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Capitolo 1
Test genetici e underwriting
1.1 Test genetici
1.1.1 Strumento medico
In visione della complessità dei problemi coinvolti
nell’identificazione della “informazione genetica” e della sua
variabilità nell’individuazione delle malattie, è necessario delineare
con precisione lo strumento tecnologico adottato.
Il termine screening o test genetico
individua un test di laboratorio
effettuato sui geni o sui cromosomi di un essere umano per
identificare anomalie, difetti o deficienze, incluso lo stato di
portatore sano, dovute a malformazioni fisiche o malattie mentali o
menomazioni che indicano una predisposizione ad una malattia, sia
fisica sia mentale; il test costituisce uno strumento diretto per
identificare le anomalie, i difetti o le deficienze, e non una
manifestazione indiretta di disordini genetici.
1
L’utilizzo alternativo delle due espressioni è consigliata
qualora si
debba identificare con precisione il soggetto che si sottopone
all’esame: il singolo individuo o i membri di una famiglia nel caso
del test, una popolazione o una sua parte per lo screening.
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1
La definizione è stata messa a punto dall’American Council of Life
Insurance (ACLI) e presentata al National Association of Insurance
Commissioners (NAIC) Genetic Testing Working Group of the Life Committee il 3
giugno 1996. White paper. Washington, D.C..
2
Il Comitato Nazionale per la Bioetica nel documento “Orientamenti bioetici
per i test genetici. Sintesi e raccomandazioni.” descrive la diversità di significato
tra i due termini.
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La lunga definizione scelta ha il fine d’essere più esplicita possibile,
e di comprendere tutte le applicazioni che destano interesse
nell’affrontare il tema assicurativo. Tuttavia, essa potrebbe esser
modificata in un qualsiasi momento futuro a causa dei continui
sviluppi della scienza genetica.
Nonostante la precisa descrizione, un test o, più in dettaglio, il suo
risultato non è così chiaro come potrebbe apparire. Allo stato
attuale si pongono numerosi interrogativi sull’accuratezza di tali
analisi, sull’interpretazione dei risultati e sull’utilizzo delle
informazioni scoperte.
I test rivelano i marcatori genetici del disordine e forniscono, si
presume, una descrizione valida e significativa della condizione
biologica che può esser utilizzata per predire la malattia. La ricerca
mostra che le mutazioni possono far aumentare la probabilità che
un portatore sviluppi una specifica affezione, e la probabilità che
essa si presenti può variare profondamente. Gruppi aventi
patrimonio genetico differente possono manifestare mortalità
notevolmente diversificate. Il tema è di considerevole interesse in
ambito attuariale, ma lo studio di tali differenziazioni richiede un
rilevante apporto scientifico da parte delle discipline biomediche.
Un caso esemplificativo è costituito dal gene denominato BRCA
3
.
Una donna portatrice del gene mutato BRCA1 ha una probabilità di
sviluppare il cancro alla mammella pari a 0.85, ma non si può
predire il tipo di cancro né l’età in cui ella verrà colpita. Solo il 5%
delle donne che sviluppano tale malattia ha, inoltre, una
mutazione. Per altri tipi di tumore, tipicamente più di una
mutazione è presente prima dell’apparire della forma maligna.
Infine, molto meno del 10% dei comuni tipi di cancro
sopraggiungono negli individui con un più alto rischio dovuto alla
loro storia familiare.
3
Gail Dutton, Genetic Testing: Should You Pay?, 1996.
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Si possono considerare i disordini genetici in termini di malattie e
predisposizioni. Nelle prime, la componente genetica è così forte
che la malattia colpirà certamente l’individuo, al di là di cosa egli
faccia per evitare il suo sopraggiungere. Mentre, in una
predisposizione, le malattie possono colpire o meno il soggetto
poiché il loro verificarsi dipende da molti fattori.
Così, se l’informazione genetica individua malattie e
predisposizioni, piuttosto che indicazioni e sintomi clinici, la
dimensione della classe dei “malati asintomatici” tende ad
aumentare: i disordini di questi individui risiedono nelle loro
sequenze di DNA, ma potrebbero non trasformarsi mai in malattie
funzionali.
