Introduzione
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Infatti, proprio per il tema che qui interessa, l’applicazione dell’art. 7
Stat. Lav. alla fattispecie del licenziamento disciplinare, ha dato
luogo ad un vivace ed intenso dibattito dottrinale e giurisprudenziale
del quale si ripercorreranno le tappe più significative con riferimento
alle note sentenze della Corte Costituzionale delle Sezioni Unite della
Cassazione che varie volte hanno avuto modo di occuparsi
dell’argomento. Nel capitolo terzo, infine, si avrà modo di esaminare
più da vicino alcune questioni relative al licenziamento disciplinare.
In primo luogo si parlerà della pubblicità del codice disciplinare,
previsto dal 1° comma dell’art. 7 Stat. Lav., in relazione al
licenziamento quale sanzione; in secondo luogo si tratterà di un altro
tema di assoluta centralità, sul quale sono intervenute le Sezioni
Unite, riguardante l’applicabilità al licenziamento disciplinare della
norma contenuta nel 5° comma dell’anzidetto articolo, sul termine
per l’irrogazione della sanzione; per ultimo sembra opportuno
dedicare uno spazio particolare al licenziamento disciplinare del
dirigente che da sempre ha costituito, nella residua area del recesso
ad nutum, la fattispecie più discussa, essendo la categoria
dirigenziale caratterizzata da una propria specificità dogmatico –
normativa rispetto alle altre categorie di lavoratori subordinati.
Il potere disciplinare nel rapporto di lavoro
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CAPITOLO PRIMO
IL POTERE DISCIPLINARE NEL RAPPORTO DI
LAVORO
SOMMARIO: 1. Il potere disciplinare: natura e fondamento. 2. L’esercizio del
potere disciplinare del datore di lavoro e l’articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori.
2.1. Pubblicità del codice disciplinare e suo contenuto. 2.2. Contestazione degli
addebiti. 2.3. Il diritto di difesa del lavoratore. 2.4. L’irrogazione della sanzione
e l’impugnativa. 3. L’applicabilità delle garanzie procedimentali dell’articolo 7
dello Statuto dei lavoratori al licenziamento disciplinare.
1. Il potere disciplinare: natura e fondamento – Nell’ambito del
rapporto di lavoro subordinato assume particolare rilievo la tematica
dell’esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro nei
confronti del lavoratore, potere che costituisce uno dei logici corollari
del più ampio potere organizzativo di cui è titolare la parte datoriale
nello svolgimento dell’attività aziendale. Per comune esperienza, è
noto che un soggetto può valutare e giudicare il comportamento di un
altro soggetto, talvolta con effetti di rilievo, indipendentemente dalla
connotazione giuridica che il fenomeno assume. Quindi ogni effetto
dell’azione umana è suscettibile di valutazione che può avere riflessi
giuridici quando la situazione è rilevante per il diritto. Peraltro
Il potere disciplinare nel rapporto di lavoro
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occorre individuare a quali soggetti spetta il compito di procedere
alla valutazione. Certamente tale potere di valutazione spetta in
primo luogo a coloro che sono chiamati istituzionalmente ad
esprimere una valutazione in merito all’accertamento dei fatti ed
all’applicazione del diritto, ossia i giudici che, per legge e per
tradizione, sono titolari della funzione giurisdizionale volta
all’attuazione e all’osservanza del diritto, in relazione a determinate
condotte umane, con effetti, talvolta, particolarmente incisivi nella
sfera giuridica dei soggetti interessati. Più complesso appare il tema
qualora il potere di compiere la valutazione di una certa condotta
umana sia attribuito dall’ordinamento giuridico ad un soggetto non
imparziale ma, alla parte contraente di un contratto caratterizzato
dallo scambio reciproco delle prestazioni, quale il contratto di lavoro
subordinato. Il risultato della valutazione, o meglio del giudizio che
ad essa consegue, può condurre in molti casi anche ad una
modificazione della situazione giuridica preesistente. Infatti il potere
di valutare e giudicare la condotta di un altro soggetto assume una
connotazione peculiare proprio nell’ambito del rapporto di lavoro
subordinato, specialmente con riferimento al potere disciplinare del
