2
I primi sono di più facile accertamento da parte di un giudice e,
quindi, uno stato di abbandono in questi casi risulta palese; mentre è
più difficoltoso rilevare le omissioni e spetta al magistrato valutare
fino a che punto queste siano gravi e possano comportare un
abbandono, dal momento che, molto spesso vi sono situazioni
incerte che creano dei veri e propri dibattiti in dottrina e
giurisprudenza.
Nell’impostare la presente ricerca ho tenuto in considerazione
soprattutto due criteri metodologici: la costruzione di tipologie che
classificano i diversi casi di abbandono e la correlazione tra
giurisprudenza e dottrina allo scopo di mostrarne le connessioni
arricchendone la problematica.
Per cercare di comprendere nella maniera più completa possibile il
problema dell’abbandono minorile, ho cominciato compiendo un
excursus storico che mi permettesse di sottolineare l’evoluzione
normativa dei diritti del minore e dell’istituto dell’adozione,
partendo dal codice del 1865 per arrivare fino alla recente legge
149 del 2001 che ha riformato la materia.
Questo si è reso necessario dal momento che l’evoluzione del
principio è avvenuta negli ultimi decenni ed è diventato il principale
criterio interpretativo di ogni norma riguardante la tutela del minore
e il diritto minorile in genere.
L’elemento centrale è il capitolo primo, dedicato al concetto di
abbandono, che può essere considerato l’aspetto più rilevante e
discusso di tutta la problematica adozionale, il nucleo dell’intera
disciplina. Il minore che si trova in stato di abbandono è un
soggetto che è privato dell’assistenza morale e materiale da parte
dei genitori in via definitiva o anche temporanea.
Sarà pertanto importante capire in che cosa consista tale mancanza
e osservare come dottrina e giurisprudenza abbiano contribuito nel
corso del tempo a definirne il significato e la portata.
Inoltre vi è anche un paragrafo dedicato al concetto di famiglia
“allargata” e al ruolo svolto dai parenti, perché se essi prestano al
minore l’assistenza necessaria, ciò comporta l’esclusione dello stato
di abbandono.
3
Un’altra causa impeditiva della dichiarazione dello stato di
abbandono, oltre all’assistenza da parte dei parenti, è la forza
maggiore.
Per la sussistenza di questa sono necessari elementi oggettivi e
contrari alla volontà dei genitori, che impediscono loro
l’adempimento dei doveri di assistenza verso i figli.
Se nel primo capitolo vengono analizzati in generale i presupposti
per dichiarare lo stato di abbandono e le cause che lo escludono, nel
secondo capitolo vengono affrontati alcuni casi particolari, degni di
nota, che richiedono per il giudice uno sforzo interpretativo
maggiore, data la loro ambiguità. Si tratta infatti di casi di non
facile soluzione che possono far propendere a volte per la
dichiarazione di adottabilità, mentre in altri casi, seppure simili, si è
invece lasciato il minore presso la famiglia di origine.
In particolare l’esame ha riguardato i casi di genitori
tossicodipendenti, nomadi, malati di mente, indigenti.
Per studiare meglio queste tipologie sono state analizzate molte
sentenze che poi sono state poste a confronto per cercare di capire
l’orientamento prevalente in giurisprudenza e la motivazione di
alcune decisioni.
Naturalmente, per ogni caso, vi sono stati anche dibattiti dottrinali
che hanno permesso di analizzare le situazioni da angolazioni
differenti, molte delle quali pertinenti e degne tutte della massima
considerazione.
Nel terzo capitolo, intitolato “ diritto alla famiglia e minori senza
famiglia”, ho voluto sottolineare principalmente, nel primo
paragrafo, l’importanza che la famiglia ha per ogni essere umano e
soprattutto il ruolo fondamentale che essa svolge all’interno della
società.
Un secondo paragrafo è stato dedicato alla contrapposizione fra il
diritto alla propria famiglia e l’istituto dell’adozione. Questi sono
concetti che in apparenza sembrano essere antitetici e che si
escludono a vicenda; ma le cose non stanno così, perché andando in
fondo al problema si scoprirà che entrambi mirano a raggiungere lo
4
stesso scopo e cioè tutelare nel miglior modo possibile l’interesse
del minore che può realizzarsi sia all’interno della famiglia
biologica, sia all’interno di una nuova famiglia che il minore
considererà come propria nel caso quella di sangue non ci sia più o
non sia in grado di svolgere adeguatamente le proprie funzioni.
