relazioni tra le caratteristiche del
contesto e le caratteristiche soggettive ed emotivo-motivazionali
dell’individuo stesso, come vuole invece la psicologia economica.
8
1.3 Aree di ricerca della psicologia economica: il contributo di
George Katona
Il comportamento economico degli individui è attualmente una delle
variabili maggiormente studiate nell’ambito della psicologia economica; in
particolare, è la possibilità di prevedere tale comportamento e di capire da
che cosa esso sia influenzato che è oggetto di crescenti attenzioni.
George Katona risulta uno dei principali studiosi dell’influenza del
comportamento degli individui sui processi economici. Per comprendere in
quale maniera e in quale misura si eserciti tale influenza, egli evidenzia
innanzitutto la necessità di una distinzione tra microeconomia e
macroeconomia. Mentre la prima riguarda la gestione della casa o
dell’impresa, la domanda e l’offerta di beni, la loro relazione con il prezzo,
la loro distribuzione, il settore della macroeconomia indaga ambiti più
ampi, quali la teoria monetaria (quali sono i compiti del denaro e quali
invece esulano dai suoi confini), la teoria finanziaria (l’influenza delle
attività dello Stato sull’andamento del mercato), la teoria della
disoccupazione (le cause e gli effetti della disoccupazione). La maggior
parte degli studi economici viene effettuata in ambito macroeconomico, ma
secondo l’autore è necessaria una loro integrazione con i dati
microeconomici, ad esempio singole aziende e singole unità familiari, al
fine di evitare il rischio di fornire informazioni incomplete. Esistono infatti
– e su queste ha lavorato a lungo Katona – alcune importanti variabili
“interposte” non immediatamente visibili, indispensabili nella spiegazione
dei comportamenti, quali l’abitudine, la motivazione, l’organizzazione,
l’atteggiamento e molte altre, tutte di stampo psicologico e tutte influenti
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sul comportamento economico degli individui, che risulta da esse guidato
(Magnani, 2003). Le motivazioni spingono in una certa direzione, verso
determinati scopi. Gli atteggiamenti sono “punti di vista” che ci fanno
interpretare come favorevoli o sfavorevoli le diverse situazioni, e che se
protratti a lungo nel tempo diventano veri e propri schemi di riferimento ai
quali guardiamo nel momento in cui dobbiamo prendere una decisione.
Esiste, inoltre, un ambiente oggettivo in cui si verificano gli eventi,
ma anche un ambiente comportamentistico, vale a dire ciò che ogni
individuo vede, sente, percepisce soggettivamente, e che determina il
comportamento che egli metterà in atto. Il comportamento degli individui,
e di conseguenza la sua condotta economica, risulta influenzato anche dal
gruppo di appartenenza: i gruppi di riferimento forniscono, infatti, modelli
di comportamento da seguire.
Secondo Katona, inoltre, il consumatore in realtà non seguirebbe
solo un programma razionale nel suo comportamento, ma sarebbe
influenzato anche dalla moda, dalla pubblicità, dalle doti persuasive dei
venditori, da insicurezze psicologiche, da conflitti emozionali, in sostanza
da un insieme di fattori fortemente mutevoli e difficilmente misurabili.
Diversamente, le spese ingenti sono programmate in anticipo, e sono
caratterizzate da comportamenti routinari protratti per lunghi periodi, come
nel caso degli acquisti a rate.
Anche la soddisfazione dei bisogni incide sul comportamento
individuale: in particolare, la soddisfazione dei bisogni presenti spinge il
soggetto verso la decisione di spendere del denaro, mentre la necessità di
soddisfare i bisogni futuri determina invece una tendenza al risparmio. Il
10
successo del risparmio individuale dipende dall’aver soddisfatto molti dei
bisogni immediati e dal grado di immediatezza delle spese future. La
prospettiva temporale risulta quindi molto importante nello studio delle
motivazioni economiche (principio dell’immediatezza).
Il reddito percepito da ciascun individuo è un’altra variabile
importante nella condotta economica, ed in particolare il significato di un
certo reddito, il quale dipende dalla struttura in cui è percepito, dall’età, da
differenze rispetto ai redditi percepiti in passato. Chi percepisce un
determinato reddito non è influenzato dal suo valore assoluto, bensì dalla
sua entità relativa nell’ambito della sua situazione economica in generale.
