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generalizzazione e di astrazione rappresenta un considerevole
vantaggio competitivo, in quanto consente agli organismi viventi di
interagire con il proprio ambiente con il minor dispendio possibile di
risorse cognitive. Appare, quindi, evidente come una delle aree di
indagine di maggiore interesse, su cui non potevano che
concentrarsi gli sforzi dei ricercatori, sia quella relativa alla
concettualizzazione (o categorizzazione), intesa come processo
sottostante la memorizzazione dei multiformi dati sensoriali, ma
anche – in modo più o meno esplicito – di ogni insieme di entità
concrete o astratte che devono essere elaborate in modo analogo ai
dati sensoriali.
A partire dagli anni ’70, lo studio dei concetti e delle categorie ha
goduto di un rinnovato interesse da parte degli psicologi, che
hanno cominciato nuovamente a dedicarsi alla formulazione di una
serie di teorie sulla concettualizzazione complementari o alternative
tra loro. Prima di passare ad un breve excursus su quello che
attualmente è il panorama teorico delineatosi intorno alla concept
formation, appaiono, tuttavia, doverose alcune considerazioni di
carattere generale.
Il problema della categorizzazione, così come viene posto dagli
attuali scienziati cognitivisti, non può, in effetti, che richiamare alla
mente una serie di problematiche tradizionalmente discusse
nell’ambito della filosofia della conoscenza e del linguaggio. Tra
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queste problematiche le principali possono essere riassunte come
segue (Harnard, 1987):
Il problema dell’induzione: come si arriva a formulare delle
generalizzazioni corrette e predittive, a partire da un insieme
finito di esempi particolari?
Il problema dell’attribuzione di un nome agli oggetti
(nominalismo): che relazione intercorre tra le parole dei
linguaggi naturali e gli oggetti che esse designano?
Il problema del significato olistico: il significato delle singole
parole è indipendente dal resto del vocabolario, oppure ogni
parola è in qualche modo vincolata al resto del vocabolario, in
modo tale che, cambiando il significato associato ad essa, si
renda necessario revisionare l’intero bagaglio lessicale?
Il problema della conoscenza–gnoseologica e della
conoscenza-linguistica: qual è la differenza tra ciò che
sappiamo (o potremmo sapere) direttamente dall’esperienza
sensoriale e ciò che sappiamo (o potremmo sapere) dalle
descrizioni verbali?
Il problema dei concetti elementari: quali sono le unità sulla
base delle quali costruiamo la nostra percezione degli oggetti e
delle forme? Queste unità si possono considerare come dei
primitivi percettivi indivisibili?
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Il problema dei simboli atomici: in che modo le parole
individuali che usiamo nelle nostre definizioni e descrizioni
derivano il loro significato? Come è possibile, in altre parole,
evitare il regresso all’infinito della definizione di termini per
mezzo di termini?
Il problema degli universali: che differenza esiste tra
un’istanza particolare di un oggetto e le sue caratteristiche
(universali)? In che modo si possono rappresentare le
proprietà concrete vs. le proprietà astratte?
In questi termini, appare evidente come il problema della
categorizzazione sia stato ridotto, nel corso della storia della
filosofia, al problema di come il linguaggio (e con esso l’intero
apparato cognitivo) ci porta a parlare e a pensare per generalia,
ovvero a riunire individui in insiemi. Fin dai tempi di Aristotele, le
categorie venivano pensate come una sorta di contenitori, in cui
raggruppare le molteplici occorrenze sotto un solo tipo. Per il
grande filosofo greco, le categorie erano dieci, la Sostanza e i nove
predicati (qualità, quantità, relazione, tempo, luogo, posizione,
condizione, azione, passione). Categorizzare consisteva, quindi,
secondo Aristotele, nel percepire una sostanza, nel capire quale
fosse la sua essenza e nell’attribuire, infine, a ciascuna occorrenza
gli appropriati predicabili.
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Anche nella filosofia moderna per creare concetti “…bisogna
dunque essere in grado di comparare, di riflettere e di astrarre;
queste tre operazioni logiche dell’intelletto, infatti, sono le
condizioni essenziali e universali per la produzione di qualunque
concetto in generale. Io vedo, ad esempio, un salice e un tiglio.
Confrontando questi oggetti tra loro, innanzitutto, noto che essi
sono diversi uno dall’altro riguardo al tronco, ai rami, alle foglie,
etc.; ma poi, riflettendo solo su ciò che essi hanno in comune fra
loro: il tronco, i rami e le foglie stesse, e astraendo dalla loro
grandezza, dalla loro figura, etc., ottengo un concetto di albero”.
