PREMESSA
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Lo sviluppo socio economico degli ultimi anni ed il conseguente
aumento dei consumi, è stato caratterizzato da un progressivo aumento
dello sfruttamento delle risorse naturali con conseguente utilizzo delle
materie prime primarie, a cui ha fatto seguito una corrispondente
produzione di rifiuti e la necessità del loro smaltimento. In particolare,
studi recentemente condotti dall’Agenzia per la Protezione
dell’Ambiente e per i servizi Tecnici (APAT) e dall’Osservatorio
Nazionale Rifiuti (ONR), hanno stimato in circa 1,3 miliardi di
tonnellate la quantità di rifiuti prodotta annualmente in Europa (ad
esclusione dei rifiuti derivanti dalle attività agricole) e a circa 120
milioni di tonnellate quella prodotta nel 2001 in Italia.
Al fine di far fronte a tale problematica le recenti politiche ambientali
comunitarie e nazionali tendono a promuovere il recupero nelle sue
diverse forme, con particolare riguardo al riciclo di materia.
Affinché tale indirizzo possa avere una concreta attuazione, è
necessario favorire le attività di recupero attraverso la creazione di un
corretto mercato di beni e manufatti ottenuti con materiale riciclato
(materie prime secondarie).
Spunti e opportunità in tal senso vengono dalle Pubbliche
Amministrazioni, anche alla luce delle ultime novità legislative.
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Sebbene, infatti, grazie alle recenti politiche ambientali si siano
registrate una diminuzione dei quantitativi dei rifiuti smaltiti in
discarica ed un aumento delle tecnologie di trattamento orientate al
recupero di materia e di energia, lo smaltimento in discarica, e quindi
senza riutilizzo, rappresenta tuttora, specie per i rifiuti urbani,
l’opzione maggiormente utilizzata, preferita all’alternativa attività di
recupero per ragioni strettamente economiche, trascurando tuttavia
l’incidenza del costo ambientale dello smaltimento definitivo dei rifiuti
in discarica.
Scenario questo non ammissibile in società industrialmente avanzate
che, in quanto tali, dovrebbero essere ben coscienti dei limiti imposti
dallo sviluppo sostenibile.
Le recenti politiche ambientali promuovono una gestione dei rifiuti
orientata al recupero nelle sue diverse forme. Tale opzione consente vari
vantaggi, quali un risparmio nello sfruttamento delle risorse naturali,
una diminuzione dei consumi energetici derivanti dalla trasformazione
delle materie prime ed una conseguente diminuzione delle emissioni,
sempre proporzionali all’energia impiegata nei processi industriali.
Inoltre, il riciclo dei prodotti arrivati alla fine del loro ciclo di vita e dei
rifiuti in genere, consentirebbe la minore necessità di aree da adibire a
discarica, il cui reperimento è sempre più difficile anche per
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l’opposizione degli enti locali, di gruppi ambientalisti e dei cittadini.
Tali aree sono inoltre sottratte all’insediamento di attività produttive e
di insediamenti civili. La nuova tendenza al riciclo ha ispirato la
legislazione ambientale degli ultimi 10 anni che ha trovato una delle
espressioni più concrete nel Decreto Ronchi, la cui lettura ha fatto
sorgere nuove problematiche di carattere concettuale ed interpretativo.
In primo luogo vanno considerate quelle connesse alle incertezze sulla
nozione di rifiuto fornita dal Decreto Ronchi: “qualsiasi sostanza o
oggetto che rientra nella categorie riportate nell’allegato A e di cui il
detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsene”.
Tale nozione ha infatti generato una serie di dubbi sui materiali da
assoggettare alla disciplina dei Rifiuti, per esempio è controversa la
classificazione di tutti quei materiali che, pur avendo le caratteristiche
delle materie prime secondarie stabilite dal D.M. 5.02.98, non derivano
da attività di recupero. Tale incertezze hanno spinto il Legislatore ad
emanare nuove disposizioni, come per esempio il Decreto Legge. n.
