7
Negli Stati Uniti, ad esempio, gli americani hanno imposto che la
definizione digital cinema si attribuisca solo ad un anello specifico della
catena cinematografica: la distribuzione. La definizione E-cinema si applica,
invece, ai processi di produzione dei film, soprattutto alla ripresa
1
.
L’analisi delle fase di produzione/ripresa del film in digitale sarà
l’argomento centrale della mia tesi.
Da alcuni anni a questa parte sta crescendo notevolmente il numero dei
registi che sta scegliendo la nuova tecnologia. In tal senso è significativo che
molti tra i più rinomati Festival del cinema stiano dedicando sezioni
particolari ai film girati in digitale (come nel caso della Mostra del Cinema di
Venezia) o che si stiano attrezzando le sale con proiettori digitali (come
avviene dal 2000 al Sundance Film Festival).
I registi che hanno scelto il digitale sono stati spinti, in genere, da
motivazioni economiche o estetiche. Con il digitale tendono a diminuire i
tempi di produzione, la troupe è meno numerosa e viene eliminata una parte
delle spese destinate al noleggio delle attrezzature, oltre a tutte quelle legate
all’acquisto, stampa e sviluppo della pellicola.
D’altro canto, l’alleggerimento del processo produttivo, la maneggevolezza
delle camere e la particolare resa dell’immagine digitale, tra il realistico e
l’iperrealistico, comportano una svolta in termini estetici e linguistici.
È stato molto interessante, pertanto, capire come il digitale stia
prospettando nuovi scenari, che lasciano intravedere molte nuove strade da
percorrere per il cinema contemporaneo.
Questo processo di evoluzione, però, non può essere completo senza un
rinnovamento anche negli altri momenti della realizzazione di un film.
Come abbiamo visto, infatti, questo processo di digitalizzazione interessa
tutte le fasi; la prima ad essere resa digitale è stata la post-produzione.
Ormai non si girano quasi più film che non vengano almeno montati con
sistemi informatici. Questo processo é stato estremamente semplificato e
velocizzato dai supporti elettronici offerti dalla tecnologia digitale. Grazie ad
essi il montaggio si può oggi realizzare elettronicamente: le scene,
precedentemente digitalizzate e salvate su hard disk, vengono infatti
1
http://www.monitor-radiotv.com/CONSULVIDEO/panasonic.htm
8
tagliate, spostate, assemblate sullo schermo del computer. Ciò permette,
principalmente, un grande risparmio in termini di tempo.
La fase che oggi, invece, presenta maggiori problemi a cambiare in favore
dell’introduzione delle nuove tecnologie è la distribuzione. Questo poiché
esistono delle limitazioni di carattere economico che rendono difficoltosa la
conversione della fase distributiva al digitale, tanto che, oggi, il girato
digitale deve ancora essere riversato in pellicola per essere proiettato nelle
sale. Sempre per quanto riguarda la distribuzione: fino al 2002, erano poche
le sale attrezzate per la proiezione di film in digitale, 161 per l’esattezza, di
cui metà solo negli Stati Uniti.
Bisogna aggiungere, poi, che oggi i film possono essere visti non solo nelle
tradizionali sale cinematografiche, ma anche in televisione, trasmessi via
etere o satellite, attraverso cassette registrate o i più recenti DVD.
Questo significa che avere i film già su supporto elettronico e non doverli
riversare dalla pellicola comporterebbe un’ulteriore facilitazione del processo
produttivo.
Occorre considerare come anche internet stia diventando un canale
privilegiato di distribuzione, ma soprattutto di promozione dei film.
Promuovere un film sul web consente un risparmio sui costi ed il
raggiungimento di alcuni target particolari, come un pubblico giovanile.
Attualmente esiste ancora una certa confusione nell’ambito del dibattito
sul cinema digitale. Esso, infatti, ha una storia talmente breve che ogni tipo
di teorizzazione risulterebbe ancora prematura. Nonostante ciò, l’interesse di
studiosi, registi, case di produzione ed in ultimo delle grandi multinazionali
dell’elettronica sta diventando sempre più deciso, seppur con scopi e secondo
interessi differenti.
