5
“Bassanini”. Molte materie “nuove”, che la legge costituzionale di
revisione del Titolo V aveva assegnato alle Regioni, sono state
“recuperate” allo Stato attraverso interpretazioni del dettato costituzionale
più orientate verso le esigenze dell’unitarietà che verso le ragioni delle
autonomie.
6
Parte I:
L’assetto delle competenze tra Stato e Regioni
1. L’art. 117 Cost. nella sua formulazione originaria
secondo la giurisprudenza costituzionale
Sommario: 1.1. Il modello regionale – 1.2. La distribuzione delle competenze legislative
– 1.3. Le vicende dell’interesse nazionale – 1.4. Gli atti di indirizzo e coordinamento –
1.5. L’intepretazione delle materie – 1.5.1 Il criterio oggettivo – 1.5.2 Il criterio
finalistico (o teleologico) – 1.5.3 La “ridefinizione” delle materie – 1.6. La c.d. clausola
di “cedevolezza” – 1.7. Il “federalismo amministrativo” a Costituzione invariata – 1.8.
Conclusioni – 1.8.1 Le ragioni della deviazione dal modello
1.1. Il modello regionale
La formulazione organica del sistema regionale italiano fu, come
noto, elaborata in seno all’ Assemblea costituente eletta 2 giugno 1946.
Antecedenti alla Carta Costituzionale sono i primi tasselli del futuro
prodotto assembleare: già nel 1944, sotto la spinta di forti quanto
inquietanti rivendicazioni separatistiche, l’istituzione dell’Alto
Commissario per la Sicilia
1
e della successiva Consulta regionale
2
aprirono la strada alla concessione di un ordinamento autonomo che
avrebbe dovuto soddisfare le sempre più insistenti istanze separatiste
presenti nell’isola. L’autonomia siciliana si perfezionò con l’adozione di
uno Statuto, redatto dalla neonata Consulta regionale, da parte del
Governo centrale con il R.D.Lgs. 15 maggio 1946, n. 455.
Sulla base di analoghe situazioni di potenziale disgregazione
nazionale ottenevano riconoscimento regionale la Valle d’Aosta ed il
1
R.D.L. 18 marzo 1944, n. 91.
2
R.D.L. 28 dicembre 1944, n. 416.
7
Trentino Alto-Adige. La Valle d’Aosta, in ragione della forte presenza
francofona, ebbe lo status di circoscrizione autonoma amministrata da un
Consiglio elettivo dotato di poteri amministrativi grazie al D.Lgs.Lgt. 7
settembre 1945, n. 545. Il Trentino Alto-Adige raggiunse l’autonomia
grazie all’esecuzione degli accordi internazionali con l’Austria firmati da
De Gasperi e Gruber nel settembre del ’46. Tali accordi prevedevano, al
fine di proteggere il vasto gruppo linguistico tedesco, la creazione delle
due Province autonome di Trento e Bolzano alle quali lo Statuto elaborato
dal Governo centrale attribuì potestà legislativa.
Anche se fu avviata per ragioni geografiche ed economico-sociali
e non sul timore delle istanze separatiste, l’istituzione della Regione
Sardegna ebbe un percorso molto simile a quello della Sicilia: a partire
dal gennaio del 1944 furono istituiti l’Alto Commissario per la Regione e
la Consulta regionale che, analogamente a quanto avvenne in Sicilia,
elaborò lo Statuto regionale poi recepito dal Governo. Tutte le prime
quattro Regioni, come si può notare, videro riconosciuta la loro
autonomia da parte dello Stato e non in virtù di un procedimento “dal
basso” conclusosi in atti regionali di auto-legittimazione
3
.
In seno all’ Assemblea eletta il 2 giugno del ‘46 le quattro
Regioni di cui sopra, con l’aggiunta del Friuli Venezia-Giulia, formarono
quelle Regioni dotate di forme e condizioni particolari di autonomia
secondo statuti speciali adottati con legge costituzionale come recitava
l’art. 116 licenziato dalla Costituente. In virtù di questa previsione
l’Assemblea costituente stessa “convertì” i quattro precedenti statuti
regionali in leggi costituzionali: l’adozione degli statuti avvenne senza
nessun sostanziale emendamento ad eccezione del conferimento di potestà
normativa primaria anche alla Regione Valle d’Aosta. L’adozione del
quinto statuto speciale, quello che istituì concretamente la Regione Friuli
Venezia-Giulia, avvenne solo nel 1963
4
: un simile ritardo fu causato da
ragioni politiche legate alla spinosa questione triestina. Nelle more
3
Cfr. A. ANZON, I poteri delle Regioni nella transizione dal modello originario al nuovo
assetto costituzionale, Torino, 2003, pag. 62.
