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Ad esempio in Francia nel 1884 il divorzio viene reintrodotto dopo
una assenza durata molti anni, mentre in Italia dei tentativi analoghi
non riescono ad avere successo. A questo proposito non si può
dimenticare la mobilitazione dei gruppi antidivorzisti soprattutto
attraverso le numerose petizioni cattoliche. Tra i firmatari molto
numerose sono le donne, per le quali il matrimonio rappresenta l’unico
mezzo di sistemazione, anche se è spesso imposto dalle famiglie ed è
quasi sempre un fallimento.
Il divorzio per la donna dell’800 rappresenta un mezzo di riscatto
e di rivendicazione dei propri diritti, ma la scelta di divorziare è
molto difficile e poche hanno il coraggio di intraprenderla. Comunque
è in questo periodo che nasce il femminismo come movimento sociale
e politico ed è in questo contesto che si comincia a discutere sul
ruolo della donna.
Il divorzio naturalmente rappresenta uno sconvolgimento non solo
per la donna, ma per tutta la famiglia e per l’intera società, essendo
ogni famiglia parte del corpo sociale: quindi il dibattito sul divorzio si
collega ad altri argomenti di discussione nell’ambito della società
ottocentesca senza restare circoscritto ai confini nazionali. Infatti
rivestono un notevole interesse anche le questioni che il divorzio
solleva a livello internazionale e che la giurisprudenza cerca di
risolvere.
Nell’intento di tracciare in maniera piuttosto esauriente il dibattito
ottocentesco sul divorzio, ho ritenuto necessario prendere in
considerazione prima di tutto alcuni testi di carattere generale sul
diritto di famiglia italiano nell’800, sulla donna, sul matrimonio nel
corso dei secoli. Poi sono passata ai testi di carattere generale sul
divorzio nel corso dei secoli e sulla sua regolamentazione in diversi
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settori(ad esempio ordinamento italiano, ordinamento straniero, diritto
canonico, ecc.). Infine, dopo aver delineato i confini del mio ambito di
lavoro, ho rivolto l’attenzione ai testi ottocenteschi sul divorzio e ad
alcune sentenze, quindi alla dottrina e alla giurisprudenza di questo
periodo, che mi hanno delineato compiutamente i principali argomenti
da trattare.
Il mio lavoro si divide in tre parti ed è corredato da una
appendice legislativa e giurisprudenziale.
Nella prima parte si analizza il divorzio in Italia, in Francia e in
altri paesi europei ed extraeuropei nel corso del XIX secolo.
Il primo capitolo è dedicato alla Francia, che rappresenta un punto
di riferimento per molti paesi. Prima di tutto la Rivoluzione francese
determina delle profonde modificazioni nella società, quindi il Codice
Napoleone rappresenta un modello per i codici di altri paesi e, per un
breve periodo, è presente anche in Italia.
La società dell’Ancien Regime è dominata dall’autorità e dai rigidi
principi della Chiesa, che in materia matrimoniale sostiene l’assoluta
indissolubilità e ammette il divorzio per ebrei e protestanti, riservando
ai cattolici la sola separazione personale. Il matrimonio è un giogo
che il cittadino ha il dovere di subire; non nasce dall’amore reciproco,
ma è determinato da convenienze politiche ed economiche. La
Rivoluzione afferma invece la necessità di rigenerare la famiglia e di
affidare allo Stato la regolamentazione del matrimonio e del divorzio;
inventa la coppia e respinge il matrimonio come alleanza tra due
famiglie. In particolare, i sostenitori del divorzio ritengono che
ammettere questo istituto significa affermare l’uguaglianza tra uomini
e donne e determinare la laicizzazione dello Stato e della società.
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Dopo la proclamazione del matrimonio come contratto civile, la
legge 20 settembre 1792 introduce il divorzio, che può essere chiesto
per una serie di cause determinate e per mutuo consenso. La
giurisprudenza cerca di limitare le disposizioni di questa legge troppo
liberale, mentre la Convenzione adotta due decreti che dettano
disposizioni ancora più estreme e vengono sospesi nel 1795.
Questo dibattito così acceso a livello legislativo non interessa però
tutta la popolazione: infatti il divorzio si diffonde soprattutto tra le
classi medie urbane, ma non nelle campagne, dove lo spirito della
discussione non riesce ad arrivare.
