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Lo sport oggi non punta, o non dovrebbe puntare, “soltanto” all’ottenimento di un
successo tecnico e agonistico, ma anche ad un’efficace gestione economica e aziendale.
Ovvio che il successo della gara è alla base di tutto, ma una buona organizzazione alle
spalle non può essergli negativa.
Unendo una serie di attività programmate, organizzate e controllate che analizzano il
mercato al fine di raggiungere obiettivi aziendali di medio-lungo termine si ottiene
quello che viene definito marketing; marketing che rappresenta all’interno del
management di un’amministrazione uno dei punti chiave e che non deve essere visto
come qualche cosa a danno della gente o addirittura inquinante degli ideali sportivi.
Tutt’altro: il marketing presuppone un buon prodotto e nel settore sport il buon prodotto
è il risultato sportivo. Lo scopo è il medesimo per entrambi, attività sportiva e attività
aziendale.
L’obiettivo del presente lavoro è proprio quello di dimostrare come il marketing, se
utilizzato in maniera consapevole e ben pianificata, influisca positivamente nello
spettacolo sport inteso come servizio. Inoltre, si è voluto indicare come, in un mercato
così complicato come quello di oggi, per poter “dare di più a meno” siano necessarie
della azioni di collaborazione tra le società, sportive e non; il co-marketing nasce
proprio da questa esigenza. Dopo aver chiarito il concetto di co-marketing si è
analizzato quello di sponsorizzazione, formula molto utilizzata dalle aziende moderne.
L’analisi del caso aziendale di partnership Ducati-Fila mi ha aiutato nel dimostrare cosa
queste due figure abbiano in comune e come trovino spiegazione e realizzazione nella
realtà pratica.
Il termine marketing è piuttosto recente, nonostante il concetto, modificatosi negli anni,
risalga alla metà del secolo scorso.
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Il marketing non è un processo sociale, bensì una funzione tecnica che consiste nello
scegliere a chi vendere, cosa vendere e come vendere ricercando la preferenza del
consumatore rispetto alla concorrenza; il tutto come mezzo per realizzare gli obiettivi
aziendali.
Si parla di funzione tecnica per descrivere l’esigenza di un know-how specifico,
caratteristica indispensabile per affrontare il mercato dell’epoca moderna. L’azienda si
trova, infatti, ad agire in un ambiente ormai saturo di prodotti e marchi e il cui
compratore, proprio per l’abbondanza di beni offerti e per l’esperienza d’acquisto
maturata negli anni, diventa sempre più esigente. In un territorio così vario e variabile si
devono conoscere in maniera approfondita i processi che lo regolano e, con l’aggiunta
di buona intuizione e fantasia, scegliere le mosse giuste per accontentare il cliente.
Tuttavia, non è più sufficiente la sola soddisfazione del consumatore: è necessario,
infatti, poter offrire quel valore aggiunto che porta alla preferenza rispetto alla sempre
crescente concorrenza.
Ecco, quindi, l’importanza della scelta del target di compratori ai quali rivolgersi in base
alle proprie potenzialità; conoscere non solo l’ambiente esterno, ma anche quello
interno alla propria azienda permette di prendere coscienza dei propri punti di forza e
delle proprie debolezza per poter, poi, proporre un prodotto coerente con le proprie
possibilità. Se ciò non accade si rischia di offrire un bene o un servizio che non si è in
grado di supportare e di finire, così, verso il fallimento.
E’ altrettanto rischioso mettere sul mercato un prodotto troppo generico per
accontentare più fette di mercato possibile; meglio puntare ad un solo target di clientela
e specializzarsi sulle richieste di questo per arrivare ad avere quel qualcosa in più che la
concorrenza non possiede. La sfida può essere del tipo time to market, consumer delight
o di conquistare la fedeltà del cliente nel tempo.