4
Legge Cost. 31 gennaio 1963, n. 1.
8
dell’approvazione dello statuto speciale anche per il Friuli Venezia-Giulia
si applicarono le norme ordinarie del titolo V in conformità alla X
disposizione finale e transitoria della Costituzione.
La vicenda delle Regioni ordinarie si innesta dunque su quella
delle già costituite Regioni ad autonomia differenziata
5
. In Assemblea
costituente si giunse all’originaria soluzione mediando, sotto la guida di
Gaspare Ambrosini
6
, tra posizioni più spiccatamente autonomistiche
(comunque minoritarie) ed altre che volevano le Regioni come semplici
enti di decentramento amministrativo. Dal punto di vista politico gli
orientamenti di fondo si evolvevano guidati da motivi d’opportunità.
Inizialmente il modello regionale fu sostenuto dai cattolici e visto con
diffidenza da chi si rifaceva alla tradizione statutaria e dalle sinistre.
Queste, fedeli all’insegnamento per cui il potere si conquista dal centro
occupando i punti nevralgici dello Stato, avversarono un progetto delle
autonomie temendo di offrire bastioni di difesa locali ai vecchi ceti
dirigenti. In un primo tempo ebbero la meglio le forze di più spiccata
ispirazione autonomistica. La “Commissione dei settantacinque” adottò
un progetto in cui tutte le Regioni furono dotate di quelle potestà che
vennero poi riconosciute alle sole Regioni speciali. L’evolversi delle
vicende politiche portò invece ad un’inversione delle posizioni in materia
regionale: a seguito della crisi che portò all’uscita dal Governo centrale
delle sinistre, queste si spostarono su posizioni “filo-regionaliste”. Il
P.C.I., con l’intenzione di poter sfruttare il proprio maggior radicamento
in determinate Regioni, pensava di poter riconquistare il potere perso al
centro partendo dalla periferia. Contestualmente le forze di centro
affievolivano i loro slanci autonomistici, convinte di poter occupare il
Governo nazionale con una vittoria elettorale, non volendo lasciare
residui spazi di manovra alle sinistre. L’accordo cui si giunse in
Assemblea fu meno orientato verso le autonomie di quello
5
In merito al dibattito in Assemblea costituente sulle regioni si veda, per tutti, G.
ROTELLI, L’avvento della Regione in Italia, Milano, 1967.
6
Sulle proposte dell’on. Ambrosini e sulla loro evoluzione si veda U. DE SIERVO, Le
Regioni nelle prime proposte di Ambrosini, in Le Regioni, 1993, pag. 1253 e ss.
9
originariamente previsto in Commissione: alle Regioni ordinarie fu negata
la competenza primaria che rimase appannaggio delle sole Regioni
speciali
7
. Le costituende Regioni furono concepite come enti autonomi
distinti dallo Stato-persona ma da esso derivate e ad esso soggette, capaci
però di darsi proprie leggi e di amministrarsi
8
. La soluzione soddisfece
quasi tutti gli schieramenti: alcuni vedevano nel regionalismo la
negazione migliore all’accentramento tipico del passato Stato fascista,
altri ne apprezzavano il carattere comunque unitario rispetto al più
potenzialmente disgregante modello federale. Nel 1947 la Costituente
licenziò il testo definitivo della nostra Carta Fondamentale e qui, nel
Titolo V, trovò posto “l’invenzione”
9
regionalista dei costituenti.
1.2. La distribuzione delle competenze legislative
Nel vigore del precedente assetto costituzionale, la potestà
legislativa generale spettava allo Stato, salve in alcune determinate
materie per cui le Regioni, con diversi gradi di penetrazione a seconda
della specialità o meno dello statuto, avevano la possibilità di emanare
norme legislative. Schematizzando il dettato della Costituzione e degli
Statuti speciali si potevano tipizzare tre
10
ordini di competenze legislative:
7
Cfr. V. CRISAFULLI, Vicende della “questione regionale”, in Le Regioni, 1982, pag.