Un ultimo paragrafo è dedicato al giudizio di meritevolezza che va
compiuto sulla famiglia del minore. Egli infatti non deve essere
solamente allevato e nutrito, ma deve godere anche di affetto,
tenerezza e amore per crescere in maniera serena.
Pertanto non basta che i genitori offrano al figlio una vita agiata,
per affermare che sono dei “bravi genitori”, ma devono innanzitutto
dare amore, affetto e comprensione che costituiscono l’elemento
essenziale per la vita di ogni bambino.
Infatti spesso un bambino preferisce crescere affrontando le
difficoltà tipiche di una vita con scarsi mezzi economici, piuttosto
che rinunciare al calore della propria famiglia che costituisce per lui
la ricchezza più importante.
L’ottica in cui si è inserita la legge sull’adozione è stata quella
delineata dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia dell’ONU, dove
si è sottolineato che il riconoscimento della dignità inerente ad ogni
membro della famiglia nonché l’uguaglianza e il carattere
inalienabile dei diritti corrispondenti sono le fondamenta della
libertà, giustizia e pace nel mondo.
È stato proclamato che l’infanzia ha diritto ad un aiuto e ad
un’assistenza particolari e pertanto la famiglia, “unità fondamentale
della società e ambiente naturale per la crescita e il benessere di
tutti i suoi membri e in particolare dei fanciulli deve ricevere la
protezione e l’assistenza di cui necessita per poter svolgere
integralmente il suo ruolo nella collettività”.
L’istituto dell’adozione ha , infatti, fatto proprio il principio
secondo cui “ il fanciullo ai fini dello sviluppo armonioso e
completo della sua personalità deve crescere in un ambiente
familiare in un clima di felicità, amore e comprensione”.
5
Questo principio serve ancora di più a capire come i minori abbiano
diritto a crescere non in una famiglia qualsiasi, ma in una che si
occupi pienamente di loro perché come afferma ancora la
Convenzione, all’art. 3, “nelle decisioni relative ai fanciulli, il loro
interesse deve essere in una considerazione preminente” perché,
data la loro particolare situazione, necessitano di una cura e
attenzione particolari.
6
CAPITOLO I
LO STATO DI ABBANDONO
Premessa: cenni sulla storia dell’adozione
Adozione è un termine già utilizzato nell’antichità tanto che, di
bambini adottati se ne parla già nella Bibbia e nella Storia di Roma.
Questo può far pensare che, quando nel linguaggio comune si parla
d’adozione, ci riferiamo ad un fenomeno sempre uguale e da
sempre esistito.
Ma così non è, anzi in certi periodi non c’è stata affatto.
Napoleone infatti l’aveva proibita, ritenendola una minaccia per
l’integrità e l’unità della famiglia legittima.
Solo chi non aveva figli e, nemmeno più speranze di averne, poteva
decidere di adottare.
Questa forma d’adozione, definita “negozio giuridico bilaterale di
Diritto familiare” era quindi un accordo privatistico simile ad un
contratto, perché per perfezionarsi, richiedeva lo scambio di
consensi delle due parti interessate (adottando e adottante).
L’aspetto affettivo veniva così messo in secondo piano e ciò che
rilevava era la possibilità di conservare il patrimonio e di poter dare
continuità alla stirpe per chi fosse privo di prole naturale.
1
Queste regole hanno avuto vigore per molto tempo anche in Italia
perché il codice civile Napoleonico ha fortemente influenzato le
nostre leggi.
L’adozione accolta dal Legislatore del 1865 era un’adozione
consensualistica fondata cioè sull’accordo che adottante e adottando
dovevano manifestare personalmente davanti al Presidente della
Corte d’Appello; l’adottato doveva essere ultra diciottenne;
1
L.FADIGA, L’Adozione, Bologna, 1999, p.7-8
7
l’adottante doveva avere un minimo di 50 anni, essere di almeno
18 anni maggiore dell’adottato e non avere figli propri. Appare
quindi chiara la finalità perseguita: permettere a chi non aveva figli
o, non poteva averne, di scegliere un erede a cui trasmettere nome e
patrimonio e di garantire che ciò avvenisse senza pregiudicare gli
interessi delle famiglie legittime.
Infatti, il nuovo rapporto si costituiva solo fra adottato e adottante.
