4
personaggi e oggetti e lo spazio “dinamico espressivo
5
”, definito
invece da un movimento di macchina in relazione dialettica e creativa
con quello delle figure, col compito di decidere ed imporre ciò che
effettivamente si deve vedere, conferendo alle immagini ricavate dal
movimento il carattere di vere e proprie pseudodidascalie, come
commento e, alle volte, chiave di lettura di un intero film. Vedremo
alcuni esempi chiarificatori poco più avanti durante la descrizione
tecnica dei movimenti.
Con un piccolo salto all’indietro nella storia del cinema, si può
riscontrare, in ogni sua evidenza, che il movimento della cinepresa è
sempre esistito nel cinema (tranne che nei suoi immediati primordi) e
che il suo impiego, fino agli anni Sessanta, è stato quello di allargare il
campo di visione dello spettatore. La “rivoluzione del movimento
6
” è
arrivata con l’avvento di una nuova cinematografia francese di metà
anni Sessanta, in cui un gran numero di critici cinematografici del
celebre giornale “Cahiers du Cinema” passarono dietro la macchina e
formarono un movimento che avrebbe preso poi il nome, che li ha
consacrati nella storia del cinema, di “Nouvelle Vague”. Questi
registi portarono una vera ventata di innovazioni nell’ambito del
5
Ibidem. pag. 137.
6
AA.VV., “Manuale del filmaker indipendente”, Cinetecnica Editrice, Faenza, 2001. pag. 76.
5
linguaggio cinematografico ed in particolare uno di loro, Jean-Luc
Godard ha riassunto l’ideale da loro rappresentato in questa
particolare espressione: “Il movimento della macchina è una questione
di morale
7
”.
Il significato di questa massima è molto semplice: è
sostanzialmente un invito ad utilizzare il movimento solo in riprese in
cui esso si realizzi veramente con un significato; l’impiego di questo
tipo di ripresa va infatti associato con il significato che lo spettatore ha
attribuito al movimento stesso, che per il pubblico è un tipo di ripresa
che produce forti aspettative. Non è concepibile, infatti, un movimento
che non aggiunga niente alle informazioni che lo spettatore già
possiede e, soprattutto, queste devono essere fornite come se stessero
costruendo una qualche forma di effetto sorpresa.
In sostanza, quello che noi intendiamo oggi col nome di
movimento della m.d.p., nella definizione di cui sopra, va pensato
come la costruzione di un percorso di significato che non può
concludersi senza che si sia visualizzato sullo schermo qualcosa di
7
Jean-Luc Godard, cit. in AA.VV., “Manuale del filmaker indipendente”, Cinetecnica Editrice,
Faenza, 2001. pag. 92.
6
“nuovo”, diventando così un grande strumento di comunicazione
cinematografica (e Godard l’aveva compreso pienamente).
E’ bene puntualizzare che questo discorso trova la sua radice nelle
regole che la critica dei “Cahiers” aveva sancito come canone del
buon far cinema e che i registi della “Nouvelle Vague”
caratterizzavano i loro film seguendo questa sorta di “statuto”: si tratta
dello statuto della “Politique des auteurs”, sulla base della convinzione
che un regista dovesse esprimere una sua personale visione del
mondo, tanto nella sceneggiatura quanto nello stile per il quale “la
macchina da presa sembra muoversi da sola ad esplorare gli
ambienti
8
”. In ogni caso, anche prima e senz’altro dopo la “Nouvelle
Vague”, il movimento di macchina può effettivamente avere effetto
trasportatore per lo spettatore, perché il costante cambiamento delle
informazioni dell'intera immagine dello schermo, con la sua forte
domanda di attenzione, chiama in causa tutta la comprensione del
corpo, dello sguardo e della memoria depositata nel suo
temperamento.