datore di lavoro, ossia in relazione a quella speciale prerogativa che è
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riconosciuta al soggetto datoriale di sanzionare, persino con
l’estinzione del rapporto di lavoro, comportamenti (ritenuti) anti
doverosi della controparte, ossia del lavoratore (1). Già il termine
“potere” descrive non solo una mera posizione di vantaggio
genericamente creditoria, bensì una preminenza formale e
sostanziale, una supremazia che abilita il titolare (nella specie il
datore di lavoro) a formulare unilateralmente comandi o direttive,
vuoi generali, vuoi individuali, e di poi, a sanzionare la mancata
osservanza dei comandi così imposti (2). Il principale fondamento del
potere disciplinare del datore di lavoro, quindi, va rinvenuto nel
vincolo della subordinazione, cioè nell’assoggettamento del
lavoratore ai poteri direttivo e disciplinare del datore che, in una
logica gerarchica, pur gradualmente attenuata dai nuovi modelli
organizzativi delle aziende più evolute, è il detentore del potere
direttivo. Il lavoratore è tenuto, come afferma l’articolo 2104 c.c., ad
usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta e
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(1) CARDARELLO C., Il potere disciplinare nel rapporto di lavoro, in Diritto e
Giustizia,Giuffrè, Milano 35/2003.
(2) MONTUSCHI L., Potere disciplinare e rapporto di lavoro, in Quaderni di diritto del lavoro,
1991, pp. 9 ss..
Il potere disciplinare nel rapporto di lavoro
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dall’interesse dell’impresa, osservando, nel contempo, le disposizioni
per l’esecuzione e la disciplina del lavoro impartite dal datore di
lavoro e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente
dipende; egli è tenuto altresì ad astenersi dal trattare affari, per conto
proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, o dal divulgare
notizie attinenti all’organizzazione ed ai metodi di produzione
dell’impresa, in sostanza rispettando quello che l’articolo 2105 c.c.
chiama “obbligo di fedeltà”.
La violazione da parte del lavoratore di tali obblighi, rilevando quindi
come inadempimento contrattuale o, più in generale come
comportamenti antidoverosi, giustifica dunque l’esercizio del potere
disciplinare del datore di lavoro, pur nell’ambito di precise garanzie
procedimentali di fonte legale e convenzionale tra loro coordinate, al
fine di evitare che datori di lavoro pongano in essere procedimenti
disciplinari immotivati o pretestuosi, sfruttando la più volte affermata
posizione di inferiorità contrattuale del lavoratore facendo così uso
distorto del potere riconosciutogli dall’ordinamento. E’ chiaro
dunque che, se da un lato, l’ordinamento attribuisce al detentore del
potere organizzativo il diritto di perseguire le proprie finalità
mediante la piena e corretta esigibilità dei doveri del lavoratore
Il potere disciplinare nel rapporto di lavoro
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esercitando il potere disciplinare, d’altro canto circonda tale diritto di
una serie di limiti e garanzie procedimentali affinché rimanga
effettivamente tale e non dia luogo alla figura dell’abuso del diritto o
ad una violazione del principio di correttezza e di buona fede, che
deve presiedere l’ordinato svolgimento dei rapporti contrattuali.
Quindi il primo dato che emerge, e che è poi possibile ritrovare
sotteso nell’ambito dei principi generali che informano l’esercizio del
potere disciplinare, coincide con un sostanziale bisogno di rispetto
del sistema delle garanzie, rinvenibili in una pluralità di fonti
definibili “normative” in senso ampio, quali la legge e la
contrattazione collettiva tra loro collegate da un rapporto gerarchico e
coordinato al tempo stesso (3). In ambito dottrinale vi è chi ritiene (4)
che, nonostante “il potere disciplinare sia avviluppato dall’intreccio
di regole sostanziali e procedurali finalizzate a garantirne un uso
corretto e non arbitrario, esso conservi l’originario ed inquietante
marchio dell’anomalia, un connotato che contraddice in maniera
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(3) CARDARELLO C., Il potere disciplinare nel rapporto di lavoro, in Diritto e Giustizia,
Giuffrè, Milano 35/2003.
