amministrativo”, la quale ha apportato significative modifiche al rapporto
tra cittadino e Pubblica Amministrazione.
Questa legge è costituita da 6 capi e contiene una disciplina generale dell’
azione amministrativa, riferendosi però soltanto al procedimento
amministrativo e non affrontando gli altri aspetti relativi all’ efficacia e
validità degli atti, nonché all’ esercizio dell’ autotutela. In linea al dettato
costituzionale dell’ art. 97, l’ art. 1 (Capo I – Princìpi) della Legge n°
241/1990 è rivolto ad improntare lo svolgimento dell’ attività
amministrativa a criteri di economicità, efficacia e pubblicità, mentre il
successivo art. 2 stabilisce il dovere in capo all’ Amministrazione
procedente di decidere con provvedimento espresso tutte le volte che il
procedimento consegua ad un’ istanza o debba essere iniziato d’ ufficio e di
concluderlo entro 30 giorni. Questa disposizione che avrebbe dovuto
accelerare i tempi dell’ azione amministrativa è purtroppo una norma
sussidiaria, per cui dato che la maggior parte dei procedimenti prevede
espressamente tempi di molto superiori non si è realizzata la volontà
consacrata dal legislatore
1
.
1.2 Obbligo di motivazione
Il Capo I si chiude con l’art. 3 che rappresenta la disposizione più
importante di tutta la legge. Esso, infatti, introduce per la prima volta un
generale obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo ed il
contenuto minimo della stessa. “Ogni provvedimento amministrativo” -
1
A tal proposito c’è da segnalare la recente emanazione della Legge del 12 febbraio 2005 n° 15 che,
introducendo novità nel settore della P.A., ha previsto la possibilità per il cittadino di rivolgersi
direttamente al giudice contro l’ inerzia dell’ Amministrazione, senza necessità di diffida all’
Amministrazione inadempiente.
2
dispone l’art. 3 – “compresi quelli concernenti l’ organizzazione
amministrativa, i pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato”.
Prima della Legge n° 241/1990, dottrina e giurisprudenza avevano
dibattuto a lungo sul problema della motivazione degli atti amministrativi
ed erano giunti alla conclusione che la Pubblica Amministrazione dovesse
rendere pubbliche e palesi le ragioni della sua pretesa e che il giudice
avesse la facoltà di sindacare nel merito e conoscere il modo in cui l’
Autorità Amministrativa valutasse gli interessi pubblici oggetto della sua
attribuzione. Fu la giurisprudenza francese a dare l’ impulso ad un intenso
studio che si sviluppò in tutta Europa, Italia compresa, che portò alla
individuazione di 3 funzioni fondamentali della motivazione: 1) strumento
di interpretazione dell’ attività amministrativa; 2) strumento per il controllo
dell’ attività amministrativa; 3) garanzia per il privato circa l’ operato dell’
Amministrazione. Ma se venne superato il problema riguardo l’ esistenza
della motivazione, si posero altra due questioni: quelle riguardanti la
“sufficienza” e la “congruità” della stessa. Infatti, per evitare il controllo
negativo del giudice, la P.A. procedeva a motivare con pagine e pagine di
scritti utilizzando illustrazioni lunghe e superflue e provocando solo un
appesantimento dell’ attività amministrativa. Giurisprudenza e dottrina
chiarirono che la sufficienza non era legata ad un limite quantitativo bensì
dipendeva dalla funzione propria dell’ atto amministrativo, mentre la
congruenza veniva intesa come assenza di richiami superflui o mancata
illustrazione dell’ iter logico-giuridico che ha condotto alla decisione dell’
Amministrazione. L’ art. 3 della Legge n° 241/1990 recepisce tali principi
nel secondo periodo del 1° comma ove dispone : “La motivazione deve
indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno
determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze
dell’ istruttoria”. Il terzo comma dell’ art. 3 legittima l’ uso della c.d.