La questione se una nuova famiglia potesse sostituirsi a quella
originaria non più esistente o non adatta alla cura dell’adottando
non si poneva neppure, tanto estranea era ai tempi l’idea che
potessero “recidere i vincoli naturali, facendo uscire una persona
dalla famiglia in cui la natura l’ha fatto nascere”.
2
Un primo mutamento dell’Istituto dell’adozione avvenne in
conseguenza alla drammatica situazione creatasi dopo il primo
conflitto mondiale.
Infatti il gran numero di minori orfani e abbandonati che la guerra
aveva “creato” portarono il legislatore ad emanare Norme
eccezionali a favore di questa categoria di soggetti, affermando il
principio, nuovo per allora, di tutela dei minori, e riconoscendo loro
il diritto a crescere in una nuova famiglia.
Il susseguente codice civile Italiano del 1942, in tema di Adozione
venne in parte influenzato dalla normativa speciale creata per
sopperire ai bisogni degli orfani e abbandonati in tempo di guerra in
parte rimase ancorato alla tradizionale considerazione dell’Istituto
quale mezzo di “perpetuazione ideale della stirpe e continuità della
famiglia”.
3
L’Adozione svolgeva quindi una duplice funzione: la prima di
consentire la soddisfazione dell’esigenza di chi, privo di eredi,
volesse trasmettere ad una determinata persona il proprio cognome
ed il proprio patrimonio; la seconda, di favorire l’accoglienza di
minori come figli e futuri eredi presso un genitore adottivo.
2
S.PICCININI, Il genitore e lo status di figlio, Milano, 1999, p.127
3
DOGLIOTTI, Affidamento e adozione, in trattato di Dir.Civ.e Comm.,CICU, MESSINEO,
VI, III, Milano, 1990, p.6
8
La scelta del Legislatore di attribuire la potestà all’adottante
comportava una parziale emancipazione del minore dalla famiglia
d’origine e l’adottato conservava con essa una relazione “allentata”.
La soluzione scelta dal Legislatore del 1942 fu per così dire
compromissoria consentendo di non eliminare totalmente i diritti
dei genitori naturali e contemporaneamente permettendo
l’instaurarsi di un rapporto più stretto col genitore adottivo da cui il
minore potesse trarre un’ampia tutela e la possibilità di realizzare la
propria personalità.
4
I profondi cambiamenti avvenuti nel corso del XX secolo hanno
portato alla necessità di revisione dell’Istituto dell’adozione e a un
ripensamento sulle problematiche dei bambini abbandonati e agli
interventi a cui ricorrere.
Inoltre l’entrata in vigore della Costituzione, ha comportato
principalmente un mutamento della realtà giuridica.
Infatti essa riconosce e stabilisce il diritto di tutti di sviluppare
interamente la propria personalità (e quindi anche il diritto dei
minori di avere le condizioni necessarie per il proprio processo di
crescita) all’art. 30 stabilisce che “nei casi di incapacità dei genitori
la legge provvede a che siano assolti i loro compiti”. Prima della
Costituzione l’ordinamento Italiano era volto alla tutela degli
interessi degli adulti, in quanto titolari di patria potestà e i diritti dei
minori non erano neppure presi in considerazione.
Si generò quindi tramite l’evoluzione scientifica e la mutata
sensibilità sociale verso i bisogni dei minori, un movimento
d’opinione che ben presto influenzò le forze politiche di allora e
sfociò nella Legge 5 giugno 1967 n° 431 sull’Adozione Speciale.
5
La Legge inseriva accanto alla vecchia Adozione (ordinaria) una
trentina di articoli destinati a modificare radicalmente la realtà
dell’Istituto.
4
S.PICCININI, Il genitore e lo status di figlio, Milano, 1999, p.124 – 128, p. 133 – 135
5
GRUPPO DI RICERCA SOCIALE, L’adozione del minore, Roma, 1981, p. 20 - 21.
9
Il concetto fondamentale affermato nella nuova legge era che il
bambino senza famiglia ha diritto ad averne una nuova.
“L’Adozione serve per dare una famiglia al bambino abbandonato e
non per dare un bambino a una coppia senza figli”.
La legge ha quindi spostato il centro di gravità dell’Adozione
dall’interesse dell’adottante a quello dell’adottato.