Il cinema, fin dalle sue origini, è stato punto di scontro-incontro tra arte ed
industria, estetica ed economia. Oggi, questa sua doppia natura si evidenzia
in maniera sempre più prepotente con l’entrata in campo di nuovi interessi
legati all’informatizzazione e globalizzazione della società contemporanea.
L’introduzione delle tecnologie digitali porta, innanzitutto, a chiedersi come
reagiranno il cinema tradizionale e il suo pubblico alle nuove prospettive
offerte, ai diversi scenari: cambierà forse radicalmente l’idea di cinema che
abbiamo oggi?
9
Le risposte, come vedremo, possono essere diverse. Per il momento è
necessario attenersi all’osservazione di quanto si è già fatto e si sta
attualmente realizzando.
Da tali premesse parte il mio lavoro, che si svolge attraverso una
ricognizione dei cambiamenti dapprima tecnologici ed economici, poi estetici
e linguistici, apportati dall’introduzione della nuova tecnologia.
Partendo quindi da una definizione della natura del digitale, fino ad arrivare
ad un’osservazione pratica di due casi concreti, cercherò di proporre al
lettore degli spunti di riflessione, provando a prefigurare alcuni scenari del
cinema del nuovo millennio.
Il mio riferimento più costante saranno, ovviamente, i diretti interessati di
questo cambiamento: i film.
10
CAPITOLO 1 - PRODURRE UN FILM IN DIGITALE
George Lucas, Michael Mann, Lars Von Trier sono solo alcuni dei grandi
registi che, in questi ultimi anni, hanno deciso di girare almeno uno dei loro
film utilizzando le nuove tecnologie digitali.
Questo dimostra quanto l’utilizzazione del digitale nella fase di
produzione/ripresa del film si stia diffondendo sempre di più e sempre di più
stia riscuotendo successo sia tra i professionisti della settima arte sia tra i
registi emergenti.
Se l’origine della diffusione delle tecnologie digitali in ambito
cinematografico si può fare risalire ai primi anni ottanta del secolo scorso,
solo da qualche anno suddetta diffusione è uscita da un circuito marginale da
un punto di vista economico e culturale ed ha iniziato a suscitare un interesse
sempre maggiore sia da parte delle case di produzione, soprattutto quelle più
piccole (che sperano in un riscontro economico positivo), che del grande
pubblico (sempre più attento al processo di digitalizzazione in atto nel
sistema dei mezzi di comunicazione di massa).
Fino ad oggi l’uso della tecnologia di ripresa digitale in campo
cinematografico è stata orientata soprattutto in due direzioni: da una parte
ha favorito il ritorno ad una presa diretta sulla realtà, grazie alla
maneggevolezza delle videocamere, dall’altra l’applicazione nel campo degli
effetti speciali ha permesso di creare prodotti sempre più spettacolari. Se,
quindi, questi aspetti hanno aperto nuove vie di sperimentazione, il rischio è
che ci si fermi solo al dato innovativo e formale dell’uso della nuova
tecnologia, che, in quanto tale è a rischio di invecchiamento dal punto di vista
tecnico e c’è il pericolo che si trascurino sempre di più i contenuti.
Per entrare effettivamente nel vivo della questione si partirà da un’analisi
dal punto di vista tecnico della ripresa digitale, dei suoi vari formati, per
approdare ad una riflessione sulle differenze tra analogico e digitale, che si
spingerà da una esplorazione dei vari ambiti di utilizzo della ripresa digitale,
fino a quello delle immagini sinteticamente create.
11
1. 1. Definizione, formato e tecnologie
1. 1. 1. Girare un video in digitale
Per iniziare un discorso sul video digitale e sulla ripresa in digitale, è
necessario fornire una definizione di video.
Il video è costituito da un insieme di segnali elettronici registrati con una
videocamera su un nastro magnetico. Il processo di registrazione avviene
secondo il modello di percezione visiva dell’occhio umano: la luce viene
catturata dalla lente della videocamera e scissa in tre tipi di segnali differenti,
uno per ogni colore primario che forma la luce (rosso, verde e blu), la cui
unione costituisce quella che viene definita crominanza .