3
“motivazione per relationem”, ossia il caso in cui la motivazione di un
provvedimento amministrativo sia contenuta in un altro atto. Parte della
dottrina sostiene che nell’ assunto “…deve essere indicato e reso
disponibile…” la legge impone in capo all’ Amministrazione l’ obbligo di
allegare sempre in un provvedimento l’ atto contenente la motivazione e
solo nel caso in cui ciò non fosse possibile indicare i modi per prenderne
visione. L’obbligo di motivazione degli atti impositivi costituisce
indubbiamente uno dei temi dell’ attività di accertamento tributario
maggiormente discussi e dibattuti negli ultimi anni, che assume una
speciale rilevanza in ragione della delicatezza della funzione assolta dalla
motivazione. La Legge n° 212 del 2000, recante il sospirato Statuto dei
diritti del contribuente, è da ultimo intervenuta sul problema con
disposizioni riguardanti la “chiarezza e motivazione degli atti tributari”, le
quali da un lato hanno ribadito principi già stabilmente acquisiti in materia
(apprestandone comunque un’ utile conferma) e dall’ altro lato, hanno reso
alcune importanti precisazioni su profili ancora controversi.
1.3 Responsabile del procedimento
Il capo II della Legge n° 241/1990 introduce un’ altra novità disciplinando
in maniera puntuale la figura e i compiti del responsabile del procedimento.
Si tratta di un dirigente di un’ unità organizzativa che assegna a sé o ad
altro dipendente poteri e responsabilità nello svolgimento dell’ attività
istruttoria ed eventualmente anche la competenza ad emettere il
provvedimento finale (art. 5, 1° comma). Tale norma dà piena attuazione al
principio della trasparenza dei pubblici uffici ribaltando la precedente
impostazione, basata su di una generale anonimia della Pubblica
4
Amministrazione. Il cittadino destinatario di un provvedimento o chiunque
vi abbia un interesse ha diritto di sapere il nominativo del responsabile del
procedimento che deve essere comunicato dall’ Amministrazione
contestualmente all’ emanazione dell’ atto o eventualmente su richiesta
dell’ interessato (art. 5, 3° comma). Il successivo articolo 6 indica
dettagliatamente le funzioni del responsabile del procedimento che
spaziano dall’ adempimento di obblighi derivanti da comunicazioni,
pubblicazioni e modificazioni previste dalle leggi e dai regolamenti (art. 6,
1° comma, lett. d) all’ utilizzo di poteri discrezionali in fase di istruttoria;
dispone l’art. 6, comma 1°, lett. a) “valuta, ai fini istruttori, le condizioni di
ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano
rilevanti per l’ emanazione dell’ atto”; lett. b) “accerta d’ ufficio i fatti,
disponendo il compimento degli atti all’ uopo necessari, e adotta ogni
misura per l’ adeguato e sollecito svolgimento dell’ istruttoria”. Inoltre,
ove prevista la sua competenza, il responsabile adotta il provvedimento
finale (art. 6, 1° comma, lett. e).
1.4 Partecipazione al procedimento amministrativo
Il capo III della Legge n° 241/1990 rappresenta un momento di attuazione
del principio di democraticità riconosciuto e garantito dalla nostra
Costituzione. Gli art. 8 e ss. riguardano la partecipazione del cittadino al
procedimento amministrativo e mira a due obiettivi: 1) ad instaurare un
contraddittorio con i soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale
è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono
intervenirvi (art. 7); 2) a semplificare l’ attività amministrativa stessa
attraverso accordi con gli interessati, intendendo per tali non soltanto i
5
destinatari finali del provvedimento, ma anche qualunque soggetto,
portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi
diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un
pregiudizio dal provvedimento (art. 9), al fine di determinare il contenuto
discrezionale del provvedimento finale (art. 10).
