V
tano, sui valori che trasmettono e su quello che, a livello suggestivo ed 
emozionale, hanno da offrire al consumatore.  
L’importanza di un buon posizionamento sul mercato (e dunque nella 
mente dei consumatori) è fondamentale oggi per l’impresa. D’altro can-
to, in un mercato sempre più affollato e così ricco di possibilità di scelta 
tra prodotti che in linea di massima tendono a collocarsi sullo stesso li-
vello qualitativo, sarebbe impensabile proporre un tipo di pubblicità ba-
sato sulla mera esposizione di dati e caratteristiche del prodotto, senza 
introdurre elementi differenziali in grado di attrarre l’attenzione del de-
stinatario (il fatto che siano elementi di suggestione e non caratteristi-
che prestazionali costituisce un modo più veloce ed accattivante per 
raggiungere il possibile acquirente).  
Il consumatore, bombardato da una tale mole di informazioni e sugge-
stioni, deve essere messo in condizione di difendersi da situazioni che 
potrebbero arrecargli danno; perché, se è vero che la pubblicità ha co-
me scopo principale quello di informare il possibile acquirente sui van-
taggi e le qualità di un determinato prodotto, questo aspetto sicura-
mente positivo può divenire un’arma a doppio taglio nel momento in cui 
le informazioni risultino viziate da elementi di ingannevolezza (come 
per esempio omissioni, dati falsi, tendenziosi o erroneamente riportati), 
oppure non palesino la loro reale natura e vengano presentate come 
provenienti da soggetti terzi estranei ed obiettivi, oppure ancora siano 
informazioni riportate esclusivamente con l’intento di ledere la reputa-
zione e denigrare i concorrenti, causando così un potenziale “pregiudi-
zio economico” per il consumatore, che ne risulterebbe ingannato e per 
il concorrente che assisterebbe impotente ad un illegittimo sviamento 
della sua clientela verso un concorrente poco onesto. 
Ecco perché è necessario che anche la comunicazione pubblicitaria sia 
regolamentata giuridicamente: è importante che le imprese non abusi-
no dello strumento di cui dispongono per fini che non dovrebbero ap-
partenergli, come l’inganno del consumatore o il danno del concorrente. 
 
                                                                                                                                                    INTRODUZIONE 
 
VI
Nel presente lavoro saranno analizzati proprio i casi in cui lo strumento 
pubblicitario non viene usato correttamente e gli strumenti giuridici uti-
lizzati per reprimere questi comportamenti illeciti. Saranno prese in e-
same le fattispecie di pubblicità ingannevole, di pubblicità occulta e di 
pubblicità comparativa e tutta la normativa italiana che le riguarda at-
tualmente e le ha riguardate nel passato. 
Il diritto della pubblicità in Italia infatti, solo negli ultimi anni, ha acqui-
sito una forma per così dire organica, ma esso è il frutto di almeno ot-
tant’anni di testi normativi sempre diversi e spesso dettati dal particola-
re contesto socioeconomico e politico. Così, le leggi fasciste sulla pub-
blicità si caratterizzavano per il frequente ricorso alla censura preventi-
va, misura coerente con il regime che la proponeva. Mentre le norme 
del periodo immediatamente successivo alla seconda Guerra Mondiale, 
ispirate dell’atmosfera di “miracolo industriale” che si respirava, tene-
vano in maggiore considerazione gli interessi imprenditoriali piuttosto 
che quelli dei consumatori ed erano dunque molto più permissive, pre-
vedendo blande sanzioni per chi vi contravveniva. Ed ancora, la produ-
zione normativa degli ultimi anni, fortemente influenzata 
dall’atteggiamento della Comunità Europea, esprime tutta la sua atten-
zione agli interessi dei consumatori, non nascondendo una legittima 
tendenza all’armonizzazione dei singoli ordinamenti giuridici nazionali e 
del mercato comune. 
Questo lavoro, come detto, considera quegli aspetti del diritto della 
pubblicità che espressamente tutelano i soggetti contro i possibili danni 
arrecati da un cattivo uso della comunicazione commerciale.  
Non verranno prese in considerazione forme particolari di pubblicità che 
meriterebbero una trattazione a parte per le problematiche che solleva-
no (la sponsorizzazione per esempio, la televendita, il direct mailing, 
etc.): queste fattispecie sono comprese nella definizione di “pubblicità” 
e verranno prese in considerazione solo quando si configurino come ca-
si di pubblicità ingannevole, occulta o comparativa, ma non saranno in-
dagate da altri punti di vista. Parimenti non saranno prese in considera-
  