Questo segnale è scisso da un prisma nelle camere professionali e
prosumer (consumer-professional), mentre in quelle più piccole, che hanno
un solo CCD, il segnale è unico. Ciascuno di questi tre segnali viene indicato
con le lettere R, G e B, dalle iniziali dei tre colori in inglese.
A questi si somma un quarto elemento ovvero la luminosità o intensità del
colore, che è detta luminanza e si indica con Y.
Questa conversione avviene in tutti i tipi di telecamere attraverso dei
microprocessori fotosensibili: i CCD (charge-coupled device).
Mentre nelle videocamere analogiche il segnale veniva riconvertito in onde
elettromagnetiche, nel passaggio dai CCD al nastro magnetico le videocamere
digitali generano un processo di conversione numerica, che è detto
campionamento.
Ogni porzione di immagine è codificata in una serie numerica di bit, che
viene direttamente memorizzata sul nastro digitale.
Quando un’immagine è campionata, il codice binario a cui corrispondono
crominanza e luminanza (che è chiamato rapporto di campionamento del
colore), è espresso attraverso una proporzione (4:4:4) in cui la prima cifra
12
indica la luminanza e le ultime due le componenti di differenziazione del
colore. Questo rapporto è solitamente sostituito, nei sistemi di qualità più
alta, da un rapporto 4:2:2, poiché a quattro campioni di luminanza ne
corrispondono due di crominanza. L’occhio umano, infatti, percepisce meglio
le differenze di luce, quindi la definizione del colore non subisce degradazioni.
I sistemi di qualità minore hanno rapporti più bassi i quali permettono una
maggiore compressione dell’immagine.
Questa differenza sostanziale tra sistema analogico e sistema digitale
permette una migliore qualità dell’immagine in termini di definizione, colore,
contrasto e luminosità, poiché essa non viene sottoposta a un doppio
processo di conversione che la “sporcherebbe”.
Il nucleo di una videocamera digitale, quindi, sono i CCD. Da essi dipende
la qualità dell’immagine, infatti tanto maggiore è il numero di pixel contenuti
in un CCD, quanto maggiore sarà la definizione dell’immagine. Inoltre nelle
videocamere professionali e semi-professionali non c’è un solo CCD ma,
come si è visto, tre, così che ciascuna frequenza luminosa viene riflessa,
attraverso un prisma, in un microprocessore diverso.
Al contrario nelle telecamere di uso amatoriale, che hanno un solo CCD, il
processo di distinzione dei colori avviene grazie a microfiltri che si trovano in
ogni pixel costituente il processore.
A questo punto le informazioni possono essere registrate e distribuite da
un unico segnale o da tre segnali, due relativi alla differenza del segnale di
crominanza (R-Y) e (B-Y) e uno al segnale di luminanza (Y).
Se il segnale è unico e le informazioni confluiscono in un solo cavo, con una
conseguente mescolanza dei colori e una minore definizione, si parlerà di
sistema composito.
Se, invece, i segnali restano differenziati e vengono utilizzati per la
distribuzione tre cavi differenti, che assicurano una migliore definizione del
colore, si parlerà di sistema componente. Naturalmente la superiorità del
sistema componente sottintende anche un costo maggiore, a livello di
attrezzature.
La traccia video viene registrata, solitamente, seguendo una direzione
diagonale sul nastro magnetico. Nelle videocamere digitali la registrazione di
questa traccia avviene, però, in maniera differente rispetto alle analogiche.
13
Generalmente sul nastro vengono registrate quattro tracce : una video,
due audio ed una di controllo audio/video.
La traccia video è costituita da una serie di immagini fisse dette
fotogrammi; questi, riprodotti ad una certa velocità, danno l’idea del
movimento.
Nelle macchine da presa per il cinema la velocità di scorrimento di questi
fotogrammi è di 24 al secondo (fps), mentre nelle telecamere sia analogiche
che digitali la velocità è di 25 fps, per quanto riguarda le telecamere con
sistema di registrazione PAL europeo; di 30 fps nei sistemi giapponese ed
americano. Questo vale, quindi, anche per la ripresa televisiva.