La partecipazione dell’ interessato al procedimento era già presente nel
nostro ordinamento all’ art. 3 della Legge n° 2218/1865 e prevedeva che, in
casi particolari, l’ Amministrazione decidesse con decreto motivato
“ammesse le deduzioni e le osservazioni per iscritto delle parti
interessate”, ma tale disposizione rimase priva di attuazione fino alla Legge
n° 241/1990. La partecipazione, adesso, viene intesa sia come strumento
per migliorare i rapporti tra Amministrazione e cittadino, sia come mezzo
per permettere all’ Amministrazione di effettuare le proprie scelte
valutando le ragioni degli interessati e sfruttando il loro apporto
collaborativo.
La partecipazione al procedimento amministrativo si basa su 4 punti :
1) l’ obbligo per l’ amministrazione procedente di dare, ove non
sussistano ragioni di impedimento, comunicazione dell’ avvio del
procedimento ai soggetti interessati, indicando l’ amministrazione
competente, l’ oggetto del procedimento promosso, l’ ufficio e la
persona responsabile del procedimento, l’ ufficio in cui si può
prendere visione degli atti (art. 8, 2° comma);
2) possibilità di intervenire a chiunque sia portatore di interessi pubblici
o privati, che potrebbe ricevere pregiudizio dall’ emanazione dell’
atto;
3) diritto per i soggetti che intervengono di prendere visione degli atti
del procedimento e di presentare memorie;
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4) possibilità per l’ Amministrazione di concludere accordi scritti con
gli interessati.
Ma la stessa legge, con riserva espressa, inserita all’ art. 13, esclude l’
applicazione di tali disposizioni agli atti normativi e amministrativi
generali, di pianificazione e di programmazione, nonché ai procedimenti
tributari. L’ esclusione dei procedimenti tributari dall’ applicazione delle
norme sulla partecipazione ha confermato, ancora una volta, la presenza di
una sorta di timore reverenziale del legislatore nei confronti della materia
tributaria. Anche in passato, infatti, non sono mancati episodi simili: a
titolo di esempio possiamo fare riferimento ad una legge, la n° 689/1981,
approvata più di vent’ anni fa che, introducendo una serie di principi
generali in tema di sanzioni amministrative, ha espressamente escluso (art.
39, leg. cit.) la materia tributaria dal campo di applicazione della disciplina
appena introdotta.
1.5 Semplificazione dell’ attività amministrativa
Il capo IV della Legge n° 241/1990 è intitolato “semplificazione dell’
azione amministrativa” e non riguarda tanto i rapporti tra cittadino e P.A.
quanto, invece, i rapporti fra le diverse Amministrazioni. Gli artt. 14-21
introducono alcune novità importanti, quali la conferenza di servizi (art.
14) e la disciplina dei pareri (art. 16). Questi due istituti hanno
notevolmente semplificato ed accelerato l’ attività amministrativa. Infatti,
la prima rappresenta un momento di incontro fra i rappresentanti di più
Amministrazioni coinvolte in uno stesso procedimento e consente una
maggiore rapidità nella determinazione del provvedimento finale; la
seconda introduce un termine entro il quale il quale il parere deve essere
7
comunicato (45 giorni) e prevede, in caso di inerzia, la facoltà dell’
Amministrazione richiedente di procedere indipendentemente dall’
acquisizione del medesimo.
In questo capo, però, trova spazio una disposizione, l’ articolo 18, che
riguarda ancora una volta il rapporto cittadino-Amministrazione, la cui
applicazione ha contribuito ad alleggerire gli oneri di natura burocratica
imposti al cittadino. Si tratta dell’ “autocertificazione”, istituto non nuovo
perché già previsto in una legge precedente, la Legge n° 15/1968, ma che
nessuno si era preoccupato di fare applicare. Infatti, l’ art. 18 al primo
comma impone alle Pubbliche Amministrazioni di attivarsi, adottando le
misure organizzative idonee a garantire l’ applicazione delle disposizioni in
materia di autocertificazione e di presentazione di atti e documenti da parte
di cittadini, per dare attuazione al disposto normativo della Legge n°
15/1968. Inoltre il secondo comma impone al responsabile del
procedimento di provvedere d’ ufficio all’ acquisizione degli atti che il
cittadino dichiari essere in possesso della stessa amministrazione
procedente o di altra pubblica amministrazione.