138/02 (interpretazione autentica del termine rifiuto) convertito in
Legge n. 178/02 e che riporta la seguente definizione: “quando non vi
sia necessitá di un trattamento, ma possibilitá di riutilizzo immediato
nel ciclo produttivo, non si può parlare di rifiuto, ma di materia prima
secondaria, di per sé riutilizzabile”.
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A tali difficoltà interpretative si aggiungono poi, limitazioni di natura
tecnica, organizzativa ed economica.
In ogni caso, lo smaltimento dei rifiuti in discarica continua, rendendo
necessario il monitoraggio dell’ambiente circostante la discarica nelle
varie matrici ambientali interessate: suolo, acqua, fanghi, aria. L’attività
di smaltimento e di controllo delle emissioni ambientali, conseguenti
sia alla produzione di rifiuti che alla loro diffusione nell’ambiente, è
regolata da specifiche leggi che impongono ai produttori determinati
vincoli e registrazioni periodiche delle emissioni, nonché l’osservanza
di limiti di concentrazione specifici per ciascun tipo di sostanza
inquinante, stabiliti mediante opportune analisi di rischio, o mediante
decreti e regolamenti nazionali. Tali limiti possono essere modificati in
senso più restrittivo dagli Enti Locali, in funzione delle particolari
caratteristiche del territorio interessato. La presente tesi si pone come
obiettivo quello di mettere a confronto la legislazione americana e
quella italiana rispetto alle procedure seguite nella gestione dei rifiuti,
nel monitoraggio delle acque destinate al consumo umano. In
particolare, sono messi a confronto i limiti di legge dei valori di
concentrazioni previsti dalle due legislazioni ambientali.
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QUADRO NORMATIVO
QUADRO NORMATIVO
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Da un punto di vista istituzionale e normativo la materia dei rifiuti si è
evoluta negli ultimi decenni, soprattutto per effetto delle numerose
direttive emanate dalla Comunità Europea che hanno indirizzato la
politica ambientale degli Stati membri.
Tra le direttive emanate particolare importanza riveste la n. 91/156
(direttiva generale in materia di rifiuti) che ha la struttura normativa
quadro e obbliga gli Stati membri della Comunità a perseguire obiettivi
fondati sulla prevenzione, intesa come riduzione della produzione e
della nocività dei rifiuti alla fonte, e sul recupero degli stessi mediante
riciclo, impiego, riutilizzo e ogni altra azione intesa a ottenere materie
prime secondarie o l’uso dei rifiuti come fonte di energia.
In Italia, in attuazione di tale direttiva e delle successive, n. 91/689 (sui
rifiuti pericolosi) e n. 92/62 (sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggi), è
stato emanato il Decreto Legislativo n 22 del 1997 (Decreto Ronchi)
che oggi costituisce la normativa quadro in materia di rifiuti.
Tale decreto ha semplificato il sistema delle fonti, precedentemente
caratterizzato da numerose leggi e decreti succedutisi nel tempo, e
introdotto una serie di disposizioni volte a garantire un approccio
sistemico alle problematiche derivante dal ciclo dei rifiuti, sulla scorta
del seguente ordine di priorità:
-riduzione della produzione e della pericolosità;
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- recupero di materia nelle sue diverse forme;
- recupero di energia
- smaltimento sicuro.
A completare il quadro normativo tracciato dal decreto Ronchi sono poi
intervenuti una serie di decreti, tra cui particolare importanza rivestono
il D.M. 5.02.98 (inerente al recupero dei rifiuti non pericolosi) ed il
D.M.- 12.06.02, n. 161 (inerente al recupero dei rifiuti pericolosi)
emanati in attuazione di quanto previsto agli artt 31 e 33 del D.Lgs n.
22/97. Tali decreti regolamentano le procedure di recupero “agevolato”
dei rifiuti e forniscono, settore per settore, una serie di specifiche sulle
tipologie di rifiuti recuperabili, le loro caratteristiche, le modalità di
recupero ammesse, i requisiti richiesti alle materie prime secondarie
derivanti dal trattamento.