1.1.2 Accuratezza dei test
Gli individui possono essere esaminati per una moltitudine di
malattie sottoponendosi ai test genetici, anche se il costo di questa
tecnologia medica ostacola la realizzabilità della loro diffusione.
Per essere affidabile, un test deve produrre una caratteristica della
malattia altamente correlata sia con i sintomi riscontrati che con le
manifestazioni somatiche di una certa condizione, individuabili
tramite chirurgia o autopsia.
L’entrata in scena degli attuari è motivata dalla necessità di
valutazione dei fattori di rischio genetici. L’impresa si rivela ardua
fin dal principio.
Lo strumento tecnico utilizzato è il teorema di Bayes, con il quale
viene calcolata la probabilità che un individuo sia colpito da una
data malattia Y, condizionatamente ad un risultato positivo del test
corrispondente (ovvero in presenza dei marcatori genetici). Se la
frequenza di Y nella popolazione è estremamente bassa, pur
disponendo di un test genetico con una sensibilità e specificità
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molto alte
4
, la probabilità cercata potrebbe essere bassa e l’utilità
del teorema alquanto incerta. Tra l’altro la prevalenza delle
sequenze genetiche sospette nelle sottopopolazioni malate, e non
malate, sono ancora piuttosto indeterminate.
Un caso ipotetico può essere utile a far chiarezza. Si supponga che
una certa malattia rara ricorra in uno su 10,000 individui della
popolazione e di disporre di un test molto accurato in grado di
identificare correttamente il 99.9% delle persone che soffrono della
malattia come positive e segnalare anche, correttamente, il 99.9%
di coloro che non sono malate come negative.
In tali condizioni la probabilità condizionata in discussione è
(attraverso il teorema di Bayes) pari solo a 0.09, cioè circa uno su
undici test positivi corrisponde ad una persona con la malattia. Ciò
fornisce un odd-ratio di circa undici a uno che un individuo con un
test positivo, di fatto, non si ammalerà: se il test è stato utilizzato
per valutare, ad esempio, i candidati per l’assicurazione, c’è alta
probabilità di commettere un errore e rifiutare erroneamente un
richiedente.
1.1.3 Interpretazione dei risultati
I test genetici individuano elementi distintivi di malattie presenti
o future, ma la complessa causalità genetica rende l’interpretazione
di tali caratteristiche molto difficile.
Per alcuni difetti la presenza di un gene è diagnostica, mentre per
altri più complessi si deve porre attenzione nel non confondere la
presenza di una condizione genetica o biologica con la malattia,
poiché essa è il prodotto dell’interazione di diversi geni con
l’ambiente in cui un individuo è immerso. Inoltre, un certo gene
può essere responsabile di diverse caratteristiche dell’essere
umano.
4
In altre parole, un test che fornisca basse proporzioni di falsi positivi e falsi
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Un test non fornisce necessariamente informazioni riguardo la
cadenza o la gravità di una disabilità o su come quest’ultima
potrebbe intaccare le normali funzionalità dell’individuo affetto. È
incapace di tener conto di variabili come la dieta, lo stile di vita e
l’effetto delle interazioni sociali o ambientali che possono
influenzare una propensione genetica fino a far maturare la
manifestazione di un disturbo.
I ricercatori medici hanno focalizzato in un’unica variabile la
complessa eziologia della malattia, rendendo così minimo il
possibile ruolo di altri parametri. Quest’analisi fa aumentare i
potenziali errori diagnostici nei test che si basano su evidenze
inferenziali, poiché nel caso individuale, com’è ben noto, le
assunzioni che hanno basi statistiche possono aver bassa rilevanza.
Molti scienziati del Progetto Genoma Umano confidano in una
diffusione degli screening tale da poter effettuare i test per i
disordini genetici su tutti gli individui. Comunque, i risultati del
teorema di Bayes implicano che un uso più realistico degli esiti dei
test è assimilabile ad una misura di probabilità per determinare se
un individuo svilupperà il disordine o no, misura che rappresenta
una quantificazione del rischio.