VII
zione, se non in maniera superficiale, particolari normative utilizzate 
per regolamentare alcuni aspetti del diritto della pubblicità (e cioè le 
leggi in materia di marchi, di diritto d’autore e di diritti della personali-
tà), che non trovano collegamenti significativi con lo scopo di questa 
tesi.  
Il primo capitolo, in cui verrà definito il concetto generale di “pubblicità” 
e ne sarà descritto lo sviluppo storico, si soffermerà in particolare sul 
problema delle tutele costituzionali previste per la comunicazione com-
merciale. Seguirà un capitolo espressamente dedicato agli organi e 
strumenti di tutela previsti in Italia per il controllo della pubblicità, 
mentre le parti successive (Capp. 3, 4 e 5) andranno ad analizzare le 
singole fattispecie di comunicazione scorretta, e cioè la pubblicità in-
gannevole, quella occulta e quella comparativa illecita. 
 
Se l’occultamento dei messaggi pubblicitari nei vari contesti informativi 
può essere fatto rientrare nella fattispecie più generale di pubblicità in-
gannevole, la comparazione presenta invece caratteristiche diverse ed 
autonome, poiché può divenire insidiosa per il consumatore o il concor-
rente solo se condotta in modo scorretto e non per sua stessa natura. 
Sarebbe quindi forse più opportuno distinguere tra “pubblicità compara-
tiva” e “pubblicità non comparativa” (o classica) e individuare in en-
trambe, parallelamente, i profili di scorrettezza: ossia l’ingannevolezza 
e l’occultamento.  
D’altro canto, la scorrettezza di una comparazione non si basa esclusi-
vamente sul fatto che essa possa risultare ingannevole o occulta, ma 
anche sulla possibilità che getti discredito sul concorrente, che sfrutti 
indebitamente la notorietà altrui o che generi confusione sul mercato. 
Inoltre per molti anni, la pubblicità comparativa in Italia è stata censu-
rata proprio in quanto tale, poiché invariabilmente legata al concetto di 
“denigrazione”: si riteneva infatti che l’istituzione di un raffronto con il 
concorrente comportasse inevitabilmente un’azione di discredito nei 
                                                                                                                                                    INTRODUZIONE 
 
VIII
suoi confronti, e per questo motivo qualsiasi genere di pubblicità com-
parativa era da considerarsi illecita quasi a priori. 
Per queste ragioni, si è preferito trattare il problema della comunicazio-
ne comparativa in maniera autonoma e parallela rispetto ai profili di in-
gannevolezza, benché dal 2000, anche in Italia ormai, essa sia giudica-
ta assolutamente lecita al pari di altri generi pubblicitari e illecita solo 
quando non rispetti i limiti di legittimità imposti per legge.  
LA PUBBLICITÀ 
 
1
CAPITOLO 1 – LA PUBBLICITÀ: ASPETTI GE-
NERALI E TUTELE COSTITUZIONALI  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
1. DEFINIZIONI DI “PUBBLICITÀ” 
Descrivere adeguatamente e in maniera precisa il termine pubblicità è 
compito decisamente arduo, soprattutto perché le definizioni che se 
ne sono date nel corso degli anni sono innumerevoli, diverse tra loro 
e in alcuni casi piuttosto lacunose.  
Pubblicità intesa come: 
 
«Strumento/forma di comunicazione grazie alla quale è possibile eser-
citare un’opera di persuasione sugli individui. […] persuasione di tipo 
commerciale.»
1
 
 
«Forma di comunicazione unilaterale, in cui è (o dovrebbe essere) 
sempre individuabile chi la promuove, generalmente veicolata dai 
grandi mezzi di comunicazione di massa, rivolta a stimolare la propen-
sione al consumo.»
2
 
 
«E’ costruire una marca, e cioè la percezione delle promesse legate al 
posizionamento strategico dell’azienda.»
3
 