1.6 Il diritto di accesso ai documenti amministrativi
Il capo V della Legge n° 241/1990 contiene una serie di disposizioni nel
segno della trasparenza ed imparzialità dell’ azione amministrativa,
disciplinando l’ accesso ai documenti amministrativi. L’ art. 22 riconosce a
chiunque vi abbia interesse, per la tutela di situazioni giuridicamente
rilevanti, il diritto di accesso ai documenti amministrativi, secondo le
modalità stabilite dalla stessa legge. Questo significa che il diritto di
accesso rappresenta una situazione giuridica accessoria poiché occorre la
8
titolarità di un’ altra situazione giuridicamente rilevante; non deve
necessariamente trattarsi di un diritto soggettivo, ma non può consistere in
una situazione di mero fatto. Inoltre si tratta pure di una situazione
strumentale perché l’ esercizio del diritto di accesso fa conseguire al
titolare la conoscenza di fatti e situazioni altrimenti ignoti. Il 2° comma
dell’ art. 22 indica, in maniera puntuale, l’ oggetto del diritto, intendendo
per documento amministrativo “…ogni rappresentazione grafica,
fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del
contenuto di atti, anche interni, formati dalle pubbliche amministrazioni o,
comunque, utilizzati ai fini dell’ attività amministrativa”. Sono esclusi i
documenti coperti da segreto di Stato, nonché nei casi di segreto o di
divieto di divulgazione altrimenti previsti dall’ ordinamento (art. 23). L’
esame dei documenti, secondo quanto disposto all’ art. 25, è
completamente gratuito ed è prevista la possibilità di estrarne copia con
rimborso del solo costo di riproduzione, salve le disposizioni vigenti in
materia di bollo ed eventuali diritti di ricerca e di visura. Il diritto di
accesso ai documenti si esercita attraverso richiesta motivata rivolta all’
Amministrazione che ha prodotto il documento o che lo detiene
stabilmente. Tale richiesta dà l’ avvio ad un vero e proprio sub-
procedimento che può essere di due tipi: formale o informale. Il primo è
soltanto eventuale e viene attivato quando la richiesta informale non vada a
buon fine. Il procedimento informale, infatti, ha luogo in tutti i casi in cui l’
istanza presentata dall’ interessato sia suscettibile di accoglimento
immediato e non vi siano dubbi circa la legittimità del richiedente, la sua
identità o sulla accessibilità dei documenti (si pensi, ad esempio, a quelli
coperti da segreto di Stato) e la richiesta può avvenire anche verbalmente;
nel caso opposto, invece, il soggetto presenta un’ istanza formale la quale
darà inizio al procedimento di accesso che dovrà concludersi entro 30
9
giorni (art. 25, 4° comma) con la conseguenza che l’ eventuale silenzio
viene qualificato come rifiuto dell’ Amministrazione.
Il 6° comma dell’ art. 24 consente alle P.A. di differire l’ accesso ai
documenti richiesti quando ciò possa impedire o creare ostacolo all’ azione
amministrativa, ma in questo caso, come in quelli di rifiuto o di limitazione
all’ accesso, l’ Amministrazione deve comunicare la motivazione (art. 25,
3° comma). Infine, nel caso in cui nemmeno la richiesta formale venga
accolta dall’ Amministrazione, è stato previsto uno speciale procedimento
giurisdizionale (art. 25, 5° comma), da attivarsi nel termine di 30 giorni
dinnanzi al T.A.R. Nonostante la Legge n° 241/1990 qualifichi l’ accesso
come diritto soggettivo, la stessa legge attribuisce la competenza delle
controversie al tribunale amministrativo il quale decide in camera di
consiglio entro 30 giorni dalla scadenza per il deposito del ricorso, dopo
aver udito le parti. E’ data, inoltre, la possibilità di proporre appello al
Consiglio di Stato contro le sentenze del T.A.R. Infine, il giudice
amministrativo, nel caso in cui abbia accolto totalmente o parzialmente il
ricorso, può ordinare all’ Amministrazione l’ esibizione dei documenti
richiesti.