Vengono quindi dati ampi poteri agli organi giurisdizionali
nell’accertare lo stato di abbandono del minore; si applica il criterio
dell’imitatio naturae per offrire al minore una famiglia sostitutiva
in grado di sostituire al meglio la famiglia d’origine sia per
completezza di ruoli sia per età degli adottati.
Infine il minore acquista lo stato di figlio legittimo degli adottandi,
cessando i rapporti con la famiglia d’origine.
I quasi 16 anni di vigenza della Legge furono accompagnati da
appassionati dibattiti e contrasti.
L’intero procedimento venne ritenuto dalla dottrina
6
“farraginoso,
lento, macchinoso, talvolta troppo minutamente disciplinato e
talaltra profondamente lacunoso”.
Controverso soprattutto, era il problema della coesistenza tra
adozione ordinaria (il cui scopo era di trasmettere nome e
patrimonio) e adozione speciale (che invece mirava a creare un
nuovo vincolo familiare per un minore in difficoltà).
I contrasti, le lacune e le polemiche portarono ben presto il
legislatore al convincimento che fosse necessaria una riforma
radicale.
Così dopo solo 16 anni la riforma venne compiuta e sfociò nella
Legge 184/83 contenente la nuova disciplina sull’adozione ed
affidamento.
Venne per la prima volta elaborato il concetto di affidamento
familiare e, dato significativo, la sua regolamentazione venne posta
prima di quella dell’adozione.
Questo dato è rilevante dal momento che la coscienza sociale aveva
ormai elaborato il convincimento che i problemi del minore
dovevano essere risolti, se possibile, nell’ambito della propria
6
MORO, L’adozione speciale, Milano, 1976, p.145.
10
famiglia di sangue, soprattutto con l’aiuto e sostegno dei servizi
locali. Inoltre era chiaro che l’adozione non era più in grado di
rispondere al problema del disagio minorile: i servizi locali
tendevano a non segnalare situazioni di abbandono non
considerando la necessità di un intervento drastico, la procedura di
adottabilità era sempre più lunga e dall’esito incerto e questo
comportava gravi disagi per minore, anche psicologici, infine gli
istituti erano pieni di minori in stato di semi-abbandono, per la
maggior parte figli di emigrati, carcerati, indigenti.
La soluzione migliore a una situazione del genere apparve quella di
una famiglia aperta da affiancarsi temporaneamente a quella di
sangue.
Nello spirito della nuova legge, l’istituto dell’adozione si pone
come risposta successiva, necessaria solo nelle ipotesi in cui
l’intervento del servizio locale fallisca.
Altre modifiche apportate dalla nuova legge riguardano gli
adottanti che devono essere uniti in matrimonio da almeno tre anni,
la cui differenza di età rispetto all’adottato non potrà essere
inferiore a 18 anni né superiore ai 40.
Quanto invece all’adottando, la legge ha eliminato il limite degli 8
anni, consentendo finalmente l’adozione di tutti i minori.
7
Il 1° marzo 2001 il Parlamento ha approvato in maniera definitiva
la Legge dal titolo Modifiche alla Legge 184/83 (recante la
disciplina dell’adozione e affidamento dei minori) nonché al titolo
VIII del Libro I del Codice Civile.
L’Atto è divenuto la legge 28 marzo 2001 n° 149.
Essa si è inserita nell’alveo di norme che rivolgono sempre
maggior attenzione al minore, con lo scopo di preservarlo da ogni
pericolo che possa danneggiare la sua personalità e il suo sviluppo.
Le nuove disposizioni proclamano il principio del diritto del
minore ad avere una famiglia, nella quale crescere e formarsi, e che,
se possibile, dovrebbe essere quella di origine, principi già presenti
nella legge 184/83, ma qui ribaditi con grande forza.
7
P.CENCI, L’affidamento e l’adozione dei minori nella dottrina e nella giurisprudenza,
Milano, 1992, p.20-22
11
Ad essa sono state mosse notevoli critiche soprattutto per quanto
riguarda l’attuazione pratica di tali principi: gli esperti hanno
avanzato rilievi sullo scarso sostegno offerto alla famiglia naturale
per farle svolgere il suo ruolo educativo nel migliore dei modi.
Un’altra critica ha riguardato gli esiti poco soddisfacenti
dell’affidamento familiare che non ha offerto ai minori sicurezze ed
è stato spesso interpretato dalla famiglia affidataria quale preludio
all’adozione.