                                                 
1
 CODELUPPI, Cos’è la pubblicità, Milano, 2001. 
2
 FABRIS, La pubblicità. Teoria e prassi, Milano, 1997. 
3
 LOMBARDI, Il nuovo manuale di tecniche pubblicitarie, Milano, 1998. 
                                                                                                       CAPITOLO 1 
 
2
 
«E’ una pratica sociale, volta all’esibizione di contenuti simbolici, con 
funzioni di persuasione e socializzazione, solitamente realizzata nel 
contesto di un più vasto scambio di stampo economico e/o comunicati-
vo.»
4
 
 
«E’ una comunicazione d’impresa avente contenuto economico e fina-
lità promozionale, rivolta al pubblico attraverso mezzi di comunicazione 
di massa.»
5
 
 
Un Autore
6
 ha addirittura preso le mosse dalla distinzione tra cinema 
e pubblicità, al fine di sottolineare gli aspetti di divergenza tra le due 
forme di comunicazione e in particolare di chiarire la natura della se-
conda: nel cinema “il prodotto è nella visione stessa”, nella pubblicità 
“il prodotto è preesistente”. Questo perché, stanti gli elementi di so-
miglianza tra le due forme comunicative (i contesti industriali nei 
quali operano, il ricorso alle tecniche e alle innovazioni tecnologiche, 
nonché ai trend estetici, il fatto che entrambe siano fondate 
sull’utilizzo dell’immagine in movimento, etc.), la pubblicità a diffe-
renza del cinema, “non può provocare un’interruzione dei flussi inter-
ponendovi qualcosa di inaspettato e di inusuale, non può far leva su 
linguaggi innovativi che il pubblico ancora non riconosce e che di 
conseguenza stenta a comprendere a fondo, ma può e deve parlare 
solo attraverso una lingua condivisa dalla parte più ampia possibile 
del suo pubblico potenziale, perché l’elemento finale imprescindibile, 
del quale le è impossibile dimenticarsi, è la merce, verso cui essa ha 
il dovere di muovere lo spettatore e di creare in lui un indirizzo di o-
pinione che lo spinga ad includere il prodotto nel proprio orizzonte 
conoscitivo ed esperienziale.” 
   
Tutte queste definizioni sono indubbiamente appropriate e molto op-
portune, poiché gettano luce su aspetti importanti della natura pub-
blicitaria; tuttavia in alcuni casi esse risultano troppo generiche e ri-
                                                 
4
 ABRUZZESE/COLOMBO, Dizionario della pubblicità, Milano, 1994. 
5
 FUSI/TESTA, Diritto e pubblicità, Milano, 1996, p. 31. 
6
 PITTERI, Fabbriche del desiderio, Roma, 2000, p. 50 – 51. 
LA PUBBLICITÀ 
 
3
feribili a molti generi diversi di comunicazione, ma non esclusivamen-
te a quella di cui qui si sta discutendo. La maggiore difficoltà nel re-
perire una caratterizzazione univoca del termine in esame deriva dal 
fatto che esso può essere approcciato da punti di vista anche molto 
differenti tra loro: è infatti possibile descrivere il fenomeno pubblici-
tario da un punto di vista sociologico, o magari semiotico, oppure an-
cora economico ed imprenditoriale. 
Trattando questo lavoro l’aspetto eminentemente giuridico della co-
municazione commerciale, si tenderanno a privilegiare le definizioni 
prodotte in questo ambito. Il ruolo del diritto è quello di porre dei li-
miti e fornire delle norme di comportamento di portata generale, che 
debbono imporsi in ogni ambito e aspetto della vita sociale degli indi-
vidui; dunque proprio questa caratteristica di generalità fa sì che tutti 
i settori (così diversi nel loro approccio alla pubblicità) si debbano ri-
trovare concordi nel rispettare le norme di diritto, dunque la defini-
zione di pubblicità prodotta in ambito giuridico è quella che sarà con-
siderata come punto di riferimento in questo lavoro. 
Il Decreto Legislativo 74/1992
7
 così stabilisce all’art. 2, lett. a): 
 
«[Ai fini del presente decreto si intende:] per “pubblicità”, qualsiasi for-
ma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell’esercizio di 
un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo 
scopo di promuovere la vendita di beni mobili o immobili, la costituzio-
ne o il trasferimento di diritti ed obblighi si di essi oppure la presenta-
zione di opere o di servizi.» 
 
