osserva la scena con il cinico distacco di un adulto: ora è dentro all’azione,
ora ne è fuori.
Accade perfino che egli contraddica quanto affermato dalla narrazione in
precedenza, che cambi opinione a metà paragrafo; a volte, si ha quasi la
sensazione che lui scopra l’evolversi dell’azione insieme al lettore.
Secondo Ann Yeoman, Townsend non ha tutti i torti quando afferma che
tutti conoscono Peter Pan e che il romanzo del 1911 beneficia della
commedia del 1904; nello scrivere il romanzo, Barrie non inventa un
personaggio ma scrive di una figura esistente già da sei anni, con una
propria vita nell’immaginazione del pubblico di teatro.
Il compito di Barrie è quello di catturare tanto la crescente popolarità del
mito di Peter Pan come fiction
5
, quanto l’essenza del mito classico del
fanciullo, immortale ed eterno, rappresentato da Peter Pan come
personaggio.
Non stupisce perciò la prolungata resistenza opposta dallo scrittore a
scriverne il romanzo, come non stupiscono i continui cambiamenti da lui
apportati al copione e soprattutto al finale, di produzione in produzione, e
la segretezza circa il risultato finale della storia durante la prima
produzione nell’anno 1904.
Fino a prova contraria, il teatro sembra il luogo d’espressione migliore per
Peter rispetto alla carta stampata, poiché è nel teatro che le sue improvvise
apparizioni e sparizioni si manifestano al meglio.
Traendo ispirazione tanto dalla favola quanto dal mito, Barrie non inserisce
l’azione del suo romanzo in un tempo mitico (il tradizionale “c’era una
volta”) ma la colloca in un tempo, un luogo (viene specificato il numero
civico dell’abitazione, il 14) ed una famiglia (i Darling) specifici,
conferendo quasi un senso di normalità (“All children (..) grow up…”
6
)
alla storia tanto da far pensare ad una “domestic “nursery” story”
7
.
Barrie, inoltre, per tutta la durata della narrazione, sembra diviso
nell’indecisione se la storia debba avere un eroe o un’eroina, o addirittura
entrambi, e da quale parte schierarsi tra il mondo di Neverland e Londra,
ossia l’immaginario ed il mondo reale.
5
Ibidem, p. 82
6
J. M. Barrie, Peter Pan, illustrated by Nora S. Unwin, London, Hodder & Stoughton, 1956, p. 9
7
Ann Yeoman, Now or Neverland, Peter Pan and the Myth of Eternal Youth, Toronto, Inner City Books, 1998, p. 82
Sebbene manchi della piattezza tipica della fairy story (che si manifesta
nell’invariabilità della caratterizzazione e della descrizione insieme
all’obiettiva semplicità), in molti modi la struttura del romanzo di Barrie è
simile a quella di un racconto tradizionale: Neverland e la Londra
edoardiana, per esempio, rappresentano due realtà differenti, come accade
anche nei racconti tradizionali:
the conscious, familiar, mundane world, in which a problem or missing
value is evident, and the magical world indicative of the unfamiliar and
unconscious, which nonetheless harbors the means to resolve the initial
problem and restore the lost value.
8
Solitamente il movimento dalla realtà mondana al regno magico avviene
bruscamente, all’inizio della storia, poiché l’eroe (o l’eroina) è
generalmente inconsapevole dell’esistenza (e della potenza) dell’inconscio,
e ne cade involontariamente vittima. Consuetudine vuole che il movimento
sia da questo mondo (la realtà) verso l’altro (regno dell’inconscio); nel
caso di Peter Pan, invece, succede il contrario, con l’improvvisa
apparizione di Peter (l’inconscio) nella stanza dei ragazzi (la realtà).
Tradizionalmente con lo svilupparsi della vicenda, l’unfamiliar diventa
sempre più familiare poiché l’eroe/eroina impara ad affrontare la
singolarità dell’altro mondo, sostenuto dall’aiuto di creature magiche, fino
a stabilire un ponte, un collegamento tra i due regni.
Nella fantasia infantile di Barrie i due mondi sono uniti grazie a Peter Pan,
la sua polvere fatata ed il magico potere di volare, anche se per la presenza
nel racconto delle fate e della polvere fatata bisogna risalire alla mitologia
celtica, verso cui Barrie è debitore.