Come anticipato nell’introduzione, la suddetta norma fissa specifici
requisiti tecnici per i prodotti, le materie prime e le materie prime
secondarie, che devono avere caratteristiche merceologiche conformi
alla normativa tecnica di settore o, comunque, alle forme usualmente
commercializzate, senza presentare caratteristiche di pericolo superiori
a quelle dei prodotti e delle materie ottenuti dalla lavorazione di materie
prime vergini.
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Spesso accade, tuttavia, che i rifiuti richiedono trattamenti troppo
onerosi, in termini di costi e consumi energetici, per poter attuare il
riciclo.
E’ il caso, ad esempio della frazione inerte dei rifiuti da costruzione e
demolizione (C&D). Tale frazione, con le prescritte modalità, può
essere infatti più facilmente impiegata per usi che non richiedono
particolari prerogative tecniche (e cioè opere di ingegneria come
rilevati, sottofondi, ecc.). Più complesso e attualmente poco praticabile
è invece il suo utilizzo per la preparazione di malte, intonaci, e altri
materiali che richiedono prestazioni tecniche particolari. In questi casi
la possibilità di usare materiale riciclato in sostituzione dell’analogo
naturale dipende dalla qualità del materiale di partenza, che deve
garantire un livello di purezza coerente con le tecniche di separazione e
di recupero. Livello ottenibile solo curando attentamente la selezione
del recupero ed effettuando, in taluni casi, la stessa già sul luogo di
produzione, con i maggiori costi che ne derivano.
Presentando, inoltre, le materie prime secondarie caratteristiche diverse
da quelle primarie, come per esempio la composizione variabile che
non consente che vengano creati degli standard qualitativi per il loro
mercato, è necessario trovare applicazioni ben specifiche per le stesse
ovvero predisporre sistemi adeguati per il loro utilizzo.
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Ne consegue che ai limiti tecnici di cui sopra si sommano tutta una serie
di problematiche organizzative, derivanti dalla necessità di dover
predisporre cicli produttivi ad hoc cui inviare le materie prime
secondarie.
E’ pertanto evidente che, da un punto di vista economico, in condizioni
in cui non vi sono limitazioni all’accesso alle fonti naturali e, al
contempo, i costi di smaltimento in discarica sono bassi, è difficile che
si determini la competitività dei materiali recuperati rispetto agli
analoghi naturali.
Tale situazione può quindi verificarsi solo attraverso l’applicazione dei
criteri di internalizzazione dei costi ambientali in base ai quali i prezzi
dei beni e dei servizi dovrebbero includere i costi aggiuntivi derivati
dall’impatto ambientale prodotto durante le fasi di produzione e
gestione.
Internalizzazione che potrebbe, ad esempio, essere realizzata
imponendo tasse su sistemi solo apparentemente meno costosi, come lo
smaltimento in discarica, con le quali incentivare poi sistemi che
prevedano il recupero di materia.
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Il D.M. N° 203/03 e il GREEN PUBLIC PROCUREMENT
(Acquisti a basso impatto ambientale da parte della pubblica
amministrazione).
I limiti sopra esposti hanno spesso scoraggiato il recupero dei rifiuti, e
scoraggiato e ostacolato la creazione di un mercato di beni e manufatti
realizzati con materiale riciclato.
Al fine di risolvere tale problematica e garantire l’attuazione dei
principi sanciti dalle norme comunitarie, il legislatore ha tentato di
incentivare il riciclo, attraverso l’emanazione di norme che prevedono
l’utilizzo di materiale ecocompatibile nel settore della pubblica
Amministrazione.
Rappresentando, infatti, il settore degli approvvigionamenti pubblici
circa il 17% del PIL nazionale, è evidente come lo stesso possa fungere
da punto di partenza per l’espansione di un mercato di prodotti ottenuti
con materiale riciclato, attraverso l’introduzione nelle procedure di
acquisti e nei bandi pubblici di criteri di selezione che favoriscono
l’impiego di detti prodotti.