 
Mentre il Codice di Autodisciplina stabilisce che il termine “pubblicità” 
debba comprendere: 
 
                                                 
7
 Decreto Legislativo 25 gennaio 1992, n. 74 – Attuazione della Direttiva 84/450/CE, come modificata 
dalla direttiva 97/55/CE in materia di pubblicità ingannevole e comparativa. Per la puntuale descrizione 
del decreto e del procedimento amministrativo che da esso deriva, v. infra Cap. 2, § 1.3. 
                                                                                                       CAPITOLO 1 
 
4
«ogni comunicazione, anche istituzionale, diretta a promuovere la ven-
dita di beni o servizi quali che siano i mezzi utilizzati, nonché le forme 
di comunicazione disciplinate dal titolo VI.»
8
 
 
 
 
Entrambe le definizioni tendono a comprendere tutti i tipi di pubblicità: 
non solo quella “classica” divulgata attraverso i mezzi di comunicazio-
ne di massa, ma anche forme comunicazionali dirette sviluppate sul 
punto vendita, tramite la distribuzione di volantini, porta a porta oppu-
re le operazioni di mailing, o ancora le televendite, le sponsorizzazioni 
e le promozioni.
9
 Viene considerata pubblicità anche quella presente 
direttamente sul prodotto, veicolata attraverso la sua confezione o at-
traverso un particolare tipo di packaging.
10
 
 
                                                 
8
 Il Titolo VI, art. 46 – Appelli al pubblico, riguarda la Pubblicità sociale, ossia quella forma di comuni-
cazione “volta a sensibilizzare il pubblico su temi di interesse sociale, anche specifici, o che sollecita, di-
rettamente o indirettamente, il volontario apporto di contribuzioni di qualsiasi natura, finalizzate al rag-
giungimento di obiettivi di carattere sociale.”  
9
 Solitamente si tende a distinguere tra pubblicità above the line, con la quale si indica la classica comuni-
cazione tabellare e below the line, per le altre forme pubblicitarie (direct marketing, sponsorizzazioni, 
promozioni, merchandising, etc.). Vedi LOMBARDI, op. cit., 1998.  
10
 Infatti, il CAP, nelle Norme Preliminari e Generali, alla lett. e) stabilisce che per «messaggio», debba 
intendersi “qualsiasi forma di presentazione al pubblico del prodotto”, riferendosi anche “all’imballaggio, 
alla confezione e simili.” Una simile menzione non è invece presente nel Decreto Legislativo. 
LA PUBBLICITÀ 
 
5
2. BREVE STORIA DELLA PUBBLICITÀ COMMERCIALE 
Le origini della moderna comunicazione pubblicitaria sono da ricercarsi 
nel periodo di sviluppo ed affermazione della “Rivoluzione industriale”, 
a partire dalla seconda metà del XVIII secolo. La nascita della produ-
zione in serie modificò profondamente la struttura tradizionale dei 
mercati: innanzi tutto il migliorato tenore di vita delle popolazioni am-
pliò le possibilità e le occasioni di consumo e il progressivo sviluppo di 
mezzi di trasporto e di miglioramento dei collegamenti urbani ed e-
xtraurbani rese più semplici le comunicazioni (anche commerciali). 
Questi cambiamenti sociali influirono a loro volta sull’economia e sullo 
sviluppo delle imprese: da un lato vi fu un ampio potenziamento delle 
attività di vendita, rese completamente autonome da quelle produttive 
e dall’altro fu decretata la fine del ciclo economico tradizionale di tipo 
artigianale, nel quale una perfetta corrispondenza tra produzione e 
domanda si sommava al rapporto praticamente diretto instaurato tra 
produttore e consumatore.
11
 
