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nuovi mercati; la consapevolezza che la responsabilità sociale non è solo una
tensione ideale, ma un sistema organizzativo; non può essere ricondotta solo a
“beneficenza” ma è un modello di efficienza ed efficacia capace di risultati, senza
intaccare i profitti.
Una sfida che richiede una larghezza di orizzonti inconsueta e che, soprattutto,
ha bisogno della partecipazione di tutti gli attori sociali: le imprese, che devono
sapere coniugare la ricerca del profitto con una visione più ampia, fondata sulla
centralità della persona; le politiche pubbliche, che devono farsi garanti di un
contesto favorevole allo sviluppo della CSR; non da ultimo, la società civile, che
deve superare il tradizionale scetticismo che la vede contrapposta all’economia, nella
consapevolezza che solo lo sviluppo di una capacità sinergica di risposta ai problemi
che toccano da vicino le legittime aspettative dei partner coinvolti può generare
benefici per tutti.
Una sfida che ha bisogno di simboli e prassi; di formazione, di ascolto e
comunicazione. E di un nuovo tipo di leadership che sappia coniugare la voglia di
fare, l’entusiasmo tipico dell’imprenditore con una visione più ampia, proiettata
verso il futuro.
Il mercato agroalimentare e agroindustriale ( che sarà quello maggiormente
analizzato) sviluppa una crescente attenzione a questo tema e nel particolare a tutto
ciò che riguarda la qualità dei prodotti e dei servizi offerti al cliente. La
preoccupazione del consumatore per la salubrità dei prodotti che acquista è del tutto
motivata, e in parte giustificata, dagli eventi e dai dati preoccupanti di cui si viene a
conoscenza tramite violente, e non sempre disinteressate, campagne di informazione.
Assicurare la qualità dei prodotti sta diventando, quindi, negli ultimi anni punto
di forza di crescente interesse, sul quale fare leva per riuscire ad ottenere la
soddisfazione del cliente, e, contestualmente, un vantaggio competitivo.
3
Capitolo 1
La responsabilità sociale delle imprese in generale
1.1 Che cos’è la responsabilità sociale delle imprese?
Essere responsabili significa, dall’etimo della parola, “rispondere di qualcosa”
e nel caso della responsabilità sociale delle imprese sorge spontaneo chiedersi: a chi
dovrebbe rispondere di questo “qualcosa” l’impresa? Agli azionisti, ai dipendenti,
alle banche finanziatrici, alla comunità, alle istituzioni? E per quale motivo
l’imprenditore dovrebbe occuparsi anche di responsabilità sociale, visto che , il focus
prevalente dell’impresa è quello di produrre sviluppo e risultati economicamente
soddisfacenti? Il dibattito su questo tema va avanti da oltre 50 anni; nasce negli USA
per essere successivamente intrapreso in Europa, accumulando fino ad oggi
innumerevoli interpretazioni e definizioni.
Alcuni considerano la Responsabilità sociale come “responsabilità giuridica”,
altri come necessità da parte dell’impresa di consacrare una parte delle sue risorse al
benessere generale con natura, talvolta caritatevole (1). La stessa definizione
proposta da Bowen nel 1953 appare generica e non ben definita. Essa considera la
responsabilità sociale come: “dovere degli uomini d’affari di perseguire quelle
politiche, di prendere quelle decisioni, di seguire quelle linee di azioni che sono
desiderabili in funzione degli obiettivi e dei valori riconosciuti dalla società” (2).
Nonostante le diverse e numerose definizioni date nel corso degli anni, resta
evidente la coerenza del significato sostanziale di responsabilità sociale: essere
socialmente responsabile significa gestire un business in modo da controllare e
possibilmente migliorare gli effetti sociali e ambientali dell’attività d’impresa.
(1) :Y.F., Livian; Les Américains s’interrogent sur la responsabilité de l’entreprise in « Hommes et
tecnique », n° 362 ; (2): H. Bowen, Social responsibilities of the businessman. Harper, NY 1983;
4
Per il World business council for sustainable development responsabilità sociale è
infatti il “continuo impegno dell’azienda a comportarsi in maniera etica e a
contribuire allo sviluppo economico, migliorando la qualità della vita dei dipendenti,
delle loro famiglie, della comunità locale e più in generale della società” (3).