497 l’A. efficacemente definisce “frenante” il ruolo delle Regioni nel senso che le forze
politiche si preoccuparono di garantirsi l’una nei confronti dell’altra a mezzo delle
autonomie regionali.
8
Cfr. A. ANZON, I poteri delle Regioni nella transizione, cit., pag. 65; V. CRISAFULLI,
Lezioni di diritto costituzionale, I – Introduzione al diritto costituzionale italiano,
Padova, 1970, pag. 58 e ss. In cui “[le Regioni] sono in grado di operare certe scelte
[…] che possono chiamarsi politiche, perché frutto di libero apprezzamento dei loro
organi di governo, i quali hanno altresì carattere rappresentativo della collettività
interessata.”
9
T. MARTINES, A. RUGGERI, C. SALAZAR, Lineamenti di diritto regionale, Milano,
2002, pag. 1.
10
Più analiticamente si potrebbero distinguere cinque tipi di attribuzione legislative
costituzionalmente necessarie e giustiziabili dovute alla elaborazione precostituzionale e
10
competenza primaria, competenza concorrente e competenza
d’attuazione-integrazione.
Le Regioni ad autonomia differenziata e le Province autonome di
Trento e Bolzano erano le uniche ad essere titolari, nelle materie loro
riservate, di competenza primaria rispettando il limite della Costituzione,
dei principi dell’ordinamento giuridico dello Stato, degli obblighi
internazionali assunti dalla Repubblica e dalle norme fondamentali delle
riforme economico-sociali.
La competenza concorrente (o ripartita) era propria di tutte le
Regioni sia ordinarie che speciali ad eccezione della Valle d’Aosta.
Questa potestà era caratterizzata dal fatto di dover essere esercitata, nelle
materie costituzionalmente previste, nei limiti dei principi fondamentali
stabiliti dalle leggi dello Stato (oltre che con gli stessi limiti dettati
relativamente all’attribuzione esclusiva) come indicava l’originario 117
Cost. comma primo.
L’ultima delle tre tipizzate potestà, quella attuativo-integrativa, è
stata definita di scarso rilievo
11
o comunque la minore
12
delle tre. Con
maggior grado di precisione si potevano individuare, a norma dell’art. 117
ultimo comma, potestà meramente attuative (sempre e comunque di rango
legislativo) delegate di volta in volta dal legislatore statale a quello
regionale ordinario al fine di attuare le stesse leggi. Si può facilmente
osservare che tali attribuzioni, oltre ad aver un ristretto spazio di manovra,
erano rimesse alla mera volontà del Parlamento. Le potestà attuativo-
integrative delle Regioni ad autonomia differenziata, oltre ad afferire alle
materie riservate e concorrenti, erano invece previste esplicitamente negli
disomogenea degli statuti speciali: a) competenza definita esclusiva dallo statuto
siciliano, b) competenza primaria delle altre Regioni speciali, c) competenza concorrente
ex art. 117 comma primo, d) speciale competenza integrativa esercitabile dalla regione
Sicilia, e) competenza attuativo-integrativa delle rimanenti Regioni a statuto
differenziato, per questa partizione L. PALADIN, Diritto regionale, Padova, 1997, pag.
69. Sui diversi tipi di potestà legislativa cfr. anche M. MAZZIOTTI DI CELSO, Legge
regionale (voce), in Enc. Giur., Roma, 1990, pag. 3 e ss.
11
A. ANZON, I poteri delle Regioni nella transizione, cit., pag. 85.
12
Cfr. per tutti I. FASO, Le minori potestà legislative delle Regioni, Milano, 1975.
11
Statuti che, avendo forza di legge costituzionale, garantiscono loro spazio
d’azione ed una eventuale giustiziabilità davanti alla Corte Costituzionale.
Naturalmente per tutte le Regioni, sia differenziate sia ordinarie,
valeva, e vale, il limite territoriale all’efficacia dei loro atti normativi.
Ulteriore e ben più pregnante limite alle potestà legislative
regionali era quello dell’interesse nazionale. Tale limite, secondo la
costruzione del 1948, poteva operare sia come limite di legittimità, ovvero
disciplinando sull’ambito di competenza, che come limite di merito.