1.7 Applicabilità e problemi interpretativi della L. 241/1990 nella
materia tributaria
Abbiamo visto come la Legge n° 241/1990 sia una legge “generale” perché
detta principi applicabili in linea di massima a tutti i procedimenti
amministrativi. Non c’è dubbio che il procedimento tributario di
accertamento sia configurabile come un procedimento amministrativo e
come tale dovrebbe essere interamente soggetto alle disposizioni della
10
Legge n° 241/1990, salvo espressa deroga: è ciò che ha fatto il legislatore
quando ha escluso espressamente i procedimenti tributari dall’ ambito di
applicazione delle norme contenute nel capo III della legge medesima,
circa la partecipazione dell’ interessato al procedimento amministrativo e la
possibilità di instaurare un pieno contraddittorio con l’ Amministrazione,
anche al fine di concordare il contenuto del provvedimento finale. La
deroga contenuta al 2° comma dell’ art. 13 – “Dette disposizioni non si
applicano altresì ai procedimenti tributari per i quali restano parimenti
ferme le particolari norme che li regolano” – è esplicitata in maniera
chiara ed inequivocabile.
Al contrario, problemi di natura interpretativa ha destato la seconda deroga,
quella inserita al 6° comma dell’ art. 24, in tema di diritto di accesso ai
documenti amministrativi. Secondo tale disposizione “non è ammesso l’
accesso agli atti preparatori nel corso della formazione dei provvedimenti
di cui all’ art. 13”. Non si parla espressamente di procedimenti tributari,
ma sono richiamati, al solo scopo di individuare l’ ambito di esclusione
dalla disciplina sull’ accesso, i provvedimenti indicati all’ art. 13. I
problemi interpretativi nascono proprio dalla formulazione dell’ art. 24,
“…atti preparatori nel corso della formazione dei provvedimenti di cui all’
art. 13…” , che sembra non includere i “procedimenti tributari”, indicati al
2° comma dell’ art. 13. Infatti, se si analizza attentamente l’ articolo, si nota
che i provvedimenti a cui si fa riferimento sono quelli diretti ad emanare
atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di
programmazione. Quando, invece, si fa riferimento all’ esclusione della
materia tributaria il legislatore utilizza l’ accezione di “procedimenti
tributari” e non di provvedimenti. Detto ciò, è chiaro il problema
interpretativo che ne viene fuori: il diritto di accesso ai documenti
amministrativi, escluso per i provvedimenti di cui all’ art. 13, si riferisce
11
solo ai provvedimenti indicati al 1° comma oppure si riferisce anche alla
materia tributaria indicata nel 2° comma?
Prima di procedere ad una analisi più specifica delle varie soluzioni
proposte da dottrina e giurisprudenza, è necessario specificare quale sia l’
ambito della limitazione al diritto di accesso posta dal 6° comma dell’ art.
24. Riferendosi soltanto agli atti preparatori nel corso della formazione di
provvedimenti, il problema consiste nel riconoscimento o meno di tale
diritto durante l’ iter di formazione del provvedimento e non
successivamente, a provvedimento già emanato. Risulta così pacifico che al
contribuente venga riconosciuto un pieno diritto di accesso dopo la
conclusione dei procedimenti tributari di accertamento e che i problemi
interpretativi riguardano soltanto la fase in itinere, di formazione del
provvedimento.