La domanda della nuova economia di mercato era rappresentata dalla 
grande massa di potenziali acquirenti, che doveva essere informata 
delle possibilità di acquisto e di scelta tra le varie opportunità di pro-
dotti presenti sul mercato. Per raggiungere un simile scopo, e cioè co-
municare con un bacino d’utenza così esteso, lo strumento più adatto 
fu rintracciato nei mezzi di comunicazione di massa ed in particolare 
nella pubblicità.
12
 “Attraverso lo strumento pubblicitario, le imprese si 
resero dunque capaci di orientare quella domanda senza la quale non 
avrebbero potuto realizzare le proprie nuove capacità produttive.”
13
.  
                                                 
11
 Il primo grande incremento produttivo si ebbe tuttavia solo nel primo decennio del ‘900, grazie 
all’introduzione del sistema della catena di montaggio negli stabilimenti Ford e delle teorie della c.d. Or-
ganizzazione scientifica del lavoro (OSL) ad esso collegate sviluppate da Frederick Taylor, le quali pre-
vedevano che il lavoro operaio fosse codificato in sequenze di azioni standard in modo tale da massimiz-
zarne l’efficacia e ridurre i tempi morti. 
12
 Dapprima tramite la stampa (grazie ad una serie di invenzioni importanti, quali la litografia, la macchi-
na da stampa e l’inchiostro), successivamente anche attraverso la radio (dal 1930 in poi), il cinema e poi 
la televisione (il primo spot televisivo della storia è datato 1941). In realtà, alcuni annunci pubblicitari a 
mezzo stampa sono stati rintracciati ben prima del periodo di rivoluzione industriale: il primo esempio è 
individuabile già in un settimanale francese (Gazette)  pubblicato da Theophraste Renaudot nel 1631 e del 
1691 è invece il più antico annuncio pubblicitario italiano (inserito nell’Almanacco Protogiornale Veneto 
Perpetuo). Il 1704 fu l’anno d’esordio della pubblicità anche per il Boston News Letter, negli Stati Uniti.  
13
 GHIDINI, Introduzione allo studio della pubblicità commerciale, Milano, 1968, p. 6. 
                                                                                                       CAPITOLO 1 
 
6
Il sistema pubblicitario cominciò a svilupparsi notevolmente nel mo-
mento in cui divenne a pagamento: la stampa iniziò a finanziarsi grazie 
alle spese sostenute dagli inserzionisti e a seguito di ciò, riuscì a ren-
dere il suo costo più accessibile al vasto pubblico, non senza attirare 
su di sé tuttavia, molte violente critiche da parte di chi temeva una 
perdita di dignità del giornalismo, basato ormai quasi totalmente sugli 
introiti pubblicitari. 
Negli anni successivi, in particolare nel periodo tra i due conflitti mon-
diali e in alcuni casi nel secondo dopoguerra, avvenne una nuova “rivo-
luzione”, che portò alla nascita e lo sviluppo della attuale c.d. “Società 
dei consumi”. La cultura del consumo cominciò ad emergere anch’essa 
negli ultimi anni del XIX secolo
14
, ma entrò nella sua fase di piena ma-
turazione solo negli anni ’50 e ’60. Questo si ebbe proprio “grazie 
all’effetto di omogeneizzazione sociale prodotto dalla pubblicità e dalla 
televisione”
15
, che innalzarono il bene di consumo a “meta sociale for-
temente ambita”
16
 e contribuirono a creare quel fenomeno collettivo 
poi definito “consumismo di massa”.   
Dal punto di vista economico poi, lo sviluppo dei consumi fu anche fa-
vorito dal mutamento sostanziale verificatosi a livello industriale: non 
era più la produzione a dover creare la domanda, bensì il principio op-
posto, secondo il quale la domanda doveva essere stimolata affinché 
condizionasse la produzione.
17
 In un simile sistema, la pubblicità as-
sumeva un ruolo fondamentale e andava a legarsi sempre più stretta-
                                                 
