3
Tutta la vita di Macrì fu dedicata alla cultura umanistica, in un
cammino che si dipana tra la missione e la devozione sin da quando,
giovane studente, il magliese si accostava spontaneamente alla lettura dei
classici e dei filosofi, o da poco professore, non nascondeva la sua
attitudine alla ricezione di impulsi stranieri: postsimbolismo,
generazionismo, modernismo, ecc. Alla fine l'arguto lettore di Foscolo e di
Manzoni esce indenne da una temperie che avrebbe potuto travolgerlo, e
riesce a porsi come esempio e guida per i nuovi critici che seguono
all'ermetismo e alla terza generazione.
Il magistero di Macrì educa alla riflessione, all'imparzialità, al rigore
scientifico, ma soprattutto all'umiltà: «in definitiva, sono stato solo un
insegnante per natura e per mestiere»,
2
dichiarava in uno scritto della
maturità.
Chi ha letto l'opera critica, poetica e prosastica di Macrì sa che
l'affermazione di cui sopra è quanto di più lontano dalla verità, dettata da
una modestia che il professore «per natura e per mestiere» aveva insita in
sé, e che fu la 'causa' della sua incessante evoluzione culturale anche in
tarda età.
Macrì fu un professore, è vero, ma non fu solo un professore, egli fu
anche un professore con la vocazione per la cultura vera, che nasce da
studio appassionato, da lotte con il testo, da indomita continuità nella
ricerca, e che dovrebbe condurre (ma questo è soltanto dono per pochi) alla
«sapienza» pura.
3
2
ID., Sulla mia arte narrativa, in op. cit., p. 78.
3
Il lemma «sapienza» viene utilizzato da Macrì in quasi tutti i luoghi della sua scrittura; la parola assume
valore di conoscenza pura. La citazione di cui sopra si riferisce alla «vichiana sapienza italica», ed è
contenuta in Due salentini a Firenze, in «Critica e politica», VII, 7-8, 1981, p. 7. Lo stesso articolo sarà
poi ripubblicato in O. MACRÌ, La vita della parola. Studi montaliani, Le Lettere, Firenze, 1996, pp. 425-
427; e in ID., Scritti salentini cit., pp. 210-213.
4
Alla luce di quanto appena osservato, non è facile spiegare
brevemente quale sia il nucleo di questa tesi di dottorato, poiché Macrì
nasconde una certa imprevedibilità e non sempre al suo studioso è concesso
di seguire un filo conduttore ben chiaro; piuttosto capita più spesso che
esso venga travolto dagli 'eventi' e cambi direzione d'analisi.
Dunque, il presente lavoro ha subito delle modifiche e dei cambi di
direzione in fieri, divenendo un work in progress conclusosi fisicamente
con la stampa della tesi, ma che idealmente rimane sempre aperto e
integrabile, soprattutto perché non si è potuto affrontare, per evidenti limiti
di tempo, lo studio complessivo del linguaggio critico macriano e, in
particolare, il rapporto tra gli studi ispanici e quelli di italianistica.
Alla facilità di reperimento della bibliografia di Macrì (complice
l'esaustiva opera di Chiappini
4
) ha fatto da contrappeso la difficoltà nella
comprensione dei testi: ai famosi «diorami» di presentazione delle opere e
all'«acosmismo sangiovanneo» guilleniano si sono spesso inframezzati gli
«ipogei» di incoscienza dell'autrice di questa tesi che, fortunatamente, man
mano si sono illuminati (e ciò grazie ai successivi ritorni sulle pagine
macriane).
Proprio a questa evoluzione di conoscenza si deve lo sviluppo
interno del lavoro, laddove, per fare un esempio, il capitolo su Lorca
(primo anche in senso cronologico di stesura) è stato poi rivisto alla luce di
nuove letture e nuove informazioni acquisite nel corso degli anni su Macrì
critico.
Dopo la lettura, ancora più ardua in quanto a tempo e impegno è la
comprensione dei testi, che si raggiunge (non completamente) dopo una
4
G. CHIAPPINI, a c. di, Bibliografia degli scritti di Oreste Macrì, Dipartimento di Lingue e Letterature
neolatine dell'Università di Firenze, Opus libri, Firenze, 1989.