L’interesse dei giuristi su questo istituto comunque non diminuisce
e dopo una legislazione tanto indulgente nel concedere il divorzio si
sente il desiderio di riaffermare l’indissolubilità matrimoniale e
l’autorità paterna e maritale. Invece, con l’avvento di Napoleone al
consolato, il 30 marzo 1803 viene votata una nuova legge sul
divorzio. Questo, però, non è più considerato un bene, ma il rimedio di
un male; è prevista anche la separazione; sono ridotte le cause di
divorzio e il divorzio per mutuo consenso è fortemente limitato.
Questa legge suscita un vivo interesse e anche delle critiche: si può
ricordare ad esempio il commento di Melchiorre Gioia, che giudica le
cause incomplete ed inesatte e la procedura troppo lunga e critica la
mancanza della separazione consensuale.
Con la caduta di Napoleone e la Restaurazione, la religione
cattolica viene proclamata religione di Stato e le disposizioni del
codice sul divorzio sono abrogate l’8 maggio 1816. Negli anni
successivi si tenta di reintrodurre il divorzio, ma solo nel 1884 il
ministro Naquet vi riuscirà.
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Il secondo capitolo della prima parte ha ad oggetto il divorzio in
Italia. Alla fine del 1700 le legislazioni della famiglia negli Stati
italiani sono piuttosto statiche; le uniche misure innovative sono la
rivendicazione ai tribunali civili delle cause di separazione e la prima
introduzione del matrimonio civile in Italia nel 1784(estensione alla
Lombardia della patente austriaca del 1783). La famiglia a struttura
patriarcale, che garantisce alla donna una scarsa tutela, non è scalfita
dalla critica illuministica, più interessata al diritto successorio.
Questa situazione così statica viene scossa dall’avanzata dell’armata
francese: infatti vengono celebrati i primi matrimoni civili intorno agli
alberi della libertà, si verificano i primi casi di divorzio e si
affermano principi come il divieto del fedecommesso e del retratto. E’
molto forte però l’opposizione alla comunione dei beni tra coniugi e
al divorzio: ad esempio Melchiorre Gioia è accusato di propaganda
antireligiosa per la sua opera sul divorzio. Nonostante questo il Codice
Napoleone è applicato per alcuni anni in gran parte della penisola. La
novità più interessante è proprio il divorzio che si può chiedere per
adulterio della moglie, adulterio del marito accompagnato dal
concubinato, eccessi, sevizie e ingiurie gravi, condanna a pena infamante
e mutuo consenso, mentre la procedura è tale da diminuire la facilità
di divorziare. Alla famiglia patriarcale della tradizione settecentesca
italiana si sostituisce una famiglia intesa come insieme di persone che
si possono staccare da essa con il divorzio o l’emancipazione.
Tra i pochi che si occupano dell’istituto del divorzio in questi anni
non possiamo non ricordare ancora una volta Melchiorre Gioia,
personaggio impegnato nell’attività politica, studioso di economia,
statistica e filosofia, autore della “Teoria civile e penale del divorzio”.
Gioia ritiene che il matrimonio, come tutti i contratti, si deve poter
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sciogliere e crede che il divorzio può determinare un aumento dei
matrimoni, mentre il legame indissolubile favorisce le unioni fortuite.
Gioia propone una divisione delle cause di divorzio in fisiche e morali
e l’introduzione di un divorzio periodico perché, secondo questo
autore, la liberalizzazione del divorzio può portare una sua riduzione.
Con la caduta di Napoleone, i governi restaurati riabilitano le leggi
anteriori o mantengono il codice escludendo le disposizioni su
matrimonio civile e divorzio, tranne alcune eccezioni per ebrei e
protestanti; inoltre, viene riconfermata l’inferiorità della donna e la
difficile situazione dei figli.
Nel 1865 il Codice Pisanelli rappresenta un evento rivoluzionario
perché unifica per la prima volta il diritto civile. In particolare, nel
diritto di famiglia si introducono principi rivoluzionari accanto alle
tradizioni familiari italiane: viene affermato il principio separatista; è
riconosciuto il matrimonio civile e la separazione, ma non il divorzio.
Quest’ultimo non è introdotto, secondo Pisanelli, non per motivazioni
religiose, ma per considerazioni morali.
Negli anni successivi all’emanazione del codice l’attività legislativa
è quasi nulla, nonostante i temi di discussione siano molto interessanti.
