2
opposizione ai fenomeni genericamente riconducibili alla ‘globalizzazione’
economica e culturale. Il legame tra il mondo naturale e la comunità che lo abita,
di cui si fanno mediatori, tra le altre, le pratiche ‘gastronomiche’, è stato in tal
modo fagocitato all’interno di dinamiche politico-economiche, travalicando la
dimensione puramente culturale.
In questo contesto, l’elemento che determina l’insorgenza di una anomalia,
il fattore che rende più oscura la conoscenza di un determinato aspetto del reale,
risiede nella applicazione delle tecnologie di modificazione genetica alla
produzione agro-alimentare, ovvero nella produzione di Organismi
Geneticamente Modificati, meglio noti sotto l’acronimo di OGM, destinati all’uso
agricolo e alimentare.
Come si avrà modo di costatare nel corso della ricerca, a tutt’oggi il
fenomeno interessa solo marginalmente il nostro Paese, poiché in base alla norme
vigenti è fatto divieto di produrre e commercializzare Ogm destinati
all’alimentazione umana e animale, policy alla quale si ispirano la maggior parte
dei governi dell’Unione Europea. In linea di massima, nel contesto italiano e più
in generale in quello europeo le agro-biotecnologie sono state percepite
prevalentemente attraverso la rappresentazione costruita dal media-system e da
alcuni movimenti di opinione, piuttosto che attraverso l’esperienza diretta dei
consumatori, fatta eccezione per la Gran Bretagna, il cui caso sarà oggetto di
approfondimento.
In un primo momento, pertanto, la ricerca si è incanalata quasi
‘naturalmente’ lungo il corso tracciato da studi precedenti, riconducibili a diversi
ambiti disciplinari. Sostanzialmente, il corpus bibliografico sul quale è stato
costruito un approccio preliminare alla questione-Ogm verteva su due tipologie di
trattazioni: da una parte quelle tecnico-scientifiche, tese a chiarire la natura degli
Organismi Geneticamente Modificati e a esplicitarne i rischi e i benefici;
dall’altra quelle di estrazione sociologico-filosofica, che indagavano il problema a
partire da un angolo visuale attento alle implicazioni culturali legate alla
commercializzazione di cibi transgenici. Parallelamente a questi, all’interno di un
orizzonte teorico più vicino a quello adottato in questa sede, è emerso un filone
centrato sull’analisi delle rappresentazioni sociali delle agro-biotecnologie, da
quelle mediali a quelle radicate nell’opinione pubblica.
3
Il movente iniziale della ricerca, volto a focalizzare la particolare relazione
che intercorre tra ‘ciò che siamo’ e ‘ciò che mangiamo’, per riprendere il noto
aforisma di Feuerbach, in presenza del ‘corto-circuito’ innescato dall’applicazione
delle tecnologie di modificazione genetica alla produzione agro-alimentare, ha
progressivamente smarrito la propria portata esplicativa, soprattutto a causa della
mancanza di riscontri empirici, di ‘materializzazioni’ del fenomeno oggetto di
indagine: in effetti, questo rischiava di restare confinato in una dimensione
puramente teorica, concretandosi in una trattazione auto-referenziale.
Al fine di evitare una myse en abîme del problema-Ogm, che non avrebbe
potuto contribuire alla comprensione delle connesse dinamiche socio-economiche,
politiche e, come si vedrà, testuali, il focus della ricerca ha subìto un graduale
quanto sostanziale ri-centramento. D’altra parte, la (scarsa) letteratura in materia,
eccetto qualche lodevole caso, si è concentrata sulle questioni di merito relative
alla effettiva utilità degli Organismi Geneticamente Modificati e alla loro
sicurezza, sulla ribalta del fenomeno, piuttosto che sul retroscena, ovvero sulle
strategie messe in atto dai diversi attori in lotta per l’affermazione della propria
‘definizione della situazione’. Il percorso euristico è stato così orientato in
direzione di un’area disciplinare ibrida, fungendo da ‘apri-pista’ per future
ricerche, con tutte le difficoltà (e le approssimazioni) che tale ruolo
inevitabilmente comporta, ma anche con la consapevolezza di avere contribuito in
qualche misura, anche minima, a rendere il problema «maggiormente
intellegibile», per dirla con Floch (1997).