Passiamo ora all’analisi pura di quelli che abbiamo definito
“movimenti veri e propri” della m.d.p. e ad alcuni famosi esempi
8
David Bordwell, Kristin Thompson, “Storia del cinema e dei film / Dal dopoguerra a oggi”, Il
Castoro, Milano 1998. pag. 230.
7
(verranno tralasciati in questo capitolo gli esempi dedicati al cinema di
Kubrick in quanto saranno analizzati in dettaglio nei prossimi);
riconosciamo principalmente quattro movimenti: la “Panoramica” (in
terminologia tecnica inglese “Pan/Tilt”), il “Carrello” o “Carrellata”
(“Travelling” che comprende anche il “Dolly” e la “Gru”), la
“Zoomata” (“Zooming”) e il movimento ottenuto con la “Macchina a
mano” (“Hand Held Camera”, che comprende anche la “Steadycam”).
Al termine di questo capitolo verranno riportate comunque alcune
regole, o meglio alcuni canoni di come andrebbero tecnicamente
costruiti in maniera appropriata i movimenti della m.d.p., tratte da
alcuni testi di carattere tecnico sul linguaggio cinematografico che si
ritroveranno in bibliografia.
Il movimento detto “panoramica” si realizza facendo ruotare la
macchina da presa fissata ad un cavalletto munito di testata. La
rotazione della macchina può avvenire sia orizzontalmente che
verticalmente; nel primo caso si parlerà di panoramica orizzontale a
destra o a sinistra e, se la rotazione è completa, di panoramica a 360°;
nel secondo caso avremo invece una panoramica verticale dall'alto
verso il basso o viceversa. Si può avere anche una panoramica
obliqua attraverso un movimento che somma i due precedenti.
8
Generalmente la panoramica viene usata dai registi per descrivere
un ambiente, sia esterno che interno, così che lo spettatore possa
farsene un’idea d’insieme. In un certo senso questo movimento imita
quello che la nostra testa compie per osservare il luogo in cui ci
troviamo; di conseguenza, la panoramica è generalmente lenta,
proprio come la rotazione del capo di chi si guarda intorno. A volte,
però, per introdurre nel racconto un fatto inaspettato, la panoramica
viene effettuata in modo rapidissimo; anche in questo caso viene
imitato il movimento che fa il nostro capo quando un rumore
improvviso ci colpisce, facendoci girare di scatto. Questa panoramica
particolarmente rapida viene detta a schiaffo e spesso preannuncia un
rapporto conflittuale tra i due soggetti messi così rapidamente in
contatto.
Un celebre esempio dal passato è fornito da King Widor, che in
“The Crowd”, 1928, meraviglia lo spettatore con le panoramiche
iniziali per una veduta di New York: la riva di Manhattan è vista dal
ponte di un battello, poi si vedono folle di passanti riprese dall'alto. Un
grande incrocio fra due avenue sembra filmato in sovrimpressione,
invece è un riflesso su una vetrata, che con una panoramica esce di
campo, scoprendo così “l'effetto speciale”. Due grattacieli vengono
9
inquadrati dal basso: la macchina da presa gira su se stessa, con un
effetto di vertigine al contrario per l'altezza che sta sopra di noi. Per
arrivare ad individuare a Mr.Sims, l'uomo qualunque tra la folla, la
camera compie un lungo percorso aereo, in uno dei movimenti più
citati della storia del cinema. Una panoramica che diviene ben presto
leggenda usata per focalizzare l’attenzione su un singolo in mezzo alla
folla: alla fine del movimento, nella moltitudine della gente di New
York, emerge la piccola vita del protagonista.