Tra questi possiamo ricordare la precedenza del matrimonio civile su
quello religioso; il divorzio, oggetto di numerosi progetti di legge, ma
avversato da numerosi giuristi e dalla maggioranza della magistratura;
la condizione della donna sposata; e, infine, la ricerca della paternità.
Il terzo capitolo della prima parte vuole dare delle nozioni
essenziali sulla legislazione comparata, con dei brevi commenti di
alcuni giuristi italiani. Ad esempio, il codice belga, pur essendo la
maggioranza della popolazione cattolica, ammette il divorzio, adottando
come modello il codice francese; anche in Polonia il divorzio è
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ammesso; in Inghilterra e nel Galles il divorzio viene introdotto nel
1857, mentre prima di tale data è presente la sola separazione di
competenza dei tribunali ecclesiastici; in Germania una legge del 1875
introduce il matrimonio civile, il divorzio e la giurisdizione dei
tribunali civili; in Prussia il divorzio può essere ottenuto con eccessiva
facilità dato il notevole numero di cause; la stessa situazione è
presente anche in Svizzera; in Portogallo e Spagna è ammessa la sola
separazione; infine il divorzio è generalmente ammesso negli Stati
Uniti.
I giuristi italiani sono critici nei confronti delle legislazioni
prussiana e svizzera perché troppo indulgenti nel concedere il divorzio
e di quella inglese a causa delle spese troppo elevate della procedura;
i sostenitori del divorzio ritengono che la presenza del divorzio in
Belgio e in Polonia sia un valido motivo per introdurlo anche in
Italia; gli antidivorzisti si servono invece di alcuni dati statistici per
dimostrare che il divorzio facilita la corruzione e la dissoluzione dei
legami familiari.
La seconda parte è dedicata al divorzio in Italia dopo il 1865: è
infatti da questo momento che il dibattito su tale istituto si vivacizza.
A livello parlamentare si ricordano i progetti di Morelli, Villa e
Zanardelli. Il divorzio è in genere previsto per condanna di un
coniuge ai lavori forzati a vita e dopo alcuni anni di separazione.
In particolare, il progetto Villa del primo febbraio 1881 ammette il
divorzio per la condanna di un coniuge alla pena capitale o ai lavori
forzati a vita e dopo tre o cinque anni di separazione personale. In
particolare, essendo possibile chiedere la separazione per mutuo
consenso, questo progetto ammette anche il divorzio consensuale.
Relativamente alla procedura, affianca al presidente del tribunale anche
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un consiglio di famiglia, che ha il compito di tentare la conciliazione;
tra gli effetti, prevede il divieto del matrimonio tra coniuge adultero e
complice, il diritto del coniuge bisognoso ad una pensione alimentare
e la necessità di regolamentare l’affidamento e il mantenimento dei
figli. Nonostante le modifiche apportate dalla Commissione referente,
che interviene in particolare sulle cause e sulle disposizioni relative
alla prole, questo progetto non viene però approvato. In Francia, invece,
nello stesso periodo il ministro Naquet riesce nel suo intento: il
divorzio viene ammesso per adulterio, eccessi, sevizie o ingiurie gravi
e condanna a pene afflittive o infamanti, non per mutuo consenso.
Anche se il progetto Villa non ha successo in Parlamento suscita
comunque un certo interesse. Da una parte gli antidivorzisti ritengono
che questo progetto concede il divorzio con eccessiva facilità
(ammettendo addirittura il divorzio consensuale) facendo così prevalere
gli interessi individuali sul bene generale; dall’altra i divorzisti
ritengono invece il divorzio un freno alla decadenza della società e
criticano la Chiesa che rifiuta il divorzio non per motivi religiosi, ma
per non perdere il controllo sulla materia matrimoniale e, più in
generale, il potere temporale.
Dopo aver analizzato il dibattito parlamentare, è opportuno
esaminare i principali argomenti utilizzati per sostenere o respingere il
divorzio. I divorzisti sostengono che il matrimonio, come tutti i
contratti, si deve poter sciogliere e, quindi, passano ad elencare alcune
cause di rottura del vincolo matrimoniale: ad esempio l’adulterio, le
sevizie, eccessi e ingiurie gravi, la condanna di un coniuge
all’ergastolo. Il divorzio è un mezzo per limitare le intemperanze dei
coniugi e per moralizzare la vita coniugale, quindi è sicuramente
favorevole per i coniugi, mentre relativamente agli effetti sui figli le
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opinioni sono contrastanti. Infine i divorzisti affermano che il divorzio
non dovrebbe creare dei dissidi tra Stato e Chiesa: infatti, il divorzio è
un istituto di diritto civile, regolato esclusivamente dalle leggi dello
Stato, e, quindi, l’intervento della Chiesa può essere dettato solo da
motivi di convenienza politica.