La Costituzione e gli Statuti speciali nell’attribuire potestà
legislative regionali prevedevano l’attribuzione di quel settore di materia
avente interesse regionale – ad es.: tranvie e linee automobilistiche di
interesse regionale
13
– ed altre previsioni analoghe. In questo caso
l’interesse nazionale era metro di legittimità poiché serviva a determinare
la competenza regionale all’interno di una data materia. L’interesse
nazionale operava anche come limite di merito (limite politico) poiché le
Regioni potevano emanare norme sempreché queste non si ponessero in
contrasto con l’interesse nazionale. Questo limite si manifestava in senso
negativo, come bastione insormontabile dalla legge regionale.
Data la particolare natura del limite di merito, attinente
all’opportunità del modo di esercizio concreto della potestà legislativa
regionale, la gestione di questo limite era affidata, non alla Corte
Costituzionale ma al Parlamento secondo l’art. 127 ultimo comma della
Costituzione previgente.
Il modello era quindi quello di Regioni aventi competenza
legislativa tassativa ed enumerata, mentre lo Stato era titolare di una
competenza legislativa generale, ad esclusione dei settori materiali
riservati alla Regione. La natura del riparto materiale adottato dalla
Costituzione assumeva quindi una funzione garantista poiché
predisponeva uno spazio attribuito alle Regioni con conseguente
limitazione dell’espansione normativa dello Stato
14
.
13
Art. 117 della Costituzione nella sua formulazione originaria.
14
Cfr. per tutti S. MANGIAMELI, Materie di competenza regionale, in Enc. Giur.
Treccani, Roma, 1988; R. BIN, Legge regionale, in Digesto disc. Pubbl., IX, 1994.
12
1.3. Le vicende dell’interesse nazionale
Prima di affrontare direttamente la questione della definizione
delle materie è necessario introdurre il concetto di “interesse nazionale”
come interpretato dalla giurisprudenza costituzionale: le vicende concrete
dell’interesse nazionale sono state fondamentali nel processo che ha
portato alla individuazione degli ambiti materiali di competenza
regionale.
Come si vedrà, il criterio dell’interesse (nazionale) in pratica
affiancò il principio di competenza comportando così un’erosione, in
senso orizzontale, della potestà legislativa regionale in favore di quella
statale
15
. Sulla base dell’assunto che, anche nei costituzionalmente
determinati ambiti di competenza materiale delle Regioni, insistessero
interessi nazionali, si legittimò il riappropriarsi da parte dello Stato di
competenze afferenti a materie regionali: in ogni materia si ritrovavano
quindi oggetti d’interesse regionale ed oggetti d’interesse nazionale
16
,
questi ultimi soggetti alla competenza esclusiva statale
17
. Avvenne così la
trasformazione dell’interesse nazionale da limite di merito in limite di
legittimità
18
; anche quando la Costituzione non avesse dettato
15
Cfr. S. MANGIAMELI, Le materie di competenza regionale, Milano, 1992, pag. 80 e ss.;
A. BARBERA, Regioni ed interesse nazionale, Milano, 1973, pag. 140 e ss.
16
Cfr. sent. 64/1959 in Giur. Cost., 1959, pag. 1153 “e' evidente che il fatto che la
legislazione statale e la legislazione regionale abbiano a loro oggetto una medesima
materia (nel caso zone industriali), non esclude che sia l'una, sia l'altra, possano essere
legittimamente esercitate, quando traggano il loro titolo dalle norme costituzionali che
hanno ripartito le competenze tra Stato e Regione, ed abbiano perciò presupposti
diversi.” punto 1 del considerato in diritto.
17
Cfr. sent. 142/1972 in Giur. Cost., 1972, pag. 1432 “Sicché dovevano rimanere fuori
dell'obbligo del trasferimento […] le competenze non rientranti nella materia,
obiettivamente considerata, quanto le altre che, se pure ad essa riconducibili,
riguardassero interessi trascendenti la sfera regionale.” punto 3 del considerato in
diritto.
18
Cfr., per tutti, sulla vicenda della conversione del limite dell’interesse nazionale: T.