In questo senso, l’esperienza di ricerca qui riportata, al di là del risultato
‘scientifico’, rappresenta una compiuta esemplificazione della ineliminabile
casualità intrinseca nel percorso della conoscenza, del quid di imprevedibilità che
determina in misura più o meno marcata i destini della ricerca stessa. Una
immagine fortemente ‘impressionistica’, a questo proposito, è quella suggeritaci
da Democrito con la teoria del declinamen, ovvero della ‘declinazione degli
atomi’: analogamente, come il presente lavoro testimonia, la tensione verso la
conoscenza non è determinata in modo univoco né definita una-volta-per-tutte
dalle ipotesi iniziali o dall’originario oggetto di interesse. Al contrario, la ricerca
si nutre, arricchendosi, dei contributi più disparati, dell’interazione con ricerche
precedenti o con altri paradigmi esplicativi, dell’esposizione alle più diverse fonti
di informazione, dello ‘scontro’ con posizioni avverse, degli ostacoli che
4
continuamente vi si oppongono, delle lacune, teoriche e ‘logistiche’, con le quali è
costretta a misurarsi
2
.
Attraverso tale linea evolutiva, il focus d’indagine si è spostato dal centro di
interesse originario (il nesso tra cibo e cultura alla luce dell’introduzione delle
agro-biotecnologie) all’insieme di processi istituzionali, culturali, sociali,
economici legati agli sviluppi del polo agro-biotecnologico, in sede comunitaria e
in Italia in modo particolare: come sarà più volte rilevato, le dinamiche esplicitate
non hanno un impatto immediato sui contesti di pertinenza, ma si inquadrano
all’interno di piani strategici a lungo termine, sviluppandosi il più delle volte a un
livello ctonio, non immediatamente manifesto. In questa relativa ‘invisibilità’ di
determinati aspetti del fenomeno Ogm è venuta a consistere un’altra anomalia che
ha scandito la presente indagine, un altro ‘pungolo’ che ha alimentato il percorso
di ricerca. Infatti l’impressione di senso, come si direbbe in semiotica, che si è
ricavata da una prima parziale osservazione dei fenomeni in atto è stata quella di
un ‘fragoroso silenzio’, di un ‘dire-non dire’. Nonostante la questione-Ogm
acquistasse una crescente visibilità, tanto in ambito mediale quanto nel public
discourse, con termini e modalità che saranno di seguito enucleate,
l’atteggiamento delle imprese operanti nel settore agro-biotecnologico, in
massima parte ramificazioni nazionali di cosiddette ‘multinazionali’, è rimasto
sostanzialmente invariato, almeno per quanto poteva darsi a una osservazione
superficiale.
In realtà, come il presente lavoro intende affermare, sotto la pelle dei
fenomeni si ‘annida’ una intensa attività informativa e comunicativa, condotta con
strumenti e finalità diversificate, rivolta a target differenziati e generalmente ben
definiti, non assimilabili al pubblico dei mezzi di comunicazione di massa. In tal
modo, le linee di forza dell’indagine si sono addensate in prossimità dei campi
strategici all’interno dei quali le imprese calibrano l’attività di comunicazione
esterna nel settore agro-biotecnologico, in attesa che il contesto normativo segni
una svolta in senso positivo, consentendo la produzione e la commercializzazione
di Organismi Geneticamente Modificati. Come si specificherà in seguito (par.2.3),
l’orizzonte di ricerca, il corpus testuale di riferimento, la metodologia impiegata,
2
A questo proposito, si è ritenuto opportuno riportare in appendice le due versioni
originarie del progetto di ricerca («bozza tesi, I», «bozza tesi, II»), che ben testimoniano
lo scarto frappostosi tra le ipotesi di partenza che guidavano il lavoro e la mise en act
dello stesso.
5
sono stati sottoposti a un restringimento progressivo della propria portata, a una
serie di ‘filtri’ che hanno condotto a una focalizzazione del fenomeno certo non
esaustiva, ma almeno esplicativa nella sua parzialità. Per quanto concerne
l’attività di comunicazione esterna nel settore agro-biotech, il focus è stato
centrato sul caso di Syngenta Italia, azienda leader nel campo dell’agri-business,
con la quale è stata istituita una proficua collaborazione.