In tal senso la legge 448/01 ha previsto:
- l’acquisto da parte delle Amministrazioni dello Stato, degli Enti Locali
e dei gestori di servizi pubblici e di pubblica utilità di pneumatici
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ricostruiti per le loro autovetture e i loro autoveicoli commerciali e
industriali, in quantità pari almeno al 20% del totale;
- l’emanazione di un Decreto volto a fissare i criteri in base ai quali le
Regioni avrebbero adottato una serie di disposizioni finalizzate alla
copertura, da parte di uffici pubblici e società a prevalente capitale
pubblico, di almeno il 30% del fabbisogno annuo con manufatti ottenuti
da materiale riciclato.
In attuazione di quest’ultima previsione il Ministero dell’Ambiente e
della Tutela del Territorio ha emanato il Decreto n. 203/2003, recante:
“Norme affinché gli uffici pubblici e le società a prevalente capitale
pubblico coprano il fabbisogno annuale di manufatti e beni con una
quota di prodotti ottenuti da materiale riciclato nella misura non
inferiore al 30% del fabbisogno medesimo”.
Obiettivo principale di detto Decreto è quello di creare un mercato per i
prodotti derivanti dalle operazioni di riciclaggio.
Per far ciò gli Enti Pubblici e le società a prevalente capitale pubblico,
all’atto della predisposizione di un bando di gara per la forniture e
l’istallazione di beni o manufatti ovvero nella formulazione dei
capitolati di opere pubbliche, dovranno adottare disposizioni atte a far si
che:
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- almeno il 30% del fabbisogno annuale di beni e manufatti sia coperto
con prodotti realizzati con materiale riciclato, intendendo con tale
dizione un materiale realizzato utilizzando i rifiuti derivanti dal post-
consumo (salvo quanto previsto per i rottami metallici e alcuni materiali
tessili), nei limiti in peso imposti dalle tecnologie impiegate per la
produzione del materiale medesimo;
- Tale quota sia raggiunta per ogni categoria di prodotto, dal momento
che il superamento del 30% in una categoria non compensa il mancato
raggiungimento della quota minima in un’altra categoria;
- i capitolati non prevedano disposizioni più restrittive a quelle previste
dalle norme vigenti nazionali e comunitarie.
Fondamentale importanza assume per l’attuazione di detto decreto la
creazione del cosiddetto “ Repertorio del riciclaggio”, di un catalogo-
ottenuto e reso pubblico dall’ONR- contenente:
- l’elenco dei materiali riciclati e dei manufatti con essi prodotti;
-la loro disponibilità sul mercato e il relativo prezzo.
Per poter essere ammessi a detto elenco i manufatti ottenuti con
materiale riciclato dovranno avere un prezzo congruo, ossia non
superiore di una percentuale, stabilita dall’ONR, a quella dei manufatti
analoghi ottenuti con materie prime vergini.
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Le opportunità per detti enti di rifornirsi di beni e Servizi a basso
impatto ambientale sono numerose: dall’acquisto di manufatti ottenuti
con materiale riciclato all’impiego di fonti energetiche alternative, fino
all’utilizzo di cibi biologici, ecc.. Trattandosi, tuttavia di un campo per
lo più inesplorato è evidente che sussistono ancora molti ostacoli, primo
fra tutti quello delle modalità con cui introdurre requisiti ambientali nei
bandi di gara per il rifornimento di beni e servizi senza contrastare la
normativa comunitaria sulla libera concorrenza. Senza considerare poi
l’esigenza di poter disporre di un manuale in grado di supportare
concretamente le Amministrazioni nella loro politica di acquisti verdi.
Tra gli enti pionieri in tal senso si possono citare le province di
Cremona, Bologna, Modena, la regione Toscana e il Comune di Ferrara.
Il decreto n 203/03 riceve, infatti, il plauso non solo delle associazioni
ambientaliste, ma anche da alcuni enti locali già da qualche tempo
orientati in questa direzione. E’ necessario, tuttavia, sviluppare una
normativa coerente che disciplini, con efficacia ed efficienza, il
passaggio a un’economia ecologicamente sostenibile.