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Parlare di critica cinematografica è un compito delicato e
ricco di ostacoli. Perché si tratta di una sorta di critica al
quadrato, di un lavoro che rischia di ritorcersi su se stesso.
Senza dimenticare che la critica già di per sé è una sorta di
scrittura aleatoria che, se effettuata frettolosamente, rischia di
odorare di aria fritta.
Per evitare tutto ciò, questo lavoro si impone di partire dal
presupposto di non criticare la critica dall’alto, rischiando di
arrivare a ben poche conclusioni concrete, ma di entrare
direttamente a contatto con la carta stampata, studiando
strategie e metodologie dei periodici attraverso la loro analisi
pagina per pagina. Così la scelta è stata ristretta a sole cinque
riviste, ognuna ben caratterizzata nel mercato, per non perdersi
nel mare delle piccole e piccolissime testate presenti in Italia.
Prima di tutto però è importante contestualizzare il mercato
dei periodici di cinema nel nostro Paese, e per questo il primo
capitolo è dedicato appunto ad una loro storia. Non vuole questa
essere di tutta la critica italiana, argomento troppo ampio che
risulterebbe fuori luogo, ma delle singole riviste, in modo da
comprendere in quale modo si è arrivati alle testate odierne. Per
definire il mercato attuale, poi, si è voluto dimostrare come vi
siano stati numerosi cambiamenti in particolare negli ultimi anni,
partendo appunto da una categorizzazione effettuata nel 1987 e
confrontandola con una realizzata al giorno d’oggi.
Dopo questo lavoro di creazione di un contesto, tutto lo
spazio viene lasciato alle cinque riviste. Sono state scelte quelle
che, per motivi di quote di vendita e di interesse storico, oggi
sono ritenute le più significative sul mercato. Come
presentazione, la cosa migliore è sembrata quella di dar voce
direttamente ai loro direttori, riportando l’editoriale più
11
significativo e un’intervista in cui vengono svelati i segreti delle
loro “creature”.
Il lavoro vero e proprio di analisi, svolto sui periodici usciti
nel periodo dicembre 2002 / novembre 2003
1
, è stato diviso in
diverse sezioni, in modo da poter prendere in considerazione
tutti i diversi tipi di testo riscontrabili in un periodico di cinema.
In particolare è stato concesso maggiore spazio alle recensioni,
che possono effettivamente essere considerate il genere
letterario della critica cinematografica.
Infine, per concludere la tesi, si è svolto uno studio statistico
su alcuni elementi che distinguono nettamente i periodici, e si è
determinato il loro lettore modello, quello cioè che mostra in
maniera esplicita le strategie comunicative.
1
Durante la fase di lavorazione di questa tesi (dicembre 2003), una
delle riviste analizzate ha cambiato nome e, in parte, struttura. Si
tratta di Duel che è divenuta Duellanti. L’analisi ha comunque
riguardato Duel, per la sua importanza storica e per l’impossibilità di
svolgere un esame accurato su un solo numero della nuova rivista. Di
Duellanti si parla comunque nell’intervista a Gianni Canova da pag. 59.
12
2. Breve storia delle riviste di cinema in Italia
13
2.1 Introduzione
Se il cinema ha ormai da qualche anno superato il traguardo
del secolo di vita, la critica cinematografica italiana lo sta
facendo proprio in questi mesi. L’esordio riconosciuto è infatti
proprio del 1904 e in cento anni di vita si sono viste nascere e
morire decine e decine di riviste. Una storia approfondita
richiederebbe ben più spazio di quello disponibile in questo
lavoro, in cui invece si vuole solo stabilire con chiarezza il
passato per poi analizzare più concretamente il presente.
14
2.2 Gli esordi
Il cinema, alla sua nascita, non viene certamente
considerato un’arte. Gli intellettuali snobbano la novità e non ci si
può nemmeno immaginare la nascita di una vera e propria critica
a riguardo. Nei primi anni del suo avvento, infatti, c’è un certo
interesse da parte della stampa, ma non riguarda i film
proiettati, bensì la novità dal punto di vista scientifico. Sono
coinvolte quindi più che altro riviste fotografiche, come Il
Progresso Fotografico, Il Dilettante di Fotografia, La Società
Fotografica Italiana e Fotografia Artistica. Le possibilità narrative
del nuovo mezzo non vengono prese in considerazione, lasciando
il posto a disquisizioni tecnico scientifiche.