Dal punto di vista strutturale, l’interesse della fantasia letteraria moderna
per realtà alternative ha la sua radice nella fairy story. Molte volte, inoltre,
la realtà alternativa è esplicitata apertamente nella creazione di un
secondary world
9
(come avviene nella narrativa scientifica ed utopica).
8
Ibidem, p. 83
9
Ibidem, p. 84
A prima vista, il secondary world di Barrie, Neverland, può sembrar
appartenere alla tradizione dei Christian fantasists
10
come George
MacDonald, Tolkien e C. S. Lewis ed è ovvia la tentazione di cercare di
tracciare dei paralleli tra Neverland, la Terradimezzo e Narnia.
Effettivamente Neverland si delinea come un paradiso per l’infanzia ricco
di avventure, gioia e giovinezza che sembra promettere la grande fuga dal
primary world
11
, dalla realtà propria degli adulti.
Tuttavia, questo luogo non si presenta come una soddisfacente allegoria
del messaggio cristiano poiché, oltre ai riferimenti pagani più o meno
espliciti fatti da Barrie, ad una più attenta lettura, si scopre che a Neverland
hanno luogo un susseguirsi di violenze ed intrighi e l’unico elemento
minimamente morale è il continuo riferimento ad una “good form” o “fair
play”
12
su cui insistono sia Hook che Peter.
Tra l’altro, quando, verso la fine, il ciclo dell’azione è apparentemente
spezzato dalla sconfitta di Hook da parte di Peter, non si realizza una
simbolica risoluzione e non vi è neppure l’aspettativa di una redenzione
per mezzo della vittoria finale dell’etica cristiana.
Più semplicemente: Hook viene divorato dal coccodrillo, i pirati o sono
morti o fuggono, gli indiani sono brutalmente massacrati, i bimbi sperduti
tornano insieme a Wendy nel mondo degli adulti mentre Peter Pan rimane
da solo, intrappolato nella sua sempiterna ragnatela della finzione, che
conferma l’impressione di Wendy durante il loro primo incontro: “Wendy,
however, felt at once that she was in the presence of a tragedy.”
13
Sempre secondo la Yeoman, Barrie impiega la sua fantasia di ragazzo
come strumento per contestare le usanze collettive e le idee tradizionali di
ciò che è ritenuto reale, proponendo come alternativa immaginaria
Neverland, contrapposta alla realtà dell’Inghilterra edoardiana.
Certamente, lo stratagemma dei due mondi contrapposti permette
all’autore di usufruire di una struttura con cui perseguire una critica di
stampo politico o morale; a tal proposito, vi è una nutrita tradizione
10
Ibidem, p. 85
11
Ibidem
12
Ibidem
13
J. M. Barrie, Peter Pan, illustrated by Nora S. Unwin, London, Hodder & Stoughton, 1956, p. 32
letteraria di questo particolare uso della fantasia, di cui Barrie fu
sicuramente a conoscenza e da cui fu influenzato.
Tuttavia, lo sforzo satirico che emerge nella narrazione è in realtà molto
debole rispetto all’interrogarsi dell’autore circa la natura del reale e
dell’immaginario, del sogno e dell’immaginazione, l’esperienza cosciente
e la realtà di una psiche incosciente.
Attraverso le domande sul confine tra il reale e l’immaginario, Barrie
schiera la sua narrativa con il genere del Romance
14
; il genere del Romance
si occupa dell’eroe alla ricerca della propria identità e del senso di se (sia a
livello interiore che esteriore) che si trova ad affrontare due mondi opposti,
rappresentanti rispettivamente il noto e l’ignoto, tracciando così un
parallelismo con il mito e la favola.