Altri rilievi hanno riguardato la differenza di età fra adottato e
adottando stabiliti dalla legge 184 ritenuti ormai superati (perché
oggi si diventa genitori tardi).
Altra questione dibattuta riguarda i rapporti fra famiglia d’origine e
adottiva.
Alcuni sostengono che tale rapporto vada troncato per garantire
una vita più serena alla nuova famiglia, altri sostengono che non si
possa cancellare dalla mente del bambino il suo passato.
La nuova legge si è quindi proposta di ovviare alla serie di
incongruenze della Legge 184/83.
La legge 149/2001 per sottolineare la “centralità” del minore ha
mutato in primis lo stesso titolo della l. 184/83.
È stato abbandonato il vecchio nomen “Disciplina dell’adozione e
dell’affidamento dei minori” ed è stato sostituito con il “Diritto del
minore a una famiglia” .
8
Si è data maggior tutela alla famiglia di sangue del minore proprio
in base al principio affermato nell’art 1: “il minore ha diritto di
crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia”.
La legge ha fatto propria l’istanza che il minore non venga sottratto
alla famiglia quando questa non sia in grado di provvedere
adeguatamente al suo mantenimento.
9
È stato infatti proclamato che la famiglia d’origine dovrà essere
sostenuta e incentivata con aiuti da parte degli enti locali per
superare le difficoltà.
8
A.FINOCCHIARO e M.FINOCCHIARO, Adozione e Affidamento dei minori, commento alla
nuova disciplina, legge 28 marzo 2001, n. 149, Milano, 2001 p. 11
9
C.M.BIANCA, La revisione normativa dell’adozione, in Familia, 2001, p. 525
12
Soprattutto Stato, Regioni ed Enti locali hanno l’obbligo di
intervenire “con misure specifiche atte a rimuovere le cause
economiche, personali e sociali che impediscono alle famiglie di
svolgere i propri compiti”.
La legge 184 aveva come principio ispiratore il superiore interesse
del minore, e il suo diritto a crescere nella propria famiglia e
affermava la concezione dell’adozione come seconda nascita.
Le modifiche apportate hanno voluto solo rafforzare tali misure per
evitare che ragazzi e ragazze finissero in Istituto.
10
Infatti la loro crescita sfociava molto spesso in comportamenti
delinquenziali con danni per la stessa collettività non avendo alla
base una “vera famiglia” in grado di educarli ad affrontare la realtà
della vita oggi via via sempre più complessa ed irta di difficoltà.
10
ERAMO, Manuale pratico della nuova adozione: commento alla legge 28 marzo 2001, n.
149, Padova, 2002, p. 19 - 21
13
1.1 L’art 8 nella legge 184/1983 e nella legge 149/2001
Il capo II del titolo III della legge n.149/2001 è dedicato alla
dichiarazione di adottabilità.
La disciplina per certi aspetti risulta fortemente innovativa rispetto
alle disposizioni della legge n.184/1983.
Le novità principali riguardano:a)il venir meno del carattere
ufficioso del procedimento;b)l’assistenza legale dei minori,dei
genitori o degli altri parenti fin dall’inizio del procedimento.
11
Per quanto riguarda lo stato di abbandono che legittima la
dichiarazione di adottabilità, non si rinvengono particolari
cambiamenti.
La scelta del legislatore del 1983 era stata quella di non definire in
maniera precisa e circostanziata quale fosse la condizione del
minore che si trovava in stato di abbandono;si era preferito adottare
una clausola generale in modo da lasciare al giudice la valutazione
più adatta al caso concreto che gli veniva presentato.
Così,anche la legge n.149/2001 non ha codificato la definizione di
abbandono in ipotesi specifiche nonostante tale richiesta fosse stata
mossa da più parti.
L’art 8 della legge 184/1983,come modificato dalla legge
n.149/2001, al primo comma stabilisce che ”Sono dichiarati in stato
di adottabilità dal tribunale per i minorenni del distretto nel quale si
trovano, i minori di cui sia accertata la situazione di abbandono
perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o
dei parenti tenuti a provvedervi, purchè la mancaza di assistenza
non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio”.
La sussistenza dell’abbandono è considerato quale elemento
indispensabile e da cui non si può prescindere per dichiarare
l’adottabilità di un minore.