Dopo l’interesse iniziale, anche queste riviste a poco a poco
tornano ad argomenti più tradizionali, abbandonando la
cosiddetta settima arte. Nascono qua e là alcuni piccoli giornali,
ma si tratta più che altro di volantini informativi sull’attività
(tutt’altro che regolare) di qualche cinematografo.
Si diceva che la critica italiana sta per festeggiare i suoi
primi cento anni. Si può infatti considerare come antesignana
delle riviste cinematografiche Il Tirso, rivista napoletana in realtà
di teatro, che però sin dalla sua nascita ospita Il Tirso al
Cinematografo, una rubrica di informazioni riguardanti il cinema.
Non si può ancora compiutamente parlare di critica, ma il primo
passo è stato fatto.
Perché dopo qualche anno di buio profondo anche per il
cinema inizia a nascere una critica? Ha provato a dare una
risposta Lorenzo Pellizzari
2
, che ha definito appunto i tre fattori
decisivi. Primo di tutti il cambiamento del concetto stesso di
cinema, che da arte inizia a venir considerata un’ “arma” in
2
L. Pellizzari, Critica alla critica, Bulzoni Editore, Roma, 1999, 26
15
grado di poter far realizzare ottimi affari. In secondo luogo, nel
corso degli anni, il cinema inizia ad avere un suo stile ed una sua
tecnica ben definiti, che necessitano di qualcuno che ne dia un
ausilio per la lettura. Infine la scelta di film diventa sempre più
ampia e serve una guida che orienti lo sguardo dello spettatore.
Un problema banale, ma all’epoca decisivo per la formazione
di una critica, è capire chi dovessero essere i critici
cinematografici. In effetti “le forme della cultura intellettuale del
primo novecento, in buona parte dominate dalla presenza
egemone di Benedetto Croce, si trovavano inizialmente spiazzate
di fronte a un fenomeno di cui non possiedono alcuna precisa e
pertinente categoria interpretativa
3
”. La critica non nasce dunque
dalla “casta” degli intellettuali, ma dalla stessa industria
cinematografica che, intuendo per prima che il cinema è un’arte
anomala, fatta di genialità ma anche di business, lancia una serie
di bollettini pubblicitari che “hanno la veste e la dignità formale
delle riviste contemporanee
4
”. In alcune occasioni gli intellettuali
partecipano a queste riviste, ma vengono trattati allo stesso
modo dei tecnici che spiegano il funzionamento del cinema, degli
economisti che analizzano il mercato e così via.
L’anno del boom delle riviste del settore è il 1907. Nascono
infatti La Rivista Fonocinematografica, La Lanterna e Il
Cinematografo. Particolarmente interessante quest’ultima, che
arriva a distribuire (gratuitamente) fino a 35.000 copie nella
zona di Napoli. È in questo periodo che la critica inizia a
possedere una coscienza di sé, a riconoscere il cinema non più
solo come un intrattenimento da circo, ma come un’arte degna di
essere interpretata come tale. Il cinema d’altra parte sta in
3
G.P. Brunetta, Storia del cinema italiano, I, Editori Riuniti, Roma,
1993, 109
4
G.P. Brunetta, op. cit., 109
16
quegli anni crescendo a dismisura e lo stesso aumento di durata
delle pellicole, che accresce le possibilità di sviluppo narrativo,
aiuta la critica a svolgere il proprio lavoro.
Fondamentale in questo senso è la nascita di Vita
cinematografica, avvenuta a Torino nel 1910. La rivista, che
continua le sue pubblicazioni fino al 1934, si distingue per
un’estraneità all’industria cinematografica, che permette, prima
di tutti al direttore A.A. Cavallaio, di pubblicare giudizi e critiche
più o meno positive senza pesanti influenze esterne.
17
2.3 La critica a cavallo delle due guerre
Nemmeno la guerra mondiale frena l’ascesa delle riviste di
cinema. Anzi, nella seconda metà degli anni dieci ha inizio il
fenomeno del divismo, cui i periodici si legano indissolubilmente,
togliendo allo stesso tempo spazio alla vera e propria critica dei
film, ma aprendosi ad un pubblico decisamente più vasto.
Durante il conflitto nascono due importanti riviste, Apollon e
Penombra (che poi cambierà il suo nome chiamandosi In
Penombra). Apollon vede la luce nel 1916 ed è in particolare il
primo periodico cinematografico che cerca di rinnovare davvero
la critica, separando i problemi estetici da quelli extraestetici.