Gli antidivorzisti invece affermano che il matrimonio è indissolubile
secondo l’ordine naturale per la perpetuità dei fini del matrimonio e
per la continuità dei bisogni all’interno della famiglia; secondo l’ordine
politico e civile perché l’unione della famiglia si ripercuote
positivamente sullo Stato e sulla società; infine secondo l’ordine
religioso perchè il matrimonio è una istituzione divina caratterizzata
dalla indissolubilità.
La seconda parte si chiude con i progetti di legge proposti da
Bianchi, Zamperini e Sanguinetti: il primo riassume in forma di
progetto le modifiche da apportare al progetto Morelli del 1878. Ad
esempio respinge il divorzio per cause troppo generiche e ritiene
necessario ammettere oltre al divorzio la separazione; il secondo
propone l’introduzione del divorzio limitato però a poche cause e
circondato da molte garanzie e prospetta l’istituzione di una Corte di
divorzio; il terzo ritiene necessaria sia una riforma del matrimonio che
del divorzio. Relativamente al divorzio, è interessante la proposta di
affidare la decisione definitiva e tutte le decisioni accessorie a tre
arbitri nominati dalle parti.
La terza parte ha ad oggetto una analisi piuttosto approfondita dei
temi del dibattito dottrinario e giurisprudenziale.
Molto si discute sulla scelta tra separazione e divorzio. Il Codice
Pisanelli infatti ammette la separazione giudiziale e consensuale,
mentre vieta implicitamente il divorzio. I sostenitori del divorzio
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ritengono che questa ha gli stessi difetti, ma non i vantaggi del
divorzio, come, ad esempio, la possibilità di contrarre un nuovo
matrimonio per i coniugi divorziati e, di conseguenza, la cessazione
dell’obbligo di mantenere il coniuge bisognoso da parte dell’altro; gli
antidivorzisti invece affermano che solo la separazione garantisce
l’indissolubilità matrimoniale e quindi l’unità della famiglia.
Riguardo alle cause di divorzio, alcuni ammettono il divorzio per
qualunque causa, mentre altri lo reputano ammissibile solo per
gravissimi motivi. In particolare, alcuni divorzisti ammettono il divorzio
per mutuo consenso solo se accompagnato da altri motivi, mentre altri
affermano che come il matrimonio si contrae perché c’è il consenso
degli sposi, così si può sciogliere quando questo viene meno.
Il divorzio produce degli effetti sulla famiglia, prima di tutto sui
coniugi. Si discute, ad esempio, sulla possibilità per il coniuge adultero
di sposare il complice; sulle conseguenze patrimoniali, come il
mantenimento del coniuge bisognoso da parte dell’altro; sul divorzio
come sostitutivo penale, cioè sul fatto che il divorzio può limitare i
delitti tra i coniugi. Naturalmente gli antidivorzisti ritengono che il
divorzio può solo accelerare le crisi matrimoniali e quindi l’incostanza
dei coniugi.
Un discorso a parte va fatto per la donna che in questo secolo
comincia a rivendicare, anche se piuttosto debolmente, una posizione
nella famiglia e nella società. Il divorzio è ancora una scelta difficile
e un rimedio estremo per la donna, per cui, in caso di scioglimento
del matrimonio, le si dovrebbero assicurare maggiori garanzie. Gli
antidivorzisti naturalmente ritengono che la donna si realizza
pienamente solo all’interno della famiglia e, in particolare, affermano
che non il divorzio, ma il Cristianesimo ha determinato il suo riscatto.
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Una ultima considerazione relativa agli effetti del divorzio sulla
famiglia riguarda i figli: il problema maggiore per loro è quello della
sistemazione morale, cioè dei rapporti con i genitori in seguito al
divorzio. Naturalmente i divorzisti ritengono preferibile il divorzio dei
genitori rispetto alla sopportazione delle continue liti familiari, mentre
gli avversari del divorzio ritengono che i figli possono sempre essere
un incentivo alla riconciliazione.