Data la complessità dell’oggetto di studio e la multi-dimensionalità degli
aspetti implicati, si è rinunciato all’adozionedi una prospettiva unitaria in luogo di
una serie di ‘puntelli’ teorici che descrivessero i fenomeni emergenti dall’analisi
dei testi aziendali. Il quadro teorico di riferimento si compone così di una
congerie di paradigmi esplicativi ricavati da differenti ambiti disciplinari e
convocati a diversi livelli di analisi: fondamentalmente, l’impalcatura descrittiva
oscilla tra l’orizzonte semiotico e quello relativo alla comunicazione di impresa
(Consonni, 1999; Paparella e Torre, 1999; Rampini, 1990), con particolare
riferimento alle funzioni operative orientate al miglioramento della corporate
image presso la sfera pubblica, riassumibili sotto la denominazione di
‘comunicazione istituzionale’. Sul retroterra così costituito si innestano una serie
di strumenti esplicativi ricavati dalla sociologia (Bourdieu, 1997; Green, 2002;
Harvey, 2000), dall’approccio culturale alle organizzazioni (Gagliardi, 1995)
dalle scenze politiche (Pasquino,1988; Piccinini e Peronaci, 2003).
Nello specifico, l’asse portante dell’indagine si modella intorno alla
semiotica greimasiana (Greimas, 1974, 1984) e post-greimasiana (Bertrand, 2000;
Fabbri e Marrone, 2000; Ceriani, 2001; Pozzato, 2001), aprendosi ai contributi
offerti da scuole semiotiche non esattamente coincidenti con quella strutturalista
(Bettetini, 1993), nel caso in cui determinati oggetti testali lo richiedano. Infine,
l’iter semiotico, pur muovendosi all’interno della dimensione testuale, è stato
orientato allo svelamento della trama di relazioni che si stabiliscono tra il testo e il
fuori-testo, tendendo a esplicitare le modalità attraverso cui determinati fenomeni
extra-semiotici (socio-culturali, politici, economici) sono (eventualmente)
testualizzati nell’ambito della produzione testuale dell’azienda.
6
1. IL CONTESTO AMBIENTALE
Il contesto ambientale nel quale opera l’impresa è costituito da un insieme
di processi economici, politici, socio-culturali, scientifici, all’interno dei quali si
individuano diversi attori sociali. Nella letteratura relativa alla comunicazione
d’impresa, una definizione esaustiva è quella suggerita da Consonni:
L’ambiente esterno è dato dall’insieme di pubblici, situazioni, posizioni
e giudizi con cui l’impresa interagisce, direttamente o indirettamente,
ben al di là del mercato in cui compete con altre imprese attraverso
prodotti e servizi. Un ambiente esterno articolato e complesso in cui
l’unica costante che troviamo presente è data dal cambiamento; un
cambiamento continuo che coinvolge le strutture economiche, sociali, i
modi attraverso cui la società cresce e si sviluppa
3
In questa sede, al fine di inquadrare la problematica considerata nel più
generale contesto della «sfera pubblica» (Habermas, 1971), si pone particolare
attenzione al profilo normativo e al contesto mediale. Le dinamiche che
attraversano questi ambiti, infatti, sono sintomatiche dei mutamenti più generali
che investono il public debate, da un lato riflettendo le tendenze in atto, dall’altro
incidendo retroattivamente sulle stesse.
Prima di occuparci del fenomeno Ogm dal punto di vista della
regolamentazione giuridica e da quello della rappresentazione mediale, va
considerata la cornice socio-culturale di cui questi ambiti sono emanazione più o
meno diretta, con specifico riferimento alla percezione comune degli Organismi
Geneticamente Modificati.
