3
Infatti l'infermiere, non limitandosi ad eseguire interventi tecnici,
svolge -nel prendersi quotidianamente cura del malato- una funzione
supportiva e terapeutica attraverso il dialogo, allo scopo di stabilire
un'interazione efficace e personalizzata, finalizzata al soddisfacimento
dei bisogni, al recupero dell'autonomia ed all'adattamento allo stress
che ogni malattia o forma di disagio porta con sé.
Ho potuto osservare durante la mia attività di tirocinio clinico
che una comunicazione non efficace tra operatore sanitario e persona
assistita può essere alla base del fallimento di tutto il processo
assistenziale, con conseguenze negative sia per la salute olistica della
persona, sia sulla qualità dell'assistenza infermieristica e quindi
sull'aspetto economico delle aziende ospedaliere.
Ho anche constatato che resta ancora da compiersi il percorso di
adozione sistematica ed efficace di procedure e strumenti di colloquio
infermieristico in ambito ospedaliero, sia al momento dell'accettazione
sia durante la degenza.
Il presente studio intende, di conseguenza, indagare su quali
comportamenti e strumenti vengano di fatto utilizzati dal personale
infermieristico al momento dell’accoglienza, somministrando ad un
campione di infermieri un questionario che indaga circa la modalità di
4
raccolta dei dati infermieristici e, e su quali siano le strategie ideali da
adottare nell'accoglienza del paziente bisognoso di una relazione
d'aiuto efficace.
5
INTRODUZIONE
Il percorso che la persona malata compie durante un ricovero
ospedaliero è caratterizzato, fin dai primi contatti con la struttura
sanitaria, dall’instaurarsi di meccanismi psichici delicatissimi che
devono essere oggetto della massima attenzione da parte
dell’operatore sanitario che accoglie il paziente stesso.
La figura professionale che, di solito, è deputata alla
accoglienza è l’infermiere. La comunicazione efficace tra persona
malata ed infermiere, quindi, appare di primaria importanza nella
ricerca di offrire a chi sta attraversando una fase critica della propria
esistenza, la possibilità di partecipare consapevolmente all’iter
diagnostico-terapeutico che lo riguarda.
Nel primo capitolo del presente lavoro si è descritto, sotto
l’aspetto psicologico, quale meccanismo porta il ricoverato ad
assumere il ruolo specifico di persona bisognevole di cure e quali
conseguenze derivino da tale condizione.
Viene introdotta, pertanto, una breve illustrazione della Teoria
Generale dei Sistemi che si ritiene basilare per approfondire le
dinamiche relazionali che intervengono nel sistema che agisce nei
6
confronti della persona e viceversa, ossia le interazioni tra il sistema
“persona malata” e il sistema “ospedale”.
Nel secondo capitolo si è approfondito questo concetto
focalizzando l’attenzione sui processi di reazione alla malattia ed
all’ospedalizzazione della persona ricoverata. In esso si sono descritte,
appunto, le reazioni adeguate e non adeguate ed i meccanismi di
difesa che insorgono nell’individuo in un vissuto conflittuale quale
quello della malattia (negazione, rimozione, repressione, regressione,
proiezione, razionalizzazione, spostamento, formazione reattiva).
E proprio questi meccanismi di difesa l’infermiere deve tener
presenti nel momento in cui desidera instaurare una comunicazione
efficace con il paziente.
Altri elementi che necessariamente devono essere considerati da
chi voglia intraprendere un proficuo colloquio infermieristico sono
stati trattati nel terzo capitolo e sono rappresentati dal comportamento
sintomatico della persona ospedalizzata. Si è accennato, quindi, alle
sindromi ansiose depressive ed al disturbo aggressivo.
Partendo, poi, dalla convinzione che non sia possibile
prescindere da una conoscenza di quanto premesso dai capitoli
precedenti, se si vuole affrontare l’accoglienza dell’individuo
7
ricoverato in modo professionale e funzionale, si è posto l’accento
sulla necessità di acquisire competenze comunicative adeguate.
Pertanto, nel capitolo quarto sono stati descritti gli elementi
costitutivi dell’atto comunicativo e sono stati indicati i principali e
più ricorrenti problemi che insorgono quando la comunicazione tra
paziente ed infermiere rischia di diventare patologica o conflittuale
nonché gli accorgimenti da seguire per scongiurare l’interruzione di
un flusso comunicativo congruo.
Si è voluto presentare la comunicazione in termini di flussi
proponendo una delle tante possibili classificazioni, quella cioè che è
sembrata maggiormente pertinente.
Nel contesto, è stato dato ampio spazio al concetto di assertività
ed empatia che sono o dovrebbero rappresentare il pane quotidiano di
ogni operatore sanitario che voglia assistere con professionalità la
persona ricoverata ed a lui affidata, il “passepartout” della
comunicazione, la chiave d’ingresso della porta della fiducia del
paziente al quale ci si avvicina.
Nel quarto capitolo, in definitiva, si è trattato dei migliori
atteggiamenti possibili da assumere per far sì che la comunicazione tra
infermiere e utente prenda la direzione ottimale.