Secondo l’organizzazione statunitense BSR- business for social responsibility,
responsabilità sociale significa “ gestire un’azienda in maniera tale da soddisfare o
superare costantemente le aspettative etiche, legali, commerciali e pubbliche che la
società ha nei confronti dell’azienda”.
(3): Perrini e Tencati, Economia e management, n° 5, Etas, Milano 2003.
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1.2 La definizione accettata e l’oggetto della responsabilità
sociale.
L’oggetto della responsabilità sociale delle imprese è, dunque, l’impatto
causato dall’operare dell’azienda nella realtà sociale e ambientale di cui è parte e con
la quale esiste un rapporto di reciproca interdipendenza.
La comunicazione della Commissione europea “ responsabilità sociale: un
contributo delle imprese allo sviluppo sostenibile” (4) definisce la CSR (corporate
social responsibility) come: “l’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed
ambientali in tutte le operazioni commerciali, nei processi decisionali e nei rapporti
tra l’azienda ed i propri interlocutori”.
In parole più semplici la CSR si concretizza nello gestire l’attività aziendale
generando profitto in modo responsabile nei confronti dei partner economici, ma
anche della collettività e dell’ambiente.
Per un’azienda assumere comportamenti socialmente responsabili significa
andare al di là dei propri obblighi e degli adempimenti legislativi cui è tenuta ad
uniformarsi, sviluppando strumenti ed adottando programmi che lancino un segnale
verso la costruzione di relazioni responsabili con i propri interlocutori.
Le componenti della CSR sono:
- Andare al di là della normativa: le imprese assumono un
comportamento socialmente responsabile al di là delle prescrizioni
normative e volontariamente, ritenendo che ciò possa essere
vantaggioso nel lungo periodo.
Stretto legame con la sostenibilità: la responsabilità sociale è strettamente legata al
concetto di sviluppo sostenibile; nelle loro attività le imprese devono, anche, tener
conto delle ripercussioni economiche, sociale e ambientali.
(4): Commissione della CE, luglio 2002.
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- Volontarietà: implica la libertà di scelta, da parte delle organizzazioni,
ad impegnarsi in questa direzione.
La diffusione della responsabilità sociale dell’impresa si inserisce a pieno titolo
nell’evoluzione culturale della società. E’ ormai diffusa la consapevolezza che la
CSR denoti qualcosa che va oltre la normale gestione dell’immagine dell’azienda, e
fa invece riferimento alle scelte strategiche che affondano le radici nel core business
dell’impresa.
La CSR affonda le sue radici nell’incidenza di fattori in gran parte intangibili,
non riproducibili dalla normale contabilità d’esercizio: il riconoscimento del
significato produttivo ed economico di conoscenze acquisite e sviluppate, di capitale
relazionale e reputazione.
Gli stessi processi di globalizzazione e internazionalizzazione hanno fatto
emergere la necessità di ricontestualizzare le scelte strategiche e gestionali in un
orizzonte multidimensionale e valoriale. L’estensione crescente di attività
commerciali all’estero genera un aumento di responsabilità su scala mondiale,
soprattutto nei paesi emergenti. Certo, spesso, l’attenzione a questo orizzonte di
responsabilità ha preso le mosse da incidenti di percorso che hanno portato ad
intaccare pesantemente reputazione e fiducia di una particolare organizzazione o
azienda, condizionandone contestualmente, quindi, la performance economica.
L’immagine e la reputazione dell’azienda sono fattori determinanti ai fini della
competitività, in quanto i consumatori chiedono informazioni sempre più dettagliate
riguardo alle condizioni di produzione e gli effetti sullo sviluppo sostenibile. Inoltre
tendono a “premiare”, con le loro consuetudini d’acquisto, quelle imprese che
adottano pratiche socialmente ed ecologicamente responsabili.
Nonostante finora i concetti e gli strumenti di responsabilità sociale siano
sviluppati prevalentemente nelle grandi organizzazioni, sarebbe importante che essa
si diffonda anche nelle piccole e medie imprese data la rilevanza del loro apporto
all’economia.