5
visione globale del corpus macriano, e previo 'smontaggio' di certi
meccanismi linguistici e letterario-culturali.
Sulla scia di queste osservazioni, la scelta di analizzare soltanto il
linguaggio critico di Macrì ispanista apparirà certamente parziale e
preliminare; ma essa si giustifica con il fatto che chi ha scelto di dare alla
tesi quest'impronta voleva isolare compiutamente e lungamente
l'argomento ispanismo e dare a questo lavoro un carattere quasi
monografico nonostante la varietà dei temi trattati.
Si è proceduto dunque ad uno 'svisceramento' dei temi portanti di
ogni volume di ispanistica di Macrì (ad eccezione dei due di Studi Ispanici,
5
costituiti in gran parte da riprese di studi già editi in volumi separati)
accogliendo come un dono la sua abitudine editoriale di riportare in ogni
ultima edizione tutte le introduzioni alle precedenti, e, spesso, anche tutti
gli interventi sull'autore sparsi su riviste. È il caso dei volumi su Lorca,
giunti alla VII edizione e la cui introduzione comprende tutte quelle
passate; o dei lavori sull'opera di Guillén, confluiti nel volume del 1972, e
prima di allora pubblicati frammentariamente; o ancora dell'edizione critica
di Machado, nata dopo anni di interventi sulla poesia di Antonio.
Naturalmente, questo costume editoriale ha facilitato il reperimento dei
testi e ha reso continua e unitaria la lettura dell'opera ispanista macriana.
Nonostante questo carattere riassuntivo degli ultimi lavori, si è preferito
dare ugualmente notizia (per lo più ad inizio di ogni capitolo) della
bibliografia completa sull'autore trattato, dai fogli sparsi su riviste ai tomi
di un certo peso.
5
O. MACRÌ, Studi Ispanici, I. Poeti e narratori, II. I critici, a c. di L. Dolfi, Liguori, Napoli, 1996.
6
Contestualmente al lavoro analitico (ma in qualche caso anche
prima) si è proceduto alla compilazione dell'Index verborum di ogni opera,
empiricamente e senza l'aiuto di mezzi informatici (poiché non esiste un
archivio digitalizzato dell'opera macriana: iniziativa auspicabilissima). Si
tratta di un indice delle parole, un elenco in ordine alfabetico, cioè, delle
parole caratterizzanti il lessico critico di Macrì suddiviso per volume. Una
volta compilati gli indices di tutti i volumi si è proceduto alla collazione e
all'ordinamento alfabetico complessivo in un Index verborum generale. Le
parole catalogate sono poco più di duemila raccolte tra i nove volumi di
studi ispanici analizzati in questa sede.
Una volta conclusa l'analisi dei singoli volumi, nel capitolo dal titolo
Sondaggio sulla stratificazione del linguaggio critico macriano si è
proposto uno studio diacronico limitato ai volumi di critica su Bécquer e su
Lorca, e ciò nel tentativo di situare nel tempo alcune linee evolutive della
lingua macriana. Nell'ambito dello stesso capitolo vengono esposti i
risultati di una ricerca sui neologismi di Macrì, sulla base dell'assenza di
tali parole nel Grande Dizionario Battaglia.
A cose fatte, mi rendo conto di avere in gran parte (e sia pure in
sintesi) tentato di ricostruire il pensiero critico di Macrì ispanista, più che
aver analizzato la natura e la qualità del suo lessico. A mia parziale
giustificazione valgano l'impossibilità di scindere pensiero e parola, e la
mancanza di una vera tradizione di studi sul mio autore, la cui figura cresce
sempre di più anche sulla base dell'uscita postuma di suoi inediti.
La pubblicazione di nuovi volumi macriani e la riedizione dei vecchi
aggiungono sempre qualcosa alla conoscenza del critico, nonostante questi
non riguardino specificamente il settore ispanico: il recente Da Betocchi a
7
Tentori, ultima opera della triade La vita della parola, completa, di fatto, il
quadro di Macrì traduttore con due importanti saggi sulla traduzione
poetica.