Alcuni letterati portano per la prima volta nuovi criteri di giudizio
al cinema, che viene considerato una vera e propria arte,
mettendo da parte il suo lato economico e di mercato. Anche la
recensione perde di importanza in questo contesto, lasciando
spazio alle discussioni tra intellettuali, tra i quali Eugenio Montale
e Orio Vergani.
Penombra nasce due anni dopo, nel 1918, e si preoccupa
maggiormente di integrare il cinema in altri contesti, come quelli
culturali, letterari ed estetici. Il risultato è decisamente
all’avanguardia e “segna il punto più alto e maturo raggiunto in
questa fase da una categoria e da un tipo di stampa alla ricerca
di una propria identità e legittimazione
5
”.
Negli anni venti, malgrado il regime fascista inizi a limitare
la libertà di espressione, la critica cinematografica continua la
sua fase di revisione e rinnovamento. Si assiste infatti a
innumerevoli scontri tra sostenitori del cinema realistico e di
quello fantastico e anche tra chi crede che il critico debba
giudicare solamente lo stile di un film (come Piero Gadda Conti)
5
G.P. Brunetta, op. cit., 129
18
e tra chi invece immagina un critico più a contatto con la realtà,
che sappia confrontare il film con il mondo che lo circonda
(Giansito Ferrata appartiene a questa fazione).
Un altro tipo di critico è quello di Cinematografo, rivista nata
alla fine degli anni venti, rappresentata benissimo dal suo
direttore, Alessandro Blasetti e da tutta una serie di collaboratori
quali Raffaello Matarazzo, Ferdinando Maria Poggioli e Aldo
Vergano. Si tratta di una serie di critici il cui scopo è quello di
valorizzare un cinema di tipo realistico e, in tempo di regime,
nazionalistico. Tutti infatti a breve si sposteranno dietro la
macchina da presa, realizzando i film che avevano teorizzato
sulla rivista.
Una testata dall’idea di partenza ancora diversa è Cine-
Convegno. Nata nello stesso periodo di Cinematografo, si muove
all’interno di una serie di iniziative volte all’insegna della
valorizzazione dell’arte italiana. Si ha dunque una grande
attenzione per la conservazione e l’analisi dei film, e partecipano
intellettuali del calibro di Mario Ferrari, Alberto Lattuada, Luigi e
Gianni Comencini.
Anche nel suo periodo di maggior potere, il fascismo ha dei
problemi nella gestione del cinema. Ben pochi film prodotti sono
infatti direttamente controllati dalle camicie nere. Le iniziative
più importanti sono comunque la costituzione dell’Istituto Luce,
con funzione di educazione nella realizzazione ad esempio dei
cinegiornali, la creazione di Cinecittà, col tentativo di far nascere
anche in Italia una nuova Hollywood e quella del Centro
Sperimentale di Cinematografia. Proprio da questa istituzione
nasce Bianco e Nero, la rivista diretta da Luigi Chiarini,
distribuita ancora oggi. Ma anche in questo caso il controllo
fascista non è così forte come si possa pensare. Chiarini, infatti,
19
viene affiancato da una figura come quella di Umberto Barbaro,
critico d’opposizione paleomarxista. Bianco e nero propone così
“una critica antiborghese oltre che anticapitalistica, e soprattutto
una grande influenza su quella intelligencija critico-
cinematografica che si va formando verso la metà degli anni
trenta
6
”. Cercando di allontanarsi dal controllo politico, Bianco e
nero viene considerata la rivista teorica più prestigiosa, andando
a realizzare ricerche e analisi di grande rilievo. La strategia
adottata dalla redazione è quella di ospitare in apertura
interventi di funzionari fascisti, ottenendo in questo modo una
buona libertà nel resto del numero.
Più strettamente legato al fascismo è invece Film, che a
differenza delle altre riviste esce settimanalmente. Sostenuto
dalla Direzione Generale per la Cinematografia, ha come chiaro
obiettivo quello di proporsi ad un pubblico il più vasto possibile,
allontanandolo dal cinema americano. Per questo motivo
vengono fatti tentativi, dall’esito discutibile, di elevare la
spettacolarità del cinema italiano e di creare una sorta di divismo
nostrano. Molto spazio è dato alle recensioni dei film, che in
realtà sono delle trascrizioni delle veline ministeriali. Film
durante la guerra si trasforma nell’organo ufficiale
cinematografico della Repubblica di Salò, per concludere la sua
avventura con la fine delle ostilità.