8
Nel quinto capitolo sono stati sviluppati gli elementi
riguardanti l’accertamento infermieristico che rappresenta la prima
fase del processo di nursing.
Qui si è ribadito il concetto che il colloquio e la raccolta dei
dati di pertinenza infermieristica, siano il terreno più fertile sul quale
impiantare il germoglio di una comunicazione efficace intercorrente
tra infermiere e paziente allo scopo di ridimensionare le reazioni alla
ospedalizzazione e ridurre al minimo i meccanismi di difesa. Da
questo atteggiamento l’individuo ricoverato potrà sentirsi orientato a
partecipare consapevolmente alle dinamiche assistenziali e
terapeutiche.
Tale strumento teorico (l’accertamento e le altre fasi del
processo di nursing) viene considerato a tutt’oggi da tutta la comunità
scientifica come ciò che rende l’attività infermieristica una
professione che si esprime con metodologia scientifica (problem
solving).
A tale scopo sono stati descritti quali siano i possibili mezzi per
la raccolta dei dati (questionario, intervista, colloquio, osservazione) e
come sia possibile strutturare una procedura efficace attuativa. Di
conseguenza è stata riportata una classificazione di fattori che
influenzano le modalità di attuazione dell’accertamento
9
infermieristico nella pratica clinica dei nostri ospedali. (fattori di tipo
individuale, fattori legati all’assistenza infermieristica, fattori legati al
contesto sociosanitario).
Nel capitolo 6 tale classificazione è servita per la conduzione di
una indagine effettuata presso un ospedale milanese (il
Fatebenefratelli e l’Oftalmico di Porta Nuova) attraverso la
somministrazione di un questionario ad un campione di infermieri
turnanti di quattro Unità Operative diverse (medicina generale ad
indirizzo gastroenterologico; medicna generale ad indirizzo
pneumologico; medicina riabilitativa e chirurgia generale).
Il questionario riguardava le modalità di accertamento
infermieristico, i fattori che ne influenzano l’attuazione, l’importanza
attribuita dagli operatori intervistati agli aspetti relazionali
dell’accertamento infermieristico.
Tale indagine ha fatto emergere la difficoltà nell'adozione
sistematica di strumenti informativi per la conduzione del colloquio
infermieristico secondo i più moderni e scientifici modelli teorici da
una lato, ma la disponibilità, soprattutto da parte degli infermieri più
giovani, ad evolversi verso una professionalità infermieristica sempre
più scientifica e sistematica.
10
Conciliare ciò con la "vecchia scuola" degli infermieri che
lavorano da più anni non sarà facile. Probabilmente il ruolo chiave è
svolto dalla formazione base e post-base nell'evoluzione della nostra
professione verso l'attuazione di modelli sempre più adeguati e
funzionali per la conduzione di un colloquio infermieristico che
permetta una relazione con i pazienti sempre più funzionale.
11
CAPITOLO 1
L’OSPEDALE E IL SUO RUOLO NELLA SOCIETA’
Se si tiene conto della definizione data dall'Organizzazione
Mondiale della Sanità (OMS) secondo cui il concetto di salute
contiene l'equilibrio tra qualità di vita fisica, psichica e sociale, se ne
deduce che l'ospedale ha come obiettivo qualificante quello di erogare
la salute e ristabilire quell'equilibrio negli individui.
L'ospedalizzazione rappresenta quasi sempre un'esperienza
traumatica: le condizioni di incertezza per il futuro, il distacco
affettivo dai familiari, la perdita dell'intimità personale. Quest'ultimo
elemento è particolarmente accentuato negli ospedali italiani dove
mancano, in genere, spazi personali: tutto ciò che ha a che fare con
problemi di pudore o di riservatezza avviene in presenza di altre
persone e in netto contrasto con il tipo di educazione che ogni persona
riceve, nella nostra cultura, sulle funzioni escretorie, sessuali e le
relative parti del corpo. Sembra d'improvviso che tutto questo non
abbia più nessuna importanza, solo perché nulla deve interferire con le
attività sanitarie, neanche quelle più routinarie.
12
Inoltre quando un paziente è ammalato gravemente, viene
sottoposto a terapie, ma anche vestito, svestito, nutrito, pulito, lavato,
aiutato ad urinare e a defecare, esposto nudo al medico e agli
infermieri; egli è così completamente assoggettato a una routine
igienica che non considera minimamente le sue abitudini, le
preferenze, il livello culturale. Il disadattamento ospedaliero si
esprime negli individui con diverse modalità comportamentali che in
seguito intendo descrivere in questa trattazione.
La figura del malato che qui emerge è quella di una persona
soprattutto insicura, impaurita, che avverte un penoso senso di
isolamento e di abbandono, la mancanza di un rapporto e di un calore
umano, la scarsità della comunicazione interpersonale. Forse è proprio
l'assenza di questo rapporto interpersonale a provocare questo
disadattamento piuttosto che le carenze strutturali e dei servizi.