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Il passo successivo consiste nell’organizzare la vendita scegliendo il canale e la politica
che si intende seguire; per cui vendita all’ingrosso o al dettaglio, diretta o indiretta,
puntare sulla competitività piuttosto che sull’esclusività, avviare promozioni o
pubblicità e quant’altro.
E’ evidente che quanto detto debba essere frutto di valutazioni pianificate e coordinate
per perseguire gli obiettivi aziendali di profitto, fatturato, redditività degli investimenti,
seguito tra gli appassionati e così via.
Lo spettacolo sport è un vero e proprio servizio offerto al pubblico e come tale possiede
delle caratteristiche peculiari che rendono maggiormente necessario uno sviluppo
manageriale adeguato e azioni programmate. La prima tra queste si esplica nella
soggettività dell’evento agonistico: questo, infatti, non trova una definizione universale
poiché è legato a preferenze ed esperienze personali del fan o dell’appassionato. Non è,
inoltre, un prodotto materiale, bensì un’esperienza intangibile, non quantificabile, che
può variare a seconda della situazione. Tali connotazioni non permettono, di
conseguenza, un comportamento prestabilito da parte dell’azienda; richiedono, invece,
strategie diverse per ogni fruitore e ben analizzate e studiate in base alle molteplici
variabili. Ancora, la deteriorabilità dell’evento e la sua transitorietà ne rendono
maggiormente complicata l’analisi. Lo spettatore, poi, è protagonista indiscusso in
quest’ambito: è lui che partecipa alle gare o alle manifestazioni, è grazie a lui che lo
sport spettacolo cresce e continua ad esistere ed ha gran parte del merito nella riuscita o
meno dell’evento. Si rende, di conseguenza, fondamentale la conoscenza di tale
soggetto da parte dell’azienda, conoscenza che richiede uno sforzo ulteriore, soprattutto
viste le molteplici esigenze e conoscenze del consumatore moderno. Per di più, essendo
il risultato della partita o gara sconosciuto, la società non può permettersi di non tenere
in considerazione ogni eventualità e la conseguente azione professionale di gestione.
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Infine, la polivalenza del prodotto sport: premesso che l’attività sportiva dev’essere, in
primis, divertimento, è anche vero che molti soggetti esterni ne fanno un uso diverso.
Ad esempio molte aziende ne sfruttano l’immagine per commercializzare i propri
prodotti, altre scelgono il co-branding vale a dire l’accostamento del loro marchio a
quella di una società sportiva o di un team per fini di visibilità e immagine.
I protagonisti delle attività che ruotano attorno al mondo dello sport sono i produttori,
ossia atleti e società, i distributori cioè i media, i consumatori che sono sia i praticanti
che gli spettatori e, infine, gli sponsor che promuovono i loro prodotti grazie allo sport.
Vi sono relazioni tra ognuno di questi soggetti, alcune più ovvie, altre meno, ma mai
univoche poiché lo stesso attore può ricoprire molteplici ruoli.