Analizzando più approfonditamente il testo, si può evidenziare come il
“Romance concerns “man’s vision of his own life as quest”, the outer
journey standing as a metaphor for the inner”
15
, conseguentemente, il
Romance e il fantasy (il suo equivalente moderno):
have as much to do with individual identity and the protagonist’s
achieving a secure sense of being in the world as with the desire (..) to
change givens and alter reality
16
14
c’è da sottolineare, inoltre, come la moderna fantasia letteraria può essere vista come la continuazione del Medieval
Romance, sia dal punto di vista tematico che strutturale, Ann Yeoman, Now or Neverland, Peter Pan and the Myth of
Eternal Youth, Toronto, Inner City Books, 1998, p. 86
15
Ibidem
16
Ibidem
c) La sindrome di Peter Pan (pp. 130-133)
PETER. Would you send me to school?
MRS. DARLING (obligingly). Yes.
PETER. And then to an office?
MRS. DARLING. I suppose so.
PETER. Soon I should be a man?
MRS. DARLING. Very soon.
PETER (passionately). I don’t want to go to school and learn solemn
things. No one is going to catch me, lady, and make me a man. I want
always to be a little boy and to have fun.
17
Una lettura accurata e meditata della versione originale del play di Barrie
può aprire gli occhi su un’agghiacciante realtà: Peter Pan è in verità un
personaggio molto triste.
La sua vita è piena di contraddizioni, conflitti e confusione, il suo è un
mondo ostile ed inarrestabile; nonostante tutta la sua allegria, lui è in realtà
un ragazzo pieno di problemi che vive in un’epoca ancor più problematica.
Egli è infatti prigioniero nell’abisso fra l’uomo che non vuole diventare ed
il ragazzo che non può più essere.
All’insaputa di molti genitori e di coloro che li amano, moltissimi ragazzi
stanno inconsapevolmente seguendo le orme di Peter Pan; i ragazzi
(maschi, soprattutto) di oggi vivono in un’epoca difficile e di questo ne
soffrono immensamente e per questo rifiutano di voler crescere.
Il diventare uomini li terrorizza, per questo si affrettano ad unirsi ai ranghi
dei Lost Boys; alcuni di loro riescono a superare le loro paure e ad
abbandonare la legione, molti altri, però, si arrendono ai loro timori.
Il loro desiderio è quello di fare tutto il possibile per rimanere come sono:
ossia, dei bambini che non vogliono crescere.
Dan Kiley, comunque, riconosce che tutti, prima o poi nella vita, hanno
desiderato ciò: “It’s perfectly normal to sprinkle a little magical dust on
your head, especially during your younger days. Then you can fly away to
Never Never Land by joining your pals”
18
.
17
J. M. Barrie, The Plays of J. M. Barrie, London, Hodder & Stoughton, 1936, [V, ii], p. 88
18
Dan Kiley, The Peter Pan Syndrome, Men Who Never Grow Up, New York, Avon Books, 1984, p. 25
L’importante, questo è il monito del dottor Kiley, è di far ritorno da Never
Never Land quando è il momento di “deal with the real world”
19
, poiché la
realtà neutralizza i poteri della polvere magica; questo è pertanto un invito
a tutti i genitori, insegnanti (o altri adulti interessati) ad aiutare il fanciullo
ad affrontare la realtà.
In questo modo, gli effetti di Peter Pan e della sua legione svaniranno
presto, lasciando semplicemente un bel ricordo; se invece i bambini
faranno il loro ingresso nell’adolescenza in pieno perseguimento
dell’eterna giovinezza, si svilupperanno grossi problemi (soprattutto a
livello psicologico e sociale) man mano che la realtà si offusca sempre più
ai loro occhi.
La maggior parte di loro sono incapaci di esprimere i propri sentimenti, di
conseguenza, abbondano sentimenti d’isolamento e fallimento quando si
scontrano con una società che dimostra poca (o nulla) pazienza nei
confronti di adulti che si comportano come dei bambini.
But these people see no reason why they should feel so bad. Viewing the
problem as temporary, they do their best to forget about it. Needless to
say, it gets worse. Because the problem mirrors the fictional life of a
classical hero
20
In base a queste considerazioni, Dan Kiley arriva ad etichettare
quest’attitudine con il nome di sindrome di Peter Pan (the Peter Pan
Syndrome – abbreviata in PPS) che ha le sue radici nella prima infanzia,
tuttavia non arriva a manifestarsi fino alla pubertà (verso gli 11-12 anni,
circa) per terminare verso i 24 anni, periodo in cui i giovani si sono
stabilizzati nella vita adulta (Kiley chiama questo periodo “Coming of
Age”
21
).
