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esaustiva del fenomeno che si va ad esaminare (Bar Siman-Tov,
2004). Il contributo peculiare della psicologia vuole riflettere
sulle difficoltà ed i costi intrinseci alla edificazione della pace dal
momento in cui le violenze sono cessate ed un accordo
diplomatico tra le parti è stato firmato, senza con ciò garantirsi in
maniera istantanea la convivialità delle differenze auspicabile in
un processo di pacificazione stabile (Leone, 2003). L’obiettivo è
quello di rendere effettivamente più comprensibile quell’intricato
groviglio di ragioni umane in grado di alimentare le ostilità e la
sfiducia reciproche anche in seguito alla stipula dell’accordo,
divenendo vero ostacolo all’avvio del processo di riconciliazione
(Nadler, 2001).
A partire dalla rilevazione delle motivazioni psicologiche
che sottendono i conflitti, rintracciabili principalmente nella
minaccia ai bisogni di base legati all’identità, alla sicurezza, al
riconoscimento ed all’autonomia (Kelman, 1997d), nel primo
capitolo si delineano le principali tipologie di conflitto che
sottendono conseguenze diverse per le stesse prospettive di
risoluzione, volte a distinguere in primo luogo tra conflitti interni
allo stesso gruppo nazionale oppure coinvolgenti gruppi
nazionali distinti (Nadler, 2002a), ed in secondo luogo tra
conflitti trattabili, che si protraggono per un breve periodo di
tempo, e conflitti intrattabili, molto più duraturi e radicati nelle
rivalità delle parti avversarie (Bar-Tal, 1998). La distinzione di
Nadler (2002a) ci introduce alla valutazione di due percorsi
distinti che possono avviare un efficace fase di riconciliazione,
comprendente una via di immediata risoluzione e superamento
delle barriere emozionali della vendetta e dell’odio reciproco
attraverso l’ammissione delle responsabilità dei perpetratori e la
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presentazione di scuse pubbliche alle vittime, ed una via di
risoluzione più graduale nella quale sviluppare la fiducia
reciproca per mezzo dell’impegno congiunto in attività
cooperative.
Nel secondo capitolo i contributi teorici chiariscono il caso
in cui il processo di riconciliazione viene avviato nei conflitti
protratti a lungo nel tempo che coinvolgono gruppi nazionali
distinti, caratterizzati per loro natura dal radicamento del
conflitto nell’ethos sociale dei gruppi coinvolti (Bar-Tal, 1998);
gli studi principali condotti in questo ambito mostrano il
contributo incisivo di Herbert Kelman (2004) nello studio delle
relazioni internazionali volto ad illustrare le caratteristiche psico-
sociali coinvolte nelle varie fasi del peacemaking. Una effettiva
riconciliazione appare infatti il frutto di un’altrettanta efficace
risoluzione del conflitto all’interno della quale è opportuno
considerare il processo di negoziazione che porta le parti a
confrontarsi su di un terreno comune di bisogni, valori e paure
come indicato dall’uso della tecnica dell’interactive problem
solving (Cross e Rosenthal, 1999). La promozione di incontri
informali tra membri influenti dei due gruppi coinvolti nel
conflitto migliora la percezione di ciascuno verso l’altro,
avviando microprocessi di cambiamento sociale che portano a
costruire un percorso di pace significativo all’interno del quale
cambiare le credenze e gli atteggiamenti conflittuali (Kelman,
1997a). La riconciliazione viene percepita in termini di risultato
come l’esito di cambiamenti psicologici che interessano vari tipi
di credenze sociali riguardanti gli obiettivi del gruppo, il gruppo
rivale, il proprio gruppo, le relazioni nel passato conflittuale e la
pace stessa (Bar-Tal, 2000b), oppure in termini di processo come
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un lungo percorso che si avvia subito dopo la firma di un accordo
in cui le parti convengono sulla cessazione delle violenze
reciproche (Nadler, 2002b). La stessa natura di questo processo
che porta a modificare le credenze e gli atteggiamenti comuni
sembra seguire una duplice direzione, dall’alto infatti è guidato
dalle scelte dei rappresentanti politici che giungono a firmare
accordi e che attivano veri e propri meccanismi di influenza
sociale a partire da una graduale interiorizzazione nel sistema dei
valori personale (Kelman, 1958), dal basso invece deve
simultaneamente coinvolgere la maggioranza dei membri dei
gruppi in conflitto caratterizzandosi più come processo di natura
spontanea (Bar-Tal e Bennink, 2004). La stabilità nelle relazioni
di pace viene assicurata inoltre da fattori strutturali e istituzionali
in grado di incoraggiare il contatto tra i membri dei gruppi in
conflitto (Bar Siman-Tov, 2004).