L'argomento specifico della traduzione rappresenta nella vita di
Macrì un momento fondamentale di crescita personale e di comunione con
le parole altrui: la prima versione ascrivibile al giovane professore di
Maglie è la lorchiana Ode a Salvador Dalí del 1939, avvio di una lunga
serie culminata con le traduzioni di quasi tutto il corpus di García Lorca,
dell'opera omnia di Jorge Guillén, di tutte le odi di Luis de León, di
innumerevoli poesie di Fernando de Herrera e di quasi tutte le prose e
poesie di Antonio Machado. Rimangono fuori da questa lista ridotta
all'osso le versioni dai poeti delle generazioni letterarie spagnole dal '98 al
'50 (le cui traduzioni sono raccolte in Poesia spagnola del Novecento), e
tutte le traduzioni sparse su riviste delle quali sarebbe auspicabile una
edizione unitaria.
La scelta di non dedicare nemmeno un paragrafo ad un argomento
fondamentale come questo è dettata dal desiderio di non togliere centralità
alla parola critica macriana a favore della parola poetica (sebbene in
traduzione): approfondire l'argomento delle traduzioni avrebbe significato
distogliere l'attenzione dal principale oggetto di quest'analisi. Tuttavia, gli
ambiti di una conoscenza profonda di Macrì dovranno necessariamente
riguardare anche i suoi scritti di poeta e di prosatore dai quali emerge il suo
lato più schietto e più familiare.
Se Macrì fu critico e poeta, traduttore e recensore, prima di tutto egli
fu un grande lettore.
8
Appassionato ed onesto lettore, Macrì seppe coniugare in sé la
volontà di riconoscersi interamente nella grande cultura europea con una
forte tensione ad animare e a sostenere la tradizione italiana. Egli con
equilibrio ed entusiasmo insegnò come sia doveroso per ogni «critico
autentico» (diversa è la situazione per il «critico inautentico») non
rinunciare mai alla «fedeltà alla verità e alla libertà».
6
6
Per la distinzione tra «critico autentico» e «critico inautentico» cfr. I diritti della critica, in Scritti
salentini cit., dalla p. 159. La citazione è a p. 162.
2
I. 1949-95: Terra, magia e parola attraverso le edizioni dei "Canti" di
Federico García Lorca
Il "lungo tempo lorchiano"
1
per Oreste Macrì inizia nel 1939 con la
versione dei «metallici alessandrini»
2
dell'Ode a Salvador Dalí, e prosegue
con grande alacrità nei decenni successivi.
Nel 1943 esce presso le edizioni parmensi di Guanda Federico
García Lorca, un volume di studi lorchiani a cura di Albertina Baldo,
all'interno del quale Macrì introduce l'opera teatrale Donna Rosita nubile,
poema granadino di ambientazione novecentesca che è tra le ultime
creazioni di García Lorca;
3
nel maggio del 1946 egli firma su «La rassegna
d'Italia» un articolo interamente dedicato al Teatro di Federico García
Lorca,
4
e nello stesso anno presenta l'edizione di Mariana Pineda nella
miscellanea Federico García Lorca e il teatro spagnolo contemporaneo;
5
nel '48 appare su «Convivium», a sua cura, un florilegio di poesie
lorchiane.
6
Del 1949 sono i Canti gitani e prime poesie,
7
introdotti e tradotti da
Macrì in un'edizione che verrà annotata ed ampliata fino al 1993 («finché i
1
L'espressione ricalca quella di un titolo di Macrì riferito ad Ungaretti nel Lungo tempo ungarettiano.
Materiali di studio, Fratelli Palombi Editori, Roma, 1989.
2
O. MACRÌ, Poesia spagnola del Novecento, Garzanti, Milano, 1985, vol. I, p. IX.
3
A. A. V. V., Federico García Lorca, Guanda, Parma, 1943, pp. 9-22.
4
O. MACRÌ, Teatro di Federico García Lorca, in «La rassegna d'Italia», anno I, n. 5, 1946, pp. 30-39.
5
A. BALDO, a c. di, Federico García Lorca e il teatro spagnolo contemporaneo, Guanda, Modena, 1946.
Il saggio di Macrì si trova alle pp. 7-14.