11
Con il d.l. 24 aprile 2001, n. 150, è stato disposto che, fino all’emanazione di una specifica
disciplina sulla difesa d’ufficio nei procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità,
continuano ad applicarsi in materia le norme processuali anteriormente vigenti
14
La formulazione dell’art 8 nella legge 184/1983 faceva generico
riferimento al “minore in stato di abbandono”, mentre con la
riforma del 2001 si è precisato che la situazione di abbandono deve
essere “accertata”.
Tale scelta era necessaria considerando i due importanti interessi
che si contrapponevano: da una parte, la tutela della famiglia di
sangue e del relativo rapporto che da essa derivava; dall’altra, il
diritto del minore ad avere una famiglia “sostitutiva”quando la sua
non esisteva o non era in grado di prendersene cura.
L’art 1 della legge sull’adozione, sancisce, come punto principale, il
diritto del minore a crescere e ad essere educato nell’ambito della
propria famiglia di sangue; tuttavia ogni volta che questo diritto
appaia irrealizzabile si ripropone in maniera autonoma il valore
prioritario della tutela dell’individuo e la necessità che le ragioni del
sangue cedano all’esigenza oggettiva che l’individuo con
l’adozione sia inserito in un idoneo nucleo familiare.
12
Perché il tribunale per i minorenni possa dichiarare lo stato di
adottabilità, deve quindi sussistere la situazione di abbandono del
minore.
Questi deve cioè essere privo di assistenza morale e materiale da
parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi.
Il giudice nello svolgere la sua attività e nel prendere le relative
decisioni, deve tener presenti i principi fondamentali della
disciplina: la gradualità degli strumenti che ha a disposizione per
intervenire e la considerazione dell’adozione come extrema ratio.
L’adozione è, infatti, un istituto creato per dare una famiglia al
minore che ne è privo e non per offrirgliene una considerata
“migliore” secondo i parametri diffusi nella coscienza sociale.
13
12
G. SALITO, Della dichiarazione di adottabilità, in Le adozioni nella nuova disciplina,
legge 28 marzo 2001 N°149 a cura di AUTORINO, STANZIONE, Milano, 2001, p. 149-150
13
ERAMO, Manuale pratico della nuova adozione: commento alla legge 28 marzo 2001, n.
149, Padova, 2002, p. 19-21
15
1.2 Difficoltà della definizione di abbandono morale e materiale
L’adozione è un rimedio forte, è stato detto, un atto chirurgico.
Parlare dello stato di abbandono significa entrare nel cuore di
questa operazione o, meglio, significa entrarci un momento prima
per occuparsi della diagnosi del male che impone l’operazione.
14
La nozione di abbandono costituisce quindi l’aspetto più rilevante e
, forse anche quello più discusso, della disciplina dell’adozione.
Il termine abbandono, letteralmente inteso, è atto di lasciare,
gettare, trascurare; ed è questo il significato che la legge 149/2001
intende dargli e che individua quale presupposto per dichiarare lo
stato di adottabilità e la conseguente adozione di un minore.
Non è la prima volta che tale espressione compare in un testo
normativo: la legislazione assistenziale anteriore si riferiva piuttosto
frequentemente ai minori abbandonati, ma erano evidentemente
diversi gli effetti: il ricovero in istituto o, nella migliore delle
ipotesi, l’affidamento provvisorio ad un’altra famiglia
15
L’art 8 della legge 184/1983 come riformato dalla legge del 2001,
afferma che ci troviamo in presenza di una situazione di abbandono
nel momento in cui il minore è privo di “assistenza morale e
materiale da parte dei genitori e dei parenti tenuti a provvedervi”.
Il legislatore non ha voluto definire in maniera precisa e
circostanziata in cosa consista la situazione di carente risposta ai
bisogni del minore in cui si sostanzia la situazione di abbandono: ha
voluto adoperare una clausola generale o norma in bianco che
consenta all’interprete di valutare con maggiore aderenza alle
diverse realtà e ai particolari bisogni dei singoli minori le singole
situazioni sottoposte all’esame del giudice
16
, nonostante da più
parti sia stata richiesta una definizione più specifica della clausola
generale dell’abbandono, individuando almeno una casistica di
situazioni.
14
M. L. DE LUCA, Lo stato di abbandono, in Dir. Fam. e pers., 1989, p. 285
15
DOGLIOTTI, Affidamento e adozione, cit., p.113
16
MORO, L’adozione speciale, Milano, 1976, p.119