Per analizzare meglio la PPS, Dan Kiley la immagina come una
costruzione tridimensionale composta da sette blocchi, ciascuno dei quali
19
Ibidem
20
Ibidem, p. 26
21
Ibidem, p. 40
corrisponde ad un sintomo fondamentale della sindrome (o
“cornerstone”
22
).
Dai 12 fino ai 18 anni, sono quattro i sintomi che si sviluppano nei maschi
che si dedicano al perseguimento dell’eterna giovinezza, ognuno dei quali
è il prodotto dello stress che la società moderna esercita sulla famiglia e, in
ultima analisi, sui giovani.
Dai 18 ai 22 anni, emergono altri due sintomi, entrambi incentivati dai
quattro sintomi iniziali (in particolare dal sex role conflict
23
); questi due
blocchi sono definiti “intermediari” e hanno come conseguenza di
rinsaldare il problema e preparare il terreno per il periodo di crisi.
Un ultimo blocco va ad aggiungersi sopra i due intermediari, questo è
appunto il periodo di crisi della PPS; si verifica quando i sei sintomi
convergono fino a causare nella vittima una impotenza sociale tale da
compromettere la sua futura felicità.
Durante questo periodo, il giovane uomo deve fare i conti e risolvere i
molti anni di “magical thinking” e “marginal ego development”
24
, se
fallisce in quest’impresa, è molto probabile che rimanga prigioniero nella
PPS per un lungo periodo (se non per il resto della sua vita).
22
Ibidem, p. 41
23
Questa è la chiave della base e, una volta insediatasi stabilmente, essa assicura il protrarsi della sindrome.
24
Ibidem, p. 26
Immagine da:
Dan Kiley,
The Peter Pan
Syndrome,
NY, Avon
Books, 1984,
p. 40
Immagine da:
Dan Kiley,
The Peter Pan
Syndrome,
NY, Avon
Books, 1984,
p. 41
È interessante, ora, vedere come Dan Kiley esamina i singoli blocchi,
introducendo ognuno di essi con un pertinente riferimento al play di Peter
Pan.
Immagine da:
Dan Kiley,
The Peter Pan
Syndrome,
NY, Avon
Books, 1984,
p. 42
1) Il lungometraggio animato della Disney (pp.148-151)
The greatest challenge I have ever faced is the task – the very pleasurable task
– of bringing Peter Pan to life in a dream world which only he and his friends
can see – and only the animated cartoon can reveal to us in all its magic. –
Walt Disney, 1953
25
Nel 1953, Walt Disney realizza un lungometraggio animato intitolato Peter
Pan che riscuote un enorme successo; questo costituisce uno dei primi
tentativi di rappresentare Peter Pan con le sembianze di un ragazzino.
Disney sceglie come voce di Peter Bobby Driscoll, un giovane attore di
discreta popolarità, ed è anche il primo ragazzino scritturato dalla Disney.
Per aiutare gli animatori nel lavoro di catturare le tipiche movenze infantili
di Peter, vengono filmati i movimenti dello stesso Driscoll, mentre
vengono studiati i filmati del ballerino Roland Dupree per cogliere la
grazia del volo di Pan.
Tra le altre voci fuori campo c’è quella di Hans Conried, nel ruolo di
Captain Hook, che naturalmente, per mantenere la tradizione, presta la
voce anche a Mr. Darling. Sebbene alcune idee e tradizioni rimangano
fedeli alla storia originale di Barrie, vengono introdotte anche tante
“innovazioni”; ovviamente è un’impresa ardua condensare tutti gli
25
Bruce K. Hanson, The Peter Pan Chronicles, New York, Birchlane Press,1993, p. 165
Una delle prime
locandine del cartone
animato di Walt
Disney.
elementi della commedia originale in un cartone animato della durata di 77
minuti. Il cartone viene considerato tra le migliori produzioni del suo
studio e include alcune canzoni di eccellente qualità.
La Disney sembra aver conferito una nota sentimentale al carattere
originale dell’opera evidenziando la contrapposizione tra la leggerezza, la
luminosità e la rettitudine di Peter e la cattiveria e l’oscurità del suo
arcinemico (e controparte archetipa), Hook.