MARTINES, A. RUGGERI, C. SALAZAR, Lineamenti, cit., pag. 147-148 in cui “[…] l’esito
di questa prassi ormai imponente, Costituita da innumerevoli ricorsi davanti alla Corte
a presidio degli interessi stessi, non può dirsi, nel suo insieme, di certo benigno per
13
espressamente – come nel caso della viabilità, acquedotti e lavori
pubblici di interesse regionale – il limite di legittimità, la legge statale
avrebbe comunque potuto “ritagliare
19
” quella parte di competenza
materiale afferente all’interesse nazionale. Con la nota sentenza 138 del
1972
20
la Corte statuì che “Non si può affermare, dunque, che per la
definizione delle materie elencate nell'art. 117 Cost. sia sempre
sufficiente il ricorso a criteri puramente formali e nominalistici.
Anche se nel testo costituzionale solo per alcune di esse viene
espressamente indicato il presupposto di un sottostante interesse di
dimensione regionale, per tutte vale la considerazione che, pur
nell'ambito di una stessa espressione linguistica, non è esclusa la
possibilità di identificare materie sostanzialmente diverse secondo la
diversità degli interessi, regionali o sovraregionali, desumibile
dall'esperienza sociale e giuridica.”
21
Le ricorrenti lamentavano una lesione delle attribuzioni perché lo
Stato (rectius: la legge statale) “ritagliò” dalla materia regionale la
l’autonomia, una volta che si debba prendere atto dell’indirizzo complessivamente
restrittivo per l’autonomia stessa al riguardo manifestato dalla giurisprudenza
costituzionale.”; A. BARBERA, Regioni ad interesse nazionale, cit., pag. 142 e ss. dove
“secondo la Corte spetta alla legge dello Stato, in funzione della tutela dell’interesse
nazionale, la delimitazione preventiva della competenza regionale.”; L. PALADIN,
Diritto regionale, cit., pag. 93.
19
Secondo la terminologia dovuta a F. BASSANINI, I decreti di trasferimento delle
funzioni amministrative alle Regioni nel quadro delle autonomie regionali, in AA. VV.,
Il trasferimento delle funzioni statali alle Regioni, a cura di P. CALANDRA, G. TROCCOLI,
Roma, 1972, pag. 42 e ss.
20
Sent. 138/1972 in Giur. Cost., 1972, pag. 1385 Prima delle motivazioni su cui infra, la
Corte si richiama anche ai lavori preparatori della Costituente “Giova anzitutto
ricordare che in seno all'Assemblea costituente (cfr. Atti, vol. III, 5508) un
emendamento inteso ad aggiungere ai sostantivi "fiere e mercati" la qualificazione
"locali" venne respinto esclusivamente in considerazione della sua non dubitabile
superfluità.” su questo orientamento interpretativo criticamente S. MANGIAMELI, Le
materie, cit., pag. 76 e ss.
21
La questione riguardava “l'intera sfera (legislativa ed amministrativa) delle
attribuzioni regionali costituzionalmente garantite, a tutela della quale le ricorrenti
[Regioni] agiscono” in materia di “fiere e mercati” a norma dell’art. 117 Cost.
14
competenza in ordine a fiere e mercati nazionali od internazionali poiché
queste sottintendevano un interesse sicuramente sovraregionale.
La Corte risponde alle censure di invasione delle competenze
regionali che “si deve riconoscere che in base alla Costituzione le
attribuzioni legislative e le corrispondenti attribuzioni amministrative
delle Regioni hanno ad oggetto solo fiere e mercati di carattere
regionale, giacché queste manifestazioni, quando abbiano più vasta
dimensione, corrispondono ad interessi sostanziali che fanno
immediatamente capo alla intera comunità nazionale ed appartengono,
conseguentemente, alla competenza dello Stato.” Considerando
legittimo lo scorporo operato dalla legge statale, la Corte intese il limite
dell’interesse nazionale non solo in senso negativo, cioè limitante per
l’azione regionale, ma anche in senso positivo ovvero costituente titolo di
legittimazione per l’intervento normativo statale; sicché il legislatore
statale viene abilitato a perseguire gli interessi nazionali all’interno delle
stesse materie regionali
22
. La Corte in definitiva inquadra la Regione
come ente in grado di soddisfare solo interessi locali: ogni volta che si
individua un interesse “non suscettibile di frazionamento territoriale”
23
o
“un interesse (non) regionalmente localizzabile”
24
si legittima la
competenza statale. Questa sentenza non fece altro che confermare
22
L. PALADIN, Diritto regionale, cit., pag. 94.
23
Corte Cost. 138/1972, cit., pag. 1385 e cfr. anche sent. 49/1987 in Giur. Cost., 1987,
pag. 244 ove si individua l’interesse nazionale in “esigenze che rifiutino qualsiasi
frazionamento territoriale”.