Ma se Film riesce a mantenere un certo prestigio per la
presenza di firme illustri come Giuseppe Marotta e Francesco
Pasinetti, non si può dire lo stesso di Lo Schermo, periodico
diretto da Lando Ferretti e nato nel 1935. Lo Schermo si propone
infatti, sin dal suo esordio, come una vera e propria rivista di
propaganda sotto totale controllo ministeriale, occupandosi
6
L. Pellizzari, op. cit., 42
20
principalmente dell’attività documentaria dell’Istituto Luce e
riportando fedelmente le posizioni del governo fascista.
Negli stessi anni nasce anche Cinema, rivista che rimarrà in
auge fino al 1956 e che ancora oggi viene considerata uno dei
migliori esempi di periodico del settore. Inizialmente edita da
Hoepli e diretta da Luciano Di Feo, privilegia gli aspetti scientifici
e tecnici dell’arte da cui prende il nome. Col passare del tempo
numerosi intellettuali entrano a far parte della rivista, togliendo
spazio ai temi tecnico-scientifici a favore di quelli più
strettamente legati al cinema come arte. Ben presto però il peso
del fascismo si fa sentire anche in questo caso e Vittorio
Mussolini, figlio del duce, diviene direttore, portando avanti la
strada del realismo italiano in contrapposizione al cinema
americano vittima dell’embargo. In realtà però all’interno della
redazione persistono ideologie diverse anche durante la direzione
di Mussolini. Questo grazie a giovani critici (e futuri registi) come
Carlo Lizzani e Giuseppe De Santis, che riescono a fare di
Cinema addirittura una rivista di battaglia antifascista.
Il fascismo, infatti, si limita a controllare dall’alto la critica,
senza intervenire troppo direttamente sulla stessa. Si può ad
esempio ricordare come “persino nella primavera del ’45, la
rivista Film di Mino Doletti, la più allineata con la Repubblica di
Salò, nella bufera per lei imminente trova modo di parlare, e non
del tutto negativamente, di Hollywood
7
”. Il periodo di guerra è
sicuramente importante per la critica che, analizzando l’avvento
del nuovo filone neorealistico, soprattutto su Cinema, inizia a
differenziarsi più chiaramente prendendo posizioni laiche o
marxiste, cattoliche o libertarie.
7
L. Pellizzari, op. cit., 44
21
2.4 La rinascita nel secondo dopoguerra
Nell’ultimo periodo della guerra la maggior parte delle riviste
ferma la sua pubblicazione, cosicché alla fine del conflitto si deve
ricostruire un mercato che stava iniziando a trovare una sua
fisionomia.
Tre riviste già esistenti vengono rifondate. Si tratta di
Bianco e nero, Cinema e La Rivista del Cinematografo.
Bianco e Nero rinasce nel 1947 diretto, a parte il primo
numero, di nuovo da Luigi Chiarini. Ancor più che prima della
guerra, si manifesta nella rivista il disinteresse per l’attualità più
stretta e il desiderio invece di approfondire temi di più ampio
respiro, che possono spaziare dallo strettamente teorico, allo
storico, all’estetico, fino al monografico. I numeri di Bianco e
Nero non sono dunque di lettura immediata, ma vengono
strutturati come raccolte di saggi, che spesso sono
successivamente riuniti in volumi a parte. Nel 1952 la direzione
passa a Giuseppe Sala, che cambia decisamente la linea
editoriale, allontanando dalla rivista chiunque abbia simpatie
marxiste e limitandola ad una specie di bollettino parrocchiale
cattolico. Nel 1956 però, con la direzione di Michele Lacalamita,
si ritorna allo stile classico, grazie anche ad una serie di nuove
assunzioni.
Cinema riprende le pubblicazioni nell’ottobre del 1948,
diretta da Adriano Baracco e con l’importante collaborazione di
Guido Aristarco. Viene ripresa la linea editoriale prebellica, con
un grande equilibrio tra elementi alti e bassi, tra attualità e
approfondimenti. Nell’editoriale del primo numero di questa
seconda serie, Baracco dichiara di voler fare una rivista aperta a
tutte le tendenze e così è infatti. Graficamente Cinema si
presenta come un rotocalco e punta molto sulle copertine, in cui
22
vengono spesso mostrati divi nostrani e non. Nel 1952 Aristarco
abbandona la redazione e la rivista inizia a subire dei
cambiamenti che portano, nel 1954, ad una nuova edizione, che
aumenta la trattazione di attualità e analizza attentamente la
crisi del neorealismo. Ma la crisi ha ormai colpito decisamente
anche Cinema, che deve definitivamente chiudere i battenti nel
luglio 1956.