Schematizzando la situazione, si possono specificare un minimo di
sei scenari di riferimento riguardanti l’individuo che ha effettuato il
test per la malattia X:
1. sarà certamente colpito da X (o già lo è, pur non
manifestando ancora i sintomi);
2. ha un rischio specifico ed esplicito di essere colpito da X;
3. ha un rischio aggravato, sebbene non quantificato di avere X
4. avrà, o è ad alto rischio di avere, X se non adotterà misure
preventive o mediche;
5. avrà, o è ad alto rischio di avere, X se non vengono introdotti
cambiamenti nello stile di vita personale;
negativi rispettivamente.
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6. avrà, o è ad alto rischio di avere, X se esposto a “vettori”
della malattia come, per esempio, sostanze chimiche sul
luogo di lavoro, radiazioni o agenti infettivi.
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Tutti i fattori, presenti nello sviluppo dei disordini genetici,
costituiscono oggetto di studio dei ricercatori prima che lo
screening si diffonda.
La considerazione di un individuo che certamente svilupperà un
dato disordine è di difficile valutazione, ma pone problemi ancor più
grandi quella di un individuo che potrebbe esser colpito da
un'affezione.
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Scenari proposti da Crandall e Moseley, 1991.
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1.2 Underwriting
La considerazione dei rischi correlati al patrimonio genetico
degli individui rientra nell’analisi dei fattori di differenziazione della
mortalità, attività alla base dei calcoli attuariali nell’assicurazione
sulla vita.
I fattori di rischio generalmente riconosciuti, ovvero i caratteri
attraverso i quali si procede all’attribuzione degli assicurati alle
varie classi, sono l’età, il sesso, le condizioni di salute, la
professione e l’essere fumatore o non fumatore. Non tutti vengono
introdotti necessariamente nel calcolo del premio di ogni tariffa
assicurativa, mentre per quelli coinvolti viene fissato un certo
numero di livelli che permette l’individuazione delle classi di
premio.
I rischi genetici intervengono come aspetto delle condizioni di
salute e, come queste, vengono quantificati mediante l’impiego di
modelli di “aggravamento della mortalità”. Un rischio, per il qual è
ravvisabile un significativo livello di aggravamento, viene definito
tarato in opposizione ad uno normale.
Un approccio frequentemente adottato per esprimere, in qualche
misura, una valutazione personalizzata delle probabilità di
sopravvivenza di un soggetto, consiste nell’adozione di convenienti
modelli atti ad alterare la mortalità rispetto a quella espressa da
una tavola o da una funzione d’intensità ritenute standard. Diviene
così possibile esprimere “aggravamenti” o, viceversa, “riduzioni” di
mortalità.
Il processo di accertamento dei livelli assunti dai vari fattori di
rischio, in corrispondenza ad un dato soggetto all’ingresso in
assicurazione e, quindi, il suo inserimento in una classe di premio è
solitamente chiamato “selezione del rischio”, o underwriting nella
terminologia anglosassone. Tale momento di valutazione della
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specifica mortalità dell’assicurato rappresenta una
personalizzazione delle probabilità di decesso.
Il supporto informativo della verifica delle condizioni del rischio è
costituito anzitutto dalle dichiarazioni rilasciate dall’assicurando e,
in assicurazioni con prestazioni in caso di morte, le informazioni
sono integrate dall’esito di una visita medica, tranne in casi di
capitali assicurati di modesta entità.
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1.3 Informazione medica e informazione
genetica
La percezione che l’informazione genetica necessiti di un
trattamento più cauto, in confronto a molte altre indicazioni
mediche personali o alla storia familiare, è causa delle discussioni
riguardo i test genetici.
È opinione comune che la lettura delle sequenze di DNA, parte del
patrimonio ereditario di ogni individuo, fornisca dati per la
predizione di malattie future, cosa che non diviene disponibile con
nessun altro esame medico. Così, le caratteristiche delle
informazioni, ottenute mediante i test genetici, vengono
considerate essere molto diverse da quelle che si ottengono con le
comuni analisi mediche e, quindi, si prospetta la necessità di una
serie di cautele aggiuntive
6
.