14
 Il periodo dello sviluppo industriale infatti coincide anche con lo sviluppo dei centri urbani: le metropo-
li in crescita accolgono i nuovi operai in fuga dalle campagne, che nel nuovo contesto sociale non ritrova-
no più i loro punti di riferimento. “Il mondo esterno”, si afferma in CODELUPPI, Consumo e comunicazio-
ne, Milano, 1989, “diventa sempre più un mondo di estranei, il mondo freddo della città dove, a differen-
za dei piccoli paesi, non si conoscono più persino i vicini di casa, perché sono tanti, anonimi e per di più 
cambiano continuamente.” Questa condizione alienante e solitaria del consumatore facilitò la capacità 
della pubblicità di rendersi persuasiva ed efficace e favorì anche la creazione, da parte della pubblicità 
stessa, degli status sociali prefabbricati e garantiti, raggiungibili mediante l’acquisto dei beni che li conte-
nevano. L’individualismo del consumatore unito alle trasformazioni avvenute nel campo dell’etica e della 
religione (tramite il processo di secolarizzazione) furono alla base dello sviluppo primitivo dei una società 
basata sui consumi, ove il consumo comincia ad essere elevato a pratica socialmente desiderabile e a indi-
catore di status.  
15
 CODELUPPI, op. cit., 1989, p. 39. 
16
 Ibidem. 
17
 Quello che il famoso economista John Mynard Keynes, promotore di questo nuovo indirizzo, ebbe a  
definire come “incentivazione della propensione al consumo”. 
LA PUBBLICITÀ 
 
7
mente alla neonata disciplina del marketing
18
: l’impresa doveva pro-
grammare ogni azione in base alle esigenze di mercato, accentuando 
gli elementi persuasivi della pubblicità tramite raffinate tecniche
19
 e 
sfruttando il più possibile i mezzi di comunicazione di massa e le tec-
nologie che andavano sviluppandosi. In particolare, la pubblicità di-
venne fondamentale per due ragioni principali: da un lato, il suo uso 
“consentiva alle imprese di massimizzare i volumi di vendita dei pro-
dotti e quindi di sfruttare le economie di scala produttive”, dall’altro 
questo massiccio investimento faceva da “formidabile supporto alla dif-
ferenziazione, con la conseguenza di ridurre la sostituibilità tra il pro-
dotto dell’impresa impegnata su questo versante e i prodotti della con-
correnza.”
20
 
Nel corso degli anni ’70 e ’80 il consumo, stimolato da marketing e 
pubblicità assunse un ruolo sociale sempre maggiore, fino a diventare 
oggi un vero e proprio “produttore di identità sociali immediatamente 
acquistabili e scambiabili sul mercato per ridurre la complessità socia-
le, cioè delle immagini prefabbricate e totalmente pubblicitarie nelle 
quali potersi identificare e grazie alle quali poter interagire con gli altri 
individui.”
21
 In questo senso, la pubblicità si è sviluppata sempre più 
nel senso dell’immagine e della suggestione piuttosto che nel senso 
della funzione e dell’aspetto prestazionale dei prodotti. Per stimolare i 
                                                 
18
 Il marketing diventa un’autonoma disciplina nell’ambito degli studi aziendali e assume un’identità spe-
cifica all’interno dell’impresa negli USA nella prima metà degli anni ’60. La novità che differenzia 
un’impresa orientata alla vendita da una orientata al marketing è il fatto che la seconda non tenta di ven-
dere tutto ciò che produce, ma produce ciò che è in grado di vendere: dunque la nuova disciplina agisce 
come un importante sistema di razionalizzazione dell’attività produttiva d’impresa. Cfr. GRADINETTI, 
Concetti e strumenti di marketing, Milano, 2002, pp. 1 e ss. 
19
 È questo il periodo di sviluppo delle c.d. “ricerche motivazionali” (o motivational research) , tecniche 
utilizzate dalla pubblicità, ma derivate dagli studi di psicologia cognitiva e motivazionale. Si riteneva che 
la pubblicità potesse aumentare la sua efficacia di persuasione ed attrazione sul pubblico se basata su ri-
cerche e indagini di mercato che mettessero in luce i comportamenti, le abitudini e le caratteristiche del 
target di riferimento. Si trattava di attirare il consumatore con qualsiasi mezzo possibile. Sono di questi 
anni anche i primi esperimenti di pubblicità subliminale: le imprese erano attirate dalla possibilità di per-
suasione passiva e inconscia di questo genere di comunicazione commerciale e dai profitti che avrebbe 
potuto generare. Questo tipo di pubblicità, ma anche tutto l’ambito delle ricerche motivazionali applicate 
all’ambito commerciale fu fortemente criticato a partire dalla fine degli anni ’50: le critiche sottolineava-
no soprattutto il carattere fortemente manipolatorio e lesivo della libertà dei singoli individui della pub-
blicità, che stava invadendo la vita di tutti i giorni, insinuandosi subdolamente nelle menti e spingendo le 
persone a comportamenti d’acquisto assolutamente illogici e pilotati. Cfr. PACKARD, I persuasori occulti, 
trad. it., Torino, 1959.  
 