(4) MONTUSCHI L., Potere disciplinare e rapporto di lavoro, in Quaderni di diritto del lavoro,
1991, pp. 9 ss..
Il potere disciplinare nel rapporto di lavoro
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vistosa la logica paritaria del rapporto e delle posizioni contrattuali,
trovando la sua giustificazione (in chiave di causa giuridica) nella
necessità, ritenuta apprezzabile e meritevole, di apprestare rimedi
speciali a sostegno ed a difesa dell’organizzazione e della disciplina
del lavoro”. Invero l’esercizio del potere disciplinare sembra trarre la
sua giustificazione proprio nell’organizzazione imprenditoriale del
lavoro ponendosi quasi come un elemento fisiologico del rapporto
stesso. E’ innegabile che la teoria e la pratica del potere disciplinare,
quantunque radicato nel tessuto del rapporto di lavoro, non possa
prescindere dalla relazione “impresa” e “contratto di lavoro”: “sia il
potere direttivo che quello disciplinare si manifestano nel più alto
grado e con la massima intensità, quando il contratto di lavoro sia
stato concluso per e nell’esercizio dell’impresa” (5). In una parola
occorre garantire un organizzazione efficiente e compatibile con
l’insieme dei beni organizzati per l’esercizio dell’impresa, in un
contesto che prevede anche la predisposizione di regole generali di
comportamento a carico dei lavoratori (cd. disciplina del lavoro), la
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(5) MONTUSCHI L., Potere disciplinare e rapporto di lavoro, in Quaderni di diritto del lavoro,
1991, pp. 9 ss..
Il potere disciplinare nel rapporto di lavoro
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cui inosservanza può condurre all’irrogazione di sanzioni disciplinari.
Di conseguenza il potere disciplinare, la cui funzione e causa
giuridica appare strettamente legata all’organizzazione del lavoro ed
all’inosservanza delle regole poste dal datore per assicurarne la
migliore efficienza e funzionalità, condivide la stessa logica propria,
in termini di riconoscimento giuridico, del più ampio potere direttivo.
L’uno e l’altro sono stati riconosciuti dall’ordinamento non per
premiare un ceto o una classe dominante, ma con l’intento di dotare
l’imprenditore di facoltà eccedenti l’ordinario armamentario che è a
disposizione del creditore, proprio perché l’utilità sociale del risultato
finale, sta fuori della cornice del singolo contratto individuale di
lavoro. “Se il potere del datore di lavoro è innegabilmente
contrattuale, avendo fonte e giustificazione nel contratto e
costituendo una delle classiche articolazioni attive della
subordinazione, i fini e gli scopi che l’esercizio del potere
disciplinare intende soddisfare stanno fuori dalla cornice del singolo
contratto individuale” (6). In ambito dottrinale, infatti, il
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(6) MONTUSCHI L., Potere disciplinare e rapporto di lavoro, in Quaderni di diritto del lavoro,
1991, pp. 9 ss..
Il potere disciplinare nel rapporto di lavoro
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comportamento antidoveroso del lavoratore è stato definito come sub
specie di possibile lesione dell’ordine costituito all’interno
dell’impresa, tocchi cioè, quello che viene considerato “il più ampio
interesse organizzativo aziendale”. Infatti se è vero che gli articoli
2104 e 2105 del c.c. descrivono gli obblighi contrattuali del
prestatore di lavoro, è però innegabile che “il legislatore abbia
privilegiato non solo il profilo puro e semplice dell’inadempimento
di tali obblighi, ma quello della violazione (“inosservanza”) di
regole più generali, che coinvolgono anche l’adempimento
individuale, ma interessano in primis l’ordine aziendale e la
disciplina del lavoro nel suo complesso.” (7). Dunque il potere
disciplinare nel rapporto di lavoro subordinato si presenta come “un
logico corollario delle regole di organizzazione imprenditoriale ed
un inevitabile e fisiologico elemento di dialettica di un rapporto
contrattuale di durata” (8). Esso esprime la capacità del soggetto
datoriale “di governare ed amministrare una pluralità di relazioni
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(7) VARDARO G., Il potere disciplinare giuridificato, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 1986, pp. 1
ss..