Fanno eccezione le videocamere digitali ad alta definizione, come vedremo
in seguito, che possono avere la stessa velocità delle cineprese.
Ogni fotogramma è costituito da una serie di righe orizzontali che
attraversano lo schermo. Il numero di righe orizzontali necessarie a ricoprire
l’intera area dello schermo viene detto risoluzione verticale, mentre il numero
di righe bianche e nere alternate, che devono essere inserite nello schermo
affinché l’occhio umano le percepisca come una massa grigia indistinta,
rappresenta la risoluzione orizzontale.
L’immagine, per esser visualizzata sullo schermo, viene sottoposta ad un
processo di scansione. Nelle videocamere analogiche questo processo, che
avviene in due fasi, è definito scanning interallacciato, perché prima vengono
scansionate tutte le linee pari dall’alto in basso e poi tutte quelle dispari.
Ciascuna delle due semi-immagini così ottenute è definita campo.
Le videocamere digitali permettono, invece, un tipo di scansione detta
scanning progressivo, che avviene in un’unica fase e garantisce una migliore
nitidezza dell’immagine.
Lo standard di scanning dell’immagine varia in ogni paese a seconda di
come cambiano i differenti modi di produzione televisiva.
Ciascuno standard si distingue per una serie di caratteristiche che
riguardano:
1) il numero delle linee di scansione
2) la definizione del colore
3) la velocità con cui i fotogrammi sono trasmessi.
14
In Europa, Cina e Australia lo standard più utilizzato è il PAL (Phase
Alternatine Line), che ha una velocità di scorrimento di 25 fps, ciascuno di
essi è composto da 625 linee.
Le stesse caratteristiche tecniche sono condivise dal SECAM (Système
Eletronique pour Coleur avec Mémoire),lo standard utilizzato in Francia,
Russia, parte dell’Asia, Africa e Medio Oriente.
Mentre in Nord America e in Giappone viene utilizzato l’NTSC (National
Television Standard Committee), che è costituito da 525 linee per
fotogramma e una velocità di 29,97 fps.
Il rapporto tra altezza e larghezza di un fotogramma viene definito col
termine ratio o formato. Nelle immagini cinematografiche questo rapporto
può essere: academy 1 a 1:33, panavision 1 a 1:85, fino all’anamorfico 1 a
2:35, mentre per quanto riguarda le immagini video si parla di 4:3.
Oggi le telecamere digitali permettono l’utilizzo di entrambi, almeno
nominalmente. In realtà le telecamere che possiedono un formato
cinematografico sono poche e costose; la maggior parte si limita a tagliare il
bordo superiore e quello inferiore dell’immagine.
A questo punto è abbastanza chiaro che la tecnologia video digitale
permette una qualità migliore rispetto a quella analogica, ma l’enorme
quantità di dati che la prima può gestire crea tuttavia problemi per quanto
riguarda la memorizzazione degli stessi e la loro lavorazione in fase di
montaggio.
Per questo sono stati studiati sistemi di compressione dei dati, che
utilizzano degli algoritmi matematici, secondo due variabili: qualità e velocità,
le quali definiscono il fattore di compressione, cioè quanto l’informazione è
compressa. Maggiore è la compressione minore sarà la qualità dell’immagine
rispetto all’originale.
Gli algoritmi di compressione vengono chiamati CODEC, con riferimento ai
termini COmpression e DECompression. A CODEC diversi corrispondono
formati e scopi diversi.
Le videocamere digitali sono dotate di due tipi di CODEC:i CODEC DV
hardware e quelli la cui la compressione è basata su DCT. I primi si trovano
nelle schede video progettate per funzionare coi formati Digital8, DV, DVCAM
e DVCPro; i secondi negli altri formati.
15
Oggi uno dei formati di compressione più usati è l’MPEG-2, che sta per
Moving Picture Experts Group, nome di una commissione di studiosi, nata nel
1988, per definire uno standard per la codifica/decodifica dei dati all’interno
di vari media.
In questo formato di compressione si trovano tre tipi di fotogrammi:
1) Intraframes (I): fotogrammi di una sequenza che contengono tutte
le informazioni per la propria elaborazione.