Tra l’altro, in un mercato così sviluppato gli scambi sono continui; capita molto spesso
che i protagonisti di tali scambi si trovino anche a collaborare, ad unire le proprie
potenzialità e risorse in modo da riuscire a superare la concorrenza aumentando la
qualità e diminuendo i prezzi, ciò che viene definito, nel linguaggio del marketing,
“dare di più a meno”. Nasce allora un nuovo modo di fare marketing ossia il marketing
cooperativo, meglio conosciuto come co-marketing: un processo mediante il quale due
o più operatori svolgono in partnership una serie di iniziative di marketing, organizzate
e controllate, al fine di raggiungere obiettivi autonomi, ma compatibili attraverso la
soddisfazione dei consumatori. Il più evidente dei vantaggi che una tale azione può
portare è sicuramente l’incremento delle vendite: varie aziende che si uniscono attivano
un aumento della quantità prodotto/servizio venduto che molto probabilmente in una
situazione normale non si sarebbe raggiunto. Allo stesso modo, portando ciascuna il
proprio apporto, materiale o di capacità ed esperienza, arrivano quasi certamente ad
ottenere un prodotto/servizio di maggiore qualità e benefici offerti. Di conseguenza,
aumentando la qualità del prodotto, le aziende si sentono più giustificate nei confronti
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del consumatore ad effettuare manovre di prezzo. Non meno importante la possibilità di
suddividere i costi in base ai diversi apporti e ritorni economici. La cooperazione,
inoltre, aumenta la presenza sul territorio e la visibilità delle aziende che si trovano ad
operare in ambienti e settori diversi dal consueto. Tali sono i principali vantaggi che
un’azione di co-marketing può offrire; certo per raggiungerli è necessario considerare in
maniera approfondita le possibili variabili ossia gli obiettivi da conseguire, le
caratteristiche dei partner coinvolti, il target obiettivo al quale ci si rivolge, il periodo di
durata della collaborazione e l’area geografica di riferimento. Non meno importante è la
selezione dei propri possibili collaboratori: risulta indispensabile, a tal fine, conoscere
qual è il loro target di clientela per capire se coincide o meno con il proprio, qual è il
settore di appartenenza, il mercato geografico e la loro posizione competitiva. Una volta
apprese queste informazioni appare anche più semplice capire che tipo di apporto si può
chiedere loro all’interno della partnership. Dal momento che si sta analizzando questo
tipo di collaborazione nell’ambito del settore sportivo, non si deve assolutamente
sottovalutare quello che probabilmente è uno tra i principali partner ovvero il campione:
capita molto spesso, infatti, che l’atleta venga considerato passivamente, come semplice
esempio, prestanome, mezzo per diffondere un certo tipo di messaggio piuttosto che
un’immagine. Lo sportivo, invece, se consapevole dell’importanza del suo ruolo per il
pubblico, è in grado di svolgere un’azione senza pari poiché è colui che riesce ad avere
maggiore influenza sullo spettatore/consumatore rispetto a qualsiasi altro protagonista
della cooperazione.
Le iniziative di co-marketing possono realizzarsi in varie forme e in vari ambiti; nel
mondo dello sport accade molto spesso di trovarle accanto e a sostegno della
sponsorizzazione tout-court, ossia una relazione di scambio tra due protagonisti,
sponsor e sponsee, la cui prestazione consiste in un supporto finanziario o di
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beni/servizi e la cui controprestazione si esplica nella concessione di spazi per
aumentare visibilità e notorietà dell’azienda in questione. Quest’ultima è solitamente
un’impresa commerciale che ha l’obiettivo di raggiungere target mirati di pubblico e si
serve della sponsorizzazione a tal scopo; affiancandosi ad un determinato team o atleta,
infatti, ha quasi la certezza che il pubblico appassionato dei fan accoglierà il suo
prodotto/servizio con più facilità rispetto ad un pubblico qualsiasi. Lo sponsee, invece, è
solitamente un’istituzione di carattere non commerciale che opera in ambito sportivo,
nel nostro caso, e che necessita di mezzi per portare avanti la propria attività. Una terza
categoria attiva in questo scambio è rappresentata dai mass media attraverso i quali
sponsor e sponsorizzati veicolano i messaggi che vogliono comunicare.
Come è emerso dalle interviste ai due direttori marketing delle aziende Ducati e Fila,
non esiste una regola che dice che debba essere lo sponsor piuttosto che lo sponsee a
scegliere a chi abbinarsi, a proporre lo scambio insomma; dipenderà dalle esperienze,
dagli obiettivi e da altri fattori anche esterni all’azienda. Tuttavia le imprese che
puntano su una squadra mirano, solitamente, a dare un’idea di équipe dando molta
importanza al lavoro di squadra; questa operazione richiede un notevole impiego di
risorse e grosse disponibilità finanziarie e risulta particolarmente adatta quando non vi è
coerenza tra prodotto/servizio e disciplina sportiva. Le imprese che scelgono il singolo
atleta, di solito un campione molto conosciuto, come sponsee vogliono sottolineare la
loro leadership nel settore di appartenenza; è tuttavia un rischio poiché il successo
dell’operazione dipende molto dal comportamento e dall’immagine che lo sportivo
riesce a trasmettere. L’azienda che volesse evitare questo rischio, può decidere di
sponsorizzare una manifestazione o un evento anziché legare il suo nome a quello del
singolo personaggio; potrà, così, diventare sponsor ufficiale dell’evento e utilizzare i
simboli distintivi della manifestazione per promuovere il proprio marchio.