3
A. Consonni, L’impresa che comunica, Milano, Lupetti-Editori di comunicazione 1999,
pag. 30
7
1.1 La cornice socio-culturale
Un punto di partenza può essere individuato nel lavoro di Anna Meldolesi,
Organismi Geneticamente Modificati: storia di un dibattito truccato, nel quale
l’autrice ripercorre le tappe che hanno condotto all’attuale configurazione del
dibattito sulle agrobiotecnologie, ricostruendo il «castello di semplificazioni» su
cui questo si regge. Scrive Meldolesi:
La mancanza di coerenza e lo scarso rispetto per i dati scientifici,
purtroppo, rappresentano una costante nelle policy stabilite durante gli
anni Novanta in materia di organismi e alimenti geneticamente
modificati. L’Italia non fa eccezione, tutt’altro: nel corso del 2000 il
nostro Paese si è caratterizzato come lo stato europeo più ostile alle
biotecnologie agricole e ai prodotti transgenici. L’Italia non si è limitata
a risentire del vento anti-transgenico che soffia in tutto il Vecchio
continente, ma ha guidato lo schieramento che si oppone alle nuove
tecnologie agroalimentari in sede europea, soprattutto a livello del
Consiglio dei Ministri.
4
.
La policy italiana trova conferma in diversi rilevamenti statistici sugli
atteggiamenti e le opinioni degli italiani nei confronti della ricerca biotecnologica
e delle sue possibili applicazioni. Tra questi, si segnala l’indagine su
«Biotecnologie e opinione pubblica in Italia» condotta da Poster Srl con la
supervisione scientifica di esponenti del mondo accademico, commissionata dalla
Fondazione Giannino Bassetti. La ricerca è stata condotta tramite un sondaggio
telefonico, realizzato nel corso delle ultime due settimane del mese di ottobre
2001: il campione intervistato si componeva di 1017 unità ed era rappresentativo
della popolazione italiana con oltre 18 anni. I risultati dell’indagine che rivestono
maggior rilievo in questa sede sono quelli relativi al livello di conoscenza degli
intervistati in materia di biotecnologie e alla percezione del rischio connesso
all’applicazione delle tecniche di modificazione genetica all’industria agro-
alimentare. Si legge infatti nel rapporto conclusivo:
Il livello di conoscenza, tuttavia, resta a livelli modesti, per non dire
preoccupanti. Lo si comprende analizzando quella parte del
questionario che chiedeva di valutare la verità o la falsità di una serie di
affermazioni. Oltre un quarto degli italiani, infatti, sembra disporre di
informazioni piuttosto confuse sull’argomento. Il 30%, ad esempio,
ritiene che “i comuni pomodori non contengano geni, mentre quelli
geneticamente modificati sì” e il 37% che “gli animali geneticamente
modificati siano sempre più grandi di quelli comuni”
5
4
A. Meldolesi, Organismi Geneticamente Modificati: storia di un dibattito truccato,
Giulio Einaudi Editore, Torino 2001, pag. 187
5
Indagine su “Biotecnologie e opinione pubblica in Italia”, Fondazione Giannino Bassetti,
febbraio 2002, pag. 55: il rapporto conclusivo è scaricabile in formato pdf dal sito
www.fondazionebassetti.it
8
Quanto alla percezione dei rischi legati all’introduzione degli Ogm nella
filiera agro-alimentare, le conclusioni del rapporto non evidenziano mutamenti di
rilievo rispetto al contesto ambientale delineato da Meldolesi:
Il pubblico italiano conferma la propria tendenza a discriminare
nettamente tra applicazioni biotecnologiche in campo medico e
applicazioni in campo agroalimentare. Nel caso delle prime, infatti, i
rischi – pur riconosciuti in modo spesso molto evidente – sono almeno
parzialmente controbilanciati dai potenziali benefici, come nel caso
degli xenotrapianti (il 48% ritiene utile inserire dei geni umani negli
animali per produrre organi da trapiantare). Fa eccezione la clonazione
a fini riproduttivi, che solo il 24% ritiene utile e oltre il 70% considera
rischiosa (per l’80% è anche moralmente inaccettabile). L’applicazione
delle biotecnologie in campo alimentare, invece, incontra chiara
l’ostilità da parte degli italiani: due intervistati su tre considerano gli
OGM rischiosi. Solo uno su cinque sarebbe disposto ad acquistare
frutta GM se anche avesse un gusto migliore di quella tradizionale e
solo uno su dieci la acquisterebbe se costasse meno dell’altra.
