2
dominare la complessità del mercato, di essere in grado di
utilizzare le proprie cognizioni teoriche con creatività per poter
assumere sempre maggiori responsabilità decisionali; si richiede
inoltre di avere la capacità di “apprendere ad apprendere”, di
relazionarsi e di adattarsi all’innovazione continua.
«Imparare, per una persona adulta ed esperta che lavora in
un’azienda, implica, infatti, non solo acquisire sempre nuove
informazioni, ma anche mettere in gioco ruoli e identità
professionali, relazioni organizzative, percezioni e
atteggiamenti, sistemi culturali: e ciò esige un aiuto sistematico
e professionale». 4
La formazione manageriale, alla luce degli studi più recenti
sull’apprendimento adulto, ha necessità di tener conto che il
manager, inserito in un processo di apprendimento, è una persona
adulta, in un momento specifico del proprio sviluppo personale e
professionale, portatrice di esigenze in continuo cambiamento, e
dotato di una struttura consolidata di esperienze, conoscenze e
modelli mentali. Le metodologie formative più adatte alla nuova
realtà organizzativa, in continuo cambiamento, devono essere in
grado di “destrutturare i processi di apprendimento” in modo da
4
BRUSCAGLIONI M., «Testimonianza di una professione», in Professione
formazione, AIF Associazione Italiana Formatori (a cura di), Franco Angeli, 1989, p.
21.
3
accompagnare l’adulto che deve risolvere un problema, ad
abbandonare la logica che tende generalmente a far applicare
soluzioni già conosciute e sedimentate nell’esperienza.5 A tal fine
occorre garantire una partecipazione attiva del soggetto (learning by
doing) e una più ampia personalizzazione dei tempi e delle modalità
del processo di apprendimento, secondo le esigenze individuali
(apprendimento a distanza ed e-learning). Sempre nell’ambito degli
studi sull’apprendimento adulto,6 le teorie delle “intelligenze
multiple”,7 hanno suggerito alla formazione manageriale la
possibilità di valorizzare tutte le dimensioni della conoscenza
fin’ora non stimolate sufficientemente dalla metodologia
formativa tradizionale, di tipo prettamente cognitivo. Attraverso la
progettazione di percorsi formativi basati sull’esperienza (Action
learning e Outdoor training), vengono opportunamente stimolate
diverse dimensioni dell’apprendimento come l’intuito, la
sensibilità, la fantasia e la creatività.
Per meglio comprendere il cammino percorso dalla
formazione manageriale, nel Capitolo I di questo lavoro viene
proposta un’analisi storica dei differenti modelli di gestione e
5
RAGO E., L’arte della formazione. Metafore della formazione esperienziale, Franco
Angeli, Milano, 2004, p. 21.
6
Cfr. ad esempio i principi dell’andragogia di Knowles nel Cap. II.
7
Sul tema cfr GARDNER H., Multiple Intelligences: The Theory in Practice, Basic
Books, New York, 1993.
4
sviluppo delle risorse umane che si sono avvicendati in Italia, dal
secondo dopoguerra ad oggi.8 Tale percorso consente di tracciare
con maggiore coerenza uno “scenario attuale” della formazione
manageriale, così come esso si presenta attraverso
l’interpretazione dei dati emersi dalle più importanti ricerche del
settore.9
Nel Capitolo II vengono esplorate le teorie
dell’apprendimento adulto alla base delle “nuove metodologie
didattiche attive”. Le “metodologie attive” mutuano, infatti, dalle
teorie più recenti sull’apprendere in età adulta temi “rivoluzionari”
come la centralità del discente nel processo educativo, la
valorizzazione dell’esperienza, l’importanza del concreto
trasferimento delle competenze agite, e quindi acquisite, nel
contesto lavorativo attraverso una fase di
rielaborazione/comprensione delle metafore sperimentate
immediatamente successiva all’esperienza.