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In base al rapporto esistente fra i prodotti dello sponsor e l’attività sponsorizzata, si
individuano tre categorie di sponsor: sponsor tecnico, quando l’azienda è in grado di
fornire materiale e attrezzature tecniche, sponsor di settore se fornisce prodotti utili per
l’attività anche se non specificatamente indirizzati ad essa e, infine, sponsor extra-
settore quando il contributo è solo economico poiché il prodotto della società in
questione non ha nulla a che fare con la disciplina sportiva a cui si appoggia.
Talvolta si parla di sponsorizzazione attiva o passiva: la prima prevede che l’azienda
non si limiti solo a dare un sostegno economico o in beni, servizi, attrezzature, bensì che
partecipi all’organizzazione e alla realizzazione dell’evento in prima persona, mentre la
sponsorizzazione passiva consiste proprio nel semplice supporto economico. Durante i
colloqui con il Dottor Cicognani e la Dottoressa Amico ho potuto apprendere che
quest’ultimo tipo di sponsorizzazione, passiva o tout-court, non esiste più, perlomeno ad
alti livelli, o comunque non ha senso di esistere. Il mercato del presente è complicato e
nascono e crescono ogni giorno nuove aziende, marchi e prodotti; se si vuole riuscire a
vincere la concorrenza e accontentare il cliente, è necessario trovare sempre nuove idee
e soluzioni. La sponsorizzazione è una di queste se sviluppata in maniera professionale
e consapevole; non serve a molto porre il proprio logo accanto a quello del nome di un
team o far pubblicizzare il proprio prodotto/servizio ad un campione sportivo, se dietro
a tutto ciò non si sviluppano altre iniziative a sostegno; qui rientra in gioco quello che si
è definito, in precedenza, co-marketing.
Il caso aziendale analizzato ne è un tipico esempio: Fila, nota casa produttrice di
abbigliamento e accessori e Ducati, famoso marchio bolognese produttore di moto da
corsa di altissimo livello e prestazioni. Le due aziende italiane sottoscrivono, nel 2002,
un contratto di sponsorizzazione: Fila diventa title sponsor del team di Superbike e
sponsor ufficiale per il MotoGP, oltre ad ottenere la licenza esclusiva del marchio
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Ducati Corse da apporre sull’abbigliamento delle sue nuove collezioni, nate proprio in
occasione della partnership tra i due made in Italy. Ducati ottiene, così, un sostegno
economico e una rifornitura di attrezzature continua, mentre Fila vede il suo logo
apparire in occasione di ogni gara di SBK e GP. Se la sponsorizzazione si fosse fermata
a questo punto, avremmo potuto definirla passiva, tout-court, un tipo di accordo che
aveva senso di esistere un tempo quando gli obiettivi erano diversi o anche oggi a livelli
più bassi, dove le esigenze sono ridotte. Invece, con Ducati e Fila, ci si trova ad operare
con due tra i marchi italiani più vincenti nei rispettivi settori di appartenenza, ma che
comunque vogliono ancora crescere e migliorare; ecco perché la sponsorizzazione del
tipo descritto non trova approvazione. Durante gli incontri con il Dottor Cicognani e la
Dottoressa Amico, oltre ad aver appreso i motivi delle rispettive scelte e gli obiettivi
prefissati da entrambi prima dell’accordo, ho capito che per raggiungere i migliori
risultati possibili la sponsorizzazione deve comprendere molto di più rispetto a un
semplice scambio di prestazioni. Un conto è dare una denominazione teorica del
termine, un altro è la realizzazione pratica dello stesso; che si definiscano le iniziative a
sostegno della sponsorizzazione in primis come parte di essa, alla maniera del Dottor
Cicognani, o come co-marketing esterno, ma strettamente legato alla sponsorizzazione,
al modo della Dottoressa Amico, resta il fatto che il co-marketing abbinato alla
sponsorizzazione porta a risultati sicuramente maggiori rispetto a quelli che si avrebbero
con una sponsorizzazione tout-court. Ducati e Fila, infatti, oltre al loro contratto di
sponsorizzazione e ad alcune attività strettamente connesse ad esso come la presenza
dei piloti testimonial all’interno dei Fila Ducati store o le visite dei clienti Fila
all’interno dei box Ducati, hanno collaborato anche in altri modi: nell’ambito del Motor
Show di Bologna o durante il World Ducati Week event a Misano Adriatico, ad
esempio.