2) Predetti (P): fotogrammi che fanno riferimento a quelli precedenti
(Intraframes) e quindi permettono un elevato livello di compressione.
3) Interpolati bidirezionalmente (B): richiedono un riferimento a quelli
precedenti e a quelli seguenti, ma sono quelli che permettono una
compressione più elevata.
Questi tre tipi di fotogrammi formano una sequenza GOP (group of
pictures). Gli algoritmi di compressione operano su tali gruppi. In particolare
dei fotogrammi P e B vengono memorizzate solo le differenze rispetto a quelli
vicini, mentre ciò che resta statico può essere eliminato.
Questa parte di processo, anche detta motion compensation, si basa sulla
cancellazione delle ridondanze di tipo temporale.
La compressione avviene però anche sul piano della ridondanza spaziale
all’interno di un fotogramma, che viene diviso in blocchi di 8x8 pixel
attraverso una funzione denominata DCT (discrete cosine transform).
Molte videocamere permettono di utilizzare tipi di compressione differente
in relazione alla complessità della sequenza; ciò permette di utilizzare gradi di
compressione più bassa in sequenze più complesse, ad esempio una
dissolvenza incrociata o un movimento di zoom.
In conclusione, per poter capire le differenze del processo di riproduzione
su pellicola, si farà un breve riferimento alle parti componenti e al
funzionamento di una macchina da presa.
Essa è composta da tre parti principali:
ξ il magazzino o chassis (che contiene il rullo di pellicola);
ξ il corpo macchina, costituito dalla camera oscura e dal sistema di
avanzamento del rullo;
16
ξ il sistema ottico di ripresa e di controllo visivo, composto dagli obiettivi,
dal mirino reflex e, oggi, dal videocontrol, o videoassist, ovvero dal
sistema di controllo elettronico che trasmette il girato su monitor.
Il rullo di pellicola vergine si trova in un contenitore ermetico protetto
dalla luce, quando il sistema di trascinamento porta la pellicola davanti al
finestrino o quadruccio (il foro di entrata della luce), la pellicola viene
impressionata. Come abbiamo già detto, la velocità di scorrimento è di 24 fps
e l’entrata della luce è regolata da un otturatore.
1. 1. 2. I vari tipi di formato per la ripresa
Parlando di ripresa in digitale non si può prescindere dal fare alcune
considerazioni sui vari formati di ripresa esistenti.
Nel campo della produzione digitale, infatti, non esiste uno standard
largamente diffuso e predominante, come avviene invece nel cinema in cui il
formato maggiormente accreditato è il 35 mm.
Questa varietà così ampia di formati apre il campo a scelte registiche molto
distanti, tanto che ciascuna tipologia differente di formato diventa
caratteristica e caratterizzante di un certo tipo di ripresa o audiovisivo.
Ciò comporta che le più importanti aziende produttrici tendano,
innanzitutto, a distinguere telecamere per uso professionale,
semiprofessionale o amatoriale (professional, prosumer, consumer),
promovendo, dunque, una classificazione che utilizzi come parametri prezzo e
qualità dell’immagine.
In realtà i registi si sono serviti dei vari formati secondo inclinazioni
personali, spesso ideologiche ed estetiche insieme e quasi mai dettate da
criteri esclusivamente materiali. Infatti, proprio partendo dal dato pratico, si
può rilevare come ciascun supporto, per le sue caratteristiche, sia stato usato
in contesti e con scopi linguistici differenti.
17
Ad esempio le videocamere DV (Digital Video) o MiniDv sono utilizzate, per
le loro dimensioni ridotte e la maneggevolezza, soprattutto per un approccio
“neorealista”.
Il Digital Betacam, per la sua somiglianza alla pellicola 16mm, appare
maggiormente relegato ad un ambito televisivo o documentaristico, seppure
con alcune eccezioni.
Mentre l’HD, il digitale ad alta definizione, è il formato che più si avvicina
alle caratteristiche tipiche della pellicola.
Dunque, risulta più corretto parlare non di “digitale”, bensì di “digitali” per
evidenziare le caratteristiche che distinguono i diversi supporti.