Un po’ più vicino a noi, nel film “Senso”, di Luchino Visconti,
1954, si evidenzia poi il carattere fortemente descrittivo, che sa andare
al di là delle parole di questo tipo di movimento, notando la profondità
dello sguardo della cinepresa nella lentissima panoramica, con effetto
acuito da un angolazione bassa, per la descrizione dell’interno del
teatro “La Fenice” con cui si introduce il film. E lo stesso utilizzo
descrittivo del movimento era caro ad Alfred Hitchcock, come
testimonia l’introduzione del film filosofico “Shadow of a Doubt”
(“L’ombra del dubbio”), 1943, che si apre con una serie di brevi
panoramiche di natura descrittiva tutte in direzione sinistra-destra
(quindi, ricalcanti esattamente il verso della scrittura occidentale). Nel
1959, uno dei maggiori esponenti al gruppo della “Nouvelle Vague”,
10
François Truffaut, nel suo celebre e bellissimo film “Les quatre cent
coups”(“I Quattrocento colpi”), 1959, introduce la forte ostilità tra il
protagonista Antoine e il suo odiosissimo professore di francese con
quella rapidissima panoramica che abbiamo visto definirsi a
“schiaffo” che va unendo in uno scontro di sguardi e di volti le due
persone su cui si articolerà uno scontro umano.
Per concludere, rimanendo sulla “Nouvelle Vague” ed in particolar
modo su Truffaut, è opportuno notare quanto questo regista faccia uso
della panoramica vera e propria sviluppata in modo molto lento, come
avviene in quella che a mio parere è la sua magnum opus “Jules et
Jim” (“Jules e Jim”), 1962, dove questi movimenti, così lenti e
inesorabili commentano e decidono il comportamento dei protagonisti,
li vivificano senza mai estrarli dal loro ambiente. E’ così, che la stessa
m.d.p. comunica quel senso di libertà e di insofferenza che
caratterizza i protagonisti; e questa irrequietezza, ad un attento esame,
è la componente fondamentale di tutto il cinema di Truffaut.
Per finire e riagganciarci con il discorso sulla frase di Godard di cui
sopra, nello stesso anno, un personaggio del film di Bernardo
Bertolucci “Prima della rivoluzione” (1962), definisce questo
11
movimento “360° di moralità” identificandolo proprio come
costruzione significativa all’interno del percorso di rappresentazione.
Nel movimento detto “Carrello” o “Carrellata”, la m.d.p. è
montata, per l’appunto, su un carrello dotato di binari per eseguire
movimenti fluidi sul piano frontale o per spingersi in profondità, o
ancora per muoversi trasversalmente nell’ambiente. Il binario, però,
non è l’unico supporto con il quale è possibile realizzare questo tipo di
movimento: è possibile eseguire una carrellata anche con un veicolo a
pneumatici, che viene definito “Camera-car” e che consente una
maggiore velocità di spostamento, oppure sistemando la cinepresa
all’estremità di un braccio mobile, sostenuto da una piattaforma
munita di ruote o collocabile su un veicolo così da consentire
movimenti fluidi in tutte le direzioni. Quest’ultimo accorgimento
viene definito “Dolly” o “Gru”, a seconda della complessità e capacità
di elevazione del mezzo stesso: fino ad un sollevamento di circa
quattro metri viene utilizzato il “Dolly”, per metraggi superiori si
rende necessario l’uso della “Gru”
9
.
9
Esiste inoltre, ma viene usato molto raramente, un braccio snodabile per riprese a spostamento
verticale di ampio raggio (fino anche a 8-10m) che viene definito “Louma”.
12
Naturalmente, l’impiego di questi due macchinari, ha la funzione di
“dinamizzare lo spazio
10
”, offrire spunti di carattere spettacolare alle
immagini e alle coreografie, ma anche costituire una sorta di “forma
simbolica” dell’idea del volo, di quella spazialità onirica propria del
desiderio di perdita di peso, in tutti i sensi possibili.
Carrellate molto suggestive ed efficaci sono le cosiddette
“Carrellate aeree” che si effettuano anche da un mezzo in volo o
grazie a una rete di cavi che coprono lo spazio da riprendere e lungo i
quali la macchina, denominata “Skycam” viene fatta scorrere.