Praticamente tutti (95%, con un ulteriore aumento rispetto al 2000)
sembrano inoltre d’accordo sulla necessità che i cibi geneticamente
modificati devono presentare speciali etichette di riconoscimento. Va
sottolineato infine ce oltre uno su tre (38%) non sarebbe disposto ad
autorizzare in nessun caso la commercializzazione di cibi GM, neppure
se ne fossero chiariti rischi e benefici
Un ultimo puntello che può essere addotto per completare il quadro
ambientale è fornito da una recente indagine del Censis su «I nuovi termini della
coesione sociale»
6
in cui si rilevano «le grandi paure degli italiani», all’interno di
un orizzonte di ricerca che trova il proprio fondamento teorico nel concetto di
società del rischio elaborato dal sociologo tedesco Ulrich Beck già alla metà
degli anni ’80. Scrivono i ricercatori del Censis:
La società della responsabilizzazione individuale e della libertà personale
si caratterizza anche come la società dell’insicurezza, dell’aumento del
rischio, in cui si moltiplicano le paure generate dai processi di devianza
della norma, da quelli più antichi (la criminalità, la giustizia) a quelli più
recenti (i cibi manipolati, le malattie infettive, il terrorismo) e in cui
cresce la domanda di protezione personale.
La ricerca ha coinvolto un campione rappresentativo della popolazione
italiana, al quale è stato chiesto di esprimersi su quanta paura incutessero una
serie di fenomeni. Quello che risulta esercitare con maggiore forza un’azione
destabilizzatrice è la paura della guerra, segnalata dal 60,1% degli intervistati,
seguita dalla criminalità organizzata (60,0% delle risposte); dagli attacchi
terroristici (58,2%) e dalla microcriminalità (51,2%); inferiori al 50% sono
6
Indagine Censis, “I nuovi termini della coesione sociale”, 2003
9
coloro che si dicono preoccupati da eventi incontrollabili quali avvelenamenti,
atti di pirateria stradale, terremoti (41,9%).
Meno segnalate, ma comunque presenti, risultano paure più strettamente
collegate all’evoluzione della società contemporanea come quella di assumere
alimenti «manipolati o contaminati» (37,2%) o di contrarre la polmonite atipica
(36,1%). Anche se non se ne fa esplicita menzione, dunque, gli Ogm compaiono
nella ‘lista nera’ degli eventi che più profondamente minano il senso di sicurezza
degli italiani, conquistando peraltro un notevole riscontro percentuale, come si
evince dalla tabella riportata di seguito:
Tab. 1 - Gli eventi di cui gli italiani hanno molta paura (val. %)
Tipologia val. %
1 Guerra 60,1
2 Criminalità organizzata 60,0
3 Attacchi Terroristici 58,2
4 Microcriminalità 51,2
5 Rimanere vittima di evento incontrollabile 41,9
6 Alimenti manipolati o contaminati 37,2
7 Sars (polmonite atipica) 36,1
8 Perdere\Non trovare lavoro 23,5
9 Diventare più povero 17,7
10 Immigrati extracomunitari 9,1
Fonte: indagine Censis, 2003
Gli «alimenti manipolati o contaminati» costituiscono un fattore di rischio
per oltre un terzo degli intervistati, precedendo anche il timore di contrarre la
polmonite atipica, che pure nel periodo in cui è stata realizzata l’indagine
(gennaio-febbraio 2003) si imponeva all’attenzione del grande pubblico
insediandosi stabilmente nell’agenda dei mass media. Inoltre, appare di una certa
salienza la distanza percentuale che separa questo item da quelli relativi alla
criminalità organizzata (+ 22,8%) e al pericolo di attacchi terroristici (+ 21%),
soprattutto se si considera il grande impatto mediale esercitato da questi ultimi, la
forza d’urto destabilizzatrice innescata dai fatti dell’11 Settembre 2001, il clima
di allarmismo che pervadeva l’opinione pubblica mondiale nei primi mesi del
2003, alla vigilia di quella che sarebbe stata la II guerra del Golfo.
10
Alcune osservazioni si impongono, in aggiunta all’analisi dei dati. La
prima pertiene l’impianto metodologico soggiacente, che inevitabilmente va a
incidere sull’elicitazione delle risposte e sull’interpretazione dei dati. Nella
fattispecie, si chiedeva all’intervistato di esprimere il proprio grado di
preoccupazione in relazione a item predeterminati, fissati dal ricercatore sulla
base di proprie valutazioni che non necessariamente sono condivise
dall’intervistato. Il punto debole di questa metodologia d’indagine consiste nel
predeterminarne in certa misura i risultati, incanalando la risposta del soggetto
lungo binari obbligati e impedendo di fatto l’emergenza di una variabile non
prevista, vale a dire di una ‘paura’ che non figura tra quelle contemplate: questo
carattere vincolante avrebbe potuto essere attenuato introducendo un item del
tipo «Altro», fornendo all’intervistato una sorta di ‘valvola di sfogo’.