1. 1. 2. 1. Il formato DV
Il formato DV è uno dei più diffusi per la sua qualità, che assicura una
buona riuscita in ambito professionale.
Ha una velocità di dati di 25 Mbps, un
campionamento del colore di 4:1:1 ed un rapporto di
compressione di 5:1. Oltre al DV esiste anche il mini
DV.
La differenza sostanziale tra i due formati è
determinata dal tipo di supporto utilizzato. Il nastro
utilizzato dal DV è più largo, quindi, ha una maggiore qualità di registrazione
e una durata più lunga.
Mentre il MiniDV, dotato di nastri più piccoli, può essere utilizzato con
telecamere più piccole e per questo più maneggevoli, permettendo
all’operatore una maggiore mobilità.
Negli ultimi tempi Sony ha creato un supporto ancora più piccolo, il
MicroDV, compatibile con un’unica microcamera amatoriale modello DCR-IP1
MICROMV Handycam.
La videocamera DCRVX-
2100 della Sony
18
Sia Sony che Panasonic, due delle maggiori aziende produttrici di strumenti
elettronici, hanno brevettato un loro tipo particolare
di formato DV. La Sony ha creato il DVCAM, di
velocità maggiore rispetto al DV, mentre Panasonic
ha introdotto il DVCPro, che ha una velocità ancora
più alta e produce immagini più stabili e meno
sensibili ai rumori di fondo.
Le differenze nella registrazione delle immagini
dipendono, soprattutto, dalle applicazioni hardware: dal tipo di telecamera,
dagli obiettivi, dal supporto magnetico.
Inizialmente questo tipo di formato non era stato pensato in funzione della
ripresa cinematografica, ma ha riscontrato un buon successo sia tra i giovani
registi, sia tra quelli più affermati, in virtù delle possibilità di sperimentazione
che offre rispetto alla macchina da presa.
Grazie alla sua leggerezza, infatti, questo supporto ha permesso ad alcuni
registi di sviluppare un lavoro che si rifà agli insegnamenti degli autori
neorealisti e ai dettami della “Nouvelle Vague”.
La maneggevolezza delle telecamere MiniDV sembra poter realizzare il
sogno di Zavattini di “pedinare” la realtà e quello di Astruc di utilizzare la
telecamera come una penna stilografica. Questi, coniando il termine “caméra
stylo”
2
, in un saggio apparso sulla rivista "L’ecran français" nel 1948,
prefigurava un tipo di cinema personale, nel quale la cinepresa potesse
lavorare con la stessa semplicità e libertà della penna stilografica per lo
scrittore, seguendo l'idea di un cinema spontaneo, immediato e a bassi costi.
A questi principi, che un certo tipo di cinema digitale ha riportato in auge,
si sono ispirati registi come Agnés Varda, già componente della Nouvelle
Vague, la quale proprio da teorici come Astruc e Bazin aveva tratto
insegnamenti.
La Varda ha infatti realizzato nel 2000 Les glaneurs e la glaneus
3
, un film
documentario, che racconta la vita dei “nuovi spigolatori”, cioè quel popolo di
senzatetto che, come un tempo le popolane andavano per i campi in cerca di
spighe dopo la mietitura, oggi si nutre degli scarti del consumismo.
2
http://www.cinemaniaci.it/ilnuovocinemaamericano.html
3
VARDA, Agnes, Les glaneurs e la glaneus,2000
Panasonic AJ-SDX900A
DVCPro
19
Proprio grazie alla leggerezza della troupe, l’autrice ha potuto realizzare il
suo lavoro in soli ventinove giorni, con un approccio non invasivo che le ha
permesso di avvicinare il suo sguardo analitico a questa realtà.
Eppure la differenza sostanziale tra il movimento della “Nouvelle Vague” e i
cambiamenti che stanno avvenendo oggi è che la prima nasce come un
movimento d’idee, quindi teorico, che ha generato una nuova poetica
concretizzata da un nuovo linguaggio, mentre la “rivoluzione digitale” in
campo cinematografico si configura innanzitutto come rivoluzione tecnica, di
cui i cambiamenti estetici o linguistici sono solo una conseguenza.