24
Corte Cost. 138/1972 cfr. inoltre A. BARBERA, Regioni ed interesse nazionale, cit.,
pag. 140 e ss. per un accurato studio sulle varie vesti semantiche assunte dall’interesse
nazionale nelle decisioni della Corte. L’A. individua “ragioni d’uguaglianza”. “esigenze
di disciplina unitaria”, esigenze di disciplina uniforme”, “disciplina degli interessi della
collettività”, “disciplina di interessi per loro natura generali”, “interessi prevalentemente
statali,” “interesse dello Stato a che i provvedimenti regionali non creino malcontento ed
agitazioni con pericolo per l’ordine pubblico”, “salvaguardia di un interesse immediato”,
“gravi ragioni contingenti; delle quali lo Stato non può non prenderne diretta cura”,
“equilibrio generale dell’interesse dei cittadini”, ed altre espressioni equivalenti come
manifestazioni dell’interesse nazionale.
15
l’orientamento giurisprudenziale avviato dalla decisione n. 37 del 1966
25
che per prima offrì base per un legittimo esercizio di potestà normativa
allo Stato in materia di competenza regionale se e quando si potesse
ravvisare in essa un interesse nazionale: “Non è superfluo precisare che
tali limiti funzionano non soltanto in senso negativo, nel senso, cioè, che
la legge regionale non può oltrepassarli, ma vale anche nel senso
che essi offrono la base per il legittimo esercizio della potestà
legislativa e amministrativa dello Stato nei settori in cui, per effetto
dei limiti stessi, l'attività regionale non può esplicarsi. Una concezione
puramente negativa del limite sarebbe assurda giacché determinerebbe
una paralisi in settori di importanza nazionale preminente inibendo tanto
alle Regioni quanto allo Stato di legiferare ed amministrare
26
”. Codeste
vicende
27
configurano quindi l’interesse nazionale come limite
25
Corte Cost. 37/1966 in Giur. Cost., 1966, pag. 679.
26
Corte Cost. 37/1966, cit., pag.684.
27
Questo contenzioso tra Stato e Regioni è nato in occasione dell’emanazione delle
norme statali di trasferimento delle funzioni nel momento dell’attuazione degli statuti
speciali e dei decreti delegati di trasferimento del 1972 per le Regioni ordinarie; cfr.
inoltre le sentt. 15/1956 in Giur. Cost., 1956, pag. 632 “ ciò deve dirsi anche per i casi in
cui esse hanno un contenuto praeter legem, perché le riserve poste dagli artt. 8 e 9 a
favore della competenza legislativa dello Stato e delle attribuzioni e dei poteri, anche
di controllo, del Commissariato per il turismo sono essenzialmente dirette a definire e
salvaguardare interessi nazionali, che ben possono limitare anche la competenza
legislativa primaria della Regione.” così nel considerato in diritto, 13/1964 in Giur.
Cost., 1964 pag. 90 “E ciò basta per significare che la legge statale, che e' venuta a
regolare questo settore con norme improntate allo scopo di promuoverne lo sviluppo,
non può non essere considerata come manifestazione di quel superiore potere dello
Stato, che gli Statuti regionali in esame hanno espressamente fatto salvo, imponendo,
come limite, il rispetto dell'interesse nazionale.” punto 4 del considerato in diritto,
139/1972 in Giur. Cost., 1972, pag. 1397 “A quanto già osservato in proposito non é
superfluo aggiungere il rilievo, di ordine pratico, della inammissibile confusione che si
determinerebbe ove enti con finalità, dimensioni e strutture nazionali o comunque
eccedenti l'ambito di una singola Regione, finché perdurino con siffatti caratteri,
venissero disciplinati, pur nel rispetto dei limiti dei principi e degli interessi stabiliti
dall'art. 117 Cost., da una molteplice varietà di distinte e diverse legislazioni, emanate
da ciascuna Regione per la sua parte.” punto 4 del considerato in diritto.