Su questa base, la percentuale di intervistati che si mostrano fortemente
preoccupati dagli «alimenti modificati o contaminati» va considerata in termini
doppiamente relativi: in primis poiché si riferisce a una popolazione campionaria,
in secondo luogo poiché appartiene a un insieme predeterminato di «eventi di cui
gli italiani hanno molta paura.
Una seconda osservazione concerne lo specifico item utilizzato dai
ricercatori del Censis: «alimenti modificati o manipolati». L’uso della
congiunzione «o» si presta a qualche ambiguità interpretativa: infatti, nel Grande
Dizionario Illustrato della Lingua Italiana si legge: «In una serie di parole o di
proposizioni coordinate, la congiunzione o può essere ripetuta dinanzi a ciascun
termine della serie, e, in ogni caso, sempre tra i due ultimi»
7
La congiunzione
stabilisce dunque una coordinazione, ovvero pone su uno stesso piano gli
alimenti «modificati» (che si presume alludano agli Ogm) e quelli «contaminati»
(il cui fattore di contaminazione resta poco chiaro): in questo modo si tesse
un’analogia tra fenomeni non equiparabili, quali possono essere l’applicazione di
tecniche di modificazione genetica nella produzione agroalimentare e la
contaminazione alimentare ad opera di agenti chimico-batteriologici (es.
metanolo, diossina, salmonellosi, composti radioattivi). L’ambiguità, alla
maniera di un lapsus freudiano, fa emergere il sostrato culturale sul quale poggia
l’indagine, alla luce della stretta connessione che intercorre tra il background
culturale dei ricercatori e la formulazione degli item da somministrare agli
7
Aldo Gabrielli, “Grande Dizionario Illustrato della Lingua Italiana”, pag. 2374
11
intervistati: non appare forzato, pertanto, cogliere nell’equiparazione tra alimenti
«modificati» e alimenti «contaminati» la spia di una percezione diffusa dei
prodotti derivati da Organismi Geneticamente Modificati in quanto oggetto di
una contaminazione non meglio specificata
8
.
1.2 Il profilo normativo
Dal punto di vista della normativa in materia di Organismi Geneticamente
Modificati, la breve cronistoria che qui si propone ha inizio tra l’aprile del 1996 e
l’ottobre del 1998, quando i prodotti Ogm (tra cui mais, colza, soia, tabacco)
ottennero per la prima volta l’autorizzazione alla commercializzazione in Europa.
Sul finire del 1998 alcuni governi dell’Unione Europea, tra cui figurava anche
l’Italia, diedero corso a una moratoria anti-Ogm, ritenendo insufficienti le
garanzie su rintracciabilità ed etichettatura. Nel marzo del 2001 l’Unione
Europea ha varato una direttiva che rende più rigoroso il processo di
autorizzazione, entrata in vigore il 17 ottobre 2002: ancora nel luglio del 2003,
undici Paesi venivano deferiti dalla Commissione Europea per non aver recepito
la direttiva. Tra questi figurava anche l’Italia, il cui recepimento avveniva in
extremis con un Decreto Legislativo del 3 luglio, all’indomani dell’approvazione,
da parte del Parlamento Europeo, del regolamento per l’etichettatura e la
tracciabilità degli organismi geneticamente modificati. In base alle nuove norme
si stabilisce l’obbligatorietà dell’etichetta per tutti i prodotti che contengono
ingredienti geneticamente modificati in una percentuale superiore allo 0,9%.
L’indicazione è resa obbligatoria anche per i mangimi per animali e per gli
ingredienti raffinati (zucchero, amido, olio). Quanto alla tracciabilità, la legge
impone che ogni passaggio della catena di trasformazione dei prodotti contenenti
Ogm sia certificato. Il 23 luglio, infine, la Commissione approvava le linee guida
sulla coesistenza tra colture Ogm e colture convenzionali, facendo divieto tra
l’altro agli enti locali di decidere di propria iniziativa la messa al bando degli
Ogm
9
.