Al di fuori della famiglia, il divorzio determina delle conseguenze
sull’intera società: a chi ritiene che lo scioglimento del matrimonio
tramite il divorzio comporta la decadenza e la corruzione della società
si oppone chi sostiene che il divorzio non può che favorire la
moralità pubblica sciogliendo delle unioni che causano scandali e
disordini.
Infine bisogna ricordare ancora una volta che il divorzio interessa i
rapporti tra Stato e Chiesa dal momento che l’Italia è un paese a
maggioranza cattolica e la Chiesa ha sempre rivestito un ruolo di
primo piano. I divorzisti ritengono che il divorzio è un istituto di
diritto civile, regolato dalla legge civile, e, quindi, non determina alcuna
violazione dei principi della religione cattolica; gli antidivorzisti
affermano invece che l’attacco alla indissolubilità matrimoniale implica
l’attacco alla famiglia e alla moralità dei costumi.
L’ultimo capitolo è dedicato all’analisi del dibattito
giurisprudenziale. Prima di tutto, a livello di diritto internazionale, i
temi di discussione sono parecchi: si discute su quale legge si applica
al matrimonio e al divorzio dello straniero e su quali sono gli effetti
del cambiamento di domicilio e di nazionalità sulla legge regolatrice
del divorzio. In particolare, quasi tutti i giuristi sono concordi
nell’affermare che non dovrebbe avere effetto la naturalizzazione fatta
15
in frode alla propria legge nazionale che vieta il divorzio; ci si chiede
poi se uno straniero divorziato all’estero può contrarre un secondo
matrimonio in Italia, in particolare se prima era cittadino italiano.
Il dibattito giurisprudenziale si sviluppa comunque attorno a tre
questioni principali: si discute se i tribunali italiani possono
pronunciare il divorzio fra stranieri la cui legge nazionale lo ammette;
se le sentenze di divorzio fra stranieri possono essere dichiarate
esecutive in Italia; e, infine, se possono essere dichiarate esecutive le
sentenze straniere di divorzio di coniugi in passato cittadini italiani.
Tali questioni sono quasi sempre risolte positivamente dalla
giurisprudenza, che non ammette il riconoscimento solo quando la
pronuncia è parte di un procedimento posto in essere dai coniugi per
eludere fraudolentemente la legge italiana. Una eccezione è
rappresentata dalla sentenza 12 marzo 1884 della Corte d’Appello di
Ancona che è stata analizzata insieme ad altre sentenze chiamate a
risolvere le questioni elencate.
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PRIMA PARTE
I) IL DIVORZIO IN FRANCIA
I.1) IL PERIODO PRE-RIVOLUZIONARIO
A partire dal XVIII secolo ogni episodio rilevante della storia della
Francia
1
è accompagnato da una rimessa in discussione della
legislazione familiare.
Una legislazione sul divorzio troppo liberale è considerata un vero
attentato alla famiglia e alla religione. I primi studi sul divorzio
rivoluzionario con pretese scientifiche sono pubblicati in circostanze
ben precise. Siamo in piena campagna in favore del divorzio per
mutuo consenso e gli avversari mobilitano la storia per denunciare gli
effetti scandalosi di una tale legislazione. De Bonald accuserà il
divorzio rivoluzionario di aver permesso una poligamia successiva.
“Il primo dovere di un cittadino è di subire il giogo del
matrimonio”: questo dice Moheau nel suo “Ricerche e considerazioni
sulla popolazione della Francia” del 1778 rappresentando perfettamente
le strutture ideologiche dell’Ancien Regime. Circa dieci anni prima un
certo Philbert stende l’apologia di un istituto che incoraggia il
matrimonio, lo rende più casto e più fecondo, aumenta e migliora la
popolazione: questo istituto è il divorzio.
1
F. RONSIN, Le contrat sentimental. Débats sur le mariage, l’amour, le divorce, de
l’Ancien Régime à la Restauration, Paris, Aubier, 1990; R. BEAUTHIER, La paix des
familles, le secret intérieur des ménages et les régards de la justice. Causes de
divorce et relations personnelles entre époux en Belgique et en France au XIXe
siècle, in Revue Interdisciplinaire d’Etudes Juridiques, 28 (1992), pp.57-72; W.M.