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Il modo di considerare i concetti kantiano appare strutturato su
più livelli: a partire dai dati sensoriali e dalla conoscenza immediata
degli oggetti (intuizione) si ottengono i cosiddetti concetti empirici,
si esprimono, in altre parole, dei giudizi percettivi. Questi stessi
concetti ricevono da parte dell’intelletto la forma dell’universalità,
attraverso un’organizzazione categoriale. Servendosi dello
schematismo trascendentale è, in effetti, possibile ricondurre la
molteplicità dell’esperienza sensoriale alle 12 categorie (o concetti
puri) evidenziate da Kant, è possibile, cioè, classificare la
complessità del reale secondo delle strutture mentali innate, delle
forme pure che hanno origine unicamente nell’intelletto e
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Kant, I. Critica della Ragion Pura, trad. it. Colli G., Milano, Adelphi, 1976 L I
par.6
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attraverso le quali è possibile dare un ordine alla multiforme realtà
fenomenologica. Grazie a tali forme e a partire da un insieme
complesso di stimoli provenienti dai diversi organi sensoriali si
generano i concetti empirici. E’ in questo senso, che il tema degli
universali, dei concetti e del significato si può inserire in un
contesto cognitivo più ampio rispetto a quello limitatamente
linguistico.
I.1 STRUTTURA CONCETTUALE E FORME CATEGORIALI
La convinzione secondo cui la categorizzazione possa assumere
un ruolo centrale nell’ambito dei processi cognitivi è stata
recentemente rafforzata grazie a degli studi portati avanti da parte
di alcuni ricercatori. Secondo questi ricercatori, nessun altra
funzione cognitiva è più adatta della categorizzazione per spiegare i
principi di base che caratterizzano la cognizione in senso generale.
Alla base della capacità umana di creare categorie si troverebbe, in
effetti, una precisa struttura mentale (la struttura concettuale) in
cui “l’informazione linguistica, l’informazione sensoriale, e
l’informazione motoria divengono compatibili” (Jackendoff, 1983;
Jackendoff, 1987).
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Struttura
concettuale
Figura 1: Organizzazione interna tra struttura concettuale ed altri
sistemi cognitivi
In accordo ai sostenitori della Semantica Concettuale (di cui Ray
Jackendoff rappresenta uno degli esponenti più noti), la
categorizzazione è sostanzialmente un processo mentale che
consiste nel confrontare due rappresentazioni: la rappresentazione
dell’oggetto particolare e la rappresentazione della categoria a cui
l’oggetto appartiene. Questo confronto ha luogo servendosi della
creatività, della capacità, cioè, di categorizzare un insieme infinito
di occorrenze sconosciute come elementi appartenenti ad una
determinata categoria. A partire da un insieme più o meno infinito
di primitivi e di regole di combinazione è possibile, in altri termini,
costruire ricorsivamente un insieme pressoché infinito di strutture
concettuali.
Sistema
linguistico
Regole di
inferenza
pragmatiche
Regole di
formazione
concettuale
Sistema
visivo
Sistema
motorio
Ecc.
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In questo senso, per comprendere il funzionamento della
categorizzazione, sarebbe necessario, in primo luogo, definire i
primitivi e mostrare il modo in cui tali primitivi si combinano tra di
loro nel costruire il significato delle parole. Secondo Jackendoff, ciò
può essere fatto, tuttavia, soltanto dopo aver stabilito una
distinzione di base nella struttura concettuale. Tale distinzione è
quella tra [TOKENS], gli oggetti individuali (occorrenze) che sono
stati categorizzati, e i [TYPES], i tipi a cui le occorrenze
appartengono o non appartengono. Il [TOKEN] può essere fatto
corrispondere alla costante individuale di una frase atomica propria
di un calcolo del primo ordine (Jackendoff, 1987, trad. it. pp.138-
139). Come le costanti individuali, infatti, anche i [TOKENS] sono le
espressioni più elementari della struttura concettuale. Essi sono dei
costrutti mentali con una struttura interna potenzialmente
elaborata, che può essere proiettata nella coscienza come un’entità
unificata. Tale entità appartiene ad un insieme di categorie
ontologiche, che non sempre hanno dei referenti nel mondo reale e
che sono perciò una sorta di “parti del discorso” della struttura
concettuale. Le categorie ontologiche principali sono le seguenti:
[OGGETTO], [LUOGO], [PERCORSO], [AZIONE], [EVENTO], [SUONO], [MODO
DI FARE], [QUANTITÀ], [NUMERO], [PROPRIETÀ], [ODORE], [TEMPO]. I
[TYPES], a loro volta, sono delle generalizzazioni fatte a partire da
più [TOKENS] di uno stesso genere, sono, in un certo senso, le
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informazioni che un organismo crea ed utilizza nell’apprendere una
categoria. Anche i [TYPES] così come i [TOKENS] si dividono, in base
alle categorie ontologiche principali, in [TYPE OGGETTO], [TYPES
LUOGO], [TYPE EVENTO], ecc... Al fine di mostrare come sia possibile
dedurre dai [TYPES] i [TOKENS], Jackendoff ha scritto in Coscienza e
Mente Computazionale le seguenti parole: “... è necessario trattare
un concetto [TYPE] come un insieme finito di regole o condizioni che
possano essere usate per categorizzare [TOKENS] nuove e
particolarmente fuori dalla norma. Poiché i concetti [TYPE] possono
essere costruiti creativamente, l’insieme totale dei [TYPE] possibili è
indefinitivamente ampio, e non può essere codificato all’interno di
un cervello finito. Caso mai, lo stesso insieme di possibili [TYPES]
deve essere caratterizzato dall’insieme finito di regole di
formazione concettuale della figura 1. Il processo di acquisizione
dei concetti può allora essere pensato di modo che utilizzi le prove
ambientali per aiutare la selezione o la costruzione di un concetto
[TYPE] fra tutte le possibilità fornite dalle regole di formazione
concettuale. In questo modo, le regole della formazione
concettuale giocano un ruolo che ricorda quello della Grammatica
Universale nella teoria sintattica: sono le basi innate per
l’acquisizione di una conoscenza ambientale-specifica” (Jackendoff,
1987, trad. it. p.206).