8
Cfr. BOZZO L., CARTOCCIO A., VARCHETTA G., «Cenni sull’evoluzione
dei principali strumenti per lo sviluppo e la gestione delle risorse umane
manageriali», in BUTERA D., IACCI P. (a cura di), La direzione del personale verso il
duemila, Edizioni Angelo Guerini e Associati, Milano, 1999 e MORELLI U.,
VARCHETTA G., Cronaca della formazione manageriale in Italia: 1946-1996. Retablo,
Franco Angeli, Milano, 1998.
9
Cfr. ASFOR (a cura di), «La Formazione Manageriale nell’Italia che cambia. Il
ruolo e le proposte di ASFOR», in Lettera Asfor, anno XIV n.1-2 gennaio giugno
2002. E cfr. BUSANA O. (a cura di), Le Corporate University in Italia. Una ricerca
ASFOR su 25 scuole interne di formazione, Franco Angeli, Milano, 2003.
5
Una delle strade più feconde fra le “didattiche attive” prese
in esame sembra essere quella dell’Outdoor traininig.
Nei capitoli III e IV, l’Outdoor training viene affrontato in
termini di logica, tecniche, e strumenti volti all’acquisizione di
specifiche competenze organizzative e relazionali attraverso
determinate “metafore esperienziali”, ovvero attività di “gioco”
svolte all’aperto e appositamente progettate per la formazione.
Il Capitolo V offre, infine, uno spunto di riflessione sulla
reale applicazione dell’Outdoor training in un contesto formativo
italiano. Vengono esposti, infatti, in questa sede, i risultati di una
ricerca empirica di tipo “qualitativo” svolta presso l’Ufficio
Orientamento e Sviluppo Professionale dello Stato Maggiore
dell’Esercito.
6
CAPITOLO I
LA FORMAZIONE MANAGERIALE
IN ITALIA
§ 1. L’EVOLUZIONE STORICA DELLA FORMAZIONE
MANAGERIALE IN ITALIA: UNA PREMESSA
NECESSARIA
Nel distinguere le due differenti leve dell’addestramento e
della formazione, di quest’ultima De Masi sostiene che:
«la formazione è l’attività che consente a chi la pratica di
arricchire le cose di ulteriori significati e arricchire le reti di
ulteriori relazioni. L’addestramento serve, invece, ad arricchire
il nostro bagaglio di tecniche ed il nostro bagaglio di norme.
[…] Grazie ad esso qualcuno che sa come si fa una certa cosa,
la insegna a qualcun altro che ancora non lo sa».10
L’analisi del percorso fatto dalla formazione nella seconda
7
metà del secolo scorso permette di riconoscere che il tema
dell’apprendimento permanente ha acquisito sempre maggiore
crucialità per l’esperienza lavorativa e organizzativa, e, in questo
contesto, le attività di formazione sono divenute la forma più
evidente per curarne la valorizzazione, percorrendo un’evoluzione
da una immagine di “dimensione apparente” ad una dimensione
costitutiva ed essenziale.11
Una prima fase del ruolo manageriale può essere identificata
con la struttura dell’organizzazione di tipo industriale,
metaforicamente rappresentata dalla “piramide e orologio”,12 in cui il
management era orientato prevalentemente all’esecutività e alla
perfetta sincronizzazione delle attività, in un contesto di
massimizzazione e centralizzazione produttiva. In questa prima
fase, la formazione dei dirigenti era rivolta prevalentemente alla
trasmissione di contenuti di tipo cognitivo e gestionale, centrati
sull’insegnamento dei principi dell’efficienza, della produttività e
dell’utilitarismo.
A partire dalla seconda guerra mondiale, anche le imprese
italiane hanno progressivamente assunto un nuovo assetto
10
Cfr. DE MASI D., «La formazione come nomadismo», in Next online Strumenti
per l’innovazione, p. 2, rivista on line all’indirizzo: http://www.nextonline.it
11
MORELLI U., VARCHETTA G., Cronaca della formazione manageriale in Itali:
1946-1996. Retablo, Franco Angeli, Milano, 1998, pag. 19.