Le immagini che questo cartone offre di Peter, Wendy, John, Michael,
Captain Hook e perfino di Smee sono riconoscibili da tutti i bambini nel
mondo; l’unico nome, nel film, più famoso di quello di Peter è Disney, un
nome associato alla magia, alla musica, al colore e al divertimento.
Sorprendentemente, la struttura generale della sceneggiatura non si
allontana troppo da quella del libro Peter and Wendy.
Uno dei cambiamenti più evidenti risiede nel leggero umorismo, di facile
impatto (spesso di gusto mediocre) che percorre tutto il film animato ed un
folle inseguimento fra il coccodrillo e Captain Hook che fa ridere i bambini
a crepapelle; inoltre, un nuovo finale ci rivela che Wendy ha sognato le
avventure a Never Never Land.
Sebbene molti degli aspetti più oscuri del Peter Pan originale vengano
mantenuti, non ci si può dimenticare che si sta guardando un divertente
cartone: ad esempio, il personaggio di Smee viene presentato sotto una
luce un po’ più benevola e Tinker Bell ha un aspetto più grazioso.
A questo proposito, un altro grosso cambiamento in questo Peter Pan
proviene dal nuovo look di Tinker Bell: la fatina viene rappresentata come
una sensuale ninfetta perdutamente innamorata di Peter; questo
personaggio riscuote successo a tal punto da diventare il simbolo dello
show televisivo della Disney.
I critici affrontano con qualche scetticismo questa nuova versione della
commedia; Bosley Crowther, critico del New York Times, indica che i
personaggi, in fin dei conti, non sono così originali: Wendy sembra una
cugina di Biancaneve, Smee un parente del nano Gongolo e Michael
ricorda il nanetto Cucciolo. Nella sua recensione Crowther scrive:
Mr. Disney’s picture (..) has the story but not the spirit of Peter Pan as it
is plainly conceived by its author and is usually played on stage.
However, that’s not to say it isn’t a wholly amusing and engaging piece
of work within the defined limitations of the aforementioned “Disney
style.”
26
C’è da considerare, però, che l’opera di Walt Disney conosce critiche ben
più aspre rispetto a questa blanda ironia; spesso il Peter Pan disneyano
diventa il capro espiatorio di una più generale critica sociale. Il ventesimo
secolo assiste ad un grandioso balzo nel campo della tecnologia e del
progresso scientifico, insieme a tutti gli orrori che ne conseguono;
l’incapacità di poter controllare un tale avanzamento si accompagna ad un
trattamento superficiale riguardante lo sviluppo umano. Alla luce di
questo, Walt Disney, con il suo Peter Pan, si dimostra un maestro di un
falso buonismo; l’opera originale di Barrie viene privata delle sue allusioni
più sinistre e trasformata in un’ode all’eterna giovinezza (che in parte è lo
scopo di Barrie, ma non l’unico). La cultura occidentale, nella seconda
parte del ventesimo secolo, idealizza il mito della gioventù che resiste ad
ogni cambiamento e disprezza l’età matura; Peter Pan viene identificato,
quindi, quasi esclusivamente con l’eterna giovinezza, l’innocenza infantile
e la fantasiosa spontaneità. Invece, aspetti meno affascinanti della
giovinezza di Peter Pan vengono astutamente minimizzati: ad esempio, la
crudeltà di Peter, la sua ingrata noncuranza e la sua mancanza di coscienza.
Disney, nel suo iniziale ossequio verso la correttezza politica, promuove
senza riserve i compassati valori della tipica famiglia anni cinquanta e
contestualizza la sempiterna guerra fra il bene ed il male in un’atmosfera
post-guerra che reclama un’azione di risanamento. Ma questo non è ciò che
Barrie scrisse. Nonostante queste considerazioni, il film, negli anni,
conosce diverse restaurazioni e nel settembre del 1990 diviene disponibile
anche in videocassetta; gli esiti sia della vendita che del noleggio sono
straordinariamente positivi e questo a dimostrazione di quanto i ragazzi
amino ancora molto l’opera della Disney e si divertano ancora a giocare ad
essere Peter Pan.
26
Ibidem, p. 169