Nel terzo capitolo si presenta il ruolo dei principali
meccanismi cognitivi che intervengono nel processo che porta
alla riconciliazione, iniziando dalle caratteristiche relative alla
percezione dei confini categoriali tra i gruppi responsabili
dell’attivazione dell’antagonismo funzionale che accresce le
somiglianze intragruppali e le differenze intergruppali (Turner,
1987) e che rende saliente l’appartenenza dei singoli ai gruppi,
accrescendola del suo significato motivazionale come identità
sociale (Tajfel, 1981), e attivandola grazie a determinanti
come l’accessibilità dello stimolo (Bruner, 1957). L’outgroup
percepito come fonte di minaccia per il proprio gruppo può
condurre alla stigmatizzazione intesa come attribuzione di
caratteristiche denigratorie ai membri dell’altro gruppo
(Neuberg, Smith e Asher, 2000), il cui risvolto estremo tende
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ad non includere i membri dell’outgroup in categorie
moralmente inaccettabili avviando veri e propri processi di
delegittimazione (Bar-Tal, 2000). Gli studi orientati a ricercare
soluzioni per ridurre l’effetto della categorizzazione in
situazioni di conflitto (Gaertner, Dovidio, Bunker, Roulette,
Johnson, McGlynn, 2000) propongono nuove forme di
contatto in grado di diminuire l’informazione sul gruppo ed
accrescere quella sulla persona, (decategorizzazione), oppure
fanno leva su meccanismi di inclusione categoriale ad un
livello diverso da quello che distingue i due gruppi, creandone
uno che è sovraordinato, (ricategorizzazione). L’identità, che
sia definita più generalmente sociale perché riferita
all’appartenenza motivazionale al proprio gruppo (Tajfel,
1981) o nazionale perché arricchita della condivisione di un
territorio, di una storia, di una cultura e tradizioni comuni
(Kelman, 2001), appare al centro della svolta che segna il
passaggio dalla conflittualità di fondo alla riconciliazione
effettiva. Secondo Kelman (2004) il superamento della
negazione dell’identità dell’altro come parte fondante della
propria identità e della percezione dell’altro come fortemente
minacciosa per la propria integrità e per la salvaguardia dei
propri bisogni di base (Burton, 1990), è un requisito
fondamentale affinché si possa raggiungere l’obiettivo della
riconciliazione, seppure nella consapevolezza che la
marginalizzazione dell’identità del vecchio nemico coincide
con l’interruzione di ogni genere di relazione con esso, a
differenza del caso in cui non risulta possibile proprio a causa
della forte interdipendenza intessuta con l’identità dell’altro
(Kelman, 2004). Inoltre per proteggere la propria identità
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sottoforma di stima collettiva positiva, i gruppi dotati di uno
status più elevato tenderanno ad accentuare l’asimmetria
percepita nel confronto con altri gruppi di status inferiore
(Serino, 1998). Per potersi riconciliare spesso i gruppi
giungono a negoziare le proprie identità, pur sempre frutto di
una costruzione sociale quindi potenzialmente modificabili,
dando vita ad un vero e proprio accomodamento dell’esistenza
di sé rispetto a quella dell’altro e all’esplorazione reciproca del
significato delle identità (Kelman, 1997c). La riconciliazione
presuppone una fase di negoziazione che coinvolga anche
quella parte dell’identità connessa al ricordo delle vicende
storiche, che hanno inciso nelle memorie le violenze collettive
perpetrate nei confronti del nemico e che favorisce il confronto
con le molteplici interpretazioni nella messa a punto di un
quadro comune di significati da attribuire alla maggior parte
degli eventi storici (Rosoux, 2001). Una prospettiva temporale
di lungo termine è in grado di monitorare le varie fasi della
riconciliazione, di mostrare che la stessa memoria degli eventi
conflittuali del passato può presentarsi coerentemente con i
temi prevalenti all’interno della cornice mnestica attuale
(Halbwachs, 1950), e di proporre l’idea secondo cui un nuovo
tema sociale può rendere nuovamente accessibile una nuova
fase di conflittualità che ripropone le identità nuovamente in
opposizione (Leone, Mazzara, Contarello, Volpato, 2004),
alimentando inoltre la percezione della minaccia alla propria
distintività gruppale che accresce le differenze intergruppali e
la discriminazione nei confronti dell’altro gruppo (Ellemers,
Spears, Doojse, 2002). Il ruolo dei mass media si presenta sia
come quello di amplificatore delle posizioni delle élites
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dominanti (Ravenna, 2004), sia come quello di riflesso delle
concezioni sociali maggiormente diffuse (Mininni, 2004),
comunque tali da fissare i temi principali del momento
“nell’Agenda delle priorità” socialmente condivisibili
(McCombs, Shaw, 1972) e da fornire importanti indici di
posizionamento della propria identità percepita in opposizione
oppure no rispetto a quella di un altro gruppo.
Terminata la prima parte dedicata alla presentazione di
una rassegna teorica sulla riconciliazione, nella seconda parte
con il quarto capitolo viene presentato un contributo di ricerca
realizzato per mezzo dell’analisi di un corpus di articoli del
mensile di approfondimento francese Le Monde Diplomatique,
comprendenti il periodo che va dal 1980 al 2000. La selezione
degli articoli da analizzare dal corpus originale riflette
l’obiettivo dello studio, cioè quello di monitorare l’evoluzione
delle relazioni mature tra due gruppi nazionali con un passato
storicamente conflittuale, che hanno poi avviato una fase
decisiva di riconciliazione subito dopo la fine della Seconda
Guerra Mondiale dinnanzi la scoperta di forti interessi comuni
legati alla costruzione dell’Europa unita (Rosoux, 2001). In
modo particolare si vogliono osservare le modalità con cui i
mass media francesi presentano il vecchio nemico storico, in
un contratto identitario all’interno del quale le relazioni
pacificate tra vecchi nemici si evolvono lungo una prospettiva
temporale di lungo termine (Leone, Mazzara, Contarello,
Volpato, 2004).