12
DE MASI D. (a cura di), Verso la formazione post-industriale, Franco Angeli, Milano,
1993, p. 18.
8
definito come “post-industriale” riconvertendo la produzione
dell’industria bellica nella produzione dei primi beni a largo
consumo. In breve tempo, infatti, molti lavoratori vengono
assorbiti dall’emergente settore terziario, così come in massa, nella
prima metà del secolo, avevano abbandonato le campagne per
lavorare nelle fabbriche concentrate nei poli urbani. Nella fase
della ricostruzione la qualità della vita, la creatività, l’estetica,
l’etica e la progettualità, diventano valori sempre più importanti
anche nelle organizzazioni. Contemporaneamente il numero dei
manager nelle imprese cresce notevolmente e il sistema aziendale
assomiglia sempre di più alla “rete e organismo”13 dove prevalgono
fattori di decentramento, informalità, orizzontalità, discrezionalità
e leadership partecipativa.
Gli anni Ottanta, quelli, per intenderci, del benessere
economico, imprimono un’accelerazione ancora più forte alla
dinamica dei mercati. I nuovi bisogni che emergono da parti
sempre più consistenti della società, puntano
sull’autorealizzazione e sulla soggettività. La produzione si
focalizza sui beni di consumo immateriali, come le informazioni,
le idee ed i simboli. La tensione verso la quantità cede il posto
all’attenzione per la qualità e, ai ruoli dirigenziali, viene richiesta
con sempre maggiore insistenza la capacità di gestire l’impresa con
13
DE MASI D. (a cura di), Verso la formazione post-industriale, Franco Angeli, Milano,
1993, p. 18.
9
creatività. Ad essi si chiede di farsi promotori della creazione, oltre
che del profitto, anche di un giusto clima all’interno delle
organizzazioni, di un’atmosfera che agevoli la messa in atto di
tutte le potenzialità delle persone. In ambito formativo la ricerca si
interessa agli studi dei modelli cognitivi più vicini alle emozioni e
alle intelligenze multiple.14 La nuova metafora emergente è quella
dell’organizzazione “cervello e cuore15”.
§ 1.1. 1946-1957.
L’approccio “scientifico” all’addestramento
Nel periodo tra il 1946 ed il 1957 l’Italia esce da una guerra
disastrosa e affronta una crisi socioeconomica di proporzioni
enormi.16 Sono gli anni dell’avvio delle prime innovazioni
14
Cfr. GARDNER H., Multiple Intelligences: The Theory in Practice, Basic Books, New
York, 1993.
15
DE MASI D. (a cura di), Verso la formazione post-industriale, Franco Angeli, Milano,
1993, pp. 19-20.
16
Viene proposta una rilettura delle fasi storiche più significative della formazione
manageriale in Italia. Le informazioni sono tratte da uno studio di BOZZO L.,
CARTOCCIO A., VARCHETTA G., «Cenni sull’evoluzione dei principali
strumenti per lo sviluppo e la gestione delle risorse umane manageriali», in
BUTERA D., IACCI P. (a cura di), La direzione del personale verso il duemila, Edizioni
Angelo Guerini e Associati, Milano, 1999, (pp. 17-44) che analizza la reciproca
influenza tra lo sviluppo delle strategie di gestione delle risorse umane e
l’evoluzione delle metodologie formative. Un’altra fonte è la cronaca della
formazione manageriale in Italia dal 1946 al 1996 scritta da Morelli e Varchetta.