(8) CARDARELLO C., Il potere disciplinare nel rapporto di lavoro, in Diritto e Giustizia,
Giuffrè, Milano 35/2003.
Il potere disciplinare nel rapporto di lavoro
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giuridiche e non solo un singolo rapporto, con regole unitarie,
indirizzi comuni e generali, allo scopo di realizzare la migliore
combinazione possibile, in senso efficientistico dei fattori materiali,
immateriali ed umani, cioè quella sintesi che trasforma l’azienda in
un’attività organizzata, cioè in un’impresa.” (9). Il potere
disciplinare è rivolto dunque al di là della repressione
dell’inadempimento individualmente considerato, alla tutela
dell’equilibrato assetto dell’organizzazione del lavoro nelle sue
esigenze di funzionalità ed efficienza, cioè al perseguimento di scopi
“che si collocano al di fuori della cornice del singolo contratto
individuale di lavoro, ma che al tempo stesso possono essere
soddisfatti solo tramite il contratto stesso” (10).
A ben vedere dunque il vero fondamento del potere disciplinare, ed
in senso più ampio del potere direttivo, va individuato in esigenze di
organizzazione tipiche del datore di lavoro, tanto che potremmo
parlare di un più generale potere organizzativo da cui discendono
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(9) MONTUSCHI L., Potere disciplinare e rapporto di lavoro, in Quaderni di diritto del lavoro,
1991, pp. 9 ss..
(10) MONTUSCHI L., Potere disciplinare e rapporto di lavoro, in Quaderni di diritto del
lavoro, 1991, pp. 9 ss..
Il potere disciplinare nel rapporto di lavoro
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come logici corollari ulteriori profili tra cui il potere disciplinare. E’
certamente da tener presente che quest’ultimo, nonostante trovi la sua
giustificazione in esigenze che travalicano la cornice del singolo
rapporto contrattuale (datore – prestatore di lavoro), collegandosi con
una sfera di interessi più ampi quali la conservazione e la protezione
dell’organizzazione e della disciplina del lavoro, rimane pur sempre
ancorato a quel substrato fiduciario e personalistico che permea
costantemente sin dall’origine ogni rapporto di lavoro. E’ proprio
quindi nel contesto della subordinazione che si estrinseca
maggiormente il potere disciplinare. Dunque, si può affermare la
duplice ontologia del potere disciplinare, per un verso strettamente
connessa all’inadempimento dei doveri contrattuali e dell’obbligo di
fedeltà, per l’altro riveniente da condotte che possono ledere alla
radice l’esistenza del rapporto fiduciario tali da giustificare al limite
l’irrogazione di sanzioni espulsive. Data l’importanza degli effetti
che il potere disciplinare può produrre nella sfera giuridica soggettiva
del lavoratore e data la possibilità che il datore di lavoro possa porre
in essere procedimenti disciplinari ingiustificati, tale potere è
sottoposto ad una serie di limiti di tipo procedurale e sostanziale, di
genesi legale e convenzionale, che hanno ristretto l’area del legittimo
Il potere disciplinare nel rapporto di lavoro
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esercizio del potere, il quale può, nell’ambito così regolato e
“giuridificato”, legittimamente esercitarsi (11). Tale sistema di
garanzie, poste essenzialmente a tutela della posizione del lavoratore,
si rinviene nell’articolo 2106 del c.c., che si limita ad enunciare il
principio della proporzionalità fra infrazione e sanzione applicabile;
la sanzione disciplinare quindi è prospettata come rimedio applicabile
nel caso di “inosservanza delle disposizioni contenute nei due articoli
precedenti”, ma la stessa sanzione dovrà essere adeguata (rectius
“proporzionata”) alla “gravità dell’infrazione”. Il potere disciplinare,
previsto dall’articolo 2106 del c.c. è regolato quanto alla sua
attuazione dall’articolo 7 Stat. Lav. che introduce una serie di limiti
sostanziali e procedurali a tale potere, attenuando così “l’elusività”
dell’articolo 2106 del c.c., al fine di realizzare un’adeguata tutela del
prestatore di lavoro nei confronti di interventi datoriali discrezionali
o arbitrari (12). “Dall’articolo 2106 del Codice Civile, l’articolo 7
dello Statuto dei Lavoratori si distingue innanzitutto per la diversità
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(11) ZOLI C., L’esercizio del potere disciplinare, in Quaderni di diritto del lavoro, 1991, pp.61
ss..