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L’attuazione della sponsorizzazione avrebbe potuto fermarsi ai primi interventi;
tuttavia, ulteriori possibilità di cooperazione, come quelle nominate, hanno sicuramente
rafforzato l’immagine e la partnership delle due aziende agli occhi del pubblico.
Concludendo posso affermare che le due figure di co-marketing e sponsorizzazione, pur
se con caratteristiche comuni e facilmente confondibili, rappresentano, invece, concetti
distinti. Inoltre possono esistere anche separatamente, ma trovano di certo la loro
migliore realizzazione se associate; questo succede in particolar modo per la
sponsorizzazione che, quando sostenuta da azioni esterne di co-marketing, diventa
maggiormente efficace sul piano economico, di immagine e visibilità.
Nessuna è migliore dell’altra, tutto dipende dagli obiettivi che i protagonisti si
prefiggono; certo insieme, se i mezzi e le risorse lo permettono, diventano un’arma
vincente.
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1.1 - DEFINIZIONE ED EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI
MARKETING
Tradurre efficacemente il termine marketing non è semplice: il verbo da cui esso deriva,
to market, significa “vendere”, “immettere sul mercato”. Da qui si può capire che
l’attività di marketing sia in qualche modo connessa alla vendita, ma questa definizione
risulta molto limitativa per un fenomeno altamente complesso.
L’uso del vocabolo preciso è piuttosto recente, sebbene la nascita del concetto risalga a
qualche decennio fa, tra il 1945 e il 1960. Durante il periodo post-bellico, il mondo
s’impegnava nella ricostruzione del paese e riscopriva l’economia di mercato e la libera
circolazione dei beni; questo generava lavoro, aumentava il reddito pro capite e creava
domanda.
In un tal contesto nascevano le prime definizioni di marketing, tra le quali una delle
migliori è quella formulata dall’American Marketing Association:“ il marketing è
l’esecuzione delle attività economiche che dirigono il flusso dei beni o servizi dal
produttore al consumatore o utilizzatore”.
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Questa definizione ci precisa molto bene
quale sia il fine del marketing, ma non specifica il perché di tal scopo, i criteri di scelta
del bene o servizio prodotto, i requisiti e quant’altro. Ovviamente non ci si può aspettare
una definizione completa in un momento che, rispetto alla scoperta della materia, viene
definito “pionieristico”. (tab. 1)
La fase successiva, quella “classica”, sembra aggiungere un concetto fondamentale
ovvero il ruolo centrale del consumatore, non più considerato un semplice oggetto
passivo (tab. 1); Robert J. Keith e Philip Kotler lo specificano nei loro articoli. Il primo
afferma che “ nel centro si trova il consumatore, non l’impresa. Nell’economia odierna,
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RALPH S. A. e altri, A glossary of marketing terms, American Marketing Association, Chicago, 1960,
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