16
invalicabile (negativo) per la Regione e, dall’angolazione opposta, titolo
positivo di legittimazione per la normativa statale. Grazie alla
giurisprudenza costituzionale quello che sarebbe dovuto essere un limite
eccezionale, ex post, caso per caso e di merito, si è così trasformato in un
limite normale, ex ante, in generale e di legittimità
28
diventando inoltre
predominante su tutti gli altri limiti alla competenza regionale
29
.
Di facile evocazione (da parte dello Stato) ma di ben più difficile
definizione (da parte della Corte) l’interesse nazionale si è manifestato
nelle più disparate forme
30
.
Successivamente, la Corte cercò di arginare quell’evocazione
generica ed indefinita dell’interesse nazionale che arrecò danno alle
autonomie regionali. Il giudice costituzionale predispone dei tests
31
giudiziali più penetranti dell’ordinario sindacato di ragionevolezza e
definisce “eccezionale” l’intervento statale in materie regionali.
Nella sentenza n. 177 del 1988
32
la Corte non manca di rimarcare
come “di fronte all’eccezionale intervento dello Stato nelle materie di
competenza regionale (o provinciale) effettuato in nome dell’interesse
28
Così G. ZAGREBELSKY, Il sistema delle fonti del diritto, Torino, 1988, pag. 235.
29
Cfr. L. PALADIN, Diritto regionale, cit., pag. 96 secondo cui “ il limite degli interessi
ha finito per assorbire e snaturare il limite territoriale, il limite delle materie, il limite
delle riforme, lo stesso limite costituzionale, per buona parte se non per la totalità dei
loro aspetti.”; T. MARTINES, A. RUGGERI, C. SALAZAR, Lineamenti, cit., pag. 147 in cui
si definisce l’interesse nazionale come un “buco nero”; S. BARTOLE, R. BIN, G. FALCON,
R. TOSI, Diritto regionale. Dopo le riforme, Bologna, 2003, pag. 192 ove “E’ accaduto
[…] che il limite di merito si intrecciasse con tutti i limiti di legittimità, divenendo la
vera essenza di essi”.
30
Cfr. A. BARBERA, Regioni ed interesse nazionale, cit., pag. 143, cfr. C. MEZZANOTTE,
Interesse nazionale e scrutinio stretto, in Giur. Cost., 1988, pag. 631 e ss. ove si
definisce l’interesse nazionale concetto “magmatico” ed “informe”.
31
Cfr. su questa vicenda C. MEZZANOTTE, Interesse, cit., pag. 633 che ritrova nel
metodo dello scrutinio stretto lo schema dualistico della Corte Suprema nordamericana
in cui si contrappongono resonable and adequate provisions e superior and compelling
interest. Si veda anche C. PINELLI, Criteri e tecniche di giudizio sull’interesse nazionale,
in Le Regioni, 1089, pag. 454 e ss.
32
Sent. 177/1988 in Giur. Cost., 1988, pag. 608.
17
nazionale [si debba procedere] ad un controllo di costituzionalità
particolarmente penetrante del relativo apprezzamento discrezionale
compiuto dal legislatore.” In definitiva l’invasione di campo da parte
dello Stato viene ammessa a patto che: a) l’evocazione dell’interesse
nazionale da parte della legge non sia irragionevole, arbitraria o
pretestuosa; b) la natura dell’interesse da perseguire sia “infrazionabile” o
che comunque, anche ad una stretta valutazione di ragionevolezza, non
possa essere raggiunto dagli strumenti locali; c) l’intervento sia, in ogni
sua parte, volto a soddisfare l’interesse evocato
33
.