6
O. MACRÌ, Un'antologia delle poesie di Lorca, in «Convivium», n. 5, 1948, pp. 179-201.
7
F. GARCÍA LORCA, Canti gitani e prime poesie, introduzione, testo, versione a c. di O. Macrì, Guanda,
Parma, 1949. Questa edizione, per ammissione del suo curatore, costituisce una integrazione delle Poesie
curate da C. Bo (Guanda, Parma, 1947): vi mancano, rispetto a questo testo, 10 romances e 2 poesie
(appartenenti al Poema del cante jondo); contiene in più il Llanto a Ignacio Sánchez Mejías. La parte
intitolata Prime poesie (1921-24) comprende i lorchiani Libro de poemas, Primeras canciones e
Canciones, più una scelta di Poesie postume.
3
fedeli di Guanda possederanno tutta l'opera poetica di García Lorca»
8
),
quando assumerà il titolo definitivo di Canti gitani e andalusi;
9
nel 1995,
infine, una scelta di Poesie andaluse sarà edita in versione tascabile con
traduzione italiana a fronte.
10
La sesta edizione, quella del '58
11
(che prendo come testo di
riferimento, in quanto il più completo), accoglie nel prologo le introduzioni
alla I, II, III, IV, V edizione, rispettivamente del 1949, 1951,
12
1952,
13
1954,
14
1957
15
tutte edite dalla «stessa Guanda rediviva e immortale»,
16
con
in più un'inedita introduzione e un Commento conclusivo.
La scelta critica e traduttoria di Macrì non fu diretta casualmente
verso Lorca e le sue poesie, ma, da fedele e appassionato lettore dei
ventisettani (o, come lui soleva dire, dei poeti della «gloriosa Generazione
del 25»
17
) quale era, il pugliese trovò nelle parole del duende di
Fuentevaqueros diversi suggerimenti che potessero in un certo senso
confortarlo sul piano esistenziale ed autobiografico: inizia con l'aiuto di
8
La citazione è da p. 30 dell'edizione del 1958 che accoglie tutte le introduzioni precedenti.
9
F. GARCÍA LORCA, Canti gitani e andalusi, studi introduttivi, note bibliografiche, testo, versione e
commento a cura di O. Macrì, Guanda, Parma, 1993.
10
ID., Poesie andaluse, a c. di O. Macrì, testo a fronte, TEA, Milano, 1995.
11
ID., Canti gitani e andalusi, VI ed. rived. e corretta, a cura di O. Macrì, Guanda, Parma, 1958. Questa
edizione corregge i pochi errori di stampa della precedente, e si basa sull'allora fresco di tipografia Les
grands poèmes andalous de F. García Lorca, textes originaux, traductions françaises, études et notes de
Albert Henry, Gand, 1958.
12
ID., Canti Gitani e Andalusi, II ed. ampliata e annotata, introduzione, testo e versione a c. di O. Macrì,
Guanda, Parma, 1951. Questa edizione si arricchisce di 35 poesie rispetto alla prima, di cui 28 da
Poemas, Canciones e Postume, e 7 da Canciones musicales.
13
ID., Canti gitani e andalusi. Dal "Romancero gitano" e dal "Poema del cante jondo"; "Llanto por
Ignacio Sánchez Mejías"; da "Poemas" e "Canciones", III ed. ampliata e annotata, introduzione, testo e
versione a c. di O. Macrì, Guanda, Parma, 1952. Qui si aggiungono 22 poesie tratte e tradotte da Libro de
poemas (1921), Primeras canciones e Canciones.
14
ID., Canti gitani e andalusi, Guanda, Parma, 1954. Questa quarta edizione offre «un altro mannello
della lirica lorchiana» con aggiunte da Poemas (1921) e Canciones (1921-1924).
15
ID., Canti gitani e andalusi, V ed., Guanda, Parma, 1957. I testi di questa edizione sono stati riordinati
e corretti in base alle Obras completas, recopilación y notas de Arturo del Hoyo, prólogo de Jorge
Guillén, epílogo de Vicente Aleixandre, Aguilar, Madrid, 1954; segunda edición aumentada, 1955.
16
O. MACRÌ, Memoria del mio decennio parmense (1942-1952), in Le mie dimore vitali (Maglie-Parma-
Firenze), a c. di A. Dolfi, Bulzoni, Roma, 1998, p. 56.
17
ID., Poesia spagnola del Novecento, Garzanti, Milano, 1985, p. X.
4
Lorca una ricerca che non si placherà fino alla morte e che cercheremo di
approfondire nelle pagine seguenti.