Premesso ciò, le soluzioni che ci provengono da dottrina e giurisprudenza
sono spesso tra loro discordanti e quindi inidonee ad enunciare un criterio
certo per la soluzione del problema. Se si parte da un’ interpretazione
letterale del dato normativo, si giunge ad una chiara delimitazione dell’
ambito applicativo: l’ art. 24, infatti, esclude l’ accesso agli atti preparatori
dei provvedimenti indicati all’ art 13 e gli unici provvedimenti indicati
sono quelli di cui al 1° comma del medesimo articolo: atti normativi,
amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, che non
comprendono quelli di natura tributaria. Questi ultimi vengono richiamati
solo nel 2° comma attraverso un generico riferimento ai procedimenti
tributari e non ai provvedimenti. Secondo questa impostazione, sostenuta
da alcuni autori, la limitazione al diritto di accesso riguarda soltanto i
“provvedimenti” e quindi solo quelli indicati al 1° comma dell’ art. 13. L’
ovvia conclusione di tale ragionamento è che i soggetti destinatari di un
provvedimento di natura tributaria sono legittimati ad esercitare il diritto di
12
accesso così come disciplinato dal capo V della Legge n° 241/1990. Anche
il T.A.R. del Lazio
2
si è espresso in questo senso sostenendo che: “l’
articolo 24, sesto comma, della legge 241/1990, che esclude l’ accesso agli
atti preparatori nel corso della formazione dei provvedimenti di cui all’
articolo 13 fa riferimento al primo comma soltanto a provvedimenti
normativi o ad atti amministrativi generali, mentre al secondo comma
prende in considerazione soltanto i procedimenti tributari che sono, sul
piano logico e letterale, cosa ben distinta dai provvedimenti richiamati dal
sesto comma dell’ articolo 24”.
Sul punto in questione è intervenuta l’ Amministrazione Finanziaria che
con una circolare
3
ha ribadito l’ esclusione del diritto di accesso nella
materia tributaria. La tesi dell’ Amministrazione si basa: 1) su una lettura di
tipo sistematico del combinato degli articoli 24, 6° comma, secondo
periodo e 13, 1° comma; 2) sul riferimento all’ articolo 24, 6° comma
primo periodo, che riconosce in capo all’ Amministrazione il potere di
differire l’ accesso ai documenti quando ciò possa impedire od ostacolare
lo svolgimento dell’ azione amministrativa; 3) sul riferimento all’ articolo
24, 1° comma, che esclude il diritto di accesso per i documenti coperti da
segreto di Stato o da altri tipi di segreto, ad esempio quello istruttorio,
professionale o d’ ufficio. L’ Amministrazione Finanziaria ha voluto
evidenziare come, oltre al limite richiamato dall’ art. 24, 6° comma, nella
Legge n° 241/1990 siano presenti altre disposizioni che renderebbero
difficoltoso l’ esercizio del diritto di accesso nella materia tributaria; si
pensi, ad esempio, alla facoltà di differire l’ accesso quando questo possa
contrastare con lo svolgimento dell’ azione amministrativa.
2
T.A.R. del Lazio, sez. II, decisione n° 819 del 9 maggio 1995.
3
Circolare n° 49 del 13 Febbraio 1995.