Qualunque sia il supporto con il quale viene realizzata, possiamo
trovare sei tipologie di Carrellata: in avanti a stringere, quando la
macchina si avvicina al soggetto, restringendo il campo che viene
inquadrato, all’indietro ad allargare, quando la macchina si allontana
dal soggetto, allargando il campo ed includendo nuovi elementi, ad
accompagnare, precedere o seguire, quando la macchina si muove
accompagnando il soggetto in movimento, laterale, quando la
macchina si muove trasversalmente all’asse di ripresa, ad ascensore,
quando la macchina si muove verticalmente rispetto al set e circolare,
10
Antonio Costa, “Saper vedere il cinema”, Bompiani, Milano, 1985. pag. 182.
13
quando la macchina gira intorno al soggetto, con movimento, appunto,
circolare.
L’inventore, o meglio, il primo utilizzatore di questo movimento fu
Giovanni Pastrone, che sotto lo pseudonimo di Pietro Fosco, diresse,
nel 1914, “Cabiria”, film che si distinse particolarmente proprio per
l’utilizzo delle nuove tecnologie tra le quali, proprio il carrello che
finalmente permetteva il passaggio da campi lunghi a primi piani e
viceversa senza dover passare da uno stacco intermedio. E tra i primi
celebri esempi, è fondamentale ricordare l’opera “Der Letze Mann”
(“L’ultima risata”), del maestro Murnau, risalente al 1924: il film
inizia con un'immagine presa da dentro un ascensore che scende e poi,
con la cinepresa montata su una bicicletta, passa nella hall e infila la
grande porta girevole, per trovare fuori dell'albergo il protagonista
della vicenda. Il tutto è una sola, perfetta carrellata, in cui, come
sottolinea Deleuze, la “cinepresa mobile è come un equivalente
generale di tutti i mezzi di locomozione che essa mostra o di cui si
serve
11
”.
Tra i film che hanno reso celebre questo movimento è doveroso
citare innanzitutto il capolavoro di Alfred Hitchcock “Notorius”
11
Gilles Deleuze, “L’immagine-movimento”, Ubulibri, Milano, 1984. pag. 118.
14
(“Notorius, l’amante perduta”), 1946, dove con una meravigliosa
carrellata a stringere, mostra un oggetto che avrà poi enorme
importanza nella storia, ossia la chiave nelle mani dell’attrice
protagonista Ingrid Bergman e ancora prima, in “Citizen Kane”
(“Quarto potere”) di Orson Wells, 1941, un’analoga serie di carrellate
a stringere svela allo spettatore il mistero attorno al quale ruota tutto il
film, mistero che peraltro nessuno dei protagonisti era riuscito a
decifrare.
Nel cinema di Truffaut, ancora in questa sede rappresentante del
cinema francese anni Sessanta, sempre nel film “Les quatre cent
coups”, una splendida carrellata conclusiva ha il compito di esprimere
tutta la simpatia del regista verso uno dei suoi personaggi, mentre un
campione sulle ampie possibilità stilistiche di un regista
cinematografico per muovere l’occhio della cinepresa è delineato nelle
riprese del bellissimo film di Bernado Bertolucci “Il conformista”,
1972 (che vedremo poi anche nella sezione dedicata allo “Zoom”),
dove la serie dei movimenti appena descritti ha lo scopo di acuire
enormemente l’effetto realistico della scena, o di sottolineare o
addirittura di annullare lo spazio: ne è un esempio il brano in cui il
protagonista Marcello va ad incontrare il capo di gabinetto al
15
ministero, in cui la macchina prima si alza sul “Dolly” e poi si lancia a
scavalcare la scrivania, permettendo di coniugare in un unico gesto
continuo i diversi possibili movimenti sui vari piani.