Segretamente attratto dal fascino del primitivo, Macrì, attraverso la
parola lorchiana, indaga sui suoni, sulla musica, sulla «forza primigenia»
18
della terra, riconducendo il duende flamenco all'Andalusia «quale madre,
pur esausta di filosofi, mistici, eroi, conquistatori».
19
Il critico persegue, nei
suoi studi sull'universo lorchiano, una ricerca quasi unamuniana (e cioè
ontologica e originaria) dell'esistenza, attraverso la madre terra, attraverso
la tradizione, la memoria, il popolo.
Non è da sottovalutare il fatto che il critico di Maglie fosse coevo dei
giovani poeti del '27, e che con loro condividesse ed avesse condiviso certi
momenti storici (direi «generazionali», per non discostarmi troppo dal
vocabolario prettamente macriano) che avevano di sicuro influito sul modo
di pensare e di scrivere europeo: dico la Prima Guerra Mondiale, la Guerra
Civile in Spagna, le dittature continentali e così via. In più, Macrì aveva
idealmente militato tra le file degli antifranquisti, aveva idealmente
assistito al sacrificio granadino di Lorca e aveva letto le poesie funebri a lui
dedicate da chi, in esilio, non potè assistere al funerale.
Era un giovane laureato, Oreste, quando si cimentò con gli
alessandrini lorchiani dedicati a Salvador Dalí. L'oda, composta
dall'andaluso nel 1926, narra di fiori recisi, di assenza dei boschi, di nature
morte, per concludere che a Cadaqués i «pescadores duermen, sin ensueño,
en la arena»; «senza sogni», e solo il pennello del pittore potrà ripopolare i
18
F. GARCÍA LORCA, Canti gitani e andalusi, VI ed. riveduta e corretta a c. di O. Macrì, Guanda, Parma,
1958, p. 17.
19
Ivi, p. 15.
5
mari:
20
niente di più autobiografico per Macrì, che scegliendo di tradurre
questa lirica opera una scelta di contenuto, prima ancora che di gusto.
Tra questa versione e l'uscita della prima edizione dei Canti gitani e
prime poesie l'ex studente di filosofia traduceva già Luis de León, si
occupava di un altro moderno come Dionisio Ridruejo, pensava all'opera
completa di Guillén e ricercava parole dette e scritte da altri che potessero
diventare anche le sue (ma su questa dimensione della "mimesi critica" di
Oreste Macrì tornerò più avanti).
Il Lorca più maturo, quello del Poema del cante jondo o di Poeta en
Nueva York, sarà il preferito dall'esegeta salentino che, proprio attraverso
certe liriche, scoprirà alcune categorie fondamentali (cito su tutte quella
della realtà e del simbolo), che negli anni successivi approfondirà sempre
più coscientemente, fino alla completa elaborazione teorica e applicazione
esegetica (importante la presa di coscienza macriana su ciò che è reale e ciò
che è simbolico, ad esempio, nella poesia di Luis de León e di Jorge
Guillén).
Dunque, la passione ispanica di Macrì nasce con Lorca per poi
trovare completo appagamento nel frate di Salamanca, nel poeta di
Valladolid ed in tutti i lirici commentati e tradotti nel "lungo tempo
macriano".
Ma veniamo al volume su García Lorca.
Il «demone variantistico» (che più volte Macrì colse nella poesia di
altri) si offre schietto al lettore che abbia tra le mani la penultima edizione
dei Canti lorchiani; la lettura di tutte le premesse (dalle quali appare chiaro
il costante lavoro di approfondimento connesso alle continue integrazioni)
20
F. GARCÍA LORCA, Oda a Salvador Dalí, in «Revista de Occidente», 4, Madrid, 1926.
6
permette infatti di creare un'unica, corposa introduzione alla edizione, la VI
appunto, che accoglie le traduzioni di tutte le poesie, romances, canciones,
baladas, gacelas del granadino.
21
Non è affatto semplice illuminare tutti i risvolti e il mistero della
figura e dell'opera di Federico García Lorca, ma Macrì durante i suoi
cinquantennali studi ha mostrato di aver acquisito una notevole familiarità
e dimestichezza con il lado oscuro del più grande poeta che il meridione
spagnolo abbia avuto.