1.4. Gli atti di indirizzo e coordinamento
L’interpretazione dell’interesse nazionale come titolo positivo di
intervento statale, legittimò anche l’introduzione nell’ordinamento degli
atti di indirizzo e coordinamento. La potestà normativa di indirizzo e
coordinamento fu introdotta in alternativa ai “ritagli” di competenza,
34
al
fine di garantire la possibilità per lo Stato di intervenire, in materie
trasferite alle regioni, sulla base dell’esigenza di ottenere standards
uniformi di esecuzione
35
e tutela di esigenze di carattere unitario o
33
Cfr. Corte Cost. 177/1988, cit., punto 2.4.1 del considerato in diritto; cfr. in questo
senso anche la più risalente 340/1983 in Giur. Cost., 1983, pag. 2150 anche se riferita
alle autonomie differenziata. In relazione a queste, proprio in ragione della loro più
estesa autonomia, si consente un’invasione statale di dettaglio solo se l’interesse
nazionale è accompagnato da un altro valore costituzionalmente rilevante e non
arbitrariamente evocato. Si veda S. BARTOLE, Un test giudiziale per l’accertamento
dell’interesse nazionale?, in Le Regioni, 1984 pagg. 543-565; Sull’insufficienza dei c.d.
tests giudiziali ed in generale sulla riconducibilità del giudizio ad un ragionevole
bilanciamento dei valori tutelati insuscettibile di alcuna procedimentalizzazione formale
si veda S. STAIANO, Interesse nazionale: non risolte le insufficienze degli standard
giudiziali della Corte, in Le Regioni, 1993, pag. 1122 e ss.
34 Cfr. V. ONIDA, Sindacato di legittimità costituzionale e Regioni, in Le Regioni, 1990,
pag. 691.
35
Cfr. Corte Cost. 116/1967 in Giur. Cost., 1967, pag. 1551 in tema di classificazione
degli ospedali e provvedimenti intesi a garantire l’uniformità delle prestazioni sanitarie
18
comunque infrazionabili riferiti alla applicazione degli obblighi
internazionali e comunitari
36
e agli obiettivi della programmazione
economica. Essendo gli atti relativi alla funzione di indirizzo e
coordinamento di natura amministrativa questi erano stati ritenuti lesivi
del principio del parallelismo per cui alla Regione sarebbe spettato il
potere amministrativo in ogni materia di sua competenza (art. 118 Cost.
primo comma).
La Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi
37
sulla
disposizione legislativa
38
che, unitamente al trasferimento delle funzioni,
prevedeva il mantenimento in capo allo Stato della funzione in
argomento, dichiarò la conformità a Costituzione della norma impugnata
sulla scorta del già menzionato risvolto positivo dell'interesse nazionale
39
.
Con la successiva sentenza n. 150 del 1982
40
la Corte specifica i
modi d’esercizio del potere di indirizzo e coordinamento. Tale potere può
essere esercitato tramite atti di natura secondaria ma, in ragione del
in tutto il Paese. Nel caso di specie la Corte ritenne legittima la ritenzione delle suddette
funzioni amministrative in capo al Ministero della Sanità sulla base della necessaria
uniformità nazionale degli standards di assistenza sanitaria.
36
Cfr. art. 3 legge n. 382/1985.
37
Corte. Cost. 39/1971 in Giur. Cost., 1971, pag. 182.
38
Art. 17 lettera a) legge n. 281 del 1970.
39
Cfr. anche Corte Cost. 150/1982 in Giur. Cost., 1982, pag. 1302, 242/1989, ivi, 1989
pag. 1066 e 18/1997, ivi, pag. 132 con nota di S. MANGIAMELI, pag. 1131 e ss. in cui
l’A. stigmatizza le conclusioni della Corte che trova un fondamento costituzionale
all’attività di indirizzo e coordinamento. Nel caso di specie la Corte esclude la
sottoposizione delle disposizioni inerenti alla funzione di indirizzo e coordinamento a
referendum popolare ricorrendo alla categoria dei c.d. atti “a contenuto
costituzionalmente vincolato”. Si giunge a tale risultato considerando (a) le disposizioni
ricognitive di una normativa costituzionale e (b) attuative, dal punto di vista
procedimentale, di garanzie costituzionali minime. L’A. rileva in conclusione che sulla
decisione abbiano sicuramente pesato le ragioni della difesa di un modello ormai
consolidato. Cfr. anche V. ONIDA, Sindacato di legittimità, cit., pag. 694 in cui si parla
di orientamenti troppo “remissivi” della Corte in merito alla valutazione della funzione
di indirizzo e coordinamento.
40
Sent. 150/1982, cit. e sulla stessa linea tra le altre sentt. 338/1989 in Giur. Cost., 1989
pag. 1557 e 30/1992 ivi, 1992, pag. 156.