Un altro esempio di sfruttamento di queste possibilità del mezzo è
costituito dal film italiano L’amore probabilmente
4
di Giuseppe Bertolucci.
Tre piccole Sony PD100 vengono utilizzate per abbattere la messinscena e
per lasciare la massima libertà agli attori, che diventano addirittura registi di
se stessi. Inoltre l’autore ha voluto filmare anche
tutte le prove sul set, per utilizzarle nel montaggio
finale, rendendo il film una sorta di work in progress.
Da una serie di interviste
5
a giovani registi italiani,
che si sono serviti delle tecnologie digitali (in
particolare del supporto DV o MiniDV) per produrre i
propri film, si nota come le motivazioni di questa
scelta siano state dettate da considerazioni sia di tipo
economico sia di tipo artistico.
Ciò significa che, oggi, l’uso di telecamere con queste caratteristiche di
leggerezza, maneggevolezza ed economicità ha permesso di esplorare nuove
forme espressive slegate dalla pesantezza della macchina-cinema
tradizionale, sia in senso tecnico (uso di dolly, carrelli e altro) che economico
e produttivo.
Un discorso simile vale per altri film che hanno sfruttato l'approccio
immediato e realistico che solo questo mezzo permette: Bamboozled
6
di
Spike Lee e Full Frontal
7
di Steven Soderbergh.
4
BERTOLUCCI, Giuseppe, L’amore probabilmente, 2001
5
GALOSI, Fausto (a cura di), Non solo dogma: la via italiana al digitale, “Duel”, 100 (2002), pp.
57-63
6
LEE, Spike, Bamboozled, 2000
7
SODERBERGH, Steven, Full frontal, 2002
Sony PD-100
20
In particolare, nel film di Lee, la scelta del digitale, dettata inizialmente da
una questione economica, ha aperto la possibilità di sfruttare più telecamere
contemporaneamente, moltiplicando il punto di vista. Anche se questo ha
portato il regista e la direttrice della fotografia, Ellen Kuras, a scontrarsi con il
problema dell’illuminazione e soprattutto della messa a fuoco. D’altronde la
conseguente “sporcizia” dell’immagine è stata apprezzata proprio per l’idea di
realismo conferita alle immagini.
Lo stesso vale per il film di Soderbergh, il quale ha voluto proporre un
ritorno al passato, cioè al suo stesso film Sesso, bugie e videotape,
8
nel
1989, ricreando un’atmosfera d’immediatezza e confidenza tra gli interpreti e
lo spettatore.
Un utilizzo ancora più sperimentale del mezzo è stato attuato da due registi
inglesi: Mike Figgis e Peter Greenaway.
Il primo si è avvalso della nuova tecnologia per girare un film sulla
realizzazione di un film, Time Code
9
, tentando di tornare alle radici del fare
cinema. La carriera di Figgis è sempre stata votata alla sperimentazione sin
dai tempi di Via da Las Vegas
10
, girato in 16 mm, e all’indipendenza rispetto
al sistema delle grandi case di produzione.
È in questo modo critico che si pone la realizzazione del film Time Code,
per la quale diventa funzionale e necessario l’impiego del digitale leggero,
sotto forma di quattro telecamere che seguono per un lunghissimo piano
sequenza di 93 minuti, cioè l’intera durata del film, gli interpreti.
Inoltre l’azione non si svolge su un’unica scena, ma è divisa in quattro
situazioni, che, avvenendo contemporaneamente in tempo reale, si svolgono
su uno schermo split screen, cioè diviso in quattro segmenti. Sin dalla fase di
pre-produzione il film ha richiesto un trattamento particolare, infatti la
sceneggiatura è stata scritta su uno spartito, sul modello di quelli musicali.
All’incirca lo stesso lavoro è stato ripetuto da Figgis nel successivo
lungometraggio del 2003, Hotel
11
, girato in Italia, con la partecipazione di
molti attori italiani.
8
SODERBERGH, Steven, Sesso, bugie e videotape,1989 (Palma d’oro al festival di Cannes nello
stesso anno.)
9
FIGGIS, Mike, Time code, 2000
10
FIGGIS, Mike, Via da Las vegas,1995
11
FIGGIS, Mike, Hotel, 2003