8
Come si vedrà, l’equiparazione tra “modificato” e “contaminato” costituisce una marca
peculiare della rappresentazione mediale del fenomeno-Ogm
9
Fonti: Corriere della Sera del 13/7/2003, Il Sole 24 Ore del 24/7/2003.
12
1.3 Il contesto mediale
Un altro ambito da cui si possono trarre indicazioni utili alla definizione del
contesto ambientale in cui si muove l’impresa è quello mediale. Lontani dal
restituire ‘la realtà’ quale essa è, come vorrebbe la metafora, ormai superata, del
medium televisivo in quanto “finestra sul mondo”, i media veicolano immagini
deformate del reale, riducendone la complessità attraverso il ricorso sistematico a
logiche di notiziabilità radicatesi nelle routine produttive. Tuttavia, essi
intrattengono un qualche rapporto con il milieu all’interno del quale operano,
come sottolinea Calabrese:
>… ≅ Tanto più se osserviamo l’atteggiamento contraddittorio che su
molti fenomeni viene presentato attualmente dai media, che, anche se
talora inconsapevolmente, rappresentano spesso lo specchio del senso
comune e le sue emozioni più viscerali. Da un lato, infatti, notiamo che
una grande speranza viene riposta nella scienza…Ma, dall’altro, la
scienza stessa costituisce una minaccia potenziale: quasi che esistesse
sempre il pericolo che una eccessiva manipolazione della natura
conduca a disastri ancora peggiori di quelli per evitare i quali si sta
facendo ricerca
10
.
La rappresentazione mediale del fenomeno Ogm e delle relative
implicazioni politiche, economiche, culturali, è subordinata in primo luogo ai
vincoli imposti dalle logiche di funzionamento dei singoli medium: in particolare
nel caso della televisione, caratterizzata da una scansione ritmica esasperata alla
quale risulta impossibile sottrarsi anche per gli stessi media-men, una tematica
come quella dell’applicazione delle tecniche di modificazione genetica
all’industria agro-alimentate, per l’intrinseca complessità dal punto di vista
scientifico e per la vastità delle implicazioni connesse, si piega con grande
difficoltà alle esigenze produttive del medium. Ne consegue una relativamente
scarsa visibilità del fenomeno-Ogm sul medium televisivo e una trattazione
tendenzialmente sensazionalistica dello stesso, con attenzione agli aspetti più
curiosi e sinistri legati al mondo del biotech.
10
Omar Calabrese, “Prefazione” a Attemi, Tyzack. I geni della discordia, Milano,
FrancoAngeli 2001.
13
1.3.1 Il rapporto dell’Osservatorio di Pavia
A sostegno di queste indicazioni, ricavate da una conoscenza ‘teorica’ dei
meccanismi di funzionamento del sistema mediale e non da un’attività di
monitoraggio sui singoli medium
11
, giunge il Rapporto dell’Osservatorio di
Pavia, «Le agrobiotecnologie nei media italiani», progetto di ricerca di durata
biennale che si proponeva di analizzare l’informazione prodotta sull’argomento
durante il 2001 e il 2002, basandosi su un corpus costituito da 10 quotidiani, due
settimanali, più 86 tra servizi, rubriche, trasmissioni di approfondimento e di
intrattenimento, in parte o interamente dedicate agli Ogm, trasmessi sulle sette
televisioni nazionali.
12
Data l’autorevolezza della fonte e la completezza del
corpus indagato, le conclusioni del Rapporto diventano, in questa sede, il termine
a quo, la base empirica di partenza da cui trae origine il presente lavoro: se si
vuole, un’esemplificazione del processo epistemologico sintetizzato da Karl
Popper nel titolo di un suo libro, La ricerca non ha fine.