MORELLI U., VARCHETTA G., Cronaca della formazione manageriale in Italia: 1946-
1996. Retablo, Franco Angeli, Milano, 1998.
10
tecnologiche e meccaniche, supportate dalla cultura positivista e
dalla rinnovata fiducia nelle scienze. Il modello organizzativo è
quello di matrice statunitense e anglosassone,17 che vede l’uomo
come “variabile dipendente” inserito in rapporti parcellizzati e
legati alla specializzazione funzionale. Il management è occupato
negli aspetti pratico-organizzativi della ricostruzione che la
gestione delle risorse umane si rivolge praticamente ad assicurare
la disciplina ed il rispetto delle norme e a confermare il potere
della gerarchia e dell’organizzazione sull’individuo.
L’atteggiamento prevalente da parte delle risorse umane nelle
aziende è una sorta di consenso e accettazione diffusa di una
disciplina organizzativa severa, con esperienze di forte
accentramento decisionale e di esasperata gerarchizzazione dei
rapporti. Alcuni autori, infatti, identificano questa fase con una
metafora significativa: “A testa bassa”18.
Relativamente alla formazione della classe dirigente,
nonostante la distruzione bellica ed un forte ritardo culturale,
prendono avvio le prime esperienze di scuole di management
17
MORELLI U., VARCHETTA G., Cronaca della formazione manageriale in Italia:
1946-1996. Retablo, Franco Angeli, Milano, 1998, pp. 25-34.
18
BOZZO L., CARTOCCIO A., VARCHETTA G., «Cenni sull’evoluzione dei
principali strumenti per lo sviluppo e la gestione delle risorse umane manageriali»,
in BUTERA D., IACCI P. (a cura di), La direzione del personale verso il duemila,
Edizioni Angelo Guerini e Associati, Milano, 1999, pp. 17-44.
11
legate prevalentemente all’iniziativa industriale.19
§ 1.2. 1958-1974.
L’approccio centrato sulle “dinamiche di gruppo”
Fra la metà degli anni Cinquanta ed i primi anni Settanta il
Paese prosegue nella sua trasformazione verso un’idea di
progresso centrata sullo sviluppo dei consumi. La dimensione
onirica20 accompagna gli anni del boom economico, dello
sviluppo crescente dei consumi e dell’innalzamento della domanda
di urbanizzazione. Tutto si organizza intorno ad un’economia di
scala.
«La scuola delle human relations introduce nel mondo della
formazione l’interesse verso approcci e pratiche di analisi delle
dinamiche dei gruppo, incentrato sia sullo sviluppo delle
dinamiche relazionali dei team, sia sul rapporto fra l’individuo
e l’organizzazione che lo accoglie».21
19
Nel 1952, infatti, nasce l’IPSOA (Istituto Post-universitario per lo Studio
dell’Organizzazione Aziendale) sotto l’egida di alcuni fra i più rappresentativi
esempi dell’industria italiana: Fiat, Olivetti e Unione industriale di Torino cfr.
MORELLI U., VARCHETTA G., Cronaca della formazione manageriale in Italia: 1946-
1996. Retablo, Franco Angeli, Milano, 1998, pp. 25-34.
20
Gli autori chiamano, infatti, questa fase “Il sogno”. Cfr. BOZZO L.,
CARTOCCIO A., VARCHETTA G., op. cit., 1999, pp. 17-44.
21
Cfr. MORELLI U., VARCHETTA G., Cronaca della formazione manageriale in Italia:
1946-1996. Retablo, Franco Angeli, Milano, 1998, p. 37.
12
Ha inizio così un periodo di formazione manageriale molto
attento alla gestione del personale e alle attività di miglioramento
dei processi di produzione orientati alla qualità. Nascono nuove
forme di sviluppo delle competenze manageriali più radicate nella
realtà aziendale come il Counseling ed i Training Group.22
In questa prima fase di rinnovato interesse per la
formazione manageriale, le gradi “scuole” sembrano riconducibili
a tre grandi aree di iniziativa:
• l’iniziativa dell’azienda pubblica con le attività dell’ENI23,
dell’IRI ed altre;
• la costituzione di consorzi ed enti universitari a Torino,
Palermo e a Padova;
• l’avvio di attività sistematiche in qualche azienda privata, quali
l’Olivetti e l’Innocenti.