7
La CSR è applicabile a tutte le tipologie d’impresa e organizzazioni con
estrema flessibilità, in quanto processo che prevede una graduale applicazione in
risposta alle priorità aziendali, per un continuo miglioramento gestionale.
8
1.3 Come nasce e si evolve la CRS.
Si assiste oggi ad una proliferazione di iniziative a livello internazionale che
sottolineano il ruolo strategico assunto dal tema della responsabilità sociale a partire,
soprattutto, dagli anni ’90.
E’ evidente che l’identificazione di un quadro comune per la dimensione
globale della CSR risulta difficile, vista la diversità dei quadri politici a livello
nazionale.
Il punto di partenza dovrebbe essere quello di applicare, a livello mondiale, i
principi di responsabilità sociale, al di là degli obblighi che la legge impone alle
imprese.
Diverse iniziative, cui hanno preso parte imprese multinazionali e istituzioni
ONG, hanno cercato di identificare principi e pratiche di base, tra questi:
ξ Le linee guida sulla governance della OCSE (organizzazione per la
cooperazione e lo sviluppo economico) e la convenzione contro la
corruzione (5).
ξ La tripartite declaration of principles concernine Multinational
Enterprises and social Policy dell’ILO (Organizzazione internazionale
del lavoro ) (6) nel 1999, a cui fanno seguito le linee guida dell’OCSE
per multinazionali, che costituiscono l’insieme più esauriente di norme
approvate su scala internazionale riguardo le attività delle
multinazionali nei paesi in via di sviluppo; disciplinano materie relative
a: responsabilità sociale, concorrenza, corruzione e fiscalità.
ξ Il Dow Jones sustainability Index, che consacra l’interesse della finanza
per queste problematiche.
(5): www.oced.org/daf/governance/principles. (6): www.ilo.org
9
ξ Il Global Compact (7) un codice di condotta varato da Kofi Annan,
segretario generale ONU, destinato alle grandi imprese, che si compone
di nove principi per le imprese multinazionali e transnazionali che
prevedono disposizioni relative ai diritti dell’uomo ai diritti del lavoro e
alla tutela dell’ambiente.
ξ Un altro segnale della grande attualità del tema è l’assegnazione del
premio Nobel per l’economia a Amartya Sen, per la sua opera sull’etica
degli affari (business ethics).
Si tratta di iniziative che sottolineano l’importanza di un processo di riflessione
sulla responsabilità sociale, in atto ormai da anni, che hanno teso a rafforzare le
ragioni di un intervento pubblico per incoraggiare e guidare i processi di auto-
regolazione.
Basti citare l’elaborazione del concetto di sviluppo sostenibile presentato dalla
commissione Bruntland dell’ONU nel 1987, dove per la prima volta si ribadisce, a
livello istituzionale, l’impegno al perseguimento, da parte delle aziende, di uno
“sviluppo che non comprometta quello delle generazioni future”.
Nonostante la natura volontaria e, quindi, non vincolante degli strumenti fin qui
citati, la loro adozione da parte di un gruppo significativo di imprese operanti nei più
svariati settori, ha finito in realtà col prefigurare una sorta di good practice
universalmente riconosciuta, facendo entrare, così, il dibattito sulla CSR nell’agenda
politica dei governi, soprattutto europei.
(7): www.unglobalcompact.org
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1.4 L’orientamento allo stakeholder: un elemento innovativo.
La CSR si considera come un modello di governance allargata, secondo cui chi
prende le decisioni discrezionali ed ha il controllo dell’impresa (l’imprenditore) ha
doveri di fiducia che si estendono dallo stakeholder protetto dal diritto di proprietà
(azionista o socio) a tutti i soggetti che hanno un qualsiasi interesse e quindi contatto
con l’impresa, ovvero la platea di stakeholders presenti sul mercato riconducibile a :
clienti, fornitori, dipendenti, concorrenti, istituzioni,investitori ed infine, ma non
meno importante, la comunità locale.
Figura: La mappa degli stakeholder.