20
 GRADINETTI, op. cit., 2002, p. 24. 
21
 CODELUPPI, op. cit., 1989, p. 14. 
                                                                                                       CAPITOLO 1 
 
8
consumi e renderli sempre più stabili e legati ad un certo valore di sta-
tus del prodotto, la pubblicità ha dovuto puntare negli ultimi anni, 
sull’aspetto emozionale e suggestivo piuttosto che sulla concretezza 
oggettiva del messaggio, in modo da rendere ancora più stretto e du-
revole il legame con il consumatore.
22
 Costui infatti, ha a disposizione 
sul mercato un vastissimo assortimento di prodotti, che dal punto di 
vista qualitativo possono essere considerati simili, se non identici
23
 e 
tenderà a scegliere il bene o il servizio più attraente e con il quale si 
identifica maggiormente da un punto di vista “sociale”.  
I valori proposti dalla pubblicità non sono poi, mai totalmente innova-
tivi, anzi essa si caratterizza spesso per catturare i messaggi e i signi-
ficati già esistenti nell’immaginario collettivo per immetterli diretta-
mente nelle merci vendute sul mercato ai consumatori.
24
 Ogni oggetti, 
bene o servizio viene caricato di senso dalla pubblicità e dal marketing 
cosicché i soggetti non acquistano quasi mai “prodotti”, ma acquistano 
“significati”: non comprano un’auto sportiva, ma il “potere” e il “suc-
cesso”; non comprano un vestito di marca, ma la “bellezza” e la “con-
siderazione sociale” e così via.  
 
                                                 
22
 Come viene affermato in CODELUPPI, op. cit., 1989, p. 109: “Il problema principale che oggi i pubblici-
tari si trovano generalmente ad affrontare è quello di dover costruire attorno ai prodotti materiali da pub-
blicizzare delle immagini totalmente immateriali.” 
23
 Su questo punto concorda CODELUPPI, op. cit., 1989, p. 109: “Il progressivo diffondersi di forme distri-
butive moderne ma massificanti, l’accresciuta competizione commerciale tra le imprese e le continue in-
novazioni tecnologiche hanno reso i beni di consumo sostanzialmente identici dal punto di vista dei bene-
fici effettivamente apportati ai consumatori /valore d’uso).” 
24
 Come viene affermato in BARAN, The longer view: Essays toward a critique of political economy, 1969 
citato in CODELUPPI, op. cit., 1989, p. 111: “La pubblicità e i programmi dei mezzi di comunicazione di 
massa offerti dalla pubblicità e ad essa collegati non creano in misura significativa nuovi valori né produ-
cono nuovi atteggiamenti, ma riflettono piuttosto valori già esistenti e sfruttano gli atteggiamenti diffusi.” 
LA PUBBLICITÀ 
 
9
3. FUNZIONE “INFORMATIVA” E “PERSUASIVA” DELLA PUBBLICITÀ 
Un aspetto interessante della pubblicità riguarda poi la sua duplice na-
tura di comunicazione da un lato “informativa” e dall’altro “persuasi-
va”. Come illustre dottrina ebbe modo di affermare: “La funzione pri-
maria della pubblicità commerciale consiste essenzialmente nel mette-
re i consumatori medesimi a conoscenza delle concrete possibilità di 
acquisto e di scelta che, di fronte alla sempre crescente molteplicità e 
differenziazione dei bisogni, sono loro offerte dalle imprese.” E poi an-
cora: “A fianco di questa (originaria) funzione informativa, la moderna 
pubblicità commerciale ha tuttavia esercitato un potere persuasivo 
conseguente sia alla naturale propensione dell’imprenditore a fornire 
informazioni favorevoli sul prodotto; sia e ancor più alla suggestione 
esercitata sul pubblico dai mezzi di comunicazione di massa.”
25
 