Per questo, e per rendere più accessibile al «benigno lettore» una
poesia sicuramente non "perfetta", ma molto sanguigna, folclorica, surreale
come quella di Federico, nella introduzione alla prima edizione (1949) il
critico e traduttore opera una vera e propria interpretazione del Romancero
gitano, «cercando di mettere in guardia […] dall'incanto di una lettura
superficiale, che del Romancero ci consegni soltanto la metafora, il
linguaggio della figurazione, il feticismo gitano, il complesso embrionale
del ripiegamento su se stessi, il fantastico-superreale, il caratteristico»,
22
e
rimarcando il fondo andaluso che informa non solo questa, ma tutta l'opera
21
Riordino qui in un unico blocco bibliografico le numerose edizioni e ristampe dei Canti lorchiani
tradotti e annotati da Macrì: I EDIZIONE - F. GARCÍA LORCA, Canti gitani e prime poesie, introduzione,
testo, versione a c. di O. MACRÌ, Guanda, Parma, 1949. II EDIZIONE - F. GARCÍA LORCA, Canti Gitani
e Andalusi, II ed. ampliata e annotata, introduzione, testo e versione a c. di O. Macrì, Guanda, Parma,
1951. III EDIZIONE - F. GARCÍA LORCA, Canti gitani e andalusi. Dal "Romancero gitano" e dal "Poema
del cante jondo"; "Llanto por Ignacio Sánchez Mejías"; da "Poemas" e "Canciones", III ed. ampliata e
annotata, introduzione, testo e versione a c. di O. Macrì, Guanda, Parma, 1952. IV EDIZIONE - F.
GARCÍA LORCA, Canti gitani e andalusi, Guanda, Parma, 1954. V EDIZIONE - F. GARCÍA LORCA, Canti
gitani e andalusi, V ed., Guanda, Parma, 1957. VI EDIZIONE - F. GARCÍA LORCA, Canti gitani e
andalusi, VI ed. rived. e corretta, Guanda, Parma, 1958. I RISTAMPA EFFETTIVA - F. GARCÍA LORCA,
Canti gitani e andalusi, Guanda, Modena, 1959. II RISTAMPA DELLA VI EDIZIONE - F. GARCÍA
LORCA, Canti gitani e andalusi, Guanda, Modena, 1960. VI EDIZIONE, IV RIST., III RIST.
EFFETTIVA - F. GARCÍA LORCA, Canti gitani e andalusi, Guanda, Modena, 1961. VII EDIZIONE - F.
GARCÍA LORCA, Canti gitani e andalusi, a c. di O. Macrì, con testo a fronte, Guanda, Parma, 1993. VIII
EDIZIONE - F. GARCÍA LORCA, Poesie andaluse, a c. di O. Macrì, con testo a fronte, TEA, Milano,
1995.
22
La citazione è tratta dalla p. 20 dell'edizione F. GARCÍA LORCA Canti gitani e andalusi, VI ed. rived. e
corretta, Guanda, Parma, 1958. Da questo momento tutte le citazioni si intendono da questo testo.
7
del granadino, e che rappresenta un sostrato culturale, emozionale ed
umano indispensabile per una intelligente comprensione delle parole di
Federico.
Macrì mette in primo piano il «fenomeno Andalusía» come madre
esausta ma pur sempre prolifica di «filosofi, mistici, eroi, conquistatori»:
terra sanguigna, nobile e gitana, triste e allegra. L'allegria andalusa è
condizione esistenziale, modo dell'anima, motivo del baile, del grito, del
cante strozzato e lamentevole dei flamencos:
Quell'«allegria» la scorgemmo inserita nell'attimo, nel gesto impreveduto, perfino nel vizio, nel
guasto, nello sgambetto, nell'uso volgare e triviale, infine «en los pisos bajos de la vida».
23
Macrì afferra l'importanza de «lo andaluz», de «lo gitano», de «lo
flamenco», le cui sfumature di significato solo Federico riusciva a
distinguere e spiegare nelle sue poesie: laddove il primo è creazione
prettamente popolare, il secondo è «interpretazione mimica e sonora»,
24
mentre «lo flamenco» è il battito dei tacchi, lo schioccare delle
«castañuelas», la musica.