Si tratta, quindi per l’azienda, qualunque dimensione essa abbia, di passare da
un approccio di tipo mono-stakeholder ad uno di tipo multi-stakeholder nella
gestione strategica e nei sistemi di governance capace di bilanciare gli interessi e le
aspettative di tutti coloro che hanno un rilevante interesse in gioco nell’azienda.
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Il termine stakeholder è descrittivo, non si tratta di un concetto normativo, non
consente cioè di spiegare come bilanciare gli interessi e i valori in conflitto. Se è vero
che da un lato gli stakeholders sono portatori di interesse nell’impresa, a volte in
conflitto tra loro, dall’altro essi contribuiscono alla realizzazione della sua mission e,
pertanto, si aspettano di godere, in una certa misura, dei vantaggi prodotti con il loro
contributo.
Un esempio concreto potrebbe essere quello dei dipendenti; essi “scambiano”
lavoro con retribuzione e si aspettano, quindi, di mantenere nel tempo rapporti
contrattuali con l’azienda per loro vantaggiosi. Al contrario gli azionisti avranno
interesse a mantenere nel tempo inalterato il valore delle retribuzioni dei dipendenti a
parità di prestazioni. Come si intuisce si tratta di due aspettative totalmente
contrastanti ma ugualmente legittime.
Di fronte a ciò l’impresa ha bisogno di dotarsi, appunto, di un approccio
strategico di tipo multi-stakeholders e di un metodo in grado di trovare un punto di
equilibrio tra molteplici interessi e valori.
12
1.5 Il contratto sociale.
Di fronte al problema delle imprese di trovare un metodo per contemperare ai
diversi interessi, a volte contrastanti, troviamo come prima risposta quella, appunto,
della responsabilità sociale.
Essa propone un bilanciamento che si fonda sull’idea del “contratto sociale” (8)
equo ed efficiente tra impresa e tutti i suoi stakeholders. Il contratto sociale non è un
reale contratto, ma solo un contratto ideale basato su un’idea di giustizia in base alla
quale e giusto tutto ciò che razionalmente e unanimemente viene considerato tale.
Gestire l’impresa secondo tale approccio porterebbe a numerosi vantaggi:
ξ In primo luogo, permetterebbe di combattere i comportamenti
opportunistici che danneggiano le legittime aspettative di benessere
degli stakeholders.
ξ In secondo luogo, consentirebbe all’impresa di porre le basi, tramite
relazioni eque e corrette, per l’instaurarsi di rapporti di fiducia che
riducono i confliti e facilitano lo svolgimento di transazioni
economiche, riducendone i costi di controllo e di governo.
ξ Infine, la gestione dell’impresa inspirata al contratto sociale, oltre ad
essere una garanzia minima dell’osservanza della legalità, aiuterebbe il
management ad identificare i potenziali effetti sociali negativi
dell’attività d’impresa, riconoscendo i legittimi interessi per gli
stakeholders, orientandone le scelte strategiche in un’ottica di
sostenibilità.
Ma non solo. Adottare comportamenti improntati ad una gestione etica e
trasparente, significherebbe lanciare un segnale forte e concreto verso la costruzione
di relazioni responsabili verso gli stakeholders.
(8): L. Sacconi, Il contratto sociale dell’impresa. Edizioni Laterza, Bari 1997.
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Ciò significa che se l’impresa sarà ritenuta capace, in base alle operazioni
implementate, di rispettare gli impegni assunti, i suoi stakeholders la preferiranno ad
altri, permettendole di “accumulare” quella reputazione indispensabile per la sua
sopravvivenza e continuità nel tempo.
Come dire, il premio del meccanismo della reputazione è l’aumento della
reputazione stessa. Su questo meccanismo si basa il successo della CSR.
Questo approccio sembra essere supportato e valorizzato dal mercato, laddove
emerge una sempre crescente sensibilità critica dei consumatori, attenti alla qualità
totale dei prodotti che acquistano, scegliendoli sulla base della conoscenza dei
comportamenti, eticamente corretti delle imprese.
Gli stessi mercati finanziari sembrano penalizzare i comportamenti irregolari,
relativi a contenziosi particolarmente accesi su questioni di responsabilità sociale,
che si ripercuotono nelle quotazioni di borsa.