REDDY, Marriage, honor, and the public sphere in postrevolutionary France:
séparations de Corps, 1815-1848, in The journal of Modern History, 65, 1993, 3,
pp.437-472.
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I divorzisti non sono nemici del matrimonio, ma di certi suoi
aspetti: ricordano che una ragazza non si sposa, ma “è sposata”, i
matrimoni della gente di qualità sono unioni politiche piuttosto che di
simpatia. Tutti gli osservatori sono unanimi nel denunciare la terribile
degradazione dell’istituto matrimoniale, tutti sono d’accordo
nell’affermare che tra gli aristocratici e l’alta borghesia il matrimonio
non è che una farsa immorale, mentre è considerato più seriamente
dalla classe rurale e dalla piccola borghesia artigianale e commerciale.
L’Ancien Regime non conosce che l’autorità, la rigidità dei principi, e
quelli del matrimonio sono i più forti. L’autorità suprema è la Chiesa.
La definizione del matrimonio è inclusa nel catechismo del Concilio
di Trento: “Il matrimonio è l’unione coniugale dell’uomo e della
donna che si contrae tra due persone capaci secondo la legge e che
le obbliga di vivere inseparabilmente, cioè, in una perfetta unione l’una
con l’altra “.
2
Questa visione si ritrova anche tra i giuristi laici: Pothier
parla di unione perfetta e inviolabile.
Nel Regno di Francia il divorzio è permesso a ebrei e protestanti,
ma non ai cattolici che sono la maggioranza della popolazione. A
questi ultimi è riservata la separazione personale che è ammessa in
caso di adulterio della donna e quando la coabitazione mette in
pericolo la vita di uno dei coniugi. Oltre alla separazione, si può
ricorrere all’annullamento o alle lettres de cachet che sono però una
forma ignobile di separazione.
2
Il principio della indissolubilità viene sancito l’11 novembre 1563. La separazione è
ammessa per fornicazione, maltrattamenti gravi, malattia contagiosa, incompatibilità
assoluta. In caso di adulterio e di delitto carnale contro natura la separazione è
perpetua, negli altri casi è temporanea. Lo scioglimento del vincolo matrimoniale si
ammette in due casi: professione di voti di un coniuge e conversione di un coniuge
al cristianesimo qualora al momento del matrimonio entrambi fossero stati infedeli.
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Il ristabilimento del divorzio è necessario, secondo i suoi
sostenitori, per la rigenerazione della vita familiare e quindi lo Stato
laico deve regolamentare con le leggi civili il matrimonio e il
divorzio. Anche i filosofi partecipano alla critica generale delle
pratiche e delle istituzioni matrimoniali: oscillano tra la celebrazione
dell’utopia delle attrazioni e delle unioni naturali e un pensiero pratico
che esclude ogni immaginazione. Il popolo francese all’alba della
Rivoluzione è quasi unanimemente indifferente alla legislazione sul
divorzio. Si può dire che la controversia su questo istituto è
essenzialmente religiosa.
Tra gli scritti sul divorzio, il più importante, completo, commentato
e criticato è il libro di Hennet “Sul divorzio”, opera del 1789. Tutti gli
scritti a confutazione delle tesi di Hennet hanno la particolarità di
presentare un’opinione cattolica che giustifica punto per punto le sue
posizioni. Hennet sottolinea che ai suoi tempi solo la Chiesa cattolica
ammette l’indissolubilità del matrimonio, non senza eccezioni: infatti la
Polonia, regno cattolico, ammette il divorzio. Inoltre, tra la maggioranza
dei cattolici l’indissolubilità è più tollerata che riconosciuta, esiste più
di fatto che di diritto. Una legge sul divorzio deve sancire prima di
tutto l’uguaglianza tra uomini e donne e poi deve prevedere come
cause di divorzio: la morte civile, la condanna a pena infamante, la
prigionia di lunga durata, la cattività, l’emigrazione, la sterilità, una
malattia incurabile, la demenza per i divorzi determinati; un crimine
qualunque, l’adulterio, il disordine estremo, l’incompatibilità di carattere
per i divorzi indeterminati. Sui divorzi indeterminati giudicherà un
tribunale di famiglia composto di sei parenti prossimi, il giudice
pronuncerà immediatamente una sentenza provvisoria di separazione, tre
mesi più tardi il tribunale di famiglia potrà produrre un nuovo atto