Nel rapporto assistenziale è quindi ovvio che il personale
medico ed infermieristico deve cercare di attenuare l'ansia e la
depressione del paziente attraverso la comunicazione ed il dialogo
(chiarificare, rassicurare, persuadere); considerare il paziente come un
protagonista che partecipa e collabora e non, come spesso capita,
escluderlo da ogni processo decisionale.
13
Le dinamiche psicologiche implicate, infatti, possono e debbono
essere controllate e seguite fin dal primo momento del ricovero.
Il mio interesse riguardo al ruolo della comunicazione nella
relazione d'aiuto nasce dalla convinzione che essa è finalizzata non
solo a fornire alla persona ricoverata una dimensione più umana e
dignitosa, ma anche dalla considerazione che un paziente consapevole,
collaborante, comunicativo, tranquillizzato è soggetto ad una dose
ridotta di influenze stressogene con la conseguenza che il personale
sanitario sarà più efficace nell'erogare la propria professionalità al
servizio della salute.
Consideriamo anche che ogni stimolo stressogeno oltre ad
ostacolare la rispondenza del paziente al progetto assistenziale è di per
sé causa dell'innesco di una cascata di reazioni neuro-endocrine che
turbano l'omeostasi del corpo umano oltre a favorire l'indebolimento
del sistema immunitario. Se ciò non bastasse a convincere dell'utilità
di una comunicazione efficace tra persona malata e personale
ospedaliero, occorre considerare i vantaggi economici che ne trarrebbe
il sistema sanitario da un'organizzazione che, mirando alla
prevenzione e al trattamento di reazioni psichiche patologiche,
consente una notevole riduzione dei giorni di ricovero per ogni
malato.
14
Assumere il ruolo di ammalato va visto come una modalità del
comportamento di accettazione; infatti è comune a vari autori
suddividere il passaggio dalla condizione di salute a quello di malattia
in cinque stadi:
1) STADIO DELL'ESPERIENZA DEI SINTOMI: stadio in cui la
persona inizia a percepire i propri sintomi, partendo da quelli più
semplici come svegliarsi con il mal di gola, avvertire un dolore,
sentire un po' di malessere. Il fatto di avvertire i primi sintomi fa
capire alla persona che c'è qualcosa che non va.
2) ASSUNZIONE DEL RUOLO DI MALATO: in questo stadio
l'individuo chiede di essere riconosciuto come persona malata.
Deve riconoscersi come malato e bisognoso dell'aiuto del medico.
3) CONTATTO CON LE CURE MEDICHE: se i sintomi persistono
o si aggravano, l'uomo è quindi spinto ad entrare nel sistema
professionale delle cure mediche. Soltanto il medico può dare la
conferma del ruolo di malato.
4) IL RUOLO DEL PAZIENTE DIPENDENTE: lo stato di
dipendenza varia da paziente a paziente. Per alcuni soggetti i
vantaggi derivanti dal ruolo di paziente dipendente possono aiutare
15
la guarigione, per altri la dipendenza può essere più insopportabile
della stessa malattia. Molti soggetti trovano difficile accettare
questo stadio.
5) LA GUARIGIONE E LA RIABILITAZIONE: il decorso della
malattia può essere lungo o breve, lieve o grave. Tuttavia, nella
maggior parte dei casi la persona alla fine abbandona il suo ruolo
di malato e ritorna alle sue normali attività e responsabilità. La
decisione di abbandonare il ruolo di malato caratterizza questo
stadio.
Questi cinque stadi disegnano l'evoluzione di una malattia
guaribile e l'assunzione transitoria del ruolo di malato. Questo
ruolo viene assunto dall'individuo nel momento in cui si rivolge al
medico: in quel momento egli diviene un paziente, perciò un essere
umano in difficoltà, particolarmente vulnerabile. Tra il medico e il
paziente si instaura una relazione asimmetrica: quest'ultimo è
sofferente, ansioso e manca delle conoscenze e delle capacità
necessarie a curarsi da sé e a decidere cosa è meglio fare.
16
Il modello sistemico
La teoria generale dei sistemi venne alla luce intorno alla metà
degli anni trenta del secolo scorso per merito di L. Von
Bertelanffy, ma si pose all'attenzione degli studiosi delle scienze
umane soltanto negli anni cinquanta. Questa teoria sorse dalla crisi
del modello meccanicistico della fisica e della chimica classica,
cioè da un rigido modello di causa-effetto.
Tale modello offriva spiegazioni in cui gli oggetti venivano
analizzati nei loro elementi costitutivi, e osservati isolatamente uno
per uno. Solo in un successivo momento venivano cercati tra questi
componenti costitutivi rapporti di causa-effetto, cioè di causalità
lineare. Tale modello andò in crisi in quanto non riusciva a offrire
una spiegazione della materia vivente, in cui la complessità delle
interrelazioni valicava spiegazioni semplicemente causalistiche.
Bertelanffy proponeva di lasciare alle spalle un modello
meccanicistico di causalità lineare che separa le singole parti di un
tutto, e privilegiare un modello di causalità circolare che tiene in
considerazione le complessive interazioni tra le parti. Esisteva cioè
l'esigenza di occuparsi non più di isolate parti o isolati fenomeni
ma di totalità che venne definita da Bertelanffy "organismica".