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1.6 Dalla creazione di valore per gli azionisti alla creazione di
valore per gli stakeholders.
L’impresa assume diverse ruoli e obiettivi in contesti storici diversi. Le teorie
evolutive evidenziano che le peculiarità di questa istituzione sono conseguenza dei
cambiamenti storici e scientifici che hanno caratterizzato i diversi secoli.
Negli anni Novanta i processi di globalizzazione, l’evoluzione delle tecnologie,
dell’informazione e lo sviluppo del mercato dei capitali hanno portato al centro
dell’attenzione la figura dell’azionista, il peso relativo ai diversi stakeholder si
modifica; il cliente, le famiglie, gli enti pubblici lasciano il posto all’investitore
istituzionale: si sviluppa in Italia un nuovo movimento manageriale denominato
“Value based Management” (VBM).
Secondo tale teoria il fine ultimo dell’impresa è la creazione di valore per
l’azionista perché è su tale soggetto che gravano maggiormente i rischi aziendali.
L’azionista è quindi il soggetto economico principale, che, da un lato apporta
all’impresa un contributo in termini di capitale proprio e, dall’altro, ottiene come
ricompensa una remunerazione sotto forma di dividendo e di apprezzamento del
valore delle azioni sul mercato. Il concetto di soggetto economico, così come viene
considerato nella dottrina italiana può essere definito come precursore del concetto di
stakeholder. Già Zappa sosteneva che “l’impresa deve contemperare il tornaconto del
suo soggetto con gli interessi di coloro che all’impresa danno volenterosi il loro
lavoro e deve sottomettersi alle esigenze volute dal bene comune della collettività
nazionale nella quale l’azienda agisce” (9).
La definizione classica di stakeholders è quella di Feeman (1984): “ gli
stakeholders primari, ovvero gli stakeholders in senso stretto, sono tutti gli individui
e i gruppi ben identificabili da cui l’impresa dipende per la sua sopravvivenza:
azionisti, dipendenti, clienti, fornitori ecc…
(9): G. Zappa, Le produzioni nelle economie delle imprese, Milano Giuffrè 1957.
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In senso più ampio lo stakeholder è tuttavia ogni individuo ben identificabile
che può influenzare o essere influenzato dall’attività aziendale in termini di prodotto,
politiche e processi lavorativi.
In base alla riflessione sul concetto di soggetto economico, la creazione di
valore per l’azionista sembrerebbe in contrasto con la stakeholder theory, (tale teoria
fa riferimento ad un approccio emergente secondo cui si considera l’impresa come
una coalizione di interessi da soddisfare. Tale approccio contrasta con la tradizionale
shareholder theory, secondo la quale l’obiettivo principale dell’impresa consiste nella
massimizzazione della ricchezza per l’azionista, trascurando gli interessi di tutti gli
altri attori coinvolti)
In realtà se applicato correttamente, il primo non è in conflitto con gli interessi
di tutti gli altri portatori di interesse.Esso rappresenta, infatti, la migliore misura dei
risultati, risulta particolarmente adatto a misurare la soddisfazione dell’azionista e
consente l’apprezzamento delle performance dell’impresa, poiché qualora questa non
sia in grado di remunerare adeguatamente i propri azionisti sarà destinata a subire
una fuga di capitali verso investimenti più remunerativi.
L’obiettivo dell’impresa rimane la creazione del valore, l’impresa crea valore
quando orienta la propria gestione verso l’obiettivo della sostenibilità. La
massimizzazione del valore a favore di tutti gli stakeholders implica quindi il
passaggio dalla nozione tradizionale di valore a quella di valore sostenibile.
Da qui l’emergere di un nuovo approccio al business, che accanto alla
dimensione economico-finanziaria propone una paritetica gestione della dimensione
sociale e ambientale, elemento essenziale per il raggiungimento di un vantaggio
competitivo sostenibile nel tempo.
In questo senso si parla oggi di “gestione sostenibile” che prevede una visione
dello sviluppo in grado di “soddisfare i bisogni del presente senza compromettere le
capacità delle generazioni future di soddisfare i propri” (10).
(10): Fonte: Rapporto Brundtland (ONU), 1987.