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Questo approccio richiede che i concetti [TYPES], così come i
concetti [TOKENS] siano costituiti da un insieme di primitivi, da un
insieme, cioè, di condizioni necessarie e sufficienti, in grado di
definire il significato del concetto a cui si legano. In altri termini,
potremo dire che Jackendoff abbraccia una visione scomposizionale
del significato delle parole e, in ultima istanza, dei concetti a cui tali
parole rimandano. Le relazioni È UN CASO DI e È INCLUSO IN, con cui
Jackendoff esemplifica il modo in cui un [TOKEN] viene associato ad
un [TYPE], o il modo in cui più [TYPES] sono associati tra di loro,
consistono, così essenzialmente, in un confronto tra le condizioni
necessarie e sufficienti dei concetti presi in considerazione.
Il modello semantico delineato da Jackendoff va, tuttavia, ben
oltre i modelli composizionali del significato che già altri studiosi di
semantica avevano elaborato (Katz & Fodor, 1967). Prendendo
coscienza di una tra le maggiori difficoltà sollevate dalle teorie
composizionali del significato, vale a dire, la difficoltà di definire i
concetti di “confine” (vedi, ad esempio, le somiglianze di famiglia di
Wittengstein) ed i concetti fuzzy, quei concetti, cioè, non facilmente
riducibili a condizioni necessarie e sufficienti. Jackendoff ha, infatti,
arricchito la sua teoria con dei sistemi con regole di preferenza.
L’ipotesi di Jackendoff si fonda su alcuni principi fondamentali
assunti dagli psicologi della Gestalt. Secondo questi psicologi, la
percezione è influenzata da una serie di tendenze organizzative
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innate che contribuiscono a raccogliere in gruppi insiemi di stimoli
isolati, sulla base di fattori di prossimità, similarità, chiusura,
continuità e simmetria. In Semantica e Cognizione, Jackendoff
mostra, in particolare, come i principi di Wertheimer della
prossimità e della similarità consentano di esprimere dei giudizi
circa il raggruppamento spaziale di alcune figure. Negli esempi
analizzati da Wertheimer e ripresi da Jackendoff, le condizioni di
prossimità e di similarità costituiscono un sistema con regole di
preferenza, costituiscono, vale a dire, un mezzo per produrre un
giudizio od un’analisi a partire da un certo numero di condizioni. Un
sistema con regole di preferenza applicato ad ogni campo della
psicologia consente di spiegare la capacità umana assai singolare di
formulare giudizi circa la forma, la funzione, lo scopo, la
personalità, o qualunque altra caratteristica saliente di una
“presunta realtà esterna”, senza dover analizzare, in maniera
rigorosa, tutti quei possibili fattori che determinano, appunto, tale
realtà. In questo senso, è proprio una sorta di insight ciò che
consente agli uomini di classificare sotto uno stesso concetto più
occorrenze di un oggetto specifico. In effetti, come scrive lo stesso
Jackendoff “non c’è bisogno di verificare tutte le condizioni per
arrivare ad un giudizio, in quanto basta verificarne un certo numero
per poter stabilire un quadro soddisfacente di realtà” (Jackendoff,
1983, trad. it. p. 245).
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Le regole con preferenza costituiscono, infatti, una componente
attiva della cognizione, una componente, cioè, che cerca
continuamente di adattare e di riorganizzare la struttura
concettuale nel tentativo di rendere massima la stabilità della
struttura globale.
Questa riorganizzazione avviene anche sulla base della
conoscenza ambientale-specifica acquisita per mezzo degli organi
sensoriali. In questo senso, a differenza del modello della mente
computazionale tradizionale (HIP, Human Information Processing),
in cui l’informazione rappresenta la componente “passiva”
dell’informazione, nei nuovi modelli della mente viene sempre più
emergendo un ruolo “attivo” dell’informazione. L’interazione
mente-mondo da origine a dei processi di apprendimento, che
spesso consistono nella costruzione di nuove “strutture mentali”,
cioè, di nuovi “legami” (associazioni) che potrebbero, come alcuni
studi hanno messo in luce, corrispondere a delle specifiche
strutture neuronali. In questo modo, la modellizazione dei concetti
complessi risulta di primaria importanza: comprendere la struttura
delle più semplici forme rappresentazionali e le modalità in cui tali
forme si combinano tra di loro, generando il pensiero in tutta la sua
complessità, significa, infatti, per molti versi, comprendere la
stessa mente.