La Rivista del Cinematografo, nata nel 1928, nel dopoguerra
è già organo ufficiale dell’Associazione Cattolica Esercenti
Cinema. Questa appartenenza si nota chiaramente nelle pagine
del periodico, che si fa portatore delle idee cattoliche riguardanti
il cinema. In particolare viene dato grande spazio alla
divulgazione di informazioni parrocchiali e ad articoli scritti da
sacerdoti. Negli anni cinquanta poi la rivista si schiera
apertamente contro il comunismo e di riflesso, vedendo una
corrispondenza tra marxismo e neorealismo, contro la nuova
corrente italiana. Con la Democrazia Cristiana al potere La
Rivista del Cinematografo inizia inoltre a essere fiancheggiata dal
governo, consentendo di scrivere alcuni articoli a parlamentari.
Tra questi si ricorda soprattutto la firma di Giulio Andreotti.
A queste riviste se ne aggiungono numerose altre nate dopo
il 1945. Un caso particolare è quello di Cinetempo. Il periodico,
nato nell’estate del 1945, è durato pochi numeri, terminando le
sue uscite già all’inizio dell’anno seguente. Ma rimane un
esempio significativo di rivista molto moderna, di grande formato
e dalla grafica curatissima. L’obiettivo è quello di unire cultura e
informazione, grazie a collaboratori provenienti da ogni fazione
politica. Ma da subito la crisi è alle porte. Per tentare di
sopravvivere si cerca allora di aumentare lo spazio destinato
23
all’attualità ma, come si diceva, dopo sei mesi Cinetempo è
costretto a chiudere.
Alla fine del decennio vedono la luce numerose riviste
illustrate, come Star di Ercole Patti con la partecipazione di
Antonio Pietrangeli, Film d’Oggi, diretta da Vittorio De Sica,
Luchino Visconti e Gianni Puccini, Cine Bazar, Fotogrammi,
Cinelandia, Bis. Ma è con l’inizio degli anni cinquanta che
nascono le riviste più interessanti. Si tratta soprattutto di
Filmcritica, Cinema Nuovo e Rassegna del Film.
Filmcritica vede la luce nel dicembre del 1950 da un’idea di
Edoardo Bruno, che oltre cinquant’anni dopo ne è ancora
direttore. La rivista nasce all’insegna di una critica senza schemi
pregiudiziali o punti di riferimento durevoli, cercando invece di
adattarsi alle diverse ideologie esistenti. Infatti nella redazione si
scorgono nomi appartenenti indifferentemente alla destra e alla
sinistra, così come numerosi sono i contributi internazionali. Già
dal numero due, Filmcritica diventa organo della Federazione dei
Circoli del Cinema, da cui si staccherà però già dopo tre mesi,
aprendosi ad una linea più conservatrice.
Cinema Nuovo nasce nel 1953, fondato da Guido Aristarco
dopo la sua brusca separazione dalla redazione di Cinema. L’idea
di Aristarco è quella di partire dalla precedente esperienza, e in
effetti ad esempio la grafica della rivista è molto simile alla
precedente, per aumentare il livello culturale facendo della
testata una sorta di guida non solo per i lettori, ma anche per il
cinema e la critica stessa. Per fare questo crea un periodico
molto specialistico, che però, anche grazie ad uno sfruttamento
del fenomeno del divismo nelle copertine, richiama un vasto
pubblico. Fulcro di Cinema Nuovo sono le accurate ricostruzioni
storiche che, proprio per il volere del direttore, non sono
24
neutrali, ma passionali. Così come passionale è la lotta sostenuta
per la difesa ad oltranza del neorealismo, per cui la rivista si
schiera anche apertamente contro alcune decisioni governative.
Cinema Nuovo ha la forza di saper proporre nuove idee con
inchieste di grande spessore sul futuro del cinema italiano, grazie
anche alla presenza di firme importanti strappate ad altre
testate, come quelle di Alessandro Blasetti, Cesare Zavattini,
Luigi Chiarini, Tullio Kezich, e Italo Calvino.