In effetti, tali caratteristiche possono indurre a considerare
l’informazione genetica diversa da qualsiasi altra, unica.
Probabilmente non c’è niente che possa essere più personale del
proprio DNA, e per questo i dati inerenti possono esser considerati
privati. Inoltre, il loro potere predittivo fa sì che possano far
cambiare il corso della vita, il comportamento e i progetti degli
esseri umani. Infatti, l’informazione può riguardare non solo
l’individuo che effettua il test, ma anche i suoi familiari, svelando
risultati di carattere permanente, almeno finché la terapia genica
non giunga a livelli per ora lontani. Infine, il connotato che desta
più preoccupazioni a coloro che sostengono tale linea di pensiero, è
il carattere pregiudizievole del potenziale uso dell’informazione
genetica in senso discriminatorio.
6
Si fa riferimento alle caratteristiche citate in una pubblicazione della
American Cancer Society intitolata Cancer and Genetics, Gould 1997.
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Sebbene le “qualità” messe in luce dalla precedente analisi possono
esser viste come macchinose ed escogitate, non c’è dubbio che il
tema trattato è alquanto delicato.
In opposizione a tale orientamento, si pongono coloro che vedono
l’informazione genetica al pari di ogni altra, molti dei quali si
occupano di materia assicurativa. Essi hanno difficoltà nel
comprendere il problema della diversità d’informazione fino in
fondo e non ritengono accettabile la proposta dell’utilizzo di speciali
polizze, o condotte d’affari, per affrontare il problema.
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1.4 Disordini genetici
Al fine di chiarire la connessione tra i test e l’uso che gli attuari
potrebbero farne, è opportuno avere un’idea del tipo di disordini
genetici che possono essere rilevati. Un’usuale classificazione, utile
a tale scopo, è la seguente
7
.
a. Un disordine monogenico è un’alterazione di un singolo gene
e conduce ad un risultato clinico specifico. Tali modificazioni
sono infrequenti e, spesso, un portatore non sopravvive fino
a diventare economicamente attivo, così la loro presenza
nella popolazione assicurata è molto rara. In alcuni casi, il
momento atteso di inizio dei sintomi, e del sopraggiungere
della morte, cade in un intervallo di età rilevante; la Corea di
Huntington è un caso esemplare. Queste condizioni
rappresentano rischi addizionali di bassa incidenza ma di
gran rilevanza. I disordini monogenici sono relativamente ben
compresi, poiché spesso la loro natura genetica è chiara dalla
loro storia familiare. Per la stessa ragione, la loro
considerazione è già consentita nell’underwriting , così che
l’impatto principale dei test genetici potrebbe essere il
permettere agli individui sani di essere assicurati a tassi
ordinari.
b. Un disordine cromosomico è l’alterazione di materiale
genetico di più larga scala: il cromosoma. Si tratta della
presenza di un cromosoma extra, come nella sindrome di
Down, oppure dell’assenza di tale materiale genetico. I
sintomi sono di solito presenti fin da un’età giovane, dunque
il problema di usare un test genetico per ottenere
informazioni su un individuo senza sintomi non sorge.
7
A. Chuffart, Genetics and Life Insurance in Europe, Swiss Re, Zurich,
1996.
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c. Un disordine somatico è un’alterazione del materiale genetico
che si verifica dopo la nascita. È localizzato (cioè non
presente in tutto il materiale genetico di un individuo), così
usualmente non può essere individuato dall’effettuazione di
un test su un individuo senza sintomi.
d. Un disordine multifattoriale (o poligenico) è una
combinazione di geni alterati che, insieme a fattori ambientali
e comportamentali, indica una predisposizione verso alcune
malattie, incluse le più comuni cause di morte. Queste
condizioni rappresentano rischi addizionali di alta incidenza,
ma spesso di bassa rilevanza. Infatti lo stile di vita può subire
cambiamenti, data la conoscenza del rischio, e la mortalità
subire miglioramenti dalla loro individuazione. I test genetici
potrebbero rilevare i disordini multifattoriali molto prima che
alcun sintomo sia presente. È probabile che il rischio
addizionale sia variabile, ma molto meno che nel caso di
disordini monogenici.