Il potere della persuasione in pubblicità è stato considerato spesso in 
modo autonomo o addirittura elevato a funzione principale dell’attività 
pubblicitaria, a causa soprattutto di certi studi di tipo sociologico che 
hanno sempre sottolineato e marcato solo questo aspetto della comu-
nicazione commerciale, partendo dal presupposto che sia la pubblicità 
a determinare mode e costumi, ad affermare modelli di vita e di pen-
siero e a sollecitare l’emulazione. Tuttavia, un aspetto informativo è si-
curamente presente, basti pensare alla funzione orientativa che svolge 
la pubblicità, fornendo dati e informazioni utili al consumatore che de-
ve compiere delle scelte tra i prodotti presenti sul mercato.  
Dunque, “la comunicazione pubblicitaria si muove tra l’emozione susci-
tata dall’uso di una immagine efficace e la ricerca di un rapporto di fi-
ducia che si intende presentare, costruire, rinnovare, stabilizzare tra 
l’emittente ed i consumatori”
26
 e le due funzioni appaiono del tutto e-
quilibrate.  
Il problema sorge quando la comunicazione pubblicitaria è volontaria-
mente e consapevolmente spinta verso l’uno o l’altro aspetto: da un 
lato avremo una pubblicità di tipo informativo, basata sull’esposizione 
                                                 
25
 GHIDINI, op. cit., 1968, pp. 17 – 18.  
 
26
 CORASANITI/VASSELLI, Diritto della comunicazione pubblicitaria, Torino, 1999, p. 4.  
                                                                                                       CAPITOLO 1 
 
10
degli aspetti oggettivi e materiali del prodotto, le c.d. caratteristiche 
prestazionali; dall’altro avremo un tipo di comunicazione persuasiva e 
quindi tutta giocata sulla manipolazione delle emozioni, tesa a colpire 
ed attrarre il consumatore non tanto attraverso le particolarità del pro-
dotto, quanto tramite lo sviluppo di fascino e suggestione prodotti dal 
messaggio stesso (attraverso particolari immagini o scelte musicali o 
testi accattivanti). Questo genere di pubblicità viene definita anche 
come suggestiva.  
La dicotomia esistente tra comunicazione “prestazionale” e “suggesti-
va” è stata al centro di un ampio dibattito in dottrina, soprattutto per 
quanto riguarda l’ambito della comparazione pubblicitaria, in cui pare 
che la suggestione pubblicitaria utilizzata al fine di istituire un raffronto 
tra prodotti non sia considerata lecita.
27
  
Al di fuori delle problematiche specifiche relative alla pubblicità compa-
rativa, sembra di poter affermare che ogni comunicazione pubblicitaria 
contiene in sé entrambi gli aspetti e che anche il messaggio più sugge-
stivo presenta comunque qualche elemento di tipo informativo, dal 
momento che, se così non fosse, verrebbe meno la funzione principale 
della pubblicità, che è quella di fornire al consumatore indicazioni utili 
al fine di compiere delle scelte sul mercato.
28
  
 
“Informazione” e “persuasione” sono stati anche considerati elementi 
discriminanti nella differenziazione delle due species della propaganda 
e della pubblicità. Si ritiene che “quando lo scopo della comunicazione 
di massa sia quello di spingere i membri della collettività ad un deter-
minato comportamento, si parlerà di propaganda. E quando la propa-
                                                 
27
 Per una completa disamina di questi problemi relativamente alla pubblicità comparativa, vedi infra 
Cap. 5 parr. 2 e 5.3.2. 
28
 Come per altro viene affermato in CORASANITI/VASSELLI, op. cit., 1999, p. 2, secondo cui “che la pub-
blicità rivesta un, sia pur minimo ma intenso, aspetto informativo è considerazione che può trarsi dalla 
riflessione che in assenza della pubblicità i consumatori non potrebbero sapere della esistenza stessa del 
prodotto e quindi non potrebbero orientarsi sul mercato, né potrebbero scegliere secondo i loro gusti, per-
chè non avrebbero modo di confrontarli con le presentazioni del prodotto, che ne anticipani i caratteri ed i 
segni di riconoscimento.”