In funzione del reddito si decidono anche le spese da affrontare, alcune
delle quali possono essere determinate da decisioni precedenti: polizze,
rate, affitti, tasse, contributi regolari ad associazioni, spese per l’educazione
dei figli, benzina ecc.
Da tutto ciò si evince che alcuni tipi di risparmio diventano degli
obblighi ai quali un individuo o una famiglia non può sottrarsi anche se il
reddito diminuisce: assicurazioni sulla vita, pagamenti per fondi pensione,
risparmi rateizzati in base ad uno schema, pagamento dei debiti. Si tratta di
forme di risparmio contrattuale, contrapposte all’altro tipo di risparmio
che Katona propone, il risparmio discrezionale, come ad esempio la
decisione di accantonare occasionalmente qualche somma come fondo di
riserva, e comunque non destinato all’acquisto di beni di prima necessità.
L’autore distingue inoltre tra risparmio involontario e risparmio
volontario, intendendo con il primo termine “quello che un individuo può
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ricavare senza che vi sia stato un atto deliberativo”, ovvero quando non c’è
intenzione o decisione di risparmiare (Lewis, Webley e Furnham, 1995).
Risulta chiaro, quindi, come l’assunto centrale del pensiero di
George Katona sia che i processi economici dipendono dal comportamento
dei singoli individui, comportamento che a sua volta non segue unicamente
principi razionali ma è condizionato anche da fattori ambientali,
atteggiamenti e motivazioni soggettive; in breve, da aspetti in gran parte
psicologici.
Su queste basi, nei decenni successivi sono stati studiati e messi a
punto diversi indici, i cosiddetti Market Movers, finalizzati ad individuare
le variabili capaci di spiegare la condotta economica degli individui. Uno
degli indici più celebri è l’Index of Consumer Sentiment (ICS), elaborato da
Katona presso l’University of Michigan nel 1946, risultato di una sintesi
delle informazioni raccolte mediante rilevazioni campionarie. Il lavoro è
partito da un sondaggio statunitense sulla fiducia del consumatore,
finalizzato a svolgere una valutazione mensile di quanto le sensazioni degli
americani, oscillando fra l’euforico e il depresso, influenzano l’attività
economica del paese. Il campione era composto da 500 soggetti estratti
casualmente, contattati mediante interviste telefoniche sul tema
“Disponibilità ad indebitarsi per spese importanti”.
L’ISC rappresenta una misura della fiducia generale del consumatore
nell’economia, che dimostra come sia possibile misurare diverse variabili
psicologiche quali le aspettative, le intenzioni e gli atteggiamenti del
consumatore, e soprattutto di prevederne il comportamento economico.
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Basandosi proprio sul suo ISC, nello stesso anno, Katona fu in grado
di anticipare correttamente che l’economia statunitense stava per entrare in
una fase di “boom” trainata dai consumi, mentre gli indicatori
convenzionali prevedevano – a torto – una recessione (Katona, 1975).
Attualmente, non ci sono dubbi sul fatto che tale indice possa prevedere il
comportamento economico degli individui, ma si mette in discussione il
fatto che l’ISC dia informazioni che non possono essere ottenute con gli
indicatori economici convenzionali. Nonostante ciò, l’ISC ha comunque un
rilevante interesse psicologico poiché, sebbene le cause originarie dei
comportamenti economici siano sempre di carattere economico, esso è di
ausilio nella comprensione dei processi psicologici attraverso cui essi sono
mediati.
Un contributo rilevante in questo senso proviene da Carroll (1994), il
quale suggerisce che il sentimento del consumatore possa, in parte, essere
una misura del livello di sicurezza generale riguardo il futuro: pessimismo
potrebbe indicare incertezza, e secondo le teorie economiche ciò
causerebbe una riduzione dei consumi e un aumento dei risparmi.
Van Raaij e colleghi (Van Raaij, Van Den Brink, 1987; Van Raaij,
Gianotten, 1990
2
) sostengono, invece, che l’ISC sia costituito da due
dimensioni, e che quindi rifletta due processi: una componente sarebbe
relativa alla valutazione della situazione economica generale, l’altra
riguarderebbe la situazione finanziaria della famiglia nello specifico.
2
Cit. in Zappalà e Sarchielli, 2001.