Nella filmografia più recente è senz’altro necessario citare almeno
due casi autorevoli di utilizzo della carrellata, sia come scopo di
descrizione dei personaggi nella loro relazione dell’ambiente (in
maniera più o meno analoga alla panoramica), come si nota più e più
volte nel corso di “Dances with wolves” (“Balla coi lupi”), di Kevin
Costner, 1990, sia come drammatico contrasto tra una caratteristica di
un oggetto protagonista e il concatenarsi degli eventi, come
dimostrano le monumentali carrellate aeree attuate da James Cameron
in “Titanic” (“id.”), 1997, atte a esplicitare la grandiosità del
transatlantico e le sue meraviglie tecnologiche che si contrapporranno
a breve con il disastro che ne segnerà la fine.
Meravigliosi esempi vengono anche dalla storia del cinema
italiano: all’inizio di “Riso amaro”, di Giuseppe De Santis, 1949, un
ampio movimento di Gru prende avvio dal primo piano di un
radiocronista e ci porta a scoprire gradatamente la visuale della
stazione nella quale le mondine si stanno radunando per la partenza
rappresentando un’enfatizzazione della relazione tra il singolo e la
16
collettività; nel finale di “Mamma Roma”, di Pier Paolo Pasolini,
1962, con un triplice movimento di Dolly sul corpo senza vita di
Ettore steso sul suo letto di detenzione (posizionato in chiara analogia
con la postura del “Cristo morto” di Andrea Mantegna), il regista
esalta l’assunzione, propria di tutta la pellicola di un carattere e una
funzionalità mistica e rituale.
E’ possibile poi distinguere alcune intenzioni che possono muovere
un regista alla preferenza di uno o l’altro dei due movimenti che
abbiamo descritto: la panoramica viene solitamente realizzata con
scopo descrittivo dell’ambiente-spazio a disposizione dello sguardo,
passando in rassegna oggetti e persone; il carrello, invece, di
preferenza, “accentua il carattere di soggettività
12
” dello sguardo,
identificando il movimento della m.d.p. con il movimento di un
personaggio o accentuando il livello di “musicalità
13
” di un gesto
movendosi in maniera armoniosa e ritmata.
Se, abbiamo visto, muovere la m.d.p. sul carrello significa
mantenere la stessa prospettiva in tutta l’immagine, a variare proprio
la prospettiva di visione contribuisce lo “Zoom”.
12
Francesco Casetti, Federico Di Chio, “Analisi del film”, Bompiani, Milano, 1994. pag. 85.
13
Ibidem. pag. 85.
17
Lo Zoom è un elemento ottico trasfocatore
14
che si differenzia dal
carrello a stringere o ad allargare per il fatto che non si ottiene tramite
lo spostamento della macchina, bensì tramite il cambiamento della
focale davanti all’obiettivo. L’impiego tipico dello zoom sembra
quello di “un occhio elettronico che si insinua attraverso
l’immagine
15
” per trovare un piccolo dettaglio o particolare ricco di
significato; la tecnica classica di utilizzo consiste nell’operare un
utilizzo della zoomata che parte da un movimento lento per poi
aumentare la sua velocità e ritornare di nuovo lento come prima, con
la possibilità di attribuire maggiore enfasi al soggetto/oggetto
inquadrato tramite improvvisi stop.
Lo zoom può essere impiegato sia con la panoramica, la qual cosa
aiuta a rendere un po’ meno accentuato l’effetto ottico, che con il
carrello, ovviamente con una combinazione di carrello in movimento
verticale e zoom in ripresa orizzontale, ma il grosso vantaggio pratico
dello zoom è proprio quello di permettere il passaggio, in un tempo
desiderato, da un campo lungo a un dettaglio o viceversa, senza dover
spostare la m.d.p..
14
Il termine “trasfocatore” sta a significare un complesso di lenti a lunghezza focale variabile.
15
AA.VV., “Manuale del filmaker indipendente”, Cinetecnica Editrice, Faenza, 2001. pag. 94.