L'arte di Lorca, così come l'arte di tutti quelli che sono nati al Sud, è
condizionata dal popolo, dalla «tierra», dal passato. La sua «mezcla» ben
dosata di «andaluz», «gitano» e «flamenco» è l'omaggio più sincero ad una
madreterra, l'Andalusia, che accoglie (e insieme offre) l'umano, il popolare,
la scrittura, «lo español» e tutto ciò che è innato:
23
Ivi, p. 16.
24
Ivi, p. 17.
8
Con questo, evidentemente, non intendiamo tornare controcorrente in senso romantico-
popolare, ma vogliamo aderire sempre meglio al supremo canone estetico del rapporto tra
poesia popolare e poesia d'arte, in quanto è rapporto tra meno-poesia e più-poesia, non tra non-
poesia e poesia. E infatti nel Lorca andaluso-gitano, tale continuità tra meno e più - mediata
storicamente dalla lezione del Góngora «principe della luce» e del Lope del prezioso tesoro di
«coplas» e «romances» disseminato nella sua opera immensa -, tale continuità, dunque, rilevasi
non soltanto tra la sfera collettiva-popolare e l'arte personale di Lorca, ma anche nell'interno
stesso della sua poesia, lungo i diciotto anni che corrono dal Libro de Poemas al Diván del
Tamarit.
25
«Scuoiando la terra e gli uomini», nel Romancero gitano Federico
inizia un «viaggio orfico» attraverso le «viscere» dell'Andalusia,
assaporandone gli odori, osservandone i colori, prendendone i vizi.
L'andata lo porta a conoscere luoghi, persone, lune, deserti; il ritorno,
a cantare ciò che ha visto: «la terra vivace, il cielo prostrato, l'ulivo, la calce
e il viola dell'etere […]. Essenze e sommità di colori»,
26
uomini ed eroi.
Tutto ciò crea le storie che Lorca racconta, tutto questo è «lo gitano»,
accompagnato dalla inconsolabile «pena negra» andalusa, costante
sottofondo di "andalusa allegria".
Durante tutto questo viaggio intorno alla magia (della parola, delle
origini, dell'uomo), Macrì viene accompagnato da Lorca e vede
vichianamente nella sua guida un
poeta di antichissima tempra, restitutore delle forme integre della natura e della vita, delle
ragioni originarie, elementari dell'allegria e del pianto, dell'amore e del terrore [ma] questa
barbarie ed elementarità non sono intaccate e sofisticate, anzi rapprese dalla conoscenza degli
strumenti e delle tecniche moderne, le quali sono assunte da Lorca in funzione di primitivi
procedimenti espressivi.
27
25
Ivi, p. 34.
26
Ivi, p. 21.
27
Ivi, p. 27. Il corsivo è mio.
9
La purezza della parola in Lorca si raggiunge a piccoli passi,
attraversando lo sterminato campo di quello che Macrì definisce come «lo
andaluz», e che altro non è che «la generale matrice creativa, il soggetto
eterno del popolo [...] unico inventore della sua gesta terrena».
28
Lorca,
dunque, dopo avere incrociato i cantes popolari e il flamenco, transita dalla
musica alla «parola liberata»
29
e alla «sacra parola»
30
che è parola definitiva,
e cioè poesia.
Altri momenti importanti del Romancero sono quelli dedicati ai
numeri, agli oggetti, ai simboli: il numero come «segreto appello al tempo,
alla concretezza […]. Il siete […] è impiegato all'acme della passione […];
il cuatro per gli oggetti brillanti […], il tres si riferisce alla presenza del
destino […], il cien è impiegato con accento mitico di amore e di morte».
31
E poi il bimbo, la donna, la morte, i coltelli, il nulla: immagini e
oggetti del mondo lorchiano non dichiarati esplicitamente come simboli.
In una chiave meno terrena e più demonica va interpretata l'apertura
dell'edizione dei canti del 1951, che parte dalla scoperta del «duende»
spagnolo, spirito un po' folletto, un po' demone, che regala l'intuizione
(inevitabile l'accenno di Macrì a Nietzsche) e l'ispirazione.
Quella di Federico è un'ispirazione demonica che nasce dalle viscere
e dalla natura, è un mistero indecifrabile che si risolve in quella che i greci
chiamavano χορεία una e trina, perfetta sintesi di musica, danza e parola.
28
Ivi, p. 17.
29
Ivi, p. 19.
30
Ivi, p. 27.
31
Ivi, p. 25.