13
Un’ altra parte della dottrina ha svolto ulteriori analisi, cercando di
prospettare soluzioni diverse. Svolgendo una lettura sistematica dell’ intera
legge, alcuni autori sono giunti alla soluzione opposta: quella dell’
esclusione del diritto di accesso nei procedimenti tributari. Questa dottrina
è partita dal presupposto che tutte le disposizioni contenute nel Capo III
della Legge n° 241/1990 si riferiscono al procedimento amministrativo e
non al semplice provvedimento. Infatti, gli art. 7 e 8, che disciplinano la
trasparenza nella fase iniziale, gli art. 9 e 10, la partecipazione dei soggetti
interessati alla formazione dell’ atto definitivo, ed infine, gli art. 11 e 12,
che riguardano la fase preliminare alla determinazione definitiva, fanno
riferimento allo svolgimento dell’ attività “amministrativa-procedimentale”
e non a quella finale, “decisoria-provvedimentale”. L’ art. 13, in questo
caso, esclude correttamente l’ applicazione delle disposizioni del Capo III
richiamando: 1) al 1° comma “…l’ attività diretta all’ emanazione di
atti…”, che equivale a parlare di procedimenti amministrativi; 2) al 2°
comma esplicitamente i procedimenti tributari.
Seguendo questo ragionamento, l’ articolo 24, 6° comma non pone più
alcun problema interpretativo, in quanto il legislatore ha voluto escludere l’
applicazione di una particolare disciplina a determinati procedimenti e lo
ha fatto richiamando l’ art. 13
4
. Quando il legislatore utilizza l’ espressione
“…atti preparatori nel corso della formazione dei provvedimenti di cui…”,
il riferimento è ai procedimenti amministrativi. Anche in questo caso, come
nell’ art. 13, utilizzare le parole “nel corso della formazione dei
provvedimenti” o parlare esplicitamente di procedimenti amministrativi è la
stessa cosa.
4
Recentemente sulla questione è intervenuto il Legislatore che con la Legge n° 15/2005 ha riscritto l’
articolo 24 ed ha escluso in maniera esplicita i procedimenti tributari dall’ ambito di applicazione.
14
La giurisprudenza amministrativa, occupandosi del problema del diritto di
accesso, ha prospettato soluzioni differenti. Anche il T.A.R. Emilia
Romagna
5
, così come il T.A.R. Lazio
6
, ha accolto la tesi del pieno
riconoscimento del diritto di accesso in materia tributaria poiché l’ articolo
24, 6° comma, rinvia soltanto al 1° comma dell’ articolo 13, nel quale sono
indicati alcuni provvedimenti amministrativi ma non quelli tributari. La
materia tributaria è richiamata dal legislatore soltanto nel 2° comma dell’
articolo 13 con il solo scopo di sottrarla all’ applicazione delle norme sulla
partecipazione contenute nel capo III, mentre il diritto di accesso è
disciplinato nel capo V.
Queste soluzioni prospettate dai T.A.R. sono state costantemente ribaltate
dal Consiglio di Stato il quale ha adottato la linea di esclusione della
possibilità di esercitare il diritto di accesso nella materia tributaria,
utilizzando le stesse argomentazioni della dottrina che si è espressa in tal
senso. Secondo l’ analisi sistematica del Consiglio di Stato tanto l’ articolo
13 quanto l’ articolo 24 hanno il medesimo oggetto, in quanto entrambi
vogliono limitare l’ applicabilità di taluni principi generali della Legge n°
241/1990 per determinate categorie di procedimenti amministrativi. La
posizione assunta dal Consiglio di Stato ha spinto molti autori ad effettuare
un’ analisi critica sulle argomentazioni proposte dalla giustizia
amministrativa. Tra tutti spicca La Rosa
7
, il quale sostiene che i giudici
amministrativi, nel momento in cui riconoscono il diritto di accesso
soltanto dopo la notificazione dell’ avviso di accertamento, non prendono
in considerazione il fatto che l’ atto di accertamento è una conseguenza
soltanto eventuale dei controlli fiscali. Allora in tutti quei casi in cui
5
T.A.R. Emilia Romagna, decisione n° 527 del 28 settembre 1994.
6
T.A.R. Lazio, decisione n° 819 del 9 maggio 1995.
7
La Rosa, Accesso agli atti dispositivi di verifiche fiscali e tutela del diritto alla riservatezza, in Riv. Dir.
Trib. 1996, II, 1119 e ss.
15