Se molti pongono una grande attenzione nel creare una
classe dirigente in grado di riconoscere nella “motivazione
umana” un fattore decisivo per la produttività, questo nuovo
approccio, nelle realtà organizzative, incontra le reticenze di una
22
Crf. MORELLI U., VARCHETTA G., Cronaca della formazione manageriale in Italia:
1946-1996. Retablo, Franco Angeli, Milano, 1998, pp. 35-46.
23
L'ENI opera in modo integrato nel petrolio e nel gas naturale, nella
petrolchimica e nell'ingegneria e servizi, dove detiene competenze di eccellenza e
forti posizioni di mercato a livello internazionale. L'Eni ricerca e produce petrolio
e gas naturale principalmente in Italia, in Africa Settentrionale e Occidentale, nel
Mare del Nord, in Cina, nei territori dell'ex Unione Sovietica e in quelli degli Stati
Uniti.
13
cultura aziendale ancora troppo radicata nella formula
“dell’innovare senza toccare le norme” e abituata ad una
concezione più vicina all’aggiustamento che al cambiamento.24
§ 1.3. 1975-1987.
L’approccio alla “managerialità di base”
Nel periodo tra il 1975 ed il 1987, a seguito di eventi di
carattere internazionale che hanno coinvolto l’intero mondo
capitalistico, tra i quali la crisi del dollaro e gli aumenti vertiginosi
del costo del petrolio, ha inizio in Italia una stagione di “tempeste
monetarie”, con aumento dei costi e inasprimento delle lotte
sindacali che hanno l’effetto di apportare profonde modificazioni
alle strutture economico-politiche delle organizzazioni. Il processo
di ristrutturazione dell’industria prevede come passi prioritari
l’ammodernamento dei grandi impianti, lo sviluppo della Piccola e
Media impresa ed il decentramento produttivo. “Servizio” e
“Qualità Totale”25 sono i temi attorno a cui si sviluppa una nuova
idea del business proveniente dal Giappone. Nell’ambito della
formazione manageriale, di conseguenza, si sviluppano nuove
24
Cfr. AIDP (a cura di), BUTERA D. e IACCI P., La Direzione del Personale verso il
Duemila, Guerini e Associati, Milano, 1999, p. 23.
25
Cfr. MORELLI U., VARCHETTA G., Cronaca della formazione manageriale in Italia:
1946-1996. Retablo, Franco Angeli, Milano, 1998, pp. 59-96.
14
esigenze che pongono, accanto al presidio della trasmissione di
saperi funzionali sempre più sofisticati, attività formative
specifiche inerenti i contenuti della “managerialità di base”, cioè di
quel bagaglio di competenze sia tecniche sia psicologiche
necessarie ai ruoli dirigenziali per dominare la complessità.
Hanno inizio così i primi tentativi di standardizzazione a
livello nazionale dell’educazione manageriale, con l’obiettivo di
qualificarne l’offerta e sviluppare una cultura di gestione più
matura. 26
§ 1.4. 1988-1993.
L’approccio centrato sulla “performatività di breve
termine”
In questo periodo la società italiana è impegnata ad avviare
una serie di cambiamenti profondi, primo fra tutti lo sforzo di
ristrutturazione dell’economia attraverso lo sviluppo del settore
terziario e l’avvio del processo di internazionalizzazione di alcuni
settori della produzione.27 Le aziende italiane, sfruttando le
26
BOZZO L., CARTOCCIO A., VARCHETTA G., «Cenni sull’evoluzione dei
principali strumenti per lo sviluppo e la gestione delle risorse umane manageriali»,
in BUTERA D., IACCI P. (a cura di), La direzione del personale verso il duemila,
Edizioni Angelo Guerini e Associati, Milano, 1999, pp. 17-44.
27
BUTERA D., IACCI P. (a cura di), op. cit., p. 38.