(12) GRANDI M. – PERA G., Commentario breve alle leggi sul lavoro, II ed., Cedam, Padova
2001.
Il potere disciplinare nel rapporto di lavoro
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di tecnica normativa: mentre la prima disposizione aveva posto in
essere una disciplina elastica, suscettibile di una molteplicità di
chiavi interpretative, l’articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori (pur
sollevando una serie di problemi applicativi), pone in essere una
disciplina che si caratterizza per precisione e compiutezza
normativa. In secondo luogo, l’articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori
disciplina fasi e profili del potere disciplinare, che l’articolo 2106
del Codice Civile aveva intenzionalmente eluso. In terzo luogo, la
disciplina statutaria assoggetta esplicitamente l’esercizio del potere
disciplinare a quei limiti che in gran parte erano stati prefigurati in
altri paesi europei fin dagli inizi del secolo ….” (13). La disciplina
statutaria integra così la norma contenuta nell’articolo 2106 del c.c.
attuando una razionalizzazione dell’esercizio del potere disciplinare,
in un’ottica di rivalutazione di alcuni diritti fondamentali di libertà
dei soggetti destinatari dello stesso (14). La disciplina garantistica
contenuta nell’articolo 7 Stat. Lav., come è stato incisivamente
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(13) VARDARO G., Il potere disciplinare giuridificato, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 1986, pp.
1 ss..
(14) SPAGNUOLO VIGORITA L.- FERRARO G., in Commentario dello Statuto dei
Lavoratori, diretto da U. Prosperetti, Giuffrè, Milano, 1975.
Il potere disciplinare nel rapporto di lavoro
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scritto, (15) da un lato ha riconfermato “l’irriducibilità della fase
dell’esercizio del potere disciplinare alle regole del diritto comune,
dall’altro lato ha ribadito l’inerenza funzionale di tale potere ad una
molteplicità di interessi organizzativi del datore, che non sempre
sono identificabili con il mero interesse creditorio tendendo a
coincidere, piuttosto, con il più ampio interesse aziendale”.
2. L’esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro e l’articolo
7 dello Statuto dei Lavoratori – Il potere disciplinare del datore di
lavoro, dunque, si presenta strettamente collegato con il potere
direttivo e di organizzazione aziendale e, in quest’ottica, le sanzioni
disciplinari hanno un ben preciso scopo. Così recita, ad esempio, la
sentenza della Cassazione del 17 Febbraio 1988, n. 1703: “Il potere
disciplinare del datore di lavoro, previsto dall’art. 2106 c.c.. e
regolato, quanto alla sua attuazione, dall’art. 7 Stat. Lav. è diretto
ad eliminare le conseguenze sull’ordinato svolgimento dell’attività
lavorativa in azienda dell’inosservanza da parte del lavoratore degli
obblighi che derivano dal contratto e dalla sua posizione giuridica di
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(15) VARDARO G., Il potere disciplinare giuridificato, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 1986, pp.
1 ss..