13
1.3.2 Le conclusioni della ricerca
La rappresentazione mediale degli organismi geneticamente modificati e
delle problematiche connesse, nel biennio 2001-2002, risulta ancora lontana da
una trattazione esauriente, fondata esclusivamente su argomentazioni di ordine
scientifico ed economico. Come si legge nel commento conclusivo ai risultati
dell’indagine, a cura di Francesco Sala e Fabio Terragni,
l’analisi dei mass media italiani nel periodo 2001-2002 ha evidenziato,
con poche eccezioni, una generalizzata disattenzione per una seria e
approfondita valutazione di questi aspetti conoscitivi >rischi e benefici,
nota mia ≅. Gran parte dell’informazione sulle piante GM ha invece
assunto toni di battaglia ideologica, con contrapposizioni radicali
sviluppate essenzialmente con toni di battaglia politica. Si è concentrata,
insomma, sulle “opinioni” lasciando in secondo piano i “fatti”
14
La subordinazione dell’informazione in materia di Ogm all’insieme di
vincoli tecnici, organizzativi ed economici che caratterizzano il funzionamento
dei media e di quello televisivo in particolare, si riflette non solo nelle modalità
11
Attività di monitoraggio che costituirebbe a buon diritto l’oggetto di una ricerca
autonoma, pertanto ben al di là dei limiti del presente lavoro.
12
Il rapporto è scaricabile dal sito dell’Osservatorio di Pavia: www.osservatorio.it
13
K. Popper, La ricerca non ha fine: autobiografia intellettuale, Roma, Armando 1978.
14
«Le agrobiotecnologie nei media italiani», rapporto conclusivo 2001-2002 a cura
dell’Osservatorio di Pavia, pag. 18.
14
di presentazione delle notizie, ma anche nella scelta delle notizie da trasmettere e
nella gerarchizzazione delle stesse, come sottolineano ancora gli autori:
>… ≅ Ma, come comprensibile, i mass media sono portati a privilegiare
le “notizie che fanno notizia”. Spesso infatti le trasmissioni televisive e
gli articoli giornalistici prendono spunto da un caso di cronaca, come
un sequestro di semi con presunte contaminazioni da sementi
geneticamente modificate o da denunce delle associazioni
ambientalistiche e consumeriste [sic]. È dunque difficile cogliere dati
scientifici ed economici oggettivi distinguendoli da loro interpretazioni
soggettive
15
.
A un livello di analisi più generale, le tendenze individuate si inquadrano
nella tensione semplificativa che plasma le logiche della notiziabilità dominanti,
articolandosi nei tre criteri della velocizzazione, semplificazione e
approfondimento
16
.
Come spiega Mauro Wolf
17
, un evento per fare notizia deve possedere delle
specifiche qualità, delle caratteristiche in virtù delle quali si presti con particolare
facilità alla mediazione giornalistica: nel caso in esame, la complessità scientifica
dell’argomento e la pluralità dei fattori in gioco tendono a privarlo di quei valori-
notizia
18
di cui bisognerebbe perché diventi notizia: pertanto, rientra nella sfera
della notiziabilità solo quella fattispecie di eventi che si distingue per il carattere
insolito, imprevisto, inquietante, in grado di captare l’attenzione del pubblico,
come può essere la scoperta di colture convenzionali «contaminate» da Ogm
19
.
Tuttavia, come si evince dal rapporto, nel corso del 2002 la problematica
degli Ogm si è progressivamente affrancata dalla cronaca e dai vincoli da questa
posti, imponendosi come «tema a sé stante»
20
: di conseguenza, si è verificato
una sorta di ‘passaggio di testimone’ dai notiziari e dalle rubriche scientifiche al
talk show e al ‘dibattito’
21
.
15
Ibidem.
16
M. Sorrentino, Il ciclo della notizia, Bologna, Baskerville 1995, pag. 204.
17
M. Wolf, Teorie delle comunicazioni di massa, Bompiani, Milano 1985.
18
M. Wolf, op. cit, pag. 36.
19
È quanto avvenuto con il ‘caso Piemonte’ nel Luglio del 2003, quando il Governatore
Ghigo ha ordinato la distruzione di alcuni campi di mais nei quali erano state rilevate
tracce di Organismi Geneticamente Modificati. Il caso sarà analizzato nel dettaglio più
avanti.
20
Osservatorio di Pavia, op. cit., pag. 24.
21
Si rimanda ai grafici 3, 4, relativi all’ “attenzione dedicata agli Ogm per genere di
trasmissione” nel I e nel II semestre del 2002 (pag. 24): il dato più significativo è la
riduzione del 9% dell’attenzione posta all’argomento da notiziari e rubriche, a fronte di
un incremento del 29% per